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-B.E.S. -INCLUSIONE SOCIALE -DINAMICHE INTERCULTURALI

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Presentazione sul tema: "-B.E.S. -INCLUSIONE SOCIALE -DINAMICHE INTERCULTURALI"— Transcript della presentazione:

1 -B.E.S. -INCLUSIONE SOCIALE -DINAMICHE INTERCULTURALI
INTEGRAZIONE INSERIMENTO INCLUSIONE

2 MODELLO ICF International Classification of Functioning
L’OMS con l'ICF propone un modello universale di salute e disabilità, con ricadute di grande portata sulla pratica medica e sulle politiche sociali e sanitarie internazionali. L’ICF, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale, si fonda sul profilo del funzionamento e sull’analisi del contesto. Consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali dell’alunno prescindendo da precluse tipizzazioni.

3 L’ICF NON classifica le persone, ma gli stati di salute ad essi correlati.

4 I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: Motivi fisici, biologici, fisiologici Motivi psicologici Motivi sociali

5 L’area dello svantaggio scolastico è molto ampia ed è richiesta una sempre maggiore «attenzione speciale». All’interno di questa area sono compresi i BES, che si dividono in 3 sotto-categorie: Disabilità Disturbi evolutivi specifici Svantaggio socio-economico, linguistico, culturale

6 Legislazione: la didattica inclusiva e personalizzata
Decreti delegati del 77 (organi collegiali) (Legge 11 ottobre 1977) Abolizione scuole e classi speciali (Legge 118 del 1971) Autonomia scolastica e legge 59/99 Costituzione Italiana (art. 3, 34, 38) Legge 104/1992 del 05 febbraio 1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione delle persone in situazione di handicap) Legge 170/2010 del 08/10/2010 sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento e successive Linee guida del 12 luglio (PDP)

7 -NORMATIVA sui BES Direttiva Ministro Profumo sui Bisogni Educativi Speciali, 27/12/2012 (Direttiva del Miur) -Circolare Ministeriale nr. 8 del 06/03/2013 con le Indicazioni Operative della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. - Circolare Ministeriale del 22/11/2013 ”Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali. A.S. 2013/2014. Chiarimenti”.

8 …E PER I BES? fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l’esercizio dei diritti conseguenti alle situazioni di disabilità o DSA, è compito doveroso dei Consigli di classe o team docenti nelle scuole primarie indicare in quali casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica … viene redatto un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare le strategie di intervento più idonee e criteri di valutazione degli apprendimenti”. Circolare Ministeriale n.8 del 06/03/2013 sui Bisogni Educativi Speciali

9 Obiettivo di tutte le indicazioni rimane la presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni. Ciò comporta una PERSONALIZZAZIONE dell’insegnamento ed un riconoscimento delle differenze individuali per arrivare ad un effettivo accesso agli apprendimenti

10 Disturbi evoluti specifici
Per disturbi evolutivi specifici si intende. disturbi specifici dell’apprendimento, deficit del linguaggio, deficit delle abilità non verbali, deficit della coordinazione motoria, deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD).

11 Disturbi specifici dell’apprendimento
Con l’acronimo DSA si intende una categoria diagnostica , relativa ai Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento che riguarda i disturbi delle abilità scolastiche. La Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (CC-ISS, 2011) definisce i DSA «disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.

12 Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche:
• Dislessia, disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo); • Disortografia, disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica); • Disgrafia, disturbo nella grafia (intesa come abilità grafomotoria); • Discalculia, disturbo nelle abilità di numero e di calcolo

13 «La principale caratteristica di definizione di questa “categoria nosografica”, è quella della “specificità”, intesa come un disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale». Consensus Conference del 2007 (CC-2007)

14 ADHD L’ADHD si può riscontrare spesso associato ad un DSA o ad altre problematiche, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. Con frequenza elevata, l’ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva: disturbo della condotta. disturbo oppositivo provocatorio. disturbo d’ansia disturbo dell’umore

15 FUNZIONAMENTO COGNITIVO LIMITE
Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali , qualora non rientrano nelle previsioni della legge 104 o 170, richiedono particolare considerazione. Si tratta di bambini o ragazzi il cui QI non presenta elementi di specificità. Il ritardo in questi casi è legato a fattori neurobiologici e spesso in comorbilità con altri disturbi.

