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PubblicatoGiuseppe Virdis Modificato 5 anni fa
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SOCRATE (in lingua greca Σωκράτης Sōkrátēs)
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Vita o Nacque nel 470 / 469 a.c. da Sofronisco, scultore, e Fenarete,ostetrica. o Sposò Santippe. o Frequentava simposi.
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Socrate e Atene o432 spedizione contro Potidea o424 combatté a Delio a fianco di Lachete o421 combattè ad Anfipoli. o406 fece parte dei pritani. tutti si oppose alla proposta di processare tutti i generali vincitori nello scontro delle Arginuse
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Il Processo a Socrate 403 democrazia restaurata amnistia Socrate figura ostile
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o399 fu presentato da Meleto un atto di accusa contro Socrate L’ATTO DI ACCUSA E’ IL SEGUENTE: " Socrate è colpevole di essersi rifiutato di riconoscere gli dei della città e di avere introdotto altre nuove divinità. Inoltre è colpevole di avere corrotto i giovani. Si richiede la pena di morte "
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I giudici votarono per la condanna a morte (399) la quale fu eseguita in carcere mediante la somministrazione di cicuta. molti dibattiti genere letterario "logoi Socratici" "apologie” (= discorsi di difesa)
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L’Apologia di Socrate, dedicatagli da Platone, espone la sua appassionata autodifesa al processo. Pur potendo salvarsi dalla condanna richiesta (la pena di morte) dichiarandosi colpevole, rimase coerente fino alla fine con le proprie istanze etiche e non rinunciò alla sua idea del bene. Apologia di Socrate
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“Qui forse uno potrebbe dirmi: ma silenzioso e quieto, o Socrate, non sarai capace di vivere dopo uscito da Atene? Ecco la cosa più difficile di tutte a persuaderne alcuni di voi. Perché se io vi dico che questo significa disobbedire al dio, e perciò non è possibile io viva quieto, voi non mi credete e dite che io parlo per ironia, se poi che proprio questo è per l’uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli argomenti sui quali m’avete udito disputare e far ricerche su me stesso e gli altri, e che una vita che non faccia di cotali ricerche non è degna d’essere vissuta: s’io vi dico questo, mi credete anche meno”. (Apologia, Platone)
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Il problema delle fonti o Egli riteneva che lo scritto fosse qualcosa di freddo che poteva comunicare la dottrina ma non stimolare la ricerca a differenza della conversazione che era coinvolgente e motivante. Perché Socrate non scrisse nulla? oEgli ritenne che la ricerca filosofica non poteva essere condotta innanzi o continuata dopo di lui da uno scritto.
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“Tu offri ai discendenti l’apparenza,non la verità della sapienza perchè quand’essi, mercè tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimaste ignoranti, e saranno insopportabili perché avranno non la sapienza ma la presunzione della sapienza.” (dal “Fedro”, Platone)
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LE FONTI PLATONE Aristofane Aristotele Senofonte Policrate Socratici minori
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Interpretazione di Platone o Idealizza Socrate e lo fa portavoce delle sue dottrine. Risulta difficile capire che cosa sia di Socrate e cosa costituisca ripensamenti e rielaborazioni di Platone.
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Interpretazione di Aristofane o Immagine fortemente negativa di Socrate (Aristofane era stato uno dei primi accusatori di Socrate). o Aristofane non voleva gettar discredito su Socrate: in fondo lui faceva solo il suo lavoro di commediografo, che consisteva nel far ridere.
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Interpretazione di Policrate o Critica Socrate per avere disprezzato le procedure della democrazia. o Gli rinfaccia di aver corrotto i giovani e aver insegnato credenze contrarie allo Stato
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Interpretazione di Aristotele o Le sue affermazione sono state prese come le più oggettive. o La sua interpretazione ha dei limiti in quanto è la filosofia di un non-contemporaneo.
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Interpretazione di Senofonte e dei Socratici minori o SENOFONTE: presenta un Socrate in dimensioni ridotte con tratti che a volte sconfinano addirittura nel banale o SOCRATICI MINORI: lasciarono poco ed estremizzano qualche aspetto del pensiero di Socrate
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LA FILOSOFIA DI SOCRATE PROBLEMA ANTROPOLOGICO E DIALOGO NON-SAPERE IRONIA MAIEUTICA
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Cominciò ad intendere la filosofia come un’immagine in cui l’uomo facendosi problema a se medesimo, tenta, con la ragione di chiarire sè a se stesso rintracciando il significato profondo del suo essere uomo. Infatti il suo motto era: “CONOSCI TE STESSO” PROBLEMA ANTROPOLOGICO Socrate inizialmente si dedicò al problema cosmologico, tuttavia, deluso dalle indagini, si occupò del problema ANTROPOLOGICO.
