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PubblicatoFausto Tommasi Modificato 5 anni fa
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PROMESSI SPOSI Gustavino, Il banchetto di don Rodrigo CAPITOLO V
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Personaggi: Luoghi: Tempo: Temi: Trama:
Padre Cristoforo, Renzo, Lucia, Agnese, don Rodrigo, il conte Attilio, il podestà di Lecco, l'Azzecca-garbugli, il vecchio servitore Il paese di Renzo e Lucia, Pescarenico, il palazzotto di don Rodrigo 9 novembre, dalla mattina al pomeriggio La giustizia, La carestia, La guerra di Mantova e del Monferrato, Nobiltà e potere, Chiesa e religione Padre Cristoforo va a casa di Agnese e Lucia, apprendendo le ragioni del mancato matrimonio. Giunge anche Renzo e il cappuccino decide di andare al palazzo di don Rodrigo per affrontare il signorotto. Qui trova il nobile a tavola con vari convitati e viene coinvolto nella disputa cavalleresca tra il conte Attilio e il podestà. Seguono altre chiacchiere sulla guerra nel mantovano e sulla carestia, poi don Rodrigo si apparta col frate in un'altra sala.
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Agnese e Lucia informano padre Cristoforo dell'accaduto
G. B. Galizzi, L'arrivo di padre Cristoforo PADRE CRISTOFORO entra nella casa di Agnese e Lucia e chiede loro il motivo della chiamata: Lucia scoppia a piangere e la madre racconta in breve al frate che cos'è successo. Il cappuccino ascolta non senza un profondo sdegno, quindi consola le due donne e le rassicura dicendo che non farà mancare il suo aiuto, e di confidare nel soccorso divino. Sedutosi su uno sgabello, il frate inizia poi a pensare tra sé e a esaminare le possibili vie d'uscita: scarta l'ipotesi di costringere don Abbondio a celebrare il matrimonio, poiché è certo che il curato ha più paura delle minacce dei braviche non di lui; esclude anche di informare il cardinal Borromeo, poiché occorrerebbe tempo e comunque, se anche i due promessi si sposassero, questo potrebbe non bastare a fermare don Rodrigo. Potrebbe fare intervenire i suoi confratelli, ma, poiché il signorotto si atteggia ad amico del convento e dei cappuccini, teme che ciò sarebbe addirittura controproducente. Decide infine di andare al palazzo del nobile ad affrontarlo di persona, per tentare di farlo recedere dai suoi propositi e, al contempo, valutare la sua ostinazione nel portare a termine i suoi sporchi progetti.
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Arriva Renzo, che manifesta propositi bellicosi
L'arrivo di Renzo (ediz. 1840) Mentre padre Cristoforo è assorto nei suoi pensieri sopraggiunge Renzo, che ovviamente non sa stare lontano dalla casa della sua promessa e che resta in silenzio per non disturbare il cappuccino. Questi si accorge della sua presenza e lo saluta, al che il giovane pronuncia parole di accusa verso don Rodrigo e si lamenta del fatto che gli amici del paese sembrano averlo abbandonato, nonostante le profferte di aiuto in caso di bisogno per togliere di mezzo un nemico. Renzo capisce di aver toccato il tasto sbagliato e infatti padre Cristoforo lo rimprovera e lo esorta a non nutrire propositi di violenza, a confidare nell'aiuto di Dio e a non meditare vendetta per risolvere i suoi problemi. Renzo promette che non farà colpi di testa e il frate comunica la sua intenzione di andare al palazzo di don Rodrigo, assicurando che sarà di ritorno quanto prima. Consiglia ai tre di stare in casa e di evitare guai, quindi lascia la casa e torna al convento di Pescarenico, dove esegue gli uffici di sesta (verso mezzogiorno) e da dove, dopo un pasto frugale, si dirige al palazzo del signorotto.
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Padre Cristoforo raggiunge il palazzo di don Rodrigo
F. Gonin, Il palazzo di don Rodrigo Il palazzo di don Rodrigo sorge su un'altura poco lontano dal paese e da Pescarenico, ai piedi della quale c'è un piccolo villaggio di contadini abitato da brutti ceffi simili a bravi (nelle case si intravedono armi da fuoco) e dove persino i vecchi, le donne e i fanciulli sembrano avere un'aria bellicosa. Padre Cristoforo attraversa il villaggio e sale al palazzo lungo una strada tortuosa, che conduce all'edificio simile a una piccola fortezza squadrata: l'abitazione è talmente silenziosa da sembrare deserta e infatti la porta è chiusa, come anche le finestre che sono protette da imposte consunte e da robuste inferriate. Sui due battenti della porta sono inchiodate le carcasse di due avvoltoi e ai lati, sdraiati su delle panche, ci sono due bravi che montano la guardia in modo svogliato. Uno di essi si alza e accoglie in modo benevolo il frate, invitandolo a entrare e facendo osservazioni sarcastiche circa il rispetto che nutre verso i cappuccini (nel loro convento, infatti, si è rifugiato varie volte per sfuggire alla legge). Il bravo picchia all'uscio e questo è aperto da un anziano servitore, circondato da diversi cani, il quale accoglie padre Cristoforo con deferenza e lo invita a entrare. L'uomo osserva stupito che la presenza del frate in quel luogo è sorprendente, anche se si può compiere del bene dappertutto, quindi conduce Cristoforo attraverso dei salotti in penombra sino alla porta della sala da pranzo, da cui proviene un gran fracasso di stoviglie e di voci concitate che si accavallano l'una con l'altra.
