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MODULO DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA
“ L’EVOLUZIONE DELLA NOZIONE DI CAUSA ED EFFETTO NELLA SCIENZA”
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PREMESSA MA SOLO SUL PENSIERO
Thomas Nagel , Una brevissima introduzione alla filosofia pag. 7 “ La filosofia è diversa dalla scienza e dalla matematica. Diversamente dalla scienza non fa assegnamento sugli esperimenti o l’osservazione, MA SOLO SUL PENSIERO E diversamente dalla matematica non ha un metodo formale di dimostrazione. La si fa solo ponendo questioni, argomentando, elaborando idee e pensando a argomenti possibili per confutarle, e chiedendosi come davvero funzionano i nostri concetti. Il principale interesse della filosofia è mettere in questione e comprendere idee assolutamente comuni che tutti noi impieghiamo ogni giorno senza pensarci sopra.”
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"Cosa rende un'azione giusta o sbagliata?".
Uno storico può chiedere cosa è accaduto in un certo tempo del passato, ma un filosofo chiederà "Che cos'è il tempo?". Un matematico può studiare le relazioni tra i numeri, ma un filosofo chiederà "Che cos'è un numero?”. Un fisico chiederà di cosa sono fatti gli atomi o cosa spiega la gravità, ma un filosofo chiederà “come possiamo sapere che vi è qualcosa al di fuori delle nostre menti?”. Chiunque può chiedersi se è sbagliato entrare in un cinema senza pagare, ma un filosofo chiederà "Cosa rende un'azione giusta o sbagliata?".
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Egli utilizzava il termine “scienza” nel significato di
IV secolo a. c. La filosofia occidentale nasce in forma dialogica con l’opera filosofica di Platone. Egli utilizzava il termine “scienza” nel significato di conoscenza autentica. Il problema di cosa sia la scienza è al centro di uno dei più importanti dialoghi di Platone, il TEETETO.
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SOCRATE: E proprio questo il punto sul quale nutro dei dubbi e che non posso capire sufficientemente per conto mio: cosa mai è conoscenza. Abbiamo forse la possibilità di dirlo? Che ne dite voi? E chi di voi parlerà per primo? E chi sbaglia, e quello che sbaglierà sempre, si metterà a sedere, asino, come dicono i ragazzi che giocano a palla. Chi invece riuscirà a non commettere errori, sarà nostro re e potrà imporre tutto quello che vuole che gli si risponda. Perché ve ne state in silenzio? O forse io, Teodoro, per amore di discussione mi comporto rusticamente desiderando che si facciano discussioni tra noi stessi e diventiamo amici ed entriamo in rapporto gli uni con gli altri? TEODORO: No, assolutamente, Socrate, non ci sarebbe nulla di grossolano in questo: ma invita pure questi giovanetti a risponderti: io infatti non sono abituato a tale sistema di discussione e, d'altra parte, ho una età da non potermici abituare. Ad essi invece è utile e molto di più ne trarranno profitto. La gioventù, in realtà, trae profitto in ogni cosa. Ma, come avevi cominciato, non desistere e interroga pure Teeteto. SOCRATE: Tu odi, Teeteto, quel che dice Teodoro, al quale, io penso, non vorrai disubbidire, e non sarebbe bello che, su tali questioni, un giovane disobbedisca a quello che chiede un uomo Saggio. Dunque rispondimi bene e con garbo. Cosa ti pare essere conoscenza? TEETETO: Occorre pur farlo, Socrate, siccome voi lo desiderate: ad ogni modo, se in qualcosa sbaglio, correggetemi. SOCRATE: Ben d'accordo: purché ne siamo in grado TEETETO: A mio parere tutti gli insegnamenti che uno può imparare da Teodoro, come la geometria e le materie che tu elencavi proprio ora, sono conoscenze, e, a sua volta, l'arte del calzolaio e anche quelle degli altri artigiani, tutte insieme e a una a una, sono conoscenze. SOCRATE: Sei ben nobilmente e generosamente disposto a dare tu, che richiesto di una sola e semplice questione, rispondi con molte e varie risposte. TEETETO: Che intendi dire con questo, o Socrate? SOCRATE: Forse nulla: ma quello che penso te lo dirò. Quando tu parli dell'attività del calzolaio niente altro intendi dire se non conoscenza della lavorazione della suola? TEETETO: Niente altro. SOCRATE: E cosa quando parli dell'arte del falegname? Niente altro forse se non conoscenza della fabbricazione degli attrezzi di legno? TEETETO: No, proprio questo. SOCRATE: E dunque, in tutte e due le ipotesi, tu definisci ciò di cui ciascuna arte è conoscenza. TEETETO: Sì . SOCRATE: Ma non era questo ciò che era stato chiesto, Teeteto, di che cosa c'è conoscenza, né quante sono esse; io facevo la domanda non con l'intenzione di enumerarle, ma di conoscere la conoscenza in sé, cos'è mai. Dico, forse, una cosa da nulla?
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Platone si chiede cosa è la scienza in sé
Platone si chiede cosa è la scienza in sé. Nella sua riflessione manca una netta separazione tra scienza e filosofia così come noi oggi la intendiamo. Eppure la distinzione c’è E implica necessariamente uno stretto rapporto. Alcune questioni , pur generandosi nella scienza non si esauriscono in essa e richiedono necessariamente una riflessione FILOSOFICA.
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Etimologia La parola scienza deriva dal latino “scientia", che significa conoscenza. Fin dall’illuminismo questa parola (e la sua origine latina) aveva il significato di qualsiasi sistematica o esatta registrazione della conoscenza. Di conseguenza la scienza, a quel tempo, aveva lo stesso tipo di significato dato alla filosofia, nel senso più ampio del termine. Per esempio si distingueva tra scienze naturali e scienze morali; in queste ultime si comprendeva anche la filosofia, e questo si rifletteva nella distinzione tra filosofia naturale e filosofia morale. Dal positivisvo, scienza, nel senso stretto del termine, indica tutte quelle discipline che chiamiamo scienze naturali e che portano in definitiva ad acquisizioni concettuali che risultano essere sia ben determinabili sia direttamente verificabili o falsificabili per mezzo di appositi esperimenti empirici, ma questo non toglie che anche discipline di diversa specie, le cosiddette umane piuttosto che sociali, possano pacificamente essere considerate parimenti delle scienze, avendo elaborato propri metodi da applicare anche in questo caso alla realtà empirica per poter confermare o meno determinate ipotesi sul funzionamento del mondo circostante, con lo scopo dunque di portare ad un accrescimento oggettivo dello scibile umano.
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Gruppo di matematici e astronomi nella Scuola di Atene di Raffaello
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ARISTOTELE affermò che la scienza è conoscenza dimostrativa , si conosce la causa di un oggetto per la quale l’oggetto non può essere diverso da come è.
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AFFERMANO CHE LA SCIENZA E’ COMPRENSIONE SICURA , CERTA, IMMUTABILE
GLI STOICI AFFERMANO CHE LA SCIENZA E’ COMPRENSIONE SICURA , CERTA, IMMUTABILE E SI FONDA SULLA RAGIONE
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CAUSA - EFFETTO Il concetto di causa, correlativo a quello di effetto, è uno dei più dibattuti nell’ambito della storia della filosofia. Aristotele distingue quattro specie di causa : - Materiale , materia di cui è fatta la cosa ; - Formale , forma o essenza o modello ; - Efficiente , chi ha prodotto la cosa ; - Finale , il fine o lo scopo . Cartesio è un’idea innata , a priori con significato prevalentemente logico inteso come Ragione di un certo effetto
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nasce per associazione dall’esperienza
HUME non è un’ idea innata nasce per associazione dall’esperienza Dunque è un’idea a posteriori
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KANT il principio di causa è posto dal pensiero stesso nella sua attività organizzatrice del mondo fenomenico Pertanto il suo uso è legittimo se applicato ai dati sensibili intuiti nello spazio e nel tempo MA non è valido per dimostrare l’esistenza di realtà trascendenti l’esperienza.
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La rivoluzione scientifica spostò l’attenzione sulla nozione di causa materiale e di causa efficiente
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La causa efficiente assume il significato di
LEGGE e il rapporto causa-effetto è rappresentato da grandezze misurabili matematicamente.
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Keplero, Galilei e Cartesio esclusero dal loro pensiero filosofico la causa formale nel significato di essenza o qualità perché priva di significato per lo studio della natura . Ciò determina la nascita della Fisica Classica che da Isaac Newton a Pierre Simon Laplace assume il determinismo e il meccanicismo come unico approccio alla trattazione dei fenomeni naturali.
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MECCANICISMO CONCEZIONE FILOSOFICA DEL MONDO CHE EVIDENZIA LA NATURA ESCLUSIVAMENTE CORPOREA E , DUNQUE , MECCANICA DI TUTTI GLI ENTI
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DETERMINISMO Concezione filosofica per la quale in natura nulla avviene per caso ma secondo ragione e necessità. Tutti i fenomeni hanno una spiegazione fisica che si fonda su relazioni di causa ed effetto. Date delle condizioni iniziali quello che accadrà in futuro è determinato da leggi fisiche dell’universo.
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LA CRISI DEL MECCANICISMO E’ DETERMINATA DA :
- teoria del campo elettromagnetico - relatività di Einstein - teoria dei quanti - principio di indeterminazione
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L’UNIVERSO COME MACCHINA
Il modello teorico della scienza dominante nell’età moderna fu il meccanicismo. Esso descrive l’universo come un’immensa macchina, costituita da corpi in movimento, che interagiscono fra loro in base ad una legge di causalità necessaria, ad una rigida concatenazione di cause e di effetti, rigorosamente determinabili sul piano matematico. In questa visione del mondo la scienza meccanica ( la statica di Archimede e la dinamica da Galileo e Newton) , e con essa la matematica e la geometria, emerge tra le altre scienze. I concetti portanti sono inerzia, massa, forza.
