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Paolucci, Signorini La storia in tasca
Dal Mille alla metà del Seicento Volume 3 1. La rinascita dopo il Mille 2. L’età comunale 3. Difficili rapporti fra Chiesa, Impero, Comuni Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Capitolo 3 Difficili rapporti fra Chiesa, Impero, Comuni
Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Eresie e nuovi ordini religiosi all’interno della Chiesa
Fra il XII ed il XIII secolo si diffusero in Europa nuovi movimenti religiosi che criticavano il lusso e i comportamenti scandalosi da parte del clero e sostenevano dottrine che la Chiesa riteneva in contrasto con i dogmi. Esse contraddicevano cioè le verità della fede a cui tutti i cristiani sono tenuti a credere. I seguaci di questi movimenti furono accusati di eresia e subirono persecuzioni. Vennero perseguitati, ad esempio, i valdesi – presenti soprattutto nelle vallate alpine della Francia e del Piemonte, dove ancora oggi si trova una loro comunità – e i catari – la parola in greco significa «puri» - chiamati anche albigesi perché avevano il loro centro nella città di Albi, nella Francia meridionale. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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I fondatori degli ordini mendicanti: San Domenico e San Francesco
L’ordine domenicano fu fondato da un sacerdote spagnolo, San Domenico di Guzmán (1170 – 1221) ed ebbe come suo obiettivo principale la predicazione (in volgare) del Vangelo. L’ordine francescano fu fondato da San Francesco d’Assisi (1182 – 1226), il figlio di un agiato mercante. Entrambi gli ordini contribuirono alla lotta contro le eresie e al rinnovamento spirituale della Chiesa. I frati domenicani si preparavano con una solida istruzione religiosa che li metteva in grado di affrontare gli eretici in pubblici dibattiti su questioni di fede. I francescani si ispiravano ai valori più alti del Cristianesimo, come l’amore e la fratellanza. In mezzo alle penitenze e alle privazioni essi vivevano lietamente amando tutti gli uomini come fratelli e contemplando, nella bellezza del creato, l’opera perfetta di Dio. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Il potere imperiale è debole
L’Italia settentrionale e centrale in cui si erano affermati i Comuni, faceva parte, almeno di nome, del Sacro Romano Impero germanico, fondato nel X secolo da Ottone di Sassonia. I Comuni non negavano la legittimità dell’Impero ma si comportavano come se esso non esistesse, governandosi da sé in piena autonomia. Ciò era possibile perché l’imperatore era debole e lontano. Quando i principali Comuni erano sorti, fra il 1080 e il 1120, era in corso la lotta per le investiture fra papato e Impero. Dopo la conclusione di quel conflitto, ci furono nuovi motivi di contrasto fra due grandi famiglie della nobiltà tedesca, quella di Svevia e quella di Baviera, che aspiravano entrambe ad ottenere la corona di re di Germania. Questa lotta si concluse soltanto nel 1152 con l’elezione di Federico I di Svevia, detto Barbarossa. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Federico Barbarossa tenta di riaffermare l’autorità
Federico Barbarossa cercò di ristabilire la sua autorità su tutto il territorio dell’Impero, Italia compresa. Prima però volle dimostrare che egli agiva in piena legittimità e secondo giustizia. Perciò chiese l’intervento di quattro autorevoli dottori dell’università di Bologna, che erano allora i massimi conoscitori della legge: essi riconobbero che soltanto all’imperatore – e non i Comuni – spettava il diritto di imporre tasse, di battere moneta, di amministrare la giustizia. Federico Barbarossa impose così ai Comuni di accogliere un suo funzionario, il podestà, che egli stesso avrebbe nominato. Molte città però si rifiutarono di obbedire a questo ordine che le avrebbe private della loro autonomia e allora lo scontro fra Comuni e imperatore divenne inevitabile. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Milano resiste all’imperatore e viene distrutta
Per Federico l’avversario più importante e più temibile era il Comune di Milano. La città aveva ingrandito il suo territorio a spese dei Comuni vicini (Lodi, Cremona, Pavia), destando con la sua crescente potenza, invidie e timori. Federico seppe abilmente approfittare delle rivalità esistenti tra i Comuni, si alleò con i nemici di Milano e strinse d’assedio la città riducendola alla fame. Nel 1162 Milano, ormai esausta, fu costretta ad arrendersi. Tuttavia la vittoria dell’imperatore non riuscì a pacificare l’Italia. Anzi il malcontento contro i podestà imperiali, accusati di malgoverno, cominciò a diffondersi anche nelle città tradizionalmente fedeli all’Impero. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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I Comuni uniti nella lega lombarda sconfiggono Barbarossa