16 Strategie di intervento per i BES: PDP
Elaborare un percorso individualizzato e personalizzato per alunni con BES Piano didattico individualizzato La redazione del PDP è di competenza della scuola, ossia dei docenti del team di classe (nel caso di scuola primaria) e dei docenti del consiglio di classe (nel caso di scuola secondaria). È prevista la collaborazione della famiglia, come indicato nelle “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento” allegate al Decreto 5669/2011: «Nella predisposizione della documentazione in questione è fondamentale il raccordo con la famiglia, che può comunicare alla scuola eventuali osservazioni...».

17 Cosa deve contenere un PDP
Le “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento” allegate al Decreto 5669/2011 indicano che «… dovrà contenere almeno le seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte dal disturbo: dati anagrafici dell’alunno; tipologia di disturbo; attività didattiche individualizzate; attività didattiche personalizzate; strumenti compensativi utilizzati; misure dispensative adottate; forme di verifica e valutazione personalizzate».

18 Per ciascuna materia o ambito di studi vanno individuati gli obiettivi ed i contenuti fondamentali che l’allievo deve acquisire nell’anno scolastico. Vanno precisate le strategie metodologico-didattiche a lui più adatte, cioè che tengano conto dei suoi tempi di elaborazione, di produzione, di comprensione delle consegne.

19 Cosa e quali sono gli strumenti compensativi
«Gli strumenti compensativi» sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Fra i più noti indichiamo: la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto; il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della lezione; i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori; la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo; altri strumenti tecnologicamente meno evoluti, quali tabelle, formulari, mappe concettuali, etc.

20 Cosa sono le misure dispensative
«Le misure dispensative» sono invece interventi che consentono all’alunno o allo studente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Per esempio, non è utile far leggere a un alunno con Dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura. Rientrano tra le misure dispensative altresì le interrogazioni programmate, l’uso del vocabolario, poter svolgere una prova su un contenuto comunque disciplinarmente significativo, ma ridotto o tempi più lunghi per le verifiche. L’adozione delle misure dispensative, dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione».

21 Dall’individuazione della disabilità al Piano Educativo Individualizzato
Il comma 5 dell’art. 12 della legge Quadro identifica alcuni momenti significativi dell’iter finalizzato all’integrazione: Definizione della Diagnosi funzionale Predisposizione del P.D.F. Formulazione del PEI

22 DIAGNOSI FUNZIONALE deve essere compilata dagli operatori sanitari
rappresenta la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico-fisico dell’alunno in situazione di handicap ha caratteristiche di temporaneità e transitorietà (da rinnovare alla fine di ogni ciclo)

23 IL PROFILO DINAMICO FUNZIONALE
funzionale perché contiene: - Informazioni dettagliate utili per la scelta di obiettivi, di strumenti e di strategie - Potenzialità da valorizzare e sviluppare dinamico perché: - Può essere aggiornato durante l’anno scolastico in itinere - Deve essere aggiornato nel passaggio di grado di scuola superiore

24 P.E.I. Documento di sintesi che non si limita al solo progetto didattico, ma è un vero e proprio progetto di vita in cui vengono descritti tutti gli interventi finalizzati all’integrazione scolastica e sociale dell’alunno in situazione di handicap per un determinato periodo di tempo (primi quattro commi dell’art.12 della Legge 104/92) DELINEA UN PERCORSO PERSONALIZZATO E DIFFERENZIATO DI INTEGRAZIONE

25 PEI E PROGETTO DI VITA « Un buon piano educativo individualizzato deve sfociare in un “progetto di vita”, ossia deve permettere di pensare l’allievo non solo in quanto tale, ma come appartenente a contesti diversi dalla scuola (e non per questo ristretti alla sola famiglia). Soprattutto deve permettere un pensiero sull’allievo come persona che può crescere, che può, nella sua disabilità, diventare adulto (Ianes, Celi, Cramerotti, 2003).

