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Il segreto professionale
Il sanitario, inserito che sia in una istituzione sanitaria ovvero operante come libero professionista, contrae comunque con il paziente relazioni apportatrici di conoscenze pertinenti alla riservatezza, alla privacy della persona che a lui si affida. L'impegno alla riservatezza, non è solo di indole deontologica, quale impone da sempre il decoro professionale, ma anche di indole giuridica così da tradursi in un obbligo inviolabile stabilito dal codice penale a garanzia dei diritti del cittadino.
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C.P. ART. 622 VIOLAZIONE DEL SEGRETO PROFESSIONALE
C.P. ART. 326 VIOLAZIONE DEL SEGRETO DI UFFICIO CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA (ART ) ED ALTRI CODICI DEONTOLOGICI LEGGI SULLA TUTELA DELLA PRIVACY
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DEFINIZIONE Che cosa è il segreto?
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Segreto deve essere ritenuto ciò che non è comunemente noto, che fa ragionevolmente parte dell'intimità dell'individuo, del suo modo di vivere e del suo modo di essere non ovviamente palesi, non destinati comunque all'altrui comune conoscenza, di cui il sanitario abbia nozione a motivo della sua attività professionale.
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Nell'orbita del segreto professionale deve intendersi compreso il complesso dei fatti e delle circostanze, anche di indole non tecnica, di cui il sanitario sia venuto a conoscenza per effetto della propria attività professionale o scientifica e la cui rivelazione sia suscettibile di realizzare nocumento alla persona assistita o interessata alla attività dell'operatore sanitario. Rientrano pertanto nella tutela, non solo i dati di ordine tecnico-scientifico inerenti all'approccio sanitario-paziente, ma anche quanto di chiaramente estraneo all'ambito tecnico pervenga alla conoscenza del sanitario (rapporti familiari, di lavoro, ecc.).
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Prospettiva deontologica del segreto
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Art 23 legge n° 675 del 31/12/1996 sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali Per trattare i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute in mancanza di consenso dell’interessato, ciò è possibile in caso di necessità di tutela della incolumità fisica e della salute di un terzo o della collettività, limitatamente ai dati e alle operazioni indispensabili per il perseguimento di tale finalità e occorre disporre di previa autorizzazione del Garante.
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Non vi è dubbio, per principio deontologico assolutamente condiviso, che qualsiasi fatto conosciuto da qualsiasi professionista della salute, per ragione della sua professione, anche al di fuori dell’esercizio della stessa, a anche non inerente alle condizioni di salute della persona assistita, debba essere tutelata dal segreto
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Il nuovo dispositivo codicistico non costituisce altro che un rafforzamento dei compiti che già il medico era tenuto a osservare per quanto riguarda la tutela dei dati e delle notizie relative ai propri pazienti. A questo riguardo occorre notare come tra le cause che costituiscono "giusta causa" di rivelazione del segreto professionale è presente un punto c) che prevede la possibilità di derogare alle norme sul segreto professionale, laddove esista l'urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi anche in caso di diniego dell'interessato, ma previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali
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Un ulteriore punto da sottolineare concerne l'ultimo comma che sancisce "La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico dagli obblighi del presente articolo" .
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Il medico, quand'anche cessasse la propria attività e chiedesse la cancellazione dall'albo, non può ritenersi esentato dal rispetto del segreto professionale. E' questa una considerazione importante considerando che le rivelazioni concernenti la salute e i dati sensibili di alcuni pazienti potrebbero riguardare, inoltre, soggetti molto noti al pubblico e vi potrebbe essere un interesse economico per il medico, anche se non più professionalmente in attività, a utilizzare alcune conoscenze acquisite durante la propria vita professionale anche per scopi di lucro non certo commendevoli
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Occorre che tutti i professionisti informino i collaboratori del vincolo al segreto
Vincolo anche per i non professionisti, per i quali anche in assenza di un riferimento codicistico deontologico, la rivelazione del segreto professionale è punita dal codice penale (Stato o ufficio, professione o arte)
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Prospettiva giuridica del segreto
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Presupposto In base al rapporto tra una persona ed altre, possono venir resi noti segreti personali o semplici confidenze. In un rapporto non qualificato (amicizia, conoscenza) la confidenza è libera e non ne nasce un obbligo di fedeltà penalmente sanzionabile.