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IL MATEMATICO E FISICO LAPLACE
è convinto assertore di un determinismo assoluto. Sua è la tesi dell’universo come una immensa macchina cosmica in cui ogni stato è “l’effetto del suo stato anteriore e la causa del suo stato futuro”. Afferma che “
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EPISTEMOLOGIA Fino all'avvento della rivoluzione scientifica (XVII secolo) la scienza non era nettamente distinta dalla filosofia e , allo stesso modo , fino al Novecento non vi era netta distinzione tra filosofia della conoscenza, la gnoseologia, e filosofia della scienza. Verso fine Ottocento e inizio Novecento, si ebbe uno sviluppo notevolissimo della scienza e ,in particolare , le sue specializzazioni scientifiche. La filosofia della scienza si rende progressivamente autonoma e si separa dalla gnoseologia, assumendo la denominazione di "epistemologia" (dal greco epistéme= scienza e logos= discorso, studio). Oggetto dell'epistemologia, o filosofia della scienza, non è più lo studio delle condizioni ,dei modi e dei metodi che possono garantire validità alla conoscenza in generale, bensì è lo studio delle condizioni e dei metodi che possono garantire validità alla scienza in particolare e alle diverse discipline scientifiche.
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Gli indirizzi che si sono sviluppati in ambito epistemologico sono :
- Empiriocriticismo che antepone alla sperimentazione scientifica il primato dell'esperienza sensibile, naturale, posta alla base del sapere scientifico medesimo; - Convenzionalismo, secondo cui le leggi e teorie scientifiche hanno carattere convenzionale; - Neopositivismo del "Circolo di Vienna"che indaga sugli aspetti logici del procedimento scientifico; - Operazionismo che indaga sugli aspetti operativi del procedimento scientifico; - Epistemologia di Bachelard che analizza la dimensione storico- sociale della scienza; - Razionalismo critico di Popper; - Epistemologia post-popperiana o post-positivistica.
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EMPIRIOCRITICISMO L’ empiriocriticismo propone il ritorno all'esperienza sensibile, naturale, "esperienza pura", perché è l'unica davvero reale. La sperimentazione scientifica ha un valore soggettivo perché legata agli strumenti di ricerca e al punto di vista dello scienziato. L’"esperienza pura” è la facoltà di fare esperienze, precede la distinzione tra il fisico e lo psichico. L’ empiriocriticismo critica il primato metodologico attribuito alla fisica su tutto il sapere e le pretese del positivismo secondo cui la scienza è in grado di scoprire le strutture definitive della realtà. Queste pretese portano la scienza ad una contrapposizione dualistica tra materialismo e spiritualismo invece l’"esperienza pura” è indifferenza di materialismo e spiritualismo.
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MACH, SULL’ASPETTO ECONOMICO DELLA CONOSCENZA SCIENTIFICA
Le nostre riproduzioni del reale sono sempre astrazioni ed hanno un significato prima di tutto economico. Non fa eccezione neppure il concetto di causa, che secondo Mach sarebbe un prodotto dell’evoluzione. E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt, Brockhaus, Leipzig, 1883; trad. it. di A. D’Elia, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico Boringhieri, Torino, 1977, pagg Non riproduciamo mai i fatti nella loro completezza, ma solo in quei loro aspetti che sono importanti per noi, in vista di uno scopo nato direttamente o indirettamente da un interesse pratico. Le nostre riproduzioni sono perciò sempre delle astrazioni. Anche qui è manifesta la tendenza all’economia. [...] Tutto il processo della conoscenza scientifica ha un significato economico. Noi cominciamo a riprodurre nella mente i complessi piú stabili, abituali e familiari dei fatti, e poi aggiungiamo, compiendo man mano delle correzioni, ciò che per noi è nuovo. Quando parliamo, per esempio, di un cilindro forato da parte a parte o di un cubo con angoli smussati queste espressioni, prese alla lettera, costituiscono contraddizioni in termini, amenoché non accettiamo il modo di vedere qui esposto. I giudizi sono completamento e correzione di rappresentazioni già possedute. Quando parliamo di causa e di effetto, noi mettiamo arbitrariamente in evidenza quegli aspetti sul cui rapporto poniamo attenzione in vista di un risultato per noi importante. Ma nella natura non vi è né causa né effetto. La natura è qui e ora. La ripetizione di casi uguali in cui A è sempre legato a B, cioè il ripresentarsi di effetti identici sotto identiche circostanze, che è il carattere essenziale della connessione causa-effetto, esiste solo nell'astrazione che compiamo allo scopo di riprodurre i fatti. Tanto è vero che appena una cosa ci è divenuta familiare, non proviamo piú il bisogno di mettere in evidenza questo nesso delle proprietà, non dirigiamo piú l'attenzione su ciò che ci appariva nuovo e sorprendente, non parliamo piú di causa ed effetto. In un primo momento diciamo che il calore causa la forza di tensione del vapore; ma quando questa relazione ci è divenuta abituale, pensiamo subito il vapore insieme con la forza di tensione corrispondente alla sua temperatura. L'acido è la causa che fa diventare rossa la tintura di tornasole, poi questo cambiamento di colore è elencato tra le proprietà dell’acido. L’idea della necessità del rapporto causa-effetto ha probabilmente la sua prima origine – come Hume ha supposto, ma non provato – dall'osservazione dei nostri movimenti volontari e dei mutamenti che provochiamo con essi nell’ambiente circostante. L’autorità dei concetti di causa ed effetto è molto rafforzata dal fatto che essi si sono formati istintivamente e inconsapevolmente. Ognuno di noi ha l’impressione di non aver per nulla contribuito alla loro formazione. E con ragione, dato che la tendenza a ragionare per causalità non è acquisita dal singolo individuo, ma si è sviluppata nel corso dell'evoluzione della specie umana. Causa ed effetto sono enti mentali aventi una funzione economica. Alla domanda perché essi esistano è impossibile rispondere, per il fatto che proprio astraendo da ciò che è uniforme, abbiamo imparato a chiedere “perché”. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg
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MACH, SULLA SCIENZA Secondo Mach la scienza si basa sulla scoperta di elementi costanti e il suo scopo è quello di risparmiare esperienze, risparmiare del lavoro. E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt, [La meccanica nel suo sviluppo storico-critico] Nella varietà dei fenomeni naturali alcuni ci appaiono abituali, altri straordinari, sorprendenti, sconcertanti, e perfino in contraddizione con i primi. Fino a quando siamo in questa situazione, non possiamo raggiungere una compiuta e unitaria concezione della natura. Si presenta allora il compito di ricercare gli elementi della stessa specie, sempre presenti pur nella varietà dei fatti. Solo in questo modo diventa possibile una descrizione e comunicazione sintetica ed economica di questi fatti. La scoperta di elementi costanti nei fenomeni piú diversi precede dunque la compressione unitaria, sinottica, piana e coerente dei fenomeni stessi. I pochi elementi semplici, sempre gli stessi, che si uniscono fra loro in modo abituale, si presentano come qualcosa di ben noto che non ci sorprende piú; nei fenomeni non v'è piú niente di estraneo, di nuovo, ci sentiamo a nostro agio; essi non hanno per noi piú nulla di oscuro, sono ormai spiegati. Questo di cui parliamo è un processo di adattamento del pensiero ai fatti. L’economia dell’esposizione e della comunicazione è carattere essenziale della scienza; nell'economia sta il momento rassicurante, chiarificatore ed estetico della scienza; l’economia infine spiega l'origine storica della scienza. Al suo primo apparire l’economia è indirizzata solo alla soddisfazione immediata di bisogni materiali. Piú tardi, per l'artigiano e ancor piú per lo scienziato, diviene uno scopo economico anche il conseguire con il minor sforzo intellettuale la piú semplice e concisa conoscenza di un determinato dominio di fatti. Anche se all'inizio la conoscenza era soltanto un mezzo, successivamente, una volta che si siano sviluppate le esigenze spirituali connesse al nuovo scopo e si sia raggiunta la soddisfazione di esse, al bisogno materiale non si pensa piú. Compito della scienza è ricercare ciò che è costante nei fenomeni naturali, gli elementi di questi, il modo del loro rapporto e la loro reciproca dipendenza. Mediante la descrizione chiara e completa la scienza cerca di rendere inutile il ricorso a nuove esperienze, di risparmiare esperienze. Una volta che si conosca la dipendenza reciproca di due fenomeni, l’osservazione di uno rende superflua quella dell’altro che è condeterminato dal primo. Anche nella descrizione può essere risparmiato del lavoro, usando metodi che permettano di descrivere in una sola volta e nel modo piú breve il maggior numero di fatti. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pag. 29
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CONVENZIONALISMO Per convenzionalismo della scienza si intende quella concezione secondo cui le spiegazioni scientifiche dei fenomeni non corrispondono con sicura certezza alla effettiva realtà e ai modi in cui i fenomeni stessi accadono, ma sono semplici convenzioni adottate dalla comunità scientifica, vale a dire ipotesi e schemi orientativi aventi validità pratica più che teorica e mantenuti fintanto che appaiono utili.
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Eduard Le Roy ( ) asserisce che leggi e teorie scientifiche hanno carattere essenzialmente convenzionale per cui è vana ogni loro verifica o controllo per accertarne una presunta oggettività. La rappresentazione di qualsiasi fatto scientifico è filtrata dagli schemi metodologici utilizzati dallo scienziato ed è perciò di natura più soggettiva che oggettiva. Poincaré (matematico francese) pur riconoscendo l'aspetto convenzionale della scienza , difende il carattere oggettivo e conoscitivo delle teorie scientifiche. Le scienze sperimentali sono solo parzialmente convenzionali: la parte non convenzionale è costituita dai fatti bruti che cogliamo attraverso i sensi; la parte convenzionale è invece costituita dalle teorie e dalle formule attraverso cui si mira ad esprimere una serie di fenomeni tramite una legge generale. L'intento delle scienze sperimentali è di fornire un'interpretazione dei fenomeni la più economica possibile, tendendo ad inquadrare i fatti bruti nel minor numero possibile di leggi.
