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PubblicatoRaimonda Sassi Modificato 5 anni fa
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Razionalismo ed Empirismo
A partire dal Sei-Settecento la filosofia iniziò a dividersi in due tradizioni: quella europea e quella anglosassone. La prima tendenzialmente razionalista, la seconda prettamente empirista. Il termine "razionalismo" designa la persuasione che la realtà sia conoscibile e interpretabile mediante la ragione, al di là di ogni esperienza. Il termine "empirismo" indica invece ogni dottrina che considera l'esperienza come condizione essenziale della conoscenza.
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Dal latino razionalem, deriv. di ratio-onis = “ragione”.
È un atteggiamento teorico o pratico che assume la ragione a suo principio fondamentale. La realtà viene tradotta in termini di ragione per cui l’essenza di essa si coglie, indipendentemente da ogni esperienza, attraverso l’analisi dei principi della stessa ragione. Nasce con Renato Cartesio ( ) si sviluppa con Baruch Spinoza ( ) e Gottfried Wilhelm Leibniz ( ).
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Il termine empirismo deriva dal latino empiricum, che è dal greco empeirikós, deriv di empeiría = “esperienza”. È una corrente della filosofia moderna proseguita poi da Berkeley ( ) e Hume ( ), avente come obiettivo l'analisi del mondo umano nei suoi diversi campi, si sviluppa tra Seicento e Settecento inscrivendosi in parte già nel prossimo clima Illuministico e vede sicuramente in John Locke ( )il suo fondatore. Definisce inconoscibile e indimostrabile tutto ciò che oltrepassa i limiti dell'esperienza per cui le verità teologiche che riguardano il mondo soprannaturale e Dio e tutto ciò che oltrepassa i limiti dell'esperienza si collocano al di fuori di una possibile ricerca.
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fonte e origine del processo conoscitivo
Ideologicamente, quindi, l'Empirismo si caratterizza con la teoria della ragione vista come un insieme di poteri limitati dall'esperienza intendendo quest'ultima: fonte e origine del processo conoscitivo criterio di verità o strumento di certificazione delle tesi dell'intelletto, che risultano adeguate e certe solo se suscettibili di controllo empirico.
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La tendenza critica ed anti-metafisica dell’Empirismo
Il richiamo costante all’esperienza fa sì che l’empirismo, in antitesi al razionalismo, tenda ad assumere un atteggiamento limitativo o critico nei confronti delle possibilità conoscitive dell’uomo e a seguire un indirizzo anti-metafisico che respinge fuori dalla filosofia e da ogni ricerca legittima i problemi riguardanti realtà che non sono accessibili agli strumenti mentali di cui l’uomo dispone.
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Locke è considerato uno dei massimi esponenti dell'empirismo inglese, una corrente filosofica nata dal diffondersi del metodo sperimentale proposto dalla rivoluzione scientifica. Secondo l'empirismo i dati della certezza epistemica (“che riguarda la conoscenza scientifica”) erano da ricavare dall'osservazione dei fenomeni reali: analogamente alla scienza fisica, anche la filosofia doveva attenersi alla critica dei fatti e delle sensazioni tratte dalla percezione immediata.
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Nacque a Wrington, vicino a Bristol , nel 1632; il padre procuratore e ufficiale giudiziario, combatté durante la prima rivoluzione inglese con l'esercito del Parlamento contro il re Carlo I che sarà decapitato nel 1649. Durante la dittatura di Cromwell John entrò nell'università di Oxford, nel collegio di Christ Church dove, dopo il conseguimento del titolo di baccelliere 1656) e "maestro delle arti" (1658), rimase come insegnante di greco e retorica .
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il celebre fisico e chimico Robert Boyle.
Nel 1666 cominciò a studiare medicina e scienze naturali entrando in contatto con medici e anatomisti famosi come Willis e Bathurst e collaborando con il celebre fisico e chimico Robert Boyle. Pur non essendo laureato in medicina esercitò la professione di medico che gli permise di conoscere Lord Ashley, divenuto in seguito il conte di Shaftesbury di cui divenne medico personale e consigliere, seguendone l'alterna sorte e le vicissitudini. Fu suo segretario quando Ashley divenne Lord cancelliere.