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In un rapporto qualificato, professionale, invece la confidenza non è libera, ma necessitata, totalmente o anche solo parzialmente, dalla mancanza di cognizioni tecniche, dalla necessità di provvedere ad un proprio bisogno (quello di salute) affidandosi ad una persona estranea (sanitario).
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“La tutela del segreto professionale si attua con l’incriminazione della violazione di quel particolare obbligo di fedeltà (detto anche fede professionale) cui il professionista è tenuto in base ad un interesse necessitato e in cui entra in gioco la sfera intima della personalità di colui che si confida”. (Bucciolotti M.).
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L’interesse alla riservatezza in questi casi viene protetto dalla legge penale.
Il reato di violazione di segreto professionale è collocato tra i reati contro la libertà individuale
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Libertà individuale “Il diritto alla riservatezza è un diritto fondamentale, ampiamente riconosciuto, in ambito etico e presumibilmente da considerare costituzionalizzato (art.2 Cost), anche se privo di una tutela giuridica complessiva” (Cattorini et al, 1992). 1996 Privacy
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Art.2 Costituzione La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
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Il diritto alla riservatezza è considerato giustamente una componente indispensabile del diritto fondamentale alla libertà personale.
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Art. 622 c.p. Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fîno a un anno o con la multa da € 30 a € 516. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, o liquidatori o se è commessa da chi svolge la revisione contabile della società. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
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La norma penale non specifica, in maniera esplicita, quali professionisti siano obbligati al segreto rivolgendosi a chiunque, in ragione della professione od arte contragga con il cliente un rapporto di fiducia tale da indurre conoscenza di fatti o di notizie altrimenti non acquisibile;
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ma la legge implicitamente comprende anche coloro che ne possono avere notizia per il loro stato od ufficio, dovendosi per stato intendere una situazione non professionale quale integrano rapporti familiari, di convivenza, di dipendenza e per ufficio ogni altra condizione di rapporto col depositario di segreto integrato dall'esercizio, permanente o temporaneo, a titolo oneroso o gratuito, di speciali funzioni che, pur non avendo natura professionale in senso stretto, qualificano ufficialmente la persona come oggetto di una particolare specie di attività sociale. Per cui sono vincolari al segreto professionale anche coloro che siano venuti a conoscenza di notizie ricevute o recepite nello svolgimento di un compito ancorché occasionale.
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La espressione “avendo notizia” è indicativa della volontà di non porre limiti o restrizioni al modo in cui il sanitario è venuto a conoscenza del segreto.
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La rivelazione del segreto può avvenire in qualunque modo (dichiarazioni verbali o scritte, ammiccamenti, etc …). Può verificarsi anche una fattispecie omissiva (lasciando che altri vengano a conoscenza di ciò che si ha il dovere giuridico di tenere segreto).
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Non deve essere confusa con la trasmissione del segreto, spesso necessaria in ambito sanitario (studenti, praticanti, ecc.). Il dato che contraddistingue quest’ultima dalla rivelazione è l’obbligo di mantenere il segreto che grava su chi tale trasmissione riceve
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Dalla rivelazione del segreto deve derivare nocumento reale o potenziale, la punibilità del reato è condizionata quindi dalla sussistenza del pericolo di nocumento inteso come qualsiasi detrimento giuridico apprezzabile, patrimoniale o non patrimoniale, fisico o morale, pubblico o privato; il pericolo quindi implica un concetto di possibilità e non di probabilità.
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Nodo principale della problematica sul segreto è la questione della rivelazione: se questa sia illegittima, avvenuta, cioè, senza giusta causa. Non sussiste reato quando la rivelazione del segreto avvenga per giusta causa, condizione che non va intesa nel senso corrente o usuale, bensì con riferimento a cause di giustificazione previste dalla legge.