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Ne è un esempio la teoria copernicana rispetto a quella tolemaica
Ne è un esempio la teoria copernicana rispetto a quella tolemaica. Anche quest'ultima era in grado di spiegare i fenomeni celesti, però ricorrendo ad un enorme armamentario di leggi, sottoleggi ed eccezioni alle leggi. La teoria copernicana-newtoniana invece funziona altrettanto bene servendosi di due sole leggi: la gravitazione universale e il principio di inerzia. Più che vere o false le leggi scientifiche sono comode o scomode. Poincaré è convenzionalista nei confronti della matematica e dei suoi assiomi e postulati. dopo la scoperta delle geometrie non euclidee si poneva il problema della natura dello spazio fisico, se cioè esso abbia una struttura euclidea o non euclidea. Poincaré risponde che gli assiomi geometrici non sono né giudizi sintetici a priori né fatti sperimentali, ma sono convenzioni. Pertanto non ha senso interrogarsi se la geometria euclidea è più vera o meno di quella non euclidea: la geometria e la matematica possono essere solamente più o meno comode. L'epistemologia contemporanea, inaugurata dall'empiriocriticismo, segna la fine dello scientismo (scienza intesa come verità indiscutibile, dogmatica) positivista e di una presunta verità assoluta delle scienze fisico-matematiche.
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POINCARÉ, OSSERVAZIONI DI EPISTEMOLOGIA
Sottolineando l’ineliminabile componente soggetiva, Poincaré svolge una critica puntuale alla teoria dell’induzione e alla pretesa essenzialista dell’epistemologia ottocentesca. H. Poincaré, La scienza e l’ipotesi, ad. it. di F. Albergamo, La Nuova Italia, Firenze, 1949, pagg Che cosa è dunque una buona esperienza? È quella che ci fa conoscere qualcosa piú di un fatto isolato: è quella che ci permette di prevedere, cioè di generalizzare. E invero, senza generalizzazione la previsione è impossibile. Le circostanze in cui si opera non si riprodurranno mai tutte insieme. Il fatto osservato non ritornerà quindi giammai; la sola cosa che si possa affermare è che in circostanze analoghe si produrrà un fatto analogo. Per prevedere bisogna dunque almeno invocare l'analogia, cioè bisogna generalizzare. Per cauti che si sia, è necessario interpolare; l'esperienza non ci dà che un certo numero di punti isolati; bisogna riunirli con un tratto continuo: e ciò costituisce una vera generalizzazione. Ma si fa di piú: la curva da tracciare passerà tra i punti osservati e vicino a essi, non per i punti stessi. Cosí non ci si limita a generalizzare l'esperienza, la si corregge; e il fisico che volesse astenersi da queste correzioni e contentarsi veramente dell'esperienza pura e semplice, sarebbe costretto a enunciare delle leggi ben straordinarie. I fatti bruti non ci possono dunque bastare; ecco perché ci occorre la scienza ordinata e generalizzata. Si dice spesso che bisogna sperimentare senza idee preconcette. Questo non è possibile; non solamente ciò equivale a rendere sterile ogni esperienza, ma, anche se lo si volesse, non si potrebbe. Ciascuno porta in sé la concezione del mondo, da cui non ci si può disfare tanto facilmente. Bisogna bene, per esempio, che noi ci serviamo del linguaggio, e il nostro linguaggio è impastato di idee preconcette: non può esserlo d'altro. Solo che esse sono idee preconcette incoscienti, mille volte piú pericolose delle altre. Diremo che facendone intervenire altre, di cui avremo piena coscienza, aggraveremo il male? Io non lo credo: credo piuttosto che esse si faranno reciprocamente contrappeso, e vorrei quasi dire serviranno di antidoto; generalmente, si accorderanno male tra di loro; entreranno in conflitto le une con le altre, e perciò ci costringeranno a esaminare le cose da diversi aspetti. È abbastanza per liberarcene: non si è piú schiavi quando si può scegliere il padrone. Cosí, in virtú della generalizzazione, ciascun fatto osservato ce ne fa prevedere un gran numero; solo che noi non dobbiamo dimenticare che il primo solo è certo e che tutti gli altri sono soltanto probabili. Per quanto saldamente stabilita ci possa sembrare una previsione, non siamo mai assolutamente sicuri che l'esperienza non la smentirà, se cercheremo di verificarla. Ma la probabilità è spesso assai grande, per potercene accontentare. Val meglio prevedere senza certezza che non prevedere affatto. Non si deve dunque mai disdegnare di fare una verifica, quando se ne presenti l'occasione. Ma ogni esperienza è lunga e difficile, i lavoratori sono poco numerosi; e il numero dei fatti che ci occorre prevedere immenso; di fronte a questa massa, il numero delle verificazioni dirette che potremo fare sarà sempre una quantità trascurabile. Da questo poco che possiamo direttamente raggiungere bisogna trarre il miglior partito; fa d'uopo che ciascuna esperienza ci permetta il maggior numero possibile di previsioni e col piú alto grado di probabilità possibile. Il problema è di aumentare, per dir cosí, il rendimento della macchina scientifica. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg
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POINCARÉ, SULLA NATURA DELLA GEOMETRIA
Le geometrie non euclidee hanno messo in discussione la natura degli assiomi geometrici. La conclusione di Poincaré è che gli assiomi della geometria non sono “giudizi sintetici a priori” (Kant), né fatti sperimentali, ma solo convenzioni. Inoltre una geometria non può essere piú vera di un’altra, ma solo piú comoda. H. Poincaré, La scienza e l’ipotesi, trad. it. di F. Albergamo, La Nuova Italia, Firenze, 1949, pagg La maggior parte dei matematici non considera la geometria di Lobacevskij se non come una semplice curiosità logica; alcuni di essi sono andati tuttavia piú lontano. Poiché parecchie geometrie sono possibili, è proprio certo che la nostra è la vera? L'esperienza c'insegna, senza dubbio, che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due retti; ma perché noi non operiamo che su triangoli troppo piccoli; la differenza, secondo Lobacevskij, è proporzionale alla superficie del triangolo; non potrebbe diventar sensibile se operassimo su triangoli piú grandi, o se le nostre misure divenissero piú precise? La geometria euclidea sarebbe in tal caso non altro che una geometria provvisoria. Per discutere questa opinione dobbiamo prima domandarci qual sia la natura degli assiomi geometrici. Sono giudizi sintetici a priori, come diceva Kant? Ci si imporrebbero allora con tal forza, che non potremmo concepire la proposizione contraria, né costruire su di questa un edificio teorico. La geometria non euclidea non sarebbe possibile. Per convincersene, si prenda un vero giudizio sintetico a priori, per esempio questo...: se un teorema è vero per il numero 1, e se si dimostra che esso è vero per n + 1, purché lo sia anche per n, sarà vero per tutti i numeri interi positivi. Si provi poi di farne a meno, e di fondare, negando questa proposizione, una falsa aritmetica, analoga alla geometria non euclidea, – non vi si potrà riuscire; si è anzi tentati, a prima vista, di considerare questi giudizi come analitici. [...] Dobbiamo dunque concludere che gli assiomi della geometria sono verità sperimentali? Ma non si esperimenta su rette o su circonferenze ideali; non si può farlo che su oggetti materiali. A che porterebbero dunque le esperienze fatte al fine di fondare la geometria? È facile la risposta. Abbiamo visto... che si ragiona costantemente come se le figure geometriche si comportassero alla maniera dei corpi solidi. Ciò che la geometria prende prestito dall'esperienza, sono dunque le proprietà di questi corpi. Le proprietà della luce e la sua propagazione rettilinea hanno dato cosí l'occasione, da cui sono sorte alcune proposizioni della geometria, e in particolare quelle della geometria proiettiva; da questo punto di vista, quindi, si sarebbe tentati di dire che la geometria metrica è lo studio dei solidi e che la geometria proiettiva è quello della luce. Ma una difficoltà sussiste, ed è insormontabile. Se la geometria fosse una scienza sperimentale, non sarebbe una scienza esatta, e andrebbe soggetta a una continua revisione. Che dico? Essa sarebbe fin d'ora riconosciuta erronea, poiché sappiamo che non esiste solido rigorosamente invariabile. Gli assiomi non sono dunque né giudizi sintetici a priori né fatti sperimentali: sono convenzioni. La nostra scelta fra tutte le convenzioni possibili è guidata da fatti sperimentali; ma essa resta libera ed è limitata solo dalla necessità di evitare ogni contraddizione. In tal modo i postulati possono rimanere rigorosamente veri, anche quando le leggi sperimentali, che ne hanno suggerita l'adozione, sono approssimative. In altri termini, gli assiomi della geometria (non parlo qui di quelli dell'aritmetica) sono semplici definizioni mascherate. Che si deve quindi pensare della questione circa la verità della geometria? Essa non ha alcun senso. Sarebbe come domandare se il sistema metrico sia vero e false le antiche misure; se siano vere le coordinate cartesiane e false quelle polari. Una geometria non può essere piú vera di un'altra; essa può essere soltanto piú comoda. Ora la geometria euclidea è e resterà la piú comoda: 1° Perché è la piú semplice; e lo è, non solo in rapporto alle nostre abitudini intellettuali, o per non so quale intuizione diretta che noi avremmo dello spazio euclideo; ma anche essa è la piú semplice in sé, come un polinomio di primo grado è piú semplice di un polinomio di secondo grado, e come le formule della trigonometria sferica sono piú complicate di quelle della geometria rettilinea, e tali ancora sembrerebbero a un analista che ne ignorasse il significato geometrico. 2° Perché la geometria si accorda assai bene con le proprietà dei solidi naturali di questi corpi che noi tocchiamo e vediamo, e coi quali facciamo i nostri strumenti di misura. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg
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IL NEOPOSITIVISMO E IL CIRCOLO DI VIENNA.
Il neopositivismo, o empirismo logico o positivismo logico, è un indirizzo epistemologico secondo cui la conoscenza si fonda essenzialmente sulla scienza. Ha teorizzato l'unità metodologica del sapere, basata su principi e procedure derivanti dalla matematica, dalla logica e dalla fisica. Sorge a Vienna negli anni venti del Novecento.ù Principali esponenti sono Schlick, Neurath e Carnap. A Berlino nel 1928 sorge il circolo "Società per la filosofia empirica” fondato da Reichenbach e come esponenti lo psicologo Kurt Lewin, il matematico ed epistemologo von Mises e il filosofo Gustav Hempel.
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Scopo è l'unificazione delle varie scienze attraverso la creazione di un linguaggio comune e di un unico complessivo metodo scientifico.