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Nel 1675 Locke si ritirò per motivi di salute in Francia per quattro anni , durante i quali studiò la filosofia di Cartesio, di Gassendi e dei libertini. Al suo ritorno in Inghilterra riprese a collaborare con Shaftesbury nel frattempo nominato presidente del consiglio del re. Fallita la congiura del duca di Monmouth ai danni del re Carlo II Stuart , Shaftesbury nel 1682 venne accusato di tradimento e costretto a fuggire in Olanda dove morì. Temendo la persecuzione contro i wighs, anche Locke andò in esilio volontario in Olanda, dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d'Orange. Nel 1689 dopo la vittoria della "gloriosa rivoluzione" tornò in patria al seguito della moglie dell'Orange, la principessa Maria.
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La fama di Locke come maggiore esponente del nuovo regime liberale divenne grandissima: ricoprì vari incarichi importanti tra cui quello di consigliere per il commercio nelle colonie. In questo incarico tenne un atteggiamento tollerante rispetto alla schiavitù in America e nel contempo trasse ingenti profitti dalle azioni della "Royal African Company", impegnata nella tratta degli schiavi.[1] Fu in questo periodo che pubblicò le sue opere più importanti tra le quali nel 1690 il "Saggio sull'intelletto umano".
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Passò serenamente gli ultimi anni nel castello di Oates, nell'Essex, dove morì nel 1704.
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LE IDEE SENSAZIONI L’ESPERIENZA RIFLESSIONI IDEE SEMPLICI MODI
Consiste in L’ESPERIENZA RIFLESSIONI produce IDEE SEMPLICI Sono prodotte da LE IDEE utilizza per elaborare MODI L’INTELLETTO IDEE COMPLESSE di RELAZIONI SOSTANZE IDEE GENERALI produce
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LE IDEE SENSAZIONI L’ESPERIENZA RIFLESSIONI IDEE SEMPLICI MODI
Consiste in L’ESPERIENZA RIFLESSIONI produce IDEE SEMPLICI Sono prodotte da LE IDEE utilizza per elaborare MODI L’INTELLETTO IDEE COMPLESSE di RELAZIONI SOSTANZE IDEE GENERALI produce
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Per Locke la ragione non è unica o uguale in tutti gli uomini perché essi ne partecipano in misura diversa. Non è infallibile perché spesso le idee di cui dispone sono in numero troppo limitato o addirittura oscure. Inoltre la ragione non può ricavare da se idee e principi ma deve ricavarli dall’esperienza che ha sempre limiti e condizioni. La ragione quindi è vista come l’unica guida efficace di cui l’uomo dispone. Questo pensiero è presente nell’opera maggiore di Locke «Il Saggio sull’Intelletto Umano»
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Il Saggio Sull’intelletto umano
Il Saggio sull'intelletto umano di Locke si presenta come un'analisi dei limiti, delle condizioni e delle possibilità effettive della conoscenza umana: "era necessario esaminare le nostre capacità, per vedere quali oggetti il nostro intelletto fosse o non fosse in grado di trattare". Prima di introdursi nell'analisi dell'opera fondamentale di Locke, bisogna subito notare che nel suo titolo "intelletto" (understanding) non è l'intellectus scolastico (cioè la facoltà di conoscere superiore, separata rispetto alla sensibilità), ma il principio conoscitivo stesso ("the power of thinking"). Quindi non è un termine opposto al senso, poiché il senso stesso è considerato da Locke, non nell'abituale significato fisiologico-psicologico, ma come fonte, nella percezione sensibile, di conoscenza, e perciò implicante già l'intelligenza. Quest'ultima ha però la prerogativa e il compito di superare l'immediatezza del dato percepito in quanto può, riflettendo su di esso, farne l'analisi, e valersi degli elementi, così ricavati, per fare delle sintesi rispondenti ai suoi scopi (teoretici e pratici). "L'intelletto, come l'occhio, ci fa vedere e comprendere tutte le cose, ma non si accorge di se stesso". Occorre quindi un certo sforzo per svincolare l'intelligenza implicata nel dato della percezione, e, presa una necessaria distanza, vederla all'opera nella riflessione sul dato.