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Si tratta di particolari contingenze proprie dell'ordinamento giuridico che possono riassumersi:
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a) nei doveri legali del sanitario, quali le imposizioni di informativa da cui, per forza di legge, lo stesso non può esimersi e che sono identificabili nelle denunce sanitarie, nel referto o rapporto, nelle certificazioni, nella perizia o nella consulenza d'ufficio;
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b) nelle scriminanti, espressamente previste dal codice penale, e che escludono la punibilità di colui che abbia commesso il fatto (rivelazione del segreto) col consenso del paziente o di chi ne ha la legale rappresentanza (art. 50 c.p.); ovvero in conseguenza di causa fortuita o di forza maggiore (art. 45 c.p.) (smarrimento o furto di documenti); perché indottovi da altri: violenza (art. 46 c.p.) errore (art. 47 c.p.) od inganno (art. 48 c.p.) ; ovvero nell'adempiere un dovere imposto dalla legge (art. 51 c.p.) o per salvare da un ingiusto nocumento la sua persona (art. 52 c.p.) o, in fine, in stato di necessità (art. 54 c.p.).
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Conclusioni Il paragone fra norma deontologica e norma penale mette in risalto alcune sostanziali differenze. Ai sensi dell'art. 622 del codice penale, infatti, la rivelazione del segreto professionale è punibile solo se ne possa derivare nocumento.
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Il codice deontologico, invece, nel confermare l'importanza strettamente etica del principio stesso, non fa questa distinzione e prevede, quindi, la sanzionabilità del comportamento del medico anche quando dalla rilevazione non derivi danno ad alcuno.
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Art. 200 c.p.p. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'Autorità Giudiziaria: a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici e i notai; c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale. Il Giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
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Art. 326 c.p. Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio
Il pubblico ufficiale, o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
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Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbono rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni”.
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Art 21 legge 194/78 Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 326 del codice penale, essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l’identità – o comunque divulga notizie idonee a rivelarla – di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge, è punito a norma dell’articolo 622 del codice penale
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Giusta causa Causa socialmente rilevante?
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Può ritenersi giusta, come una parte della dottrina pretenderebbe, la cosiddetta causa socialmente rilevante, la rivelazione cioè di segreto al fine di tutelare un altrui interesse (ad es. la rivelazione ai familiari di una malattia infettiva che deve essere oggetto di denuncia all'Autorità Sanitaria non già di confidenza con i parenti dell'ammalato) allorché la rivelazione possa causare nocumento anche solo morale al proprio paziente?
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Oppure è corretta la interpretazione di chi ritiene che la espressione giusta causa altro non sia che una formula riassuntiva attraverso la quale si richiamano le già elencate cause di esclusione della punibilità previste dal codice, le norme imperative (denunce obbligatorie), le norme permissive (diritto di astenersi dal testimoniare, ai sensi dell'art. 200 c.p.p.) che, però, nel precisare che non possono essere obbligati a deporre alcune categorie di persone, implicitamente ammette la legittimità dell'eventuale testimonianza qualora volontariamente prestata?
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Una forte dialettica si è accesa nella attualità proposta dal progresso scientifico e dalla esplosione di patologie (AIDS) o di potestà mediche che vanno ad inserirsi nella sfera più intima della persona e della vita stessa (tests genetici, biotecnologie, procreazione medicalmente assistita) nel confronto con le quali occorre, necessariamente, disponibilità di dati, da impiegare sia nell’interesse del singolo cittadino ma anche, ed eventualmente, della intera comunità per fini di tutela della salute collettiva.
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Caso simulato Gianni è un impiegato trentenne che si reca all’ambulatorio di malattie infettive di una città del Nord Italia per ritirare l’esito del test HIV. Dopo un periodo di difficoltà in cui aveva fatto uso di eroina, era tornato al suo lavoro e si era sposato con Mara, una ragazza all’oscuro del suo passato. I due avevano avuto un brutto periodo a causa di una relazione di Gianni con una collega di lavoro. Mara se ne andò di casa ma fu convinta a tornare dalle parole di pentimento di Gianni. Una frase di Mara: “fammi soffrire un’altra volta e ti lascerò per sempre” risuona nelle orecchie di Gianni.