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Tesi principale del neopositivismo è che, dato un qualunque problema, una rigorosa analisi logica del linguaggio usato per esporlo, previa trasformazione delle proposizioni del linguaggio ordinario in enunciati logici (enunciato= proposizione con cui si afferma o si nega qualcosa), permette di distinguere un enunciato scientificamente significativo da uno privo di senso, individuando chiaramente sia i riferimenti diretti all'esperienza sia la coerenza delle connessioni (collegamenti) logiche nelle proposizioni e tra di esse.
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Il principio di verificazione
Un enunciato è significativo (ha valore scientifico) solo se è possibile verificarlo, ossia se sono conosciute o rese note quali osservazioni possono condurre, sotto certe condizioni empiriche e logiche, ad accettare la proposizione enunciata come vera o a rifiutarla come falsa. Si parla di significato e non di verità di un enunciato perché esso non è un fatto ma è una proposizione linguistica.
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La filosofia ha un ruolo di analisi del linguaggio
non produce conoscenza (solo la scienza consente di conoscere) è uno strumento per separare le proposizioni scientificamente sensate da quelle che non lo sono. La realtà non ha nulla di profondo e misterioso, non ci sono essenze e sostanze. Il mondo reale può essere integralmente conosciuto se concepito come insieme di fatti che siano direttamente osservabili in modo empirico e verificabili secondo determinate procedure logiche, oppure riconducibili a tali fatti attraverso rigorose connessioni logiche anch'esse controllabili (concezione logico-fisica del mondo).
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SCHLICK, IL CRITERIO METODOLOGICO DI VERIFICAZIONE
Il senso di una proposizione coincide con il metodo della sua verifica. [...] Vi è solo un modo di dar significato a un enunciato, di renderlo una. proposizione: dobbiamo indicare le regole per il suo uso, in altre parole: dobbiamo descrivere i fatti che renderanno “vera” la proposizione, ed essere in grado di distinguerli dai fatti che la renderanno “falsa”. In parole ancora diverse: Il Significato di una Proposizione è il Metodo della sua Verificazione. La domanda: “Che significa questo enunciato?” è identica alla domanda (e comporta la medesima risposta): “Come è verificata questa proposizione?”. E’ uno dei più seri errori filosofici quello di pensare che una proposizione possieda un significato indipendentemente dai possibili modi della sua verificazione. Si è caduti in una confusione senza speranza perché si e creduto di conoscere il significato di una frase e tuttavia ci si è dichiarati incapaci, in linea di principio, di definire le circostanze nelle quali essa sarebbe stata vera. Finché mi è logicamente impossibile indicare un metodo per accertare la verità o la falsità di una proposizione, debbo confessare di non conoscere effettivamente che cosa asserisca la proposizione. […] Stabilendo l'identità tra significato e modo di verificazione non scopriamo proprio niente di straordinario, ma rileviamo un mero truismo. Stiamo semplicemente sostenendo che una proposizione, per noi, ha un significato solo se per noi fa qualche differenza che essa sia vera o falsa, e che il suo significato sta tutto in questa differenza. Nessuno ha mai spiegato il significato di un enunciato in altro modo se non spiegando che cosa sarebbe differente, nel mondo, se la proposizione fosse falsa anziché vera (o viceversa). Sono certo che ciò non può essere negato. Ma la grande obiezione sollevata di solito contro il punto di vista da me difeso consiste nel sostenere che la "differenza nel mondo" espressa dalla proposizione può non essere osservabile né scopribile in alcun modo. In altre parole: perché un enunciato abbia per noi un significato dobbiamo conoscere, ovviamente, quale fatto esso esprime, ma può essere per noi del tutto impossibile scoprire se il fatto sussiste realmente. In questo caso la proposizione non potrebbe essere mai verificata, ma non sarebbe priva di significato. Di conseguenza, concludono i nostri avversari, il significato è distinto dalla verificabilità, e non è da essa dipendente. Si tratta di un'argomentazione difettosa per un'ambiguità presente nella parola “ verificabilità”. In primo luogo, uno potrebbe chiamare verificabile una proposizione se i fatti reali sono tali da permetterci di scoprirne la verità o la falsità ogniqualvolta siamo disposti a farlo. In questo senso, mi sarebbe impossibile verificare l'asserzione: “Sotto terra, a trecento metri di profondità sotto la mia casa deve esserci dell’oro”, perché esistono varie circostanze empiriche che assolutamente mi impediscono di scoprirne la verità; e tuttavia l’asserto non era certamente insensato. Oppure prendete l'asserzione: “Sull'altra faccia della Luna esistono montagne alte tremila metri”. E’ probabile che nessun essere umano sarà mai in grado di verificarla o di falsificarla, ma quale filosofo avrebbe tanta audacia da dichiararla priva di significato? Credo che debba essere chiaro che non abbiamo niente a che fare con un simile uso del termine “verificabilità”, e che dovevamo avere qualcos’altro in mente quando abbiamo detto che il Significato di una Proposizione è il suo Metodo di Verificazione. Di fatto, noi diciamo verificabile una proposizione quando siamo in grado di descrivere un modo di verificarla, indipendentemente dal fatto che la verificazione possa essere effettivamente eseguita o no. E’ sufficiente essere in grado di dire che cosa si deve fare, anche se nessuno mai si troverà nella condizione di farlo. [Moritz Schlick, Forma e contenuto: una introduzione al pensare filosofico]
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SCHLICK, SULL’ANALISI DELLE PROPOSIZIONI
Schlick si rifà alla distinzione kantiana fra giudizi analitici e sintetici e la considera fondamentale per la comprensione della proposizione stessa. Un caso a parte è costituito dalla comprensione delle parole “qui, ora, cosí e cosí”, le quali sono delle “constatazioni”, che prevedono un giudizio di verità. M. Schlick, Sul fondamento della conoscenza, in Tra realismo e neopositivismo; trad. it. di E. Picardi, Il Mulino, Bologna, 1974, pagg pag. 321) Ora, qualche studioso di filosofia si è chiesto: come posso sapere, per ogni singolo caso, se una proposizione si trova realmente in accordo con le definizioni pertinenti e, dunque, se sia realmente analitica, e perciò indubitabile? Non debbo, forse, avere in mente le definizioni che sono state stabilite e il significato dei termini usati, quando formulo o ascolto una proposizione analitica? Ma posso essere certo che le mie facoltà psichiche e fisiche sono adeguate allo scopo? Non è, per esempio, possibile che, arrivato alla fine della proposizione (anche ponendo che la sua durata sia di un minuto secondo), io abbia dimenticato l'inizio o non abbia un ricordo esatto? Non debbo, quindi, riconoscere che per ragioni di carattere psicologico anche a proposito di un giudizio analitico non sono mai al sicuro del suo valore? A ciò si deve rispondere che, naturalmente, non si può non riconoscere la possibilità che in ogni momento si verifichi un deterioramento del meccanismo psichico; ma si deve anche rilevare che le conseguenze che in tal caso deriverebbero non sono correttamente esposte nelle domande e nei dubbi sopra menzionati. Può succedere che, per una debolezza della memoria o per una ragione qualsiasi non comprendiamo o comprendiamo male una proposizione, attribuendole un senso diverso da quello che ha. Ma che cosa significa questo? Fintanto che non ho compreso una proposizione, questa per me non è affatto un asserto, ma una mera successione di parole, di suoni o di segni scritti. In tal caso, però, non sussiste alcun problema, perché solo di una proposizione, e non di una successione di parole, di cui non si sia compreso il significato, si può chiedere se è analitica o sintetica. Nel caso, invece, che io abbia inteso in modo sbagliato una sequenza di parole, ma sempre considerandola una proposizione, allora so per certo se questa è analitica, e quindi valida a priori oppure no. Non si deve, cioè, credere che io possa aver compreso una proposizione come tale, e poi essere in dubbio sulla sua natura analitica. Infatti, se è analitica, posso dire di averla compresa solo quando abbia compreso che è analitica. Non per nulla, comprendere significa rendersi conto delle regole d'uso dei termini; ma sono proprio queste regole d'uso che rendono la proposizione data analitica. Quando io non so se un complesso di parole formi o no una proposizione analitica, ciò vuol dire che, per il momento, non conosco le regole d'uso delle parole che figurano in tale complesso, e, quindi, che non ho capito la proposizione; le cose, dunque, stanno in questo modo: o non ho capito nulla, e allora non posso neppure dir nulla; oppure so se la proposizione che ho compreso è analitica o sintetica (ciò che, naturalmente, non presuppone che questi termini mi siano chiari o familiari). Nel caso della proposizione analitica, so anche che è valida, cioè che gode di una verità formale. I dubbi formulati sopra sulla validità delle proposizioni analitiche erano perciò infondati. Certo, posso dubitare di aver afferrato correttamente il senso di un dato complesso di segni anzi in generale, di riuscire a comprendere mai il senso di una qualche sequenza di segni; ma non posso chiedermi se sono davvero capace di riconoscere la validità formale di una proposizione analitica. Infatti, comprendere il senso e riconoscere la validità a priori sono, nel caso di una proposizione analitica, un unico e identico processo. Al contrario, una proposizione sintetica è caratterizzata dal fatto che non posso assolutamente sapere se è vera o falsa solo mediante la comprensione del suo significato; la sua verità può venire accertata unicamente mediante controllo empirico. Il processo, con cui se ne coglie il senso, non s’identifica con quello della verificazione. C’è solo un'eccezione in proposito, la quale ci riporta alle nostre “constatazioni”. Queste sono sempre della forma: “qui ora, cosí e cosí”. Per esempio: “qui, ora, due punti neri coincidono”, oppure “qui, ora, dolore”, e cosí via. Ciò che accomuna tutti questi asserti è che in essi compaiono delle parole indicative, le quali hanno un senso coincidente con quello di qualche gesto ostensivo compiuto simultaneamente; le regole del loro uso prevedono che, nella costruzione della proposizione in cui esse compaiono, venga effettuata un'esperienza, che l’attenzione venga diretta su qualcosa di osservato. I1 significato delle parole “qui”, “ora”, “questo” ecc. non può esser reso mediante definizioni generali costituite da parole, bensí solo mediante quella specie di definizione che avviene con l’aiuto d’indicazioni e di ostensioni gestuali “Questo” ha senso solo se è accompagnato da un gesto. Per comprendere il senso delle proposizioni osservative si debbono contemporaneamente eseguire dei gesti, si deve in qualche modo, indicare la realtà. In altre parole: posso comprendere il senso di una “constatazione” solo confrontandola con i fatti, cioè eseguendo quella procedura che è richiesta per la verificazione di tutte le proposizioni sintetiche. Ma, mentre per tutti gli altri asserti sintetici la comprensione del senso e l'accertamento della verità sono processi separati e pienamente distinguibili, nelle proposizioni osservative, come in quelle analitiche, essi vengono a coincidere. Le “constatazioni” e le proposizioni analitiche sono cose ben diverse, ma hanno ciò in comune, che in entrambi i casi i processi della comprensione e della verificazione sono contemporanei: con uno stesso atto, se ne stabilisce il senso e la verità. Domandare, a proposito di una constatazione, se non ci si stia sbagliando sulla sua verità, avrebbe tanto poco senso quanto se tale domanda fosse fatta a proposito di una tautologia. Entrambe hanno validità assoluta. Solo che la proposizione analitica è vuota di contenuto, mentre la proposizione osservativa ci procura la soddisfazione di una conoscenza genuina della realtà. Spero che sia risultato chiaro come tutto dipenda dal carattere d'immediatezza, che è proprio delle proposizioni osservative e a cui esse debbono il loro valore positivo e negativo, insieme: il valore positivo della validità assoluta, e quello negativo della inutilizzabilità quale fondamento duraturo. Sul misconoscimento di questo carattere si basa, in gran parte, l'infelice problematica delle proposizioni protocollari, dalla quale han preso spunto le nostre considerazioni. Constatare: “qui, ora, azzurro”, non è la stessa cosa che asserire la proposizione protocollare: “Moritz Schlick ha percepito dell'azzurro, nel tal giorno dell'aprile 1934, nell'ora tale e nel tal luogo”. Quest'ultima proposizione è un'ipotesi e, quindi risulta contraddistinta da incertezza; essa è equivalente all'asserto: “M. S. ha fatto (in tempo e luogo specificati) la constatazione: qui ora, azzurro”. Si tratta di asserto che, chiaramente, non è identico alla constatazione in esso inclusa. Nei protocolli si parla sempre di percezioni (o sono sottintese; la persona dell'osservatore che ha la percezione è importante per un protocollo scientifico), mentre nelle constatazioni non se ne parla mai. Una constatazione genuina non può essere annotata poiché, non appena prendo nota delle parole ostensive “qui”, “ora” ecc., esse perdono il loro senso. Né si possono sostituire con un'indicazione del tempo e del luogo, perché non appena si fa questo, inevitabilmente si mette al posto di una proposizione osservativa una proposizione protocollare, che, come abbiamo visto, ha natura complementare diversa. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg