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Ricevute passivamente dall’esperienza esterna
Idee di sensazione quelle cioè che provengono dall'esperienza esterna, dalle sensazioni come, ad esempio, i colori. La formazione di queste idee avviene secondo quanto già indicato da Hobbes: dagli oggetti esterni provengono dati che s'imprimono su quella tabula rasa che è la nostra sensibilità.
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Ricevute passivamente dall’esperienze interna
Idee di riflessione riguardano l'esperienza interna o riflessione sugli atti interni della nostra mente come le idee di dubitare, volere ecc.
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Le idee semplici quelle che non possono essere scomposte in altre idee e che quindi sono di per sè chiare e distinte, evidenti ma che, diversamente da Cartesio, non implicano un contenuto di verità ma soltanto il fatto di costituire gli elementi primi conoscitivi derivati in forma immediata dalla sensazione o dalla riflessione. Che la loro semplicità non implichi la verità si basa su quanto già affermato da Galilei sulla soggettività delle sensazioni di colori, suoni ecc. Anche Locke infatti distingue fra: 'idee di qualità primarie' che sono oggettive come quelle caratteristiche che appartengono di per sè ai corpi (l'estensione, la figura , il moto ecc.) 'idee di qualità secondarie', soggettive (colori, suoni, odori, sapori ecc.) che non sono inventate (l'intelletto non ha la capacità di creare idee semplici) ma che non hanno corrispondenza nella realtà.
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le idee complesse dove il nostro intelletto non è più passivo ma mette assieme le idee semplici originando tre tipi di idee complesse: Modi: sono quelle idee non considerate sussistenti di per sé, ma solo come manifestazioni di una sostanza (triangolo, gratitudine, delitto, ecc.) Sostanze: sono le idee complesse che vengono considerate come esistenti di per se stesse (uomo, piombo, pecora, ecc.) Relazioni: è il confronto di un idea con un'altra. Tra esse fondamentali sono quelli di causa ed effetto e di identità e diversità. A proposito di queste ultime, Locke affronta il problema dell’identità della persona egli scorge questa identità nella coscienza che accompagna gli stati o i pensieri che si succedono nel senso interno.
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Queste idee secondo Locke non indicano nessuna realtà e sono il segno di un gruppo di cose particolari tra loro affini e vengono prodotte per astrazione.
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la conoscenza e le sue forme
La conoscenza è per Locke la percezione dell'accordo o del disaccordo delle idee fra di loro e non delle idee in se stesse (Saggio, IV, I, 2). Quando questo accordo tra le idee è percepito immediatamente, si parla di conoscenza intuitiva, la più evidente e certa delle conoscenze (Es. il bianco non è il nero).La conoscenza è invece dimostrativa quando l'accordo o il disaccordo tra due idee non è percepito immediatamente, ma viene reso evidente mediante l'uso di idee intermedie che si chiamano "prove" .La conoscenza dimostrativa consiste in una catena di conoscenze intuitive.Per dimostrazioni più complesse, la catena delle conoscenze intuitive può essere molto lunga e, per questo, l'errore è sempre possibile; pertanto la conoscenza dimostrativa è meno sicura di quella intuitiva. .
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la conoscenza e le sue forme
Accanto alla conoscenza certa, limitata dall'intuizione, dalla dimostrazione e dalla sensazione attuale, esiste anche una conoscenza probabile. Nella conoscenza probabile la verità o la falsità non si afferma per la sua evidenza, ma per la sua conformità con l'esperienza o con la testimonianza di altri uomini. Conoscenza certa e conoscenza probabile sono il dominio della Ragione. Accanto al dominio della ragione Locke riconosce anche la fede, fondata solo sulla rivelazione; la fede non deve assolutamente turbare o negare la Ragione, ma, al contrario, è la Ragione che deve decidere sull'attendibilità o meno della fede. .