Nel molti Comuni del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia Romagna, si unirono in una alleanza militare chiamata lega lombarda. A fianco della lega si schierò anche il papa, Alessandro III, contro il quale Federico Barbarossa aveva fatto eleggere un papa rivale. Quando Barbarossa scese di nuovo in Italia per punire i ribelli, l’esercito della lega gli inflisse a Legnano una dura sconfitta. La pace venne conclusa nel 1183 a Costanza. Dopo la pace di Costanza, Federico Barbarossa non rinunciò a rafforzare il suo potere in Italia. Combinò un vantaggioso matrimonio fra suo figlio Enrico e Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II, fondatore del regno normanno nel Meridione. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Nuove lotte fra Impero, Chiesa e Comuni
Federico II, figlio di Enrico di Svevia e Costanza d’Altavilla, rimase orfano a soli 4 anni e fu affidato al papa, Innocenzo III, che era un forte sostenitore del potere papale su quello imperiale. Morto Innocenzo III, Federico II divenne imperatore (1220) impegnandosi, in cambio, a condurre una crociata in Terra Santa. Ma la crociata fu risolta con trattati e accordi diplomatici e il papa Gregorio IX scomunicò Federico II che fu accusato di eresia. I rapporti tra Federico II e il papa divennero sempre più ostili e peggiorarono quando l’imperatore cercò di estendere la sua autorità anche in Italia Settentrionale (in Sicilia aveva già creato una forte monarchia sveva), situazione che metteva in forte pericolo il patrimonio di San Pietro. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Federico rafforza il Regno di Sicilia
Federico II volle fare della Sicilia una forte monarchia sveva, perciò tolse ai signori (i baroni) i privilegi e le terre che avevano usurpato e concentrò nelle sue mani tutti i poteri, regnando per mezzo di funzionari alle sue dipendenze. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Costituzioni melfitane
Federico II diede ai suoi sudditi, nel 1231, leggi valide per tutti, dette costituzioni melfitane perché furono promulgate a Melfi, in Basilicata. Inoltre, l’imperatore, favorì lo sviluppo della cultura istituendo, tra l’altro, una università a Napoli (1224) e rinnovando a Salerno un’antica scuola di medicina. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Parte dei Comuni si schiera con l’imperatore, parte col papa
Le pretese di Federico II irritarono anche molti Comuni dell’Italia settentrionale che, forti dell’appoggio del papa, si unirono in una nuova lega imperiale. Altri Comuni, invece, pur di danneggiare i loro rivali, si allearono con l’imperatore. Si ebbero così due schieramenti: uno di Comuni fedeli al papa, chiamati guelfi; l’altro di sostenitori dell’imperatore, detti ghibellini. All’inizio Federico II riportò qualche successo ma non riuscì mai a vincere del tutto la resistenza dei Comuni guelfi. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Gli Angioini succedono agli Svevi: l’Impero sconfitto
Quando Federico II morì, nel 1250, il papa offrì il Regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, fratello del potente re di Francia. Carlo scese nella penisola sostenuto dai guelfi italiani e sconfisse l’esercito ghibellino nella battaglia di Benevento (1266). In questa battaglia morì anche Manfredi, figlio e successore dell’imperatore svevo. Gli Angioini divennero padroni dell’Italia meridionale e si proclamarono vassalli della Chiesa giurando fedeltà al papa. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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L’Italia meridionale è divisa fra Angioini e Aragonesi
A differenza degli Svevi, dei Normanni e degli Arabi che li avevano preceduti, gli Angioini governarono con durezza. Il malgoverno angioino suscitò il malcontento dei sudditi, soprattutto a Palermo che Carlo d’Angiò aveva privato del titolo di capitale insediandosi a Napoli. Nel 1282, scoppiò una rivolta antifrancese, nata col nome di Vespri siciliani, perché il popolo insorse al tramonto. In aiuto degli insorti giunsero dalla Spagna gli Aragonesi, una famiglia imparentata con gli Svevi. Ne nacque un lungo conflitto fra Angioini e Aragonesi che durò vent’anni e si concluse nel 1302 con la pace di Caltabellotta e con la spartizione del regno: gli Angioini restarono a Napoli e nell’Italia meridionale; gli Aragonesi si impadronirono della Sicilia (e nel 1323 anche della Sardegna). Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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Paolucci, Signorini La storia in tasca
Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dal Mille alla metà del Seicento © Zanichelli editore 2013
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