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NEURATH, IL CONFRONTO TRA LE PROPOSIZIONI
Il confronto tra le proposizioni è sempre un confronto formale e logico. Non esiste la possibilità di confrontare le proposizioni con i fatti perché esse stesse già lo sono. Le proposizioni vanno confrontate con proposizioni e non con "esperienze", né con un "mondo", né con "qualcos'altro". Tutte queste duplicazioni senza senso appartengono ad una più o meno raffinata metafisica e devono perciò essere eliminate. Ogni nuova proposizione viene confrontata con la totalità delle proposizioni presenti, già accordate le une con le altre. Pertanto si dirà che una proposizione è corretta solo se può essere inserita entro tale sistema. Ciò che non può essere inserito in esso viene rifiutato come scorretto. Invece di rifiutare le nuove proposizioni, si può alterare l'intero sistema - cosa a cui ci si decide molto difficilmente - fino a che le nostre proposizioni possono venire inserite in esso [...]. La definizione di "corretto" e "non corretto" da qui, è molto lontana da quelle abituali nel Circolo di Vienna, le quali ricorrono al "significato" e alla "verificazione". Nella presente teoria noi restiamo sempre nell'ambito del pensiero parlato. [Neurath, Fisicalismo, 1931]
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CARNAP, COME SI È ARRIVATI ALLA NUOVA LOGICA
La vecchia logica aristotelica era inadeguata a rispondere alle esigenze della scienza moderna. Ma la nuova logica, nata dalla matematica, appaga le esigenze di rigore scientifico e “rimuove la vecchia filosofia dai suoi cardini”, mostrandone la totale mancanza di senso. R. Carnap, La vecchia logica e la nuova Il desiderio di sostituire la metafisica, poesia concettuale, con un metodo di filosofare strettamente scientifico, sarebbe rimasto un pio desiderio, se si avesse avuto a disposizione come strumento logico soltanto il sistema della logica tradizionale. Questa non era assolutamente in grado di soddisfare le esigenze di ricchezza di contenuto; di rigore formale e di utilità tecnica che i nuovi compiti esigevano da essa. La logica formale si basava sul sistema aristotelico-scolastico, il quale nel corso del suo ulteriore sviluppo aveva conseguito solo scarsi miglioramenti e integrazioni. Nel campo della logica applicata (metodologia) vi erano, a dire il vero, numerose ricerche individuali e alcune opere comprensive, le quali, anche dal punto di vista contenutivo, possedevano rimarchevoli riflessioni; ma riguardo alla precisione nella formazione dei concetti e alla profondità dell’analisi rimasero ad uno stadio piuttosto primitivo. Non è questo un rimprovero a tali opere (per lo meno non lo è per quelle opere che appartengono al secolo scorso); infatti lo stato della logica applicata era determinato dall’inadeguatezza della fondazione formale. La sostituzione del vecchio inutile strumento con uno nuovo ed efficiente avrebbe richiesto un tempo ben lungo. E forse c’è da dubitare se i logici si sarebbero potuti cimentare colle loro proprie forze a quest’opera. Per fortuna si è trovato un nuovo strumento, una nuova logica, che si è sviluppata negli ultimi cinquant’anni, quasi interamente per opera dei matematici. Il motivo di tale sviluppo fu dato da difficoltà incontrate all’interno della matematica; non si era pensato dapprincipio ad una generale applicazione di significato filosofico. La maggior parte dei filosofi ne hanno finora acquisito una scarsa conoscenza, e ne hanno tratto un vantaggio ancora minore per il proprio lavoro. È davvero sorprendente vedere con quale riguardo o addirittura con quale preoccupata timidezza essi si avvicinino a questa nuova logica, o, piú generalmente, le girino attorno. Certo la curiosa veste formale matematica intimidisce molti; ma in fondo si nasconde in loro un istintivo senso di opposizione. E questa volta hanno fiutato giusto: in questa nuova logica – non se ne ha ancora coscienza da molti che la coltivano – sta il punto facendo leva sul quale si potrà rimuovere la vecchia filosofia dai suoi cardini. Ogni filosofia presa nel vecchio senso, si colleghi a Platone, Tommaso, Kant, Schelling o Hegel, o costruisca una nuova “metafisica dell’essere” o una “filosofia scientifica dello spirito”, si dimostra all’inesorabile giudizio della nuova logica non soltanto materialmente falsa, ma logicamente insostenibile e quindi senza senso. R. Carnap, La filosofia della scienza, La Scuola, Brescia, 1964, pagg. 4-6
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CARNAP, IL PROCEDIMENTO DI CONFERMAZIONE O CONTROLLO
Le leggi scientifiche sono strutturalmente legate ad una componente convenzionale, dovendo procedere induttivamente. Ogni verifica sperimentale di una legge scientifica, infatti, rende più verosimile tale legge, ma mai vera. Non è mai possibile una conferma assoluta, che avverrebbe solo con la verifica di tutti i casi. Il numero di verifiche che si ritengono sufficienti alla conferma di una legge risulta un mero atto di decisione pratica. La connessione tra significato e conferma è stata talvolta formulata nei termini seguenti: un enunciato è significante se, e solo se, è verificabile; e il suo significato consiste nel suo metodo di verificazione. (...) Ma, rispetto al nostro punto di vista, questa formulazione, benché accettabile come prima approssimazione, non è del tutto esatta. Essendo troppo semplicistica, ha condotto a una restrizione eccessiva del linguaggio scientifico escludendovi non soltanto gli enunciati metafisici, ma anche certi enunciati scientifici aventi un contenuto fattuale. Il nostro compito attuale potrebbe quindi esser presentato come un tentativo di modificare il requisito di verificabilità. (...) Se per verificazione si intende una dimostrazione assoluta di verità, allora un enunciato universale, ad esempio una cosiddetta legge fisica o biologica, non potrà mai essere verificata; fatto, questo, che è stato sottolineato. Anche se si supponesse verificabile ogni singolo caso della legge, dal momento che i casi cui la legge si riferisce - ad esempio i punti dello spazio-tempo - sono infiniti, essi non potrebbero mai essere esuriti dalle nostre osservazioni, che sono sempre di numero finito. (...) Non possiamo verificare la legge, ma possiamo controllarla controllandone i singoli casi, cioè gli enunciati particolari che derivano dalla legge stessa e da altri enunciati precedentemente stabiliti. Se in una serie prolungata di tali esperimenti di controllo non si scopre alcun caso negativo, ma, anzi, il numero dei casi positivi, via via aumenta, allora anche la nostra fiducia nella legge aumenta gradualmente. Così, anziché di verificazione, qui possiamo parlare di conferma gradualmente crescente della legge. (...) Supponiamo che sia dato un determinato enunciato S, che siano state eseguite alcune osservazioni di controllo, e che S risulti da queste confermato in un certo grado. È allora una questione di decisione pratica se considerare tale grado abbastanza alto per accettare S, o abbastanza basso per rifiutare S, o tale che non possiamo né accettare né rifiutare S, fino a quando non disporremo di prove ulteriori. Quantunque la nostra decisione sia basata sulle osservazioni fatte fino al momento dato, essa non è tuttavia unicamente determinata dalle medesime. Non c’è alcuna regola generale per determinare la nostra decisione. Così l’accettazione o il rifiuto di un enunciato - sintetico - includono sempre una componente convenzionale. Ciò non significa che la decisione - o, in altre parole, il problema della verità e della verificazione - sia convenzionale. Infatti, oltre alla componente convenzionale, c’è la componente non-comvenzionale - possiamo chiamarla la componente oggettiva - che consiste nelle osservazioni compiute. E si deve certo ammettere che, nella maggior parte dei casi, questa componente oggettiva è presente in misura così schiacciante che la componente convenzionale praticamente svanisce. (...) Mi sembra che sia preferibile annunciare il principio dell’empirismo non sotto forma di un’asserzione (...) ma, piuttosto, sotto forma di una proposta o di un requisito. Come empiristi, richiediamo che il linguaggio della scienza sia ristretto in un certo modo. (...) Vi sono molte possibilità alternative nella strutturazione di un linguaggio empiristico. (...) Vi sono essenzialmente quattro differenti requisiti, ognuno dei quali può costituire la base per una possibile formulazione dell’empirismo (...) RTC. Requisito della controllabilità completa: “ogni enunciato sintetico deve essere completamente controllabile”. Cioè, dato un enunciato sintetico S, dobbiamo conoscere un metodo di controllo per ogni predicato descrittivo presente occorrente in S, in modo da essere in grado di determinare, per gli opportuni punti, e il predicato stesso può o meno venir loro attribuito (...) Questo è il più forte dei quattro requisiti. Adottandolo, ne deriva un linguaggio molecolare controllabile (...) RCC. Requisito della confermabilità completa: “ogni enunciato sintetico deve essere completamente confermabile”. (...) L’unica differenza tra RCC e RTC concerne i predicati. Da RCC sono ammessi predicati introdotti mediante enunciati di riduzione che non sono enunciati di controllo. (...) RT. Requisito della controllabilità: “ogni enunciato sintetico deve essere controllabile”. (...) RT ammette enunciati incompletamente controllabili - si tratta, soprattutto, degli enunciati universali, che vengono incompletamente confermati sulla base dei loro esempi - e in questo modo conduce a un linguaggio generalizzato controllabile. (...) RC. Requisito della confermabilità: “ogni enunciato sintetico deve essere confermabile”. Qui sono eliminate entrambe le restrizioni. Sono ammessi predicati confermabili ma non controllabili; e sono ammessi enunciati generalizzati. Questo ampliamento simultaneo in entrambe le direzioni conduce a un linguaggio generalizzato confermabile (...) RC è il più liberale dei quattro requisiti. Esso è però sufficiente per escludere tutti gli enunciati che non hanno natura empirica, ad esempio gli enunciati della metafisica speculativa in quanto non sono confermabili neppure in maniera incompleta. Mi sembra dunque che RC sia adeguato come formulazione del principio dell’empirismo. (...) D’altra parte ciò non significa che uno scienziato non sia autorizzato a scegliere un linguaggio più ristretto e a formulare uno dei requisiti più stretti, senza tuttavia volerlo imporre a tutti gli scienziati. [(R. Carnap, Controllabilità e significato, in Analiticità, significanza, induzione, Il Mulino, Bologna 1971, pp. 153, , )
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CARNAP, QUALE E' IL RUOLO DELLA FILOSOFIA?