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Socrate affermò che si è uomini solo fra uomini. L’uomo si conosce tramite il rapporto con gli altri. La filosofia assunse il ruolo di dialogo e l’uomo attraverso il colloquio discute di questioni relative alla propria umanità. DIALOGO
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Il vero sapiente è soltanto colui che sa di non sapere. Critica a chi pensa di saperla lunga sull’uomo. IL SAPERE DI NON-SAPERE Chi è al corrente della propria ignoranza cerca di sapere. È UN INVITO A INDAGARE
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L’IRONIA Dal greco eironèia = dissimulazione L’ironia socratica è il gioco di parole o il variopinto teatro di “finzioni” attraverso cui il filosofo denudando le coscienze soddisfatte delle loro formule cristallizzate e delle loro pseudo-certezze, giunge a mostrare il sostanziale non sapere in cui si trovano.
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L’ironia è il metodo usato da Socrate per svelare all’uomo la sua ignoranza e per gettarlo nel dubbio e nella inquietudine, impegnandolo nella ricerca. Gioco di finzioni messe in atto per distruggere la presunzione del sapere. Scopo: invogliare alla ricerca del vero.
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MAIEUTICA La maieutica è l’arte di “far partorire”, è l’invito all’interlocutore di cercare dall’interno una propria dottrina. Socrate non vuole comunicare dall’esterno una propria dottrina.
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La vera educazione è un processo in cui il discepolo, grazie all’opera del maestro, viene aiutato a scoprire la verità presente in se stesso.
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Il pensiero greco
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“E questa non è forse ignoranza, e anzi la più riprovevole, l’essere convinti di sapere le cose che invece non si sanno?” (Apologia di Socrate, 29 b)
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Socrate e i sofisti Analogie a)l’oggetto della ricerca: “la virtù dell’uomo e del cittadino” b)la virtù non è un dono di natura, bensì frutto della paideia (cultura) c)l’umano come luogo della verità
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Socrate e i sofisti Differenze a) la verità contro il relativismo b)l’insipiensa contro la sapienza dichiarata → b¹) il dialogo contro il lungo discorso (macrologia) e il nuovo significato dell’insegnamento c)l’obiettivo della ricerca: la ricerca di sé (“conosci te stesso”) come cura dell’anima contro il successo pubblico e politico Analogie a)l’oggetto della ricerca: “la virtù dell’uomo e del cittadino” b)la virtù non è un dono di natura, bensì frutto della paideia (cultura) c)l’umano come luogo della verità
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Il responso dell’oracolo di Delfi “Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica” “Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica” (Eraclito, Sulla natura, fr. 93)
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“Sofocle è sapiente, Euripide è più sapiente, ma fra tutti gli uomini Socrate è più sapiente” Il responso dell’oracolo di Delfi
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“In ogni modo, mi parve di essere più sapiente di quest’uomo, almeno in questa piccola cosa, ossia per il fatto che ciò che io non so, neppure ritengo di saperlo” (Platone, Apologia di Socrate, 21 d) L’interpretazione socratica del responso
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“Invece, o cittadini, si dà il caso che, in realtà, sapiente sia il dio e che il suo oracolo voglia dire appunto questo, ossia che la sapienza umana ha poco o nessun valore. […] il dio mi ha assegnato il posto, almeno così ho ritenuto e creduto, di vivere filosofando e sottoponendo ad esame me stesso e gli altri” (Platone, Apologia di Socrate, 23 a; 28 e) “In ogni modo, mi parve di essere più sapiente di quest’uomo, almeno in questa piccola cosa, ossia per il fatto che ciò che io non so, neppure ritengo di saperlo” (Platone, Apologia di Socrate, 21 d) L’interpretazione socratica del responso
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“Infatti, se mi condannerete a morte, non potrete trovare facilmente un altro, quale sono io, che sia stato posto dal dio a fianco della città, come – anche se possa sembrare piuttosto ridicolo a dirsi – al fianco di un grande cavallo di razza, ma proprio per la grandezza un po’ pigro e che ha bisogno di venir pungolato da un tafano. In modo simile mi sembra che il dio mi abbia messo al fianco della città, ossia come uno che, pungolandovi, perseguendovi e rimproverandovi ad uno ad uno, non smetta mai di starvi addosso durante tutto il giorno, dappertutto” (Platone, Apologia di Socrate, 30 e - 31a) L’interpretazione socratica del responso
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I caratteri della dialettica socratica 1) L’ironia (artificio retorico) a)il presentarsi sotto la veste di qualcuno ansioso di imparare e di essere istruito b) il tono canzonatorio del suo argomentare “Con che arte Platone sa prendere in giro!”