26 STESURA PRATICA DEL P.E.I.
Presentazione della DF, anamnesi dell’alunno e contestualizzazione Analisi della situazione di partenza Percorso o progetto Individuazione e adattamento degli obiettivi della scuola, della classe in riferimento ad autonomia ed identità Individuazione e adattamento degli obiettivi specifici relativi alle discipline Attività, strategie e metodologie Materiali mezzi e strumenti Verifiche e valutazione Strategie per l’emergenza

27 Integrazione- Inserimento Inclusione
I docenti tutti hanno il compito di… confrontare i “deficit” e le “potenzialità“ con gli obiettivi della classe privilegiare le potenzialità individuare strategie, metodi e mezzi collegare il P.E.I. alla programmazione delle attività e degli interventi, fino alla determinazione degli obiettivi

28 Una classe a molti colori

29 “stavamo camminando lungo il marciapiede, quando abbiamo visto venire verso di noi un uomo alto, giovane con la pelle nera, color d’ebano. Ci siamo incrociati e subito dopo mia figlia mi ha chiesto: “mamma, hai visto quel sig.re olandese?”; “ma perché dici che è olandese?”. “Mamma! non hai visto che aveva gli zoccoli?”. (Il razzismo spiegato a mia figlia, T.B. Jelloun).

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31 La bambina e la madre vedono due cose diverse, anzi vedono con sguardi diversi: la piccola guarda in basso e vede un dettaglio, una persona con gli zoccoli; la madre vede l’intero, anzi l’alterità, il nero, non un uomo nero. Questa osservazione introduce il multiculturalismo delle generazioni: la cultura e l’immaginario dei bambini, degli adolescenti, dei genitori, dei nonni sono più lontane di quanto lo siano le culture “altre”: ossia arabi, cinesi , indiani.

32 Timore dei genitori italiani:
In molti pensano che una classe con tanti allievi stranieri sia un rischio, che abbia un ritmo di apprendimento rallentato, che non segua pienamente il programma, che gli insegnanti siano in difficoltà a causa dell’eccesso di diversità. Difficile superare il pregiudizio e accettare che la scuola è sempre più interculturale. Una riflessione sull’impatto che la presenza di molti alunni stranieri può avere sugli alunni italiani, sarebbe importante per frenare l’inesorabile esodo di bambini italiani e la creazione di scuole – ghetto.

33 Le aspettative dei genitori stranieri
Un’indagine svolta dall’Osservatorio sulle differenze del Comune di Bologna, «L’integrazione scolastica delle II generazioni di stranieri nelle scuole secondarie di I grado della regione Emilia Romagna», rivela che le variabili che influiscono sul rendimento e sull’integrazione dei ragazzi stranieri sono anche l’interesse dei genitori per l’andamento scolastico del ragazzo e il grado di padronanza della lingua italiana. L’interesse per la scuola da parte dei genitori immigrati con bassa istruzione è un segno di investimento sulla formazione dei figli, come istanza di «riscatto sociale»

34 Cosa vedono gli insegnanti:
“concentrazione di alunni stranieri” ma anche di ragazzi appartenenti a gruppi sfavoriti, in alcune zone o scuole si traduce in forte disuguaglianza nella riuscita scolastica e nella qualità della formazione ricevuta. È importante l’atteggiamento, la presentazione e il racconto di “quella classe colorata” che gli insegnati possono fare già ad inizio anno.

35 Se è vero che la varietà di presenza costituisce un elemento di complessità, educatori competenti, uso di libri e strumenti, valorizzazione delle lingue di origine, allora la complessità può trasformarsi in un elemento di vivacità e di attrazione.

36 Crescere tra due mondi: la difficile posizione della seconda generazione

37 I bambini e gli adolescenti di origine immigrata si trovano a vivere, nel nostro Paese, tra due mondi: quello di origine e quello di accoglienza. Spesso, il mondo di origine non è quello di provenienza poiché sono tanti ormai i minori stranieri residenti in Italia o nati in Italia da genitori stranieri.