Secondo i filosofi le questioni filosofiche riguarderebbero i medesimi oggetti investigati dalle singole scienze, per quanto da un punto di vista del tutto differente, cioè dal punto di vista puramente filosofico. In opposizione a ciò, sosteniamo che tutti questi ultimi problemi filosofici sono problemi logici. Anche le questioni oggettive fittizie sono questioni logiche inadeguatamente formulate. Il presunto punto di vista specificamente filosofico dal quale dovrebbero venire investigati gli oggetti della scienza si rivela illusorio, come, in precedenza, si era dissolta, una volta sottoposta ad analisi, la presunta sfera di oggetti specificamente filosofica propria della metafisica. Prescindendo dai problemi delle singole scienze gli unici genuini problemi scientifici sono quelli dell'analisi logica della scienza delle sue proposizioni, termini, concetti, teorie, e simili. A questo complesso di problemi daremo il nome di logica della scienza. In base a questa concezione, una volta che la filosofia è stata purificata da tutti gli elementi non scientifici, non rimane altro che la logica della scienza. Nella maggior parte delle ricerche filosofiche, però, una netta distinzione degli elementi scientifici e non scientifici è senza dubbio impossibile. Pertanto preferiamo affermare: la logica della scienza prende il posto di quell'inestricabile groviglio di problemi che è noto sotto il nome di filosofia. (R. Carnap, Sintassi logica del linguaggio)
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WITTGENSTEIN, IL MONDO E LA MISTICA
In questa lettura Wittgenstein sostiene che la scienza è inadeguata a comprendere le questioni vitali. “La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di essa”. L. Wittgenstein, Trattato logico-filosofico, trad. it. di A. G. Conte, Einaudi, Torino, 1968, pagg 44 Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è. 45 Intuire mondo sub specie aeterni è intuirlo quale tutto – limitato –. Sentire il mondo quale tutto limitato è il mistico. 5 D’una, risposta che non si può formulare non può formularsi neppure la domanda. L’enigma non v'è. Se una domanda può porsi, può pure avere risposta. 51 Lo scetticismo è non inconfutabile, ma apertamente insensato, se vuol mettere in dubbio ove non si può domandare. Ché dubbio può sussistere solo ove sussiste una domanda; domanda, solo ove sussiste una risposta; risposta, solo ove qualcosa può esser detto. 52 Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta piú domanda alcuna, e appunto questa è 1a risposta. 21 La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. (Non è forse per questo che uomini, cui il senso delle vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che consisteva questo senso?). 6.522 V’è davvero l'ineffabile. Esso mostra sé, è mistico. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg
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Hans Reichenbach ( ) Reichenbach è sostenitore di un assoluto empirismo, secondo cui l'esperienza è l'unico criterio e fondamento possibile della scientificità del linguaggio. Applica tale empirismo anzitutto alla concezione dello spazio e del tempo negando, contro Kant, che questi siano forme a priori ed affermando che essi sono piuttosto schemi descrittivi dell'esperienza concernenti successioni causali (successioni per l'appunto nello spazio e nel tempo). Applica quindi l'empirismo alla stessa legge di causalità, affermando che essa non ha nessun carattere a priori, ma si fonda solo sull'induzione empirica. Questa però, pur essendo necessaria, non è sufficiente ad assicurare la verità assoluta delle leggi causali che hanno valore solo probabile.
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REICHENBACH, SULL’INDUZIONE
Per il filosofo tedesco “l’induzione è lo strumento di un metodo scientifico che voglia scoprire qualcosa di nuovo”; esso è “lo strumento della previsione”. La logica ha il compito di giustificare la scoperta, la quale in sé esula dai suoi compiti. H. Reichenbach, The rise of scientific philosophy, trad. it. La nascita della filosofia scientifica, D. Parisi-A. Pasquinelli, Il Mulino, Bologna 1971, pagg La logica simbolica di cui si è parlato nel capitolo precedente è una logica deduttiva; essa tratta soltanto di quelle operazioni di pensiero che sono caratterizzate da necessità logica. Ma la scienza empirica, oltre a fare largo uso di operazioni deduttive, richiede anche una seconda forma di logica, che, avendo a che fare con operazioni induttive, viene detta, appunto logica induttiva. Ciò che distingue l'inferenza induttiva da quella deduttiva è il fatto che la prima non è vuota, bensí contraddistinta da conclusioni non contenute nelle premesse. La conclusione che tutti i corvi sono neri non è contenuta logicamente nella premessa che tutti i corvi osservati finora risultano essere neri; tale conclusione potrebbe essere falsa nonostante la verità della premessa. L'induzione è lo strumento di un metodo scientifico che vuole scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa di piú che la sintesi delle osservazioni già fatte; l'inferenza induttiva è lo strumento della previsione. Fu Bacone, a vedere con chiarezza l'indispensabilità delle inferenze induttive per il metodo scientifico, e il suo posto nella storia della filosofia è quello di un profeta dell'induzione [...]. Ma Bacone vide anche i limiti di questo genere d'inferenza, la sua mancanza di necessità, la possibilità insita in essa di arrivare a conclusioni false. I suoi sforzi per migliorare l'induzione non ebbero molto successo; le inferenze induttive formulate nell'ambito del metodo ipotetico-deduttivo della scienza [...] sono di gran lunga superiori alla semplice induzione baconiana. Tuttavia, neppure tale metodo è in grado di assicurare la necessità logica; le sue conclusioni possono risultare false, né la conoscenza induttiva riuscirà mai a raggiungere l'attendibilità della deduzione [...]. L'interpretazione mistica del metodo ipotetico-deduttivo come irrazionale ricerca congetturale trae origine dalla confusione fra contesto della scoperta e contesto della giustificazione. L'atto della scoperta sfugge all'analisi logica; non vi sono regole logiche in termini delle quali si possa costruire una “macchina scopritrice” che assolva la funzione creativa del genio. D'altra parte, non tocca al logico chiarire la genesi delle scoperte scientifiche; tutto quello che egli può fare è analizzare la connessione tra i dati di fatto e le teorie avanzate per spiegare i medesimi. In altre parole, la logica si occupa soltanto del contesto della giustificazione. E la giustificazione di una teoria in termini di dati di osservazione è l'oggetto della dottrina dell’induzione. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. III, pagg
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Bridgman, Percy Williams
OPERAZIONISMO Indirizzo epistemologico per il quale un concetto scientifico consiste nell'insieme di operazioni e procedure messe in atto per ricavarlo. Bridgman, Percy Williams Fisico e filosofo della scienza statunitense ( Premio Nobel (1946) per la fisica. Come filosofo della scienza fu sostenitore della teoria per cui i termini e i concetti scientifici che non sono definiti, almeno indirettamente, in termini di concrete operazioni eseguite con strumenti, non hanno alcun significato. Celebre è la sua opera The Logic of Modern Physics (1927; La logica della fisica moderna).
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La scienza è anzitutto costruzione di concetti che servono come modelli di indagine. Tali concetti- modelli per quanto riferiti a fatti reali non vi corrispondono realisticamente: essi sono, appunto, costrutti teorici che hanno valore essenzialmente euristico (di guida alla ricerca).