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la conoscenza e le sue forme
Ciò che noi conosciamo è sempre un'idea mentre nulla si può dire circa l'essenza, la sostanza dell'oggetto che percepiamo: la sostanza è sempre qualcosa di oscuro e inconoscibile. La Ragione non può andare oltre i fenomeni. A questo punto Locke si pone una importante domanda: se la Ragione ha sempre a che fare con le idee, in che modo si può giungere a conoscere una realtà diversa da queste? Il filosofo risponde che esistono tre ordini di realtà: -l'Io (Si conosce attraverso un processo intuitivo di tipo cartesiano); -Dio (Si conosce per via dimostrativa); -le Cose (Si conoscono attraverso le sensazioni attuali. Il fatto che noi riceviamo attualmente l'idea dall'esterno, ci fa conoscere che qualcosa esiste in questo momento fuori di noi e produce in noi l'idea) . .
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“Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo e l'opera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato in cui la natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito qualcosa che gli è proprio, e con ciò le rende proprietà sua. Poiché sono rimosse da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse, mediante il suo lavoro, hanno, connessa con sé, qualcosa che esclude il diritto comune di altri. Infatti poiché questo lavoro è proprietà incontestabile del lavoratore, nessun altro che lui può avere diritto a ciò che è stato aggiunto mediante esso, almeno quando siano lasciate in comune per gli altri cose sufficienti e altrettanto buone” (II Trattato, cap. V, § 27-32, 43-50)
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Dallo stato di natura allo stato di diritto
Nello stato di natura, secondo Locke gli uomini già conducono una vita sociale, ma ciò che manca è un arbitro capaci di dirimere eventuali dispute fra i singoli. Con la nascita di uno stato, ciò che si ottiene è proprio tale giudice, quindi l’unico diritto cui il cittadino deve rinunciare è quello di farsi giustizia da se. Lo stato di Locke è quindi principalmente un arbitro imparziale che rispetta i diritti naturali dei cittadini, si fonda sul consenso della maggioranza del popolo e favorisce la prosperità della società. Inoltre, per salvaguardare i cittadini da eventuali abusi, Locke afferma la necessità della separazione fra potere legislativo e potere esecutivo, poiché chi fa le leggi non può essere incaricato anche di farle rispettare. Questa idee della divisione dei poteri è uno dei principi fondamentali della democrazia liberale.
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Diritto alla vita Diritto alla libertà Diritto alla proprietà (senza la proprietà è impossibile conservare la vita o, almeno, conservarla in modo che si possa dire umana)
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Diritto naturale limitato dall’uguale diritto degli altri
Lo stato di natura può diventare uno stato di guerra quando una o più persone ricorrono alla forza per ottenere un controllo sulla libertà, sulla vita e sui diritti fondamentali degli altri individui ↓ Costituzione della SOCIETA’ POLITICA = garanzia dei diritti naturali originari vincoli al solo fine di mantenere e proteggere I diritti fondamentali propri dello stato di natura
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(Due trattati sul governo, II, cap. VIII, par. 123)
“…il godimento della proprietà che egli ha è in questa condizione molto incerto e malsicuro. Il che lo rende desideroso di abbandonare una condizione che, per quanto libera, è piena di timori e continui pericoli, e non è senza ragione ch’egli cerca e desidera unirsi in società con gli altri che già sono riuniti, o hanno intenzione di riunirsi, per la mutua conservazione delle loro vite, libertà e averi, cose ch’io denomino, con termine generale, proprietà” (Due trattati sul governo, II, cap. VIII, par. 123)
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Suddivisione dei poteri:
Notevole intreccio tra istanza democratica (costituita dalla fondazione del potere politico sul consenso popolare) ed istanza liberale (limiti posti al potere politico stesso) Esclusione di un potere assoluto o illimitato ↓ Suddivisione dei poteri: Legislativo Esecutivo Federativo
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Tolleranza religiosa Lo Stato che nasce dall'aggregazione degli individui è naturalmente liberale e democratico, poiché nasce sulla spinta di un principio egualitario. Questo tipo di Stato è quindi garante di se stesso, nel senso che gli stessi legislatori sono sottoposti alle leggi (non è così in uno Stato assoluto). Ogni potere - quello legislativo, esecutivo e giudiziario - è autonomo, separato dagli altri e in grado di vigilare sul reciproco operato. Il potere che produce le leggi non può essere incaricato di attuarle, come deve esistere un potere di garanzia che vigili sulla correttezza dei legislatori e dell'esecutivo. Locke, in aperta polemica con Hobbes, si spinge perfino ad affermare che, qualora lo stato liberale e democratico venisse meno ai suoi principi, i cittadini sarebbero giustificati a ribellarsi, spezzando il legame di obbedienza che li lega alle istituzioni ormai corrotte.