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I caratteri della dialettica socratica 1) L’ironia (artificio retorico) a)il presentarsi sotto la veste di qualcuno ansioso di imparare e di essere istruito b) il tono canzonatorio del suo argomentare “Con che arte Platone sa prendere in giro!” 2) La forma dialogica del discorso: “brevi domande e risposte”
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I caratteri della dialettica socratica 3)La «bruttezza plebea» dell’espressione come attenzione esclusiva per il contenuto del discorso a detrimento della forma: “Però, per Zeus, o cittadini ateniesi, voi non ascolterete da me discorsi ornati con belle frasi e con belle parole, come quelli di costoro e neanche ben ordinati. Udrete, invece, cose dette un po’ a caso con le parole che mi capitano. Infatti, sono convinto che sia giusto quanto affermo. E nessuno di voi si attenda altro da me” (Platone, Apologia di Socrate, 17 b-c)
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I caratteri della dialettica socratica 4) L’apparenza eccentrica della sua fisionomia silenica: Socrate evoca quei personaggi protagonisti del coro tragico che, nell’ambito della rappresentazione drammatica, hanno il compito di annunciare “la verità dal cuore del mondo”; la sua semplice figura è inquietante perché, riallacciandosi al fondo della coscienza apollinea e «olimpica» dei suoi contemporanei, si presenta loro inconsciamente con l’autorità del seguace del dio della vita annunciatore della verità dell’esistenza
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I caratteri della dialettica socratica “Dico, dunque, che egli assomiglia moltissimo a quei Sileni, messi in mostra nelle botteghe degli scultori, che gli artigiani costruiscono con zampogne e flauti in mano, e che, quando vengono aperti in due, rivelano di contenere dentro immagini di dèi. E inoltre dico che egli assomiglia al satiro Marsia. […] Marsia incantava gli uomini mediante gli strumenti, con la potenza che gli veniva dalla bocca; e così fa ancora oggi chi suona le sue melodie con il flauto. […] E tu sei diverso da lui solamente in questo, ossia che, senza usare strumenti, produci questo stesso effetto con le nude parole” (Platone, Simposio, 215 a-c)
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I momenti della dialettica socratica a)La confutazione, attraverso la quale si dimostra l’infondatezza della pretesa di sapere di qualcuno (“sofistica di nobile stirpe”). Quest’arte gli deriva dal padre Sofronisco (cfr. Platone, Eutifrone, 11 b-d)
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I momenti della dialettica socratica a)La confutazione, attraverso la quale si dimostra l’infondatezza della pretesa di sapere di qualcuno (“sofistica di nobile stirpe”). Quest’arte gli deriva dal padre Sofronisco (cfr. Platone, Eutifrone, 11 b-d) b)La maieutica, grazie a cui quel qualcuno riesce, una volta liberato dal peso di un falso sapere, a conquistare la verità o una parte di essa. Quest’arte gli deriva dalla madre Fenarete (cfr. Platone, Teeteto, 150 b-e)
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L’«ignoranza socratica» come fondamento Questa abilità dialettica si fonda su di una peculiarissima ignoranza: Socrate sa di non disporre di un incontrovertibile intorno alla questione concreta «che cos’è la virtù?», nondimeno egli sa questo perché conosce quale sia la struttura formale del sapere. In altri termini, egli sa che universalità, necessità e non contraddittorietà costituiscono i primi connotati della verità
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L’«ignoranza socratica» come fondamento «Ignoranza socratica» (coscienza della forma della verità incontrovertibile) a)Universalità (tutti gli s sono p) b)Necessità, non contraddittorietà (è impossibile che s non sia p)
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L’«ignoranza socratica» come fondamento «Ignoranza socratica» (coscienza della forma della verità incontrovertibile) a)Universalità (tutti gli s sono p) b)Necessità, non contraddittorietà (è impossibile che s non sia p) La confutazione a) La confutazione La domanda di Socrate «che cos’è la virtù?» vuole ottenere una definizione universale, il concetto stabile della cosa in questione; l’interlocutore invece risponde portando esempi di azioni virtuose e dunque, pur ignorando la cosa, Socrate può facilmente distruggere la risposta data mostrando che essa manca di universalità e necessità