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GASTON BACHELARD ( ). "La scienza, dice Bachelard, non ha la filosofia che si merita", nel senso che lo sviluppo dell'epistemologia è sempre in ritardo rispetto allo sviluppo della scienza. In particolare, Bachelard critica la "filosofia dei filosofi", perché chiusa, immobile e dogmatica nell'enunciazione di principi assoluti. Vi contrappone "la filosofia prodotta dalla scienza", cioè una nuova epistemologia aperta, pluralistica, sperimentale e applicata: una filosofia non rinchiusa nella presunzione di un sapere unitario, generale e integrale, ma distribuita su saperi differenziati, "locali", dotati di logiche diverse e di una pluralità di punti di vista secondo i vari settori, pur non escludendo la ricerca di possibili integrazioni e sintesi interdisciplinari tra i diversi settori di indagine.
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KARL RAIMOND POPPER (1902-1994)
Principale esponente dell'epistemologia contemporanea Così come Kant operò nella filosofia della conoscenza (gnoseologia) una rivoluzione delle idee corrispondente alla rivoluzione copernicana in astronomia e newtoniana in fisica, allo stesso modo Popper opera nella filosofia della scienza (epistemologia) una rivoluzione dei concetti corrispondente alla rivoluzione scientifica di Einstein. Le teorie scientifiche non sono verità assolute e verificate ma sono congetture, ossia ipotesi. La scienza deve avere il coraggio di operare previsioni "rischiose", organizzandosi non in facili verifiche ma in possibili falsificazioni.
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CONTROLLABILITA’ = FALSIFICABILITA’
La conoscenza scientifica scaturisce dalla necessità di risolvere problemi attraverso nuove ipotesi ( congetture) da considerare scientifiche se suscettibili di controllo fattuale che consente la loro falsificazione quindi la confutazione CONTROLLABILITA’ = FALSIFICABILITA’
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I dati empirici possono non confermare solo falsificare le teorie scientifiche che , infatti, non sono mai verificate ma tutt’al più temporaneamente corroborate dal confronto con esperienze potenzialmente falsificanti e dunque le teorie restano sempre provvisorie, ipotetiche, congetturali.
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La conoscenza scientifica è una ricerca inesauribile che tende alla verità oggettiva intesa come idea regolativa per l’elaborazione di teorie congetturali progressivamente più verosimili sulla base di continue correzioni e integrazioni= Fallibilismo
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Il metodo induttivo ha un carattere dogmatico.
La critica al verificazionismo è collegata alla critica all’induttivismo. Il metodo induttivo ha un carattere dogmatico.
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Metodo induttivo= processo conoscitivo che dal particolare arriva al generale.
Lo scienziato induttivista parte dall’osservazione di fenomeni particolari e concreti per giungere all’enunciazioni di leggi generali ed universali in grado di spiegare anche altri fenomeni simili.
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metodo deduttivo = processo conoscitivo che procede dal generale al particolare.
Lo scienziato parte dai principi generali per arrivare all'enunciazione di leggi in grado di spiegare fenomeni particolari, è basato sul ragionamento e sulla logica.
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POPPER, L’INDUZIONE NON ESISTE
Quella di Popper è la piú dura ed efficace critica all’induzione di tutta la storia della filosofia. Di essa diamo un esempio in questa lettura. K. R. Popper, Scienza e filosofia, trad. it. di M. Trinchero, Einaudi, Torino, 1969, pagg Desidero perciò dire che io non credo che esista nulla di simile al metodo induttivo, o a un procedimento induttivo, [...]. Non faccio mai questioni di parole, e naturalmente non ho nessuna seria obiezione contro chi voglia chiamare col nome “induzione” il metodo di discussione critica. Ma in questo caso è necessario rendersi conto che si tratta di qualcosa di molto diverso da tutto ciò che in passato è stato chiamato “induzione”. Infatti, si è sempre pensato che l'induzione debba fondare una teoria, o una generalizzazione, mentre il metodo della discussione critica non fonda un bel niente. Il suo verdetto è sempre e invariabilmente “non provato”. La miglior cosa che possa fare – e raramente la fa – è quella di venir fuori con il verdetto che una certa teoria sembra la migliore disponibile, cioè la migliore che finora sia stata sottoposta alla discussione, quella che sembra risolvere una gran parte del problema che era destinata a risolvere, e che è sopravvissuta ai controlli piú severi che siamo stati finora in grado di escogitare. Ma naturalmente ciò non fonda la verità della teoria; cioè non stabilisce che la teoria corrisponde ai fatti, o è una descrizione adeguata della realtà; tuttavia possiamo dire che un verdetto positivo di questo genere equivale al dire che, alla luce della discussione critica, la teoria appare come la migliore approssimazione alla verità che si sia finora raggiunta. In realtà, l'idea di “migliore approssimazione alla verità” è, allo stesso tempo, il principale modello della nostra discussione critica e lo scopo che speriamo di raggiungere, come risultato della discussione. Tra i nostri altri modelli ci sono il potere esplicativo dl una teoria e la sua semplicità. Nel passato il termine “induzione” è stato usato soprattutto in due sensi. La prima è l'induzione ripetitiva (o induzione per enumerazione), che consiste di osservazioni spesso ripetute, osservazioni che dovrebbero fondare qualche generalizzazione della teoria. La mancanza di validità di questo genere di ragionamento è ovvia: nessun numero di osservazioni di cigni bianchi riesce a stabilire che tutti i cigni sono bianchi (o che la probabilità di trovare un cigno che non sia bianco è piccola). Allo stesso modo, per quanti spettri di atomi d'idrogeno osserviamo non potremo mai stabilire che tutti gli atomi d'idrogeno emettono spettri dello stesso genere. Tuttavia considerazioni di ordine teorico possono suggerirci quest'ultima generalizzazione, e considerazioni teoriche ulteriori possono suggerirci di modificarla introducendo spostamenti Doppler e spostamenti verso il rosso propri della gravitazione einsteiniana. Dunque l'induzione per enumerazione è fuori causa: non può fondare nulla. Il secondo senso principale in cui il termine “induzione” è stato usato in passato è l'induzione eliminatoria: l'induzione fondata sul metodo dell'eliminazione o confutazione delle teorie false. A prima vista questo tipo di induzione può sembrare molto simile al metodo della discussione critica che io sostengo, ma in realtà è molto diverso. Infatti Bacone e Mill, e gli altri diffusori di questo metodo dell'induzione per eliminazione credevano che, eliminando tutte le teorie false, si possa far valere la teoria vera. In altre parole, non si rendevano conto che il numero delle teorie rivali è sempre infinito, anche se, di regola, in ogni momento particolare possiamo prendere in considerazione soltanto un numero finito di teorie. Dico “di regola”, perché qualche volta ci troviamo di fronte a un numero infinito di tali teorie: ad esempio, qualcuno suggerí di modificare la legge newtoniana dell'attrazione secondo l'inverso dei quadrati, sostituendo al quadrato una potenza che differisca solo di poco al numero 2. Questa proposta equivale al suggerimento che si dovrebbe considerare un numero infinito di correzioni, di poco differenti tra loro, della legge di Newton. Il fatto che per ogni problema esiste sempre un'infinità di soluzioni logicamente possibili, è uno dei fatti decisivi di tutta la scienza; è una delle cose che fanno della scienza un'avventura cosí eccitante. Esso infatti rende inefficaci tutti i metodi basati sulla mera routine. Significa che, nella scienza, dobbiamo usare l'immaginazione e idee ardite, anche se l'una e le altre devono sempre essere temperate dalla critica e dai controlli piú severi. Tra l'altro, mette anche in evidenza l'errore di coloro i quali pensano che lo scopo della scienza sia, puramente e semplicemente, quello di stabilire correlazioni tra gli eventi osservati, o le osservazioni (o, peggio ancora, fra i “dati sensibili”). In scienza, tendiamo a molto di piú. Tendiamo a scoprire nuovi mondi dietro il mondo dell'esperienza ordinaria, mondi come, ad esempio, un mondo microscopico o submicroscopico; come, ad esempio, un mondo non-euclideo, un mondo popolato di forze invisibili: forze gravitazionali, chimiche, elettriche e nucleari, alcune delle quali, forse, sono riducibili ad altre, mentre altre non lo sono. Proprio la scoperta di questi nuovi mondi, di queste possibilità che nessuno si era mai sognato, accresce di tanto il potere liberatore della scienza. I coefficienti di correlazione sono interessanti, non perché mettono le nostre osservazioni in relazione fra loro ma perché, e solo quando, ci aiutano a imparare qualcosa di piú intorno a questi mondi. K. R. Popper, Logica della ricerca e società aperta, Antologia a cura di D. Antiseri, La Scuola, Brescia, 1989, pagg
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POPPER, MOZART E LA CREATIVITÀ
Secondo Popper l’esistenza di Mozart e delle sue opere è una prova sufficiente per dimostrare che nel mondo non c’è il dominio assoluto del determinismo, ma vi è spazio anche per la creatività. K. R. Popper, Società aperta, universo aperto, Borla, Roma, 1984, pagg Popper: Il mondo è creativo. E questo risulta palese dal fatto che esso ha creato un Mozart, capace ti creare le opere-di-Mozart. Fuor d’ogni dubbio, Mozart ha imparato una quantità di cose da suo padre, da Bach e dai maestri italiani. Ma sarebbe davvero ridicolo asserire che la musica di Mozart non sia nient’altro che una generalizzazione di tutto questo. È perfettamente chiaro che il fatto che egli ha ascoltato molta musica, prima ti comporre, non pone in questione il valore delle sue creazioni. Kreuzer: Questo, però, significa anche una qualche mancanza di comprensione tra Lei e i Suoi critici e forse tra Lei e il Suo pubblico. Quando il problema viene posto come un contrasto tra induttivismo e deduttivismo, manca un elemento essenziale – il “creativismo”. Popper: Sí, naturalmente. Kreuzer: Ma da dove viene il creativo? Popper: L'ho detto molto spesso. L'ho ripetuto tante volte. Il contrasto tra induttivismo e deduttivismo riguarda soltanto la logica, e non si riferisce al processo creativo. E proprio qui sta lo sbaglio dell'induttivismo. Esso vuole sostituire il processo creativo con l'induzione. L'apparente contrasto riguarda solo il fatto che io dico: oltre la deduzione, non c’è nessuna forma logica di inferenza. La cosiddetta induzione non è una tale forma di inferenza. La cosiddetta induzione non è una tale forma logica. E se si dice che essa è una forma creativa, allora replico: l'induzione, se esistesse, sarebbe una forma meccanica, non creativa, che ci si impone. In realtà, non ci si impone nulla, e noi siamo creativi, e perveniamo di continuo, ad opera di atti creativi, a nuove teorie. Di contro a ciò, l'induttivista, che in effetti è un positivista e un meccanicista e che non vuol riconoscere l’elemento creativo nell'uomo, dice: bene, queste cose ci si impongono dall'esterno. Sono le impressioni sensoriali che ci informano, o le mutazioni darwiniane o le biforcazioni di Prigogine – o comunque le si voglia chiamare. Com'è che le chiama Lorenz? Kreuzer: Folgorazioni... Popper: Ma appunto esistono questi atti creativi, e sono essi che rendono il mondo interessante. La vita, l'universo stesso, prima che vi apparisse la vita, è creativo; ma la prova di questa creatività si ha prima ad opera della vita, e 1a prova decisiva si ha attraverso Mozart. K. R. Popper, Logica della ricerca e società aperta, Antologia a cura di D. Antiseri, La Scuola, Brescia, 1989, pagg [
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La filosofia di Popper è definita "razionalismo critico": razionalismo per la fiducia nelle capacità della ragione umana; critico perché esso deve sempre essere controllato in base all'esperienza e perché, inoltre, non è possibile giustificare (spiegare) razionalmente la fiducia nella ragione, la quale rimane un atto di fede per la mancanza di un concetto filosofico univoco e generale di razionalità.