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Il banchetto di don Rodrigo
F. Gonin, Don Rodrigo e i suoi commensali Padre Cristoforo vorrebbe ritrarsi e attendere in un luogo appartato la fine del pranzo, ma la porta della sala si apre e il conte Attilio chiama subito il frate, invitandolo a entrare a gran voce. Don Rodrigo, che gli siede accanto, è allora costretto ad invitare anche lui il cappuccino ad entrare, anche se farebbe a meno di questa visita; Cristoforo avanza con fare esitante e rivolge un inchino al padrone di casa, non per ossequio servile ma a causa della soggezione che il nobile, seduto a tavola e circondato da amici potenti, inevitabilmente gli incute. Don Rodrigo sta consumando un banchetto insieme a vari convitati, tra cui (oltre al conte Attilio, suo cugino) vi sono il podestà di Lecco, il dottor Azzecca-garbugli e altri due commensali di cui l'anonimo non riferisce il nome, intenti a mangiare e ad acconsentire a qualunque cosa venga detta da uno degli altri presenti. Il padre viene fatto sedere e chiede con deferenza al nobile di poter avere un colloquio riservato con lui, su una faccenda delicata; don Rodrigo acconsente, ma prima vuole ad ogni costo che venga servito del vino al frate (questi si schermisce e allora il signorotto afferma sardonico che un cappuccino deve bere il suo vino, proprio come un creditore insolente deve essere bastonato con la legna dei suoi boschi). Tutti ridono e padre Cristoforo, per non irritare il padrone di casa, beve a piccoli sorsi il vino versato da un'ampolla.
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La disputa cavalleresca
F. Gonin, La disputa tra il podestà e Attilio Tra il conte Attilio e il podestà è in corso una disputa su una questione cavalleresca, che concerne la bastonatura che un nobile ha riservato al messaggero latore di una sfida: Attilio sostiene che essa è legittima, mentre il podestà afferma il contrario in ossequio al diritto romano e all'usanza per cui l'ambasciatore è persona inviolabile. Don Rodrigo, volendo troncare la discussione, propone di fare arbitro di essa padre Cristoforo, cosa che trova Attilio d'accordo mentre il podestà è perplesso: il frate si dichiara incompetente a dirimere la questione, ma don Rodrigo fa alcune pesanti allusioni al suo passato di laico, lasciando intendere che sa che in gioventù aveva ucciso un uomo proprio in un duello. Il padrone di casa illustra il fatto, che riguarda una sfida a duello mandata da un cavaliere spagnolo a uno milanese, la quale era stata recapitata da un servo al fratello dello sfidato che, irritato, l'aveva fatto bastonare. I due contendenti riprendono a discutere e mentre il podestà cita il diritto degli antichi Romani, il conte Attilio ribatte che è pieno diritto per un nobile far bastonare un plebeo, anche perché questo non è certo un atto proditorio come vorrebbe il suo avversario. L'Azzecca-garbugli, chiamato in causa da Attilio, si sottrae ricordando che l'arbitro designato è appunto il frate, il quale, dopo aver tentato anch'egli di schermirsi, è costretto a dire il suo parere: padre Cristoforo afferma che, secondo lui, non dovrebbero esserci né sfide, né duelli, né bastonature e ovviamente le sue dichiarazioni suscitano la viva sorpresa di Attilio, che ribatte che un mondo simile sarebbe per lui "alla rovescia", senza cioè il "punto d'onore" e la possibilità di punire i "mascalzoni". Anche l'avvocato sostiene che il parere del frate non ha valore secondo le leggi del mondo e il cappuccino non ribatte nulla a un simile ragionamento.