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Tolleranza religiosa Nella "Lettera sulla tolleranza", Locke formula poi il principio della tolleranza religiosa: ogni confessione deve essere rispettata dallo Stato, il quale non può intromettersi nelle questioni riguardanti la fede preferendone una all'altra. Potere dello Stato e potere della Chiesa vanno separati, in quanto al primo spetta la garanzia dei diritti civili, al secondo la salvezza delle anime. I due poteri sono quindi autonomi ed è buon principio che non confondano i rispettivi ambiti d'azione. I poteri dello Stato devono essere ispirati ai valori di laicità ed uguaglianza, ma devono comunque impedire i comportamenti che vadano a negare i diritti civili, come del resto non potrà ammettere sette o società segrete che attentino all'integrità dei principi liberali e democratici.
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Tolleranza religiosa Tuttavia, nonostante questa visione moderna dei rapporti che devono intercorrere tra i poteri, Locke affermerà che in uno stato liberale, come non può essere tollerata una religione che tenda ad opporsi ai principi civili della tolleranza e della libertà di culto e di coscienza, non può essere tollerato anche l'ateismo, in quanto la ragione naturale è in grado di provare l'esistenza di Dio. L'ateismo è dunque quella condizione che si pone contro la ragione naturale e per questo non è in grado di garantire la moralità dell'individuo. Locke affermerà che il cristianesimo (esistenza di Dio e di Gesù come annunciatore del regno del Padre), pur nel rispetto delle regole civili, "è una religione ragionevole e ha il compito di diffondere a tutto il genere umano quelle verità fondamentali e quelle norme morali che altrimenti sarebbero state accessibili solo ai filosofi." (La filosofia moderna, Emanuele Severino). Ecco dunque come in Locke resiste quel retaggio teologico per cui non può esistere morale che non discenda da Dio, e che l'assenza di Dio, anche solo nel pensiero dell'uomo, produce di fatto immoralità.
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Gorge Berkeley nacque a Dysert in Irlanda il 12 marzo1685
Gorge Berkeley nacque a Dysert in Irlanda il 12 marzo1685. Si laureò a Dublino dove prestissimo giunse a formulare il principio fondamentale della sua filosofia:l’immaterialismo. Dopo alcuni anni trascorsi tra viaggi e studi e soprattutto nella frequenza della società brillante di Londra elaborò il grande progetto di civilizzare i selvaggi d’America. Credendo di aver attirato su questo progetto l’attenzione del pubblico e del governo partì nel 1728 per fondare un collegio nelle isole Bermude.Soggiornò per circa tre anni a Rhode-Island e qui compose l’Alcifrone. Un dialogo polemico contro i liberi pensatori del tempo.In seguito venne nominato vescovo di Clone in Irlanda e qui si dedicò a diverse opere morali e filantropiche.Trascorse infine gli ultimi anni a Oxford dive morì il 20 febbraio 1753.