38 Difficile è poi per questi ragazzi sentirsi parte di uno o dell’altro mondo, poiché è come chiedere loro di prendere una posizione rispetto ad una appartenenza che non ha una “condizione precedente” . Sicuramente tale collocazione tra due mondi influisce e segna il processo di costruzione della propria identità – appartenenza culturale e psicologica per chi ha vissuto uno spostamento (geografico, culturale, religioso, linguistico) e per chi è nato in Italia.

39 Ci saranno così minori stranieri che si sentono appartenenti alla propria cultura di origine e di questa valorizzano la continuità del passato, ma anche minori che si sentono accolti dalla cultura del paese ospite e privilegiano il loro presente.

40 Ovunque si collochi il minore, rispetto a queste due posizioni pur sempre marginali, ci sarà sempre un mondo più estraneo dell’altro in cui però è inserito (la famiglia, la società) e che caratterizza la scomoda posizione della “seconda generazione”.

41 Chi sono i migranti di seconda generazione?
Facendo riferimento alla raccomandazione del consiglio d’Europa del 1984, si considerano “migranti della seconda generazione” i figli di immigrati: Nati nel paese in cui sono emigrati i genitori; Emigrati insieme ai genitori; Che hanno raggiunto i genitori a seguito del ricongiungimento familiare o comunque in un periodo successivo a quello di emigrazione di uno o di entrambi i genitori (dizionario delle diversità 1998 p ).

42 Ciò che quindi sembra avere determinato il passaggio e lo scarto dalla prima alla seconda generazione di migranti è l’avere vissuto parte della socializzazione primaria e la socializzazione secondaria poi nel paese di accoglienza.

43 Per socializzazione primaria si intende la prima parte dell’esistenza, mediata dal rapporto con la famiglia e che fa da tramite tra i modelli condivisi di comportamento sociale e la formazione della personalità del bambino. Per socializzazione secondaria si intende quella fase che fornisce al bambino le competenze specifiche per operare all’interno dei contesti specifici e per svolgere determinati ruoli all’interno del contesto sociale. Fondamentale è l’interazione con il gruppo dei pari e gli insegnati, quindi la scuola.

44 Come si fa allora a identificarsi con una etnia, piuttosto che l’altra
Come si fa allora a identificarsi con una etnia, piuttosto che l’altra? Come può il minore scegliere e collocarsi quando entra in contatto con diverse ipotesi di identità etnica?: quella originaria e biologica della famiglia, quella del paese di accoglienza, quella che la famiglia ritiene essere l’etnicità del paese di immigrazione.

45 Cosa succede nel ragazzo:
Il ragazzo deve acquisire la sua identità culturale, deve arrivare ad una percezione del sé, ritrovandosi e oscillando tra un sistema culturale emotivamente intenso (la famiglia d’origine) e un sistema di significati e simboli socialmente forti e vincenti all’esterno (la società di accoglienza). Tutto ciò rinvia al minore un’immagine di diversità, più intensa di quanto possa essere vissuta dall’adulto.

46 Vari studi condotti su minori stranieri di seconda generazione confermano la difficoltà della realizzazione in pieno della propria soggettività. Sono ragazzi che hanno subito la scelta migratoria, non potendo dire la loro a riguardo; ma che comunque si trovano a dover prendere una posizione, quindi a scegliere se aderire alla cultura maggioritaria o all’ancoraggio al passato.

47 Cosa significa diventare grandi, costruirsi un’identità in un contesto che non è quello di origine, in un ambiente dove si realizza l’incontro e il confronto tra due culture a volte in contrapposizione?

48 Significa vivere tale processo in mancanza di forti modelli di identificazione. Il modello famiglia è debole e marginale, poiché ha valori e tradizioni diversi da quelli della cultura maggioritaria (es. di bambini che svalutano i genitori e le proprie origini). Dall’altro, la cultura maggioritaria, molto attraente per il ragazzo, non è in grado di colmare il bisogno di identificazione e di certezze poiché poco conosciuta.

49 COSA E’ UNA DIDATTICA INCLUSIVA?
Parlare di didattica inclusiva significa permettere a tutti gli alunni di raggiungere il massimo grado possibile di apprendimento e partecipazione sociale, ottimizzando le differenze presenti nel gruppo classe

50 Grazie per l’attenzione! Dott.ssa Graziella Morrone
psicoterapeuta


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