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I commensali discutono della guerra e della carestia
G. B. Galizzi, L'Azzecca-garbugli ubriaco Don Rodrigo cambia improvvisamente argomento di conversazione e, alludendo alla guerra per il possesso di Mantova che è in corso tra la Francia di Luigi XIII e la Spagna di Filippo IV, dice di aver sentito a Milano che potrebbe esserci un trattato di pace. Il conte Attilio si dice d'accordo, ma il podestà ribatte che ha saputo dal castellano spagnolo di Lecco che le cose non stanno così e il padrone di casa lancia un'occhiata al cugino, invitandolo a non insistere oltre per non irritare il suo ospite (il cui appoggio, ovviamente, gli è prezioso per non avere guai con la legge). Il podestà inizia allora un bizzarro e sconclusionato discorso di elogio al conte-duca Olivares, primo ministro spagnolo che, a suo dire, è un fine politico in grado di mettere nel sacco tutti i suoi avversari, a cominciare dal cardinale Richelieu, primo ministro francese (il podestà dimostra una certa vanagloria e una discreta ignoranza, per cui il suo elogio verso l'Olivares suona piuttosto ridicolo e privo di senso). Per porre fine alla discussione, don Rodrigo fa portare dell'altro vino con cui il podestà fa un solenne brindisi in onore del conte-duca, al quale è costretto ad unirsi lo stesso padre Cristoforo. Chiamato in causa, l'Azzecca-garbugli si produce in un goffo elogio della bontà del vino, i cui fumi lo hanno evidentemente inebriato, quindi loda il padrone di casa che offre splendidi pranzi mentre fuori infuria la carestia. L'accenno a questa induce i presenti ad accusare gli incettatori di grano e i fornai, rei di nascondere il pane, per cui più d'uno invoca processi sommari contro di essi. Padre Cristoforo assiste alla scena in silenzio, senza mostrare di volersene andare prima di aver parlato con don Rodrigo: questi, per liberarsi di lui e non potendolo mandar via per ossequio formale ai cappuccini, a un certo punto si alza da tavola (imitato dai suoi ospiti) e fa accomodare il frate in una sala appartata, dove i due potranno parlare.
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Padre Cristoforo giunge a casa di Lucia
L'arrivo di padre Cristoforo (ediz. 1840) L'autore non racconta la vita di padre Cristoforo negli anni seguenti, se non dicendo che il cappuccino esegue con obbedienza i doveri che gli sono imposti, cioè di predicare e assistere i moribondi, anche se non rinuncia quando si presenta l'occasione a prendere le difese dei deboli contro le ingiustizie degli oppressori: l'uomo conserva ancora un barlume dell'antica fierezza e dell'indole animosa, per cui il suo contegno, abitualmente umile e posato, può diventare impetuoso e sdegnato quando assiste a qualche intollerabile ingiustizia. Ciò spiega la sua sollecitudine nel rispondere alla chiamata di Lucia, che il padre conosce come una giovane innocente e vittima di un'infame persecuzione da parte di don Rodrigo: in ansia per lei e per quanto può esserle accaduto, giunge infine alla casa della giovane e della madre Agnese, le quali accolgono il cappuccino con una benedizione.
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Temi principali e collegamenti
Compare finalmente in scena Don Rodrigo, il "malvagio" del romanzo che finora era stato solamente descritto o evocato da altri personaggi: la sua apparizione è in realtà assai deludente, poiché il signorotto si dimostra un malvagio mediocre e di mezza tacca, privo della grandezza solenne e della statura morale dell'innominato (lo dimostra il fatto che ama circondarsi di amici influenti, che cerca l'appoggio e la complicità degli uomini di legge, che non caccia subito padre Cristoforo per la sua "politica" di buone relazioni col convento dei cappuccini). È ridicolmente attaccato ai suoi privilegi di casta e alle regole cavalleresche (infatti vuole sedurre Lucia per una sciocca questione di puntiglio), mentre è decisamente volgare e inopportuno quando coinvolge il frate nella disputa sul portatore di sfida bastonato, dal momento che non ignora il passato di Cristoforo. La guerra per la successione al ducato di Mantova si svolse nel periodo e fu uno degli episodi della guerra dei Trent'anni: Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, morì senza eredi diretti e i suoi possessi vennero contesi tra Carlo Gonzaga di Nevers, sostenuto dalla Francia di Richelieu, e Ferrante Gonzaga duca di Guastalla, sostenuto dalla Spagna dell'Olivares; in seguito entrarono nel conflitto anche Carlo Emanuele I di Savoia e l'imperatore Ferdinando II d'Asburgo al fianco della Spagna, mentre Venezia e il papa Urbano VIII sostenevano la Francia. Le truppe spagnole cinsero d'assedio la fortezza di Casale e il successivo diretto intervento della Francia causò la discesa in Lombardia delle truppe del generale boemo Albrecht von Wallenstein, che si abbandonarono a saccheggi e portarono nel Milanese la peste. Il conflitto si concluse con un trattato di pace che riconobbe legittimo successore al ducato Carlo di Nevers, ovvero colui che, secondo il podestà, non avrebbe mai vinto a dispetto del conte-duca. Della guerra l'autore parla anche nel cap. XII, per spiegare le ragioni della carestia, nel XXVII, per spiegare i motivi dell'accanimento della giustizia milanese contro Renzo fuggito nel Bergamasco, nel XXVIII, prefigurando la calata in Lombardia dei lanzichenecchi che vi porteranno la peste (XXIX-XXX), e infine nel XXXII, spiegando il modo in cui il conflitto terminò.
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