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EPISTEMOLOGIA POST-POPPERIANA
Si caratterizza per essere “antiempirista” e “antifattualista”. I "fatti" sono dati che non sussistono in sé ma solo all'interno di determinati quadri concettuali e ipotesi teoriche. Si afferma il primato della teoria e della costruzione di ipotesi scientifiche. La scienza è considerata un’ attività “impura" perché subisce Condizionamenti extra scientifici (sociali, pratici, metafisici). Concezione pluralistica e talvolta relativistica del sapere con esclusione di una base empirica neutrale in grado di fungere da criterio di verificabilità o falsificabilità delle teorie. Negazione di un presunto metodo unico e fisso del sapere e di ogni rigida demarcazione della scienza rispetto alle altre attività umane extra scientifiche. Rifiuto del mito della ragione e ridimensionamento del valore conoscitivo della scienza. Considerare le teorie non in termini di verità bensì di consenso. Contestazione dell'epistemologia tradizionale e dei suoi classici interrogativi che cos'è la scienza? qual è il suo metodo? quali sono i criteri per valutarne il progresso?
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LO STRUTTURALISMO è una tendenza di pensiero che si diffonde intorno agli anni settanta - novanta del novecento. POLEMIZZA CONTRO : -l’atomismo e il sostanzialismo ( la realtà non è il derivato di singoli elementi concettuali o di singole sostanze, ma è un sistema di relazioni i cui termini componenti non hanno valore di per se stessi ma solo in connessione fra loro). -l’empirismo e il soggettivismo ( fare scienza significa procedere al di là delle esperienze empiriche e dei vissuti personali per collocarsi in un punto di vista assolutamente oggettivo).
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REICHENBACH, SULL’INDUZIONE
Per il filosofo tedesco “l’induzione è lo strumento di un metodo scientifico che voglia scoprire qualcosa di nuovo”; esso è “lo strumento della previsione”. La logica ha il compito di giustificare la scoperta, la quale in sé esula dai suoi compiti. H. Reichenbach, The rise of scientific philosophy, trad. it. La nascita della filosofia scientifica, D. Parisi-A. Pasquinelli, Il Mulino, Bologna 1971, pagg [if !supportEmptyParas] [endif] La logica simbolica di cui si è parlato nel capitolo precedente è una logica deduttiva; essa tratta soltanto di quelle operazioni di pensiero che sono caratterizzate da necessità logica. Ma la scienza empirica, oltre a fare largo uso di operazioni deduttive, richiede anche una seconda forma di logica, che, avendo a che fare con operazioni induttive, viene detta, appunto logica induttiva. Ciò che distingue l'inferenza induttiva da quella deduttiva è il fatto che la prima non è vuota, bensí contraddistinta da conclusioni non contenute nelle premesse. La conclusione che tutti i corvi sono neri non è contenuta logicamente nella premessa che tutti i corvi osservati finora risultano essere neri; tale conclusione potrebbe essere falsa nonostante la verità della premessa. L'induzione è lo strumento di un metodo scientifico che vuole scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa di piú che la sintesi delle osservazioni già fatte; l'inferenza induttiva è lo strumento della previsione. Fu Bacone, a vedere con chiarezza l'indispensabilità delle inferenze induttive per il metodo scientifico, e il suo posto nella storia della filosofia è quello di un profeta dell'induzione [...]. Ma Bacone vide anche i limiti di questo genere d'inferenza, la sua mancanza di necessità, la possibilità insita in essa di arrivare a conclusioni false. I suoi sforzi per migliorare l'induzione non ebbero molto successo; le inferenze induttive formulate nell'ambito del metodo ipotetico-deduttivo della scienza [...] sono di gran lunga superiori alla semplice induzione baconiana. Tuttavia, neppure tale metodo è in grado di assicurare la necessità logica; le sue conclusioni possono risultare false, né la conoscenza induttiva riuscirà mai a raggiungere l'attendibilità della deduzione [...]. L'interpretazione mistica del metodo ipotetico-deduttivo come irrazionale ricerca congetturale trae origine dalla confusione fra contesto della scoperta e contesto della giustificazione. L'atto della scoperta sfugge all'analisi logica; non vi sono regole logiche in termini delle quali si possa costruire una “macchina scopritrice” che assolva la funzione creativa del genio. D'altra parte, non tocca al logico chiarire la genesi delle scoperte scientifiche; tutto quello che egli può fare è analizzare la connessione tra i dati di fatto e le teorie avanzate per spiegare i medesimi. In altre parole, la logica si occupa soltanto del contesto della giustificazione. E la giustificazione di una teoria in termini di dati di osservazione è l'oggetto della dottrina dell’induzione. Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. III, pagg
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CONCLUSIONI Si può suddividere la riflessione filosofico-scientifica novecentesca in tre periodi: Prima metà del secolo = la logica e l’analisi del linguaggio scientifico sono gli strumenti principali per la riflessione filosofica sulla scienza, che si interroga sulla fondamentale domanda “che cos’è una teoria scientifica?” e risponde che è un calcolo logico non interpretato . Seconda metà del secolo = il problema “come mutano le teorie scientifiche” (la questione principale che la filosofia della scienza deve affrontare e risolvere) è affrontato facendo ricorso alla storia della scienza che senza la filosofia della scienza è cieca”. Anni Ottanta e fino ai nostri giorni = la riflessione filosofica sulla scienza si specializza in filosofia della meccanica quantistica, in filosofia dello spazio e del tempo, in filosofia della biologia o delle scienze cognitive , …… e prendono il posto delle precedenti domande “generali” su che cosa fosse una teoria scientifica, come mutasse nel tempo, e quale fosse il metodo della scienza.
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PROVE DI VERIFICA 1. Costruisci in parallelo due mappe concettuali che mostrino quali siano rispettivamente i caratteri fondamentali della scienza nell’800 e nel ‘900. 2. Il dibattito sul metodo caratterizza l’epistemologia del ‘900.riporta le argomentazioni a favore e contro il metodo induttivo e quello deduttivo, riferendole agli epistemologi che le hanno formulate. 3. Fornisci argomentazioni che comprovino quanto è contenuto nella seguente affermazione di Heisenberg: “ il mutamento del concetto di realtà che si manifesta nella teoria dei quanti non è una semplice continuazione del passato; esso appare come una vera rottura nella struttura della scienza moderna”. 4. “La scienza non è un sistema di asserzioni certe , o stabilite una volta per tutte, e neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza ( episteme) : non può mai pretendere di aver raggiunto la verità , e neppure un sostituto della verità, come la probabilità”. A quali aspetti della scienza contemporanea poteva riferirsi Popper a riprova delle sue tesi? E’una concezione scettica la sua? Conosci altre posizioni analoghe espresse da filosofi e scienziati? Come sono motivate queste posizioni?
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BIBLIOGRAFIA - Thomas Nagel , Una brevissima introduzione alla filosofia , il Saggiatore 1989 - Okasha Samir , Il primo libro di filosofia della scienza , Piccola Biblioteca Einaudi 2006 - L. Brunschvieg, L’expèrience humaine et la causalité physique, Paris 1921 - E.Cassier, Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna ( 1936) , Firenze 1972 - A.A.V.V. , L’interpretazione materialistica della meccanica quantistica, a cura di S. Tagliagambe, Milano 1972 - A. Koyrè , Il significato della sintesi newtoniana - Ludovico Geymonat, Lineamenti di Filosofia della Scienza, 1985, Milano, Mondadori. - Anna Ludovico, Dalla fisica alla filosofia, Roma: Editore Nuova Cultura 2011 -Galileo Galilei, Dialogo dei massimi sistemi, Firenze, 1632 -Renè Cartesio, Discorso sul Metodo, Leida, 1637 -F. Bacone , Novum Organum, 1620 -IsaacNewton Principi Matematici della filosofia naturale, libro 3º, capitolo sui Metodi del filosofare. Fra le edizioni in lingua italiana si fa riferimento in particolare a quella della collana “Classici della scienza”, Torino Utet, 1997 -Paul Karl Feyerabend, Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993) ) -Karl Popper, La logica delle rivoluzioni scientifiche (traduzione italiana: Torino, 1970) -Jacob Bronowski " , citato in Alexander Kohn, Falsi profeti, Inganni ed errori della scienza, p. 1 (Zanichelli, 1991) -Donald Gillies e Giulio Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, Roma, Laterza, 1995, -
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SITI WEB -Teeteto, in www.ousia.it
-Causalità di Federico Laudisa , in - Etimologia di Scienza in -L'epistemologia nel XX secolo, filosofia.rai.it. -La verità nella scienza: intervista a Giulio Giorello, conoscenza.rai.it. -Epistemologia, in Tesauro del Nuovo soggettario, BNCF, marzo 2013.
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