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L’«ignoranza socratica» come fondamento «Ignoranza socratica» (coscienza della forma della verità incontrovertibile) a)Universalità (tutti gli s sono p) b)Necessità, non contraddittorietà (è impossibile che s non sia p) “E mi sembra veramente, se è lecito celiare, che tu assomigli moltissimo, quanto alla figura e quanto al resto, alla piatta torpedine marina. Anch’essa, infatti, fa intorpidire chi le si avvicina e la tocca: e mi pare che, ora, anche tu abbia prodotto su di me un effetto simile. Infatti, veramente io ho l’anima e la bocca intorpidite e non so più che cosa risponderti” (Platone, Menone, 80 a-b)
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L’«ignoranza socratica» come fondamento «Ignoranza socratica» (coscienza della forma della verità incontrovertibile) a)Universalità (tutti gli s sono p) b)Necessità, non contraddittorietà (è impossibile che s non sia p) Lamaieutica a) La maieutica (nuovo senso dell’insegnare e dell’apprendere) Nella misura in cui l’interlocutore è in grado di sopportare la scoperta della propria ignoranza, potrà comprendere anch’egli, proprio attraverso i suoi errati tentavi, quali sono le caratteristiche formali del discorso scientifico e, in tal modo, muovere autonomamente alla conquista della verità
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L’«ignoranza socratica» come fondamento “La mia arte di ostetrico possiede tutte le altre caratteristiche che competono alle levatrici, ma ne differisce per il fatto che fa da levatrice agli uomini e non alle donne, e che si applica alle loro anime partorienti, e non ai corpi. E questo c’è di assolutamente grande nella mia arte: l’essere capace di mettere alla prova in ogni modo se il pensiero del giovane partorisce un fantasma ed una falsità, oppure un che di vitale e di vero. Poiché questo, almeno, è comune a me ed alle levatrici: non posso generare sapienza” (Platone, Teeteto, 150 b-e)
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L’«ignoranza socratica» come fondamento “La causa di ciò è questa: il dio mi costringe a far da levatrice, ma mi ha proibito di generare. […] E questo è chiaro: da me non hanno mai imparato nulla, ma sono loro, che, da se stessi, scoprono e generano molte belle cose. Tuttavia, siamo stati il dio e io a fare loro da levatrici” (Platone, Teeteto, 150 b-e)
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La coscienza della forma della verità incontrovertibile consente al pensiero il superamento esplicito e pressoché definitivo del sensismo, ossia di ogni filosofia che riduca la conoscenza alla mera sensazione delle caratteristiche particolari delle cose. Inoltre questo superamento – in quanto è in se stesso l’effettiva conquista dell’orizzonte conchiuso entro cui ogni verità può costituirsi e, dunque, deve apparire come tale –, consente al pensiero di rivolgersi alle cose con piena fiducia, ossia con la certezza della sua possibilità di penetrarle conoscitivamente (nel caso di Socrate, però, limitatamente alla sfera dell’agire umano) L’«ignoranza socratica» e l’ottimismo della ragione
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“Dunque, in primo luogo dobbiamo guardarci da questo – disse Socrate – e non lasciare entrare nell’anima la convinzione che non esiste alcun ragionamento sano, ma dobbiamo convincerci piuttosto che noi non siamo ancora sani, e che dobbiamo farci forza e preoccuparci di essere sani in tutti i modi” (Platone, Fedone, 90 e) L’«ignoranza socratica» e l’ottimismo della ragione
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“non esiste male maggiore che un uomo possa patire, cioè prendere in odio i ragionamenti” (Platone, Fedone, 89 d) “Dunque, in primo luogo dobbiamo guardarci da questo – disse Socrate – e non lasciare entrare nell’anima la convinzione che non esiste alcun ragionamento sano, ma dobbiamo convincerci piuttosto che noi non siamo ancora sani, e che dobbiamo farci forza e preoccuparci di essere sani in tutti i modi” (Platone, Fedone, 90 e)
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“Se, poi, vi dicessi che il bene più grande per l’uomo è fare ogni giorno ragionamenti sulla virtù e sugli altri argomenti intorno ai quali mi avete ascoltato discutere e sottoporre ad esame me stesso e gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta; ebbene, se vi dicessi questo, mi credereste ancora di meno” (Platone, Apologia di Socrate, 38 a) L’«ignoranza socratica» e l’ottimismo della ragione