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Berkeley ritiene che la causa degli errori e delle incertezze che si incontrano in filosofia sia la credenza che il nostro spirito forma idee astratte.Ma le idee astratte non sono che idee particolari (l'idea dell'estensione è sempre un particolare oggetto,...) assunte come segni di un gruppo di altre idee particolari tra loro affini. E da qui appunto berkeley definisce un nominalismo. Secondo l'irlandese infatti non esistono idee generiche o universali, ma semplici idee particolari usate come segni, appartenenti ad un gruppo di altre idee particolari tra loro affini. Gli oggetti che noi crediamo esistere sono in realtà delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e sussistenza complessiva. Proprio come in un sogno, noi abbiamo percezioni spazio-temporali relative ad oggetti materiali senza che questi esistano.
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Berkeley professa un nominalismo radicale, in quanto ritiene che le presunte idee generali di cui parlava Locke non sono idee astratte o universali, ma semplici idee particolari assunte come segni di un gruppo di altre idee particolari tra loro affini.Di conseguenza, l’universalità, secondo Berkeley, non risiede tanto nelle idee,quanto nell’intelletto,il quale, riferendo una determinata idea particolare a tutte le altre idee particolari della medesima specie, le da valore e significato universale, considerandola come segno di tutte le altre idee particolari e tale,dunque, che può stare per esse.Ad esempio” quando dimostro una qualunque proposizione sui triangoli,bisogna supporre che abbia in vista l’idea universale di un triangolo: ma questo non lo si deve intendere nel senso che io possa formarmi l’idea di un triangolo che non sia equilatero né scaleno ecc.;ma soltanto che quel triangolo particolare che io considero, di qualunque tipo esso sia, rappresenta sempre e sta in luogo di qualsivoglia triangolo rettilineo, ed è in questo che è universale.”
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IMMATERIALISMO Il termine immaterialismo è stato coniato dal filosofo-teologo irlandese George Berkeley ( ) per definire la sua dottrina che nega l'esistenza della materia. I corpi materiali e le cose in genere per Berkeley non sono altro che idee divine che si rendono percepibili all'uomo per volere di Dio stesso. Quando noi pensiamo di percepire qualcosa in realtà percepiamo un'idea divina che agisce "su di noi".L'aforisma "Esse est percipi", con cui si sintetizza questa posizione filosofica, sta a significare che tutto ciò che noi possiamo dire degli oggetti e dei fatti che ci sembrano reali è che "li percepiamo", senza che ciò ci autorizzi a dire anche che essi esistano. Quando noi pensiamo una certa cosa che ci sembra realmente esistente in realtà, secondo Berkeky, non facciamo altro che collezionare nella nostra mente una serie di idee su di essa.
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IMMATERIALISMO Le cose materiali esistono soltanto nella nostra testa perché le idee che si estrinsecano come percezione si concretizzano alla nostra coscienza.Nel Trattato sui principi della conoscenza umana, pubblicato nel 1710, Berkeley dice: "Le idee che ci facciamo delle cose sono tutto che possiamo dire della materia. Perciò per "materia" si deve intendere una sostanza inerte e priva di alcun senso, della quale però si pensa che abbia estensione, forma e movimento. È quindi chiaro che la nozione stessa di ciò che viene chiamato "materia" o "sostanza corporea" è contraddittoria. Per Berkeley tutta la realtà si riduce quindi all'idea che di essa ne abbiamo; ma questa idea non nasce solipsisticamente dalla nostra attività percettiva, ma è indotta in noi dall'esistenza di Dio; le idee sono cioè azioni di Dio sulla nostra mente. Al contrario, ammettere l'esistenza della materia significa negare Dio e spiegare le idee come conseguenza dell'azione della materia sulla nostra mente. Pertanto, il materialismo conduce all'ateismo, l'immaterialismo è invece il fondamento stesso della religione.
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"La verità è l'urlo di tutti, ma il gioco di pochi"
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"Una cosa è dimostrare a un uomo che è in errore, un'altra metterlo in possesso della verità."
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"Tutto il coro del cielo e mobili di terra - in una parola, tutti quei corpi che compongono la struttura del mondo - non hanno alcuna sussistenza senza una mente"
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