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Che cosa ha stabilito la riflessione socratica in merito alla questione della virtù dell’uomo? La «morale provvisoria» di Socrate
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a) La virtù è scienza e precisamente una scienza del misurare: virtuoso è colui che, avendo assegnato alla ragione la guida delle proprie azioni (il temperante), è capace di calcolare, di volta in volta, il piacere e il dolore legati ad una certa azione, stabilendo così cosa sia bene fare
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La «morale provvisoria» di Socrate “Pertanto, bisogna riflettere se queste cose si debbano fare o no: infatti io, non ora per la prima volta, ma sempre, sono capace di dare ascolto a null’altro di ciò che è in me, se non alla ragione, a quella che, a me, ragionando, risulti la migliore” (Platone, Critone, 46 d) “Infatti, costui vi fa credere felici, e io invece vi faccio essere felici” (Platone, Apologia di Socrate, 36 d-e)
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b) Il male è sempre involontario (intellettualismo etico) L’uomo tende naturalmente al bene e alla felicità, ossia ad una vita senza dolori e piacevole. Quindi se il piacere (in senso ampio, non limitato al piacere dei sensi) è bene “nessuno, sapendo o credendo di sapere che altre cose sono migliori di quelle che fa, e che per giunta sono nell’ordine del possibile, fa tuttavia le cose che fa, pur potendo fare le cose migliori. Il lasciarsi vincere non è altro che ignoranza, il vincersi non è altro che sapienza” La «morale provvisoria» di Socrate
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a) La virtù è scienza del misurare (sapienza) c) Opposizione totale alla visione religiosa dell’errore b) Il male è sempre involontario La «morale provvisoria» di Socrate
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“ubbidisci a ciò che è migliore qualunque cosa accada” Che cosa, dunque, devo fare?
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“ubbidisci a ciò che è migliore qualunque cosa accada” Che cosa, dunque, devo fare? 1)Conosci te stesso, ossia domina te stesso, sii temperante, ubbidendo sempre alla ragione, che è quanto di meglio vi è in te
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“ubbidisci a ciò che è migliore qualunque cosa accada” 1)Conosci te stesso, ossia domina te stesso, sii temperante, ubbidendo sempre alla ragione, che è quanto di meglio vi è in te 2)Non commettere mai ingiustizia né nei confronti degli uomini (disubbidendo alla leggi della Città, che sono quanto vi è di migliore nell’ambito della comunità degli uomini), né verso gli dèi (disubbidendo a quanto in assoluto è da considerarsi il migliore, commettendo empietà) Che cosa, dunque, devo fare?
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“ubbidisci a ciò che è migliore qualunque cosa accada” 1)Conosci te stesso, ossia domina te stesso, sii temperante, ubbidendo sempre alla ragione, che è quanto di meglio vi è in te 2)Non commettere mai ingiustizia né nei confronti degli uomini (disubbidendo alla leggi della Città, che sono quanto vi è di migliore nell’ambito della comunità degli uomini), né verso gli dèi (disubbidendo a quanto in assoluto è da considerarsi il migliore, commettendo empietà) 3)Se commetti ingiustizia o empietà purificati scontando la pena qualunque essa sia Che cosa, dunque, devo fare?
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“Invece, il fare ingiustizia e il non ubbidire a chi è migliore, a dio o ad un uomo, so che è una cosa cattiva e turpe. […] quello che mi importa più di tutto, è di non commettere ingiustizia o empietà” (Platone, Apologia di Socrate, 29 b; 32 d) Che cosa, dunque, devo fare?
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“Infatti, io vado intorno facendo nient’altro se non cercare di persuadere voi, e più giovani e più vecchi, che non dei corpi dovete prendervi cura, né delle ricchezze né di alcun’altra cosa prima e con maggiore impegno che dell’anima in modo che diventi buona il più possibile, sostenendo che la virtù non nasce dalle ricchezze, ma che dalla virtù stessa nascono le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico” (Platone, Apologia di Socrate, 30 a-b) Che cosa, dunque, devo fare?
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Socrate viene condannato ingiustamente sulla base di false accuse e posto di fronte alle seguenti alternative: a)ammettere la propria colpevolezza e scontare una pena detentiva; b)ammettere la propria colpevolezza e andare in esilio; c)avendo rivendicato la giustizia del proprio comportamento, fuggire dal carcere e andare in esilio; d)avendo rivendicato la giustizia del proprio comportamento, morire secondo la volontà delle leggi della sua città. La morte di Socrate
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Socrate viene condannato ingiustamente sulla base di false accuse e posto di fronte alle seguenti alternative: a)ammettere la propria colpevolezza e scontare una pena detentiva; b)ammettere la propria colpevolezza e andare in esilio; c)avendo rivendicato la giustizia del proprio comportamento, fuggire dal carcere e andare in esilio; d)avendo rivendicato la giustizia del proprio comportamento, morire secondo la volontà delle leggi della sua città. Senza esitazione alcuna, Socrate «sceglie» l’ultima opzione seguendo quanto la ragione gli comanda, in quanto decidersi per una delle altre avrebbe significato sconfessare la condotta e l’insegnamento di tutta una vita e, con questo, anche il dio di Delfi La morte di Socrate
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“Socrate era consapevole di ciò che faceva: egli voleva la morte. In effetti gli si presentava un’occasione unica per dimostrare la propria superiorità rispetto alla paura e alla debolezza umana, nonché la dignità della sua missione divina. Grote dice che la morte l’avrebbe colto nella sua piena grandiosità e gloria, così come tramonta il sole nei paesi tropicali. Gli istinti sono superati: la chiarezza intellettuale governa la vita e sceglie la morte; tutti i sistemi morali dell’antichità cercano di raggiungere o comprendere l’altezza di questo atto. Socrate come scongiuratore della paura della morte è l’ultimo tipo di sapiente che noi conosciamo: il vincitore degli istinti attraverso la morte” (F. Nietzsche, I filosofi preplatonici) La morte di Socrate
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ANTOLOGIA LA MORTE DAL “FEDONE” E così concluse: «Anche voi, Simmia e Cebete e tutti gli altri, ve ne partirete, uno alla volta, quando verrà la vostra ora; quanto a me, invece, il destino già mi chiama, direbbe qui un eroe tragico, e quindi, quasi quasi è il momento che io faccia un bagno: è più giusto, infatti, che mi lavi da me, prima di bere il veleno e non dar così il fastidio alle donne di dover lavare un cadavere.» Ebbe appena finito che Critone gli chiese: «Hai da darci qualche disposizione, Socrate, sui tuoi ragazzi o cosa possiamo fare per te, che ti sia maggiormente gradita?» «Non ho nulla di nuovo da dirvi,» rispose, «se non quello che vi ho sempre detto: abbiate cura di voi stessi e così farete cosa gradita a me e a voi, anche se ora non mi dovete promettere nulla; se, invece, vi lascerete andare, se non sarete disposti a seguire, per così dire, le tracce di quanto s'è detto, non solo ora ma anche per il passato, se pure adesso venite a farmi molte e solenni promesse, non concluderete un bel niente.» «Ce la metteremo tutta a far come tu dici,» assicurò. «Ma per i tuoi funerali, che dobbiam fare?» «Ma fate come volete, sempre che riusciate ad afferrarmi e che io non vi sfugga.» GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE Sorrise serenamente e volgendo gli occhi verso di noi, soggiunse: «Non mi riesce, amici, di persuadere Critone che il vero Socrate sono proprio io, questo che, ora, vi sta parlando, che sta mettendo in buon ordine, per benino, i suoi pensieri; invece, egli crede che io sia già un altro, quello che tra poco vedrà cadavere e perciò mi chiede cosa fare per i miei funerali. GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE Quand'ebbe finito il bagno, gli condussero i figliuoletti (ne aveva due ancora piccoli e uno più grandicello) e vennero anche le donne di casa; egli si intrattenne un po' con loro, alla presenza di Critone, fece qualche raccomandazione, poi le pregò di allontanarsi con i bambini e tornò da noi. Era stato parecchio di là e, perciò, il sole stava ormai tramontando. Tornò, dunque, dopo il bagno e si venne a sedere, ma da quel momento scambiò soltanto qualche parola. Poi entrò il funzionario degli Undici che gli andò vicino e gli disse: «Socrate, con te, non mi toccherà quello che spesso mi capita con gli altri, che se la prendono con me e mi maledicono, quando porto loro il veleno per ordine dei magistrati. In tutti questi giorni, invece, io ho capito che tu sei l'uomo più nobile, più mite, più buono di quanti sono entrati finora qua dentro; io so benissimo, ora, che tu non ce l'hai con me ma con i responsabili e tu li conosci bene. E, ora, addio, perché sai quel che son venuto ad annunziarti e cerca di sopportare come meglio puoi la tua sorte.» Non finì di parlare che gli venne da piangere, si voltò dall'altra parte e se ne andò. GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE Socrate lo seguì con lo sguardo: «Addio anche a te,» disse. «faremo come tu dici.» E rivolto a noi, «che brav'uomo che è; in tutti questi giorni è venuto a trovarmi e, spesso, s'è messo anche a parlare con me, proprio una degna persona e ora, che caro, con quel suo pianto. Ma via, Critone, obbediamogli, che portino il veleno, se è già stato preparato; altrimenti che facciano presto.» E Critone: «Ma Socrate, se non mi sbaglio, il sole non è mica tramontato, è ancora sui monti, e io so di gente che ha aspettato un bel pezzo prima di bere il veleno, anzi dopo aver mangiato e bevuto e, alcuni, magari, dopo esser rimasti con chi volevano. Quindi, non aver fretta, c'è ancora tempo.» E Socrate: «Ma è naturale, Critone, che questi tali di cui parli, facciano così, perché credono di guadagnarci qualcosa. Ma è anche naturale che io mi comporti diversamente perché so che non ci guadagno nulla a bere un po' più tardi se non di rendermi ridicolo a me stesso mostrandorni cosi attaccato alla vita, cercando di risparmiarla, proprio quando non resta più nulla. Va, dunque,» concluse, «e fa come ti dico.» GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE E Critone, allora, fece cenno a un suo servo che se ne stava in disparte. Questi uscì e dopo un po' tornò con l'uomo che, in una ciotola, portava già tritato il veleno che doveva somministrargli. «Tu, brav'uomo, che sei pratico di queste cose,» disse Socrate vedendolo, «cos'è, allora, che bisogna fare?» «Nient'altro che bere e poi passeggiare un po' per la stanza finché non ti senti le gambe pesanti; poi ti metti disteso e così farà il suo effetto.» Così dicendo porse la ciotola a Socrate. La prese, Echecrate, con tutta la sua serenità, senza alcun tremito, senza minimamente alterare colore o espressione del volto, ma guardando quell'uomo, di sotto in sù, con quei suoi occhi grandi di toro. «Che ne dici di questa bevanda, se ne può fare o no libagione a qualcuno? È permesso?» «Socrate, noi ne tritiamo giusta la quantità che serve.» «Capisco, ma pregare gli dei che il trapasso da qui all'al di là, avvenga felicemente, questo mi pare sia lecito; questo io voglio fare e così sia.» Così dicendo, tutto d'un fiato, vuotò tranquillamente la ciotola. GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che egli aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura, di tanto amico sarei rimasto privo. Critone, poi, ancora prima di me, non riusciva a dominarsi e s'era alzato per uscire. Apollodoro, poi, che fin dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi: «Ma che state facendo?» esclamò. «Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti.» GIUSEPPE VIRDIS
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ANTOLOGIA LA MORTE E noi, provammo un senso di vergogna a sentirlo parlare così e trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po' su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e cosi si stese supino come gli aveva detto l'uomo del veleno il quale, intanto, toccandolo dì quando in quando, gli esaminava le gambe e i piedi'e a un tratto, premette forte un piede chiedendogli se gli facesse male. Rispose di no. Dopo un po' gli toccò le gambe, giù in basso e poi, risalendo man mano, sempre più in su, facendoci vedere come si raffreddasse e si andasse irrigidendo. Poi, continuando a toccarlo: «Quando gli giungerà al cuore,» disse, «allora, sarà finita.» Egli era già freddo, fino all'addome, quando si sco-. prì (s'era, infatti, coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate.» «Certo,» assicurò Critone, «ma vedi se hai qualche altra cosa da dire.» Ma lui non rispose. Dopo un po' ebbe un sussulto. L'uomo lo scoprì: aveva gli occhi fissi. GIUSEPPE VIRDIS
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