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L’esito del test è positivo e Gianni entra in una profonda crisi
L’esito del test è positivo e Gianni entra in una profonda crisi. Ricontatta il medico psicoterapeuta che già lo aveva seguito e gli confida tutto. Su una cosa Gianni è categorico: non intende dire nulla alla moglie con la quale il rapporto è ancora molto fragile. Il medico ricorda a Gianni che l’AIDS si trasmette con i rapporti sessuali e Gianni afferma che questi sono infrequenti e che egli usa il preservativo.
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Il medico invita Gianni a pensare alla possibilità di dire tutto alla moglie e si offre per un incontro a tre. Gianni prende male questo consiglio e, piano piano, con varie scuse dirada le sedute dal medico e poi prende la decisione di interromperle definitivamente. Conferma la sua decisione di non informare la moglie.
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Il medico gli risponde che non condivide questo atteggiamento e, appena Gianni esce dallo studio chiama il suo vecchio primario per avere lumi. Questi gli dice che il segreto professionale è inviolabile, un dovere assoluto e che lui non rivelerebbe nulla alla moglie.
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Il medico psicoterapeuta è in un grave dilemma morale e decide di pensarci sopra, rimandando per ora la prima idea che era stata quella di telefonare direttamente a Mara.
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Tu che cosa faresti?
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Bruno, ex – tossicodipendente, dopo un lungo periodo di sofferenza riesce a ricostruire un buon equilibrio nella propria vita, si inserisce in una azienda agricola dove, oltre al lavoro, trova il sostegno di amici tra cui Veronica che diventa la sua ragazza. Nel corso di un breve ricovero, esegue un test HIV che risulta positivo. Decide di non rivelare a nessuno, tantomeno a Veronica, la sua sieropositività.
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Ripetutamente la equipe sanitaria che lo segue cerca di far ragionare Bruno sull’importanza di prendere tutte le precauzioni necessarie per non infettare Veronica, ma anche di rivelarle la verità sul suo stato di salute. Bruno rifiuta. Un infermiere del reparto viene casualmente a sapere che la ragazza di cui parla Bruno è sorella di un suo amico; inizia così una dura lotta psicologica per l’infermiere che si sente lacerato tra il dovere di riservatezza nei confronti del suo assistito e il senso di responsabilità verso Veronica.
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I tentativi di persuadere Bruno a parlare con Veronica falliscono, così l’infermiere, con profonda sofferenza, decide di agire attraverso una lettera anonima indirizzata a Veronica nella quale racconta tutto sullo stato di salute di Bruno.
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Tu che cosa avresti fatto?
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Gli elementi di giudizio utilizzabili nella valutazione in concreto della giusta causa sono:
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a) il bilanciamento degli interessi (l'interesse per la cui tutela viene violato il segreto deve essere percepito nella coscienza etica della collettività - e questo ovviamente lo stabilisce la giurisprudenza - come più rilevante di quello che il segreto intendeva tutelare); b) la adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo (la tutela dell'interesse confliggente con il mantenimento del segreto non avrebbe potuto essere esperita se non con la condotta di rivelazione).
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Codice deontologico L’estensore del codice inserisce una certa flessibilità rispetto al segreto: possibilità di derogare dall’obbligo? Esistono deroghe previste per legge e deroghe, per così dire, facoltative, ispirate ad un concetto di tutela di un terzo soggetto su cui potrebbero ricadere le conseguenze di una mancata conoscenza dello stato di salute del paziente.
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La deroga contemplata dagli artt. del c. d. m
La deroga contemplata dagli artt. del c.d.m. prevede che qualora mantenere il segreto costituisca grave nocumento alla salute o addirittura alla vita di una terza persona ignara, il medico, valutata l’urgenza della situazione, possa non rispettare il precetto deontologico del segreto. Ma quando ?
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Art.10 c.d.m. La rivelazione è ammessa ove motivata da una giusta causa, rappresentata dall’adempimento di un obbligo previsto dalla legge (denuncia e referto all’Autorità Giudiziaria, denunce sanitarie, notifiche di malattie infettive, certificazioni obbligatorie) ovvero da quanto previsto dai successivi artt. 11 e 12.
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Al medico peraltro è consentito il trattamento dei dati personali del paziente in assenza del consenso dell’interessato solo ed esclusivamente quando sussistano le specifiche ipotesi previste dalla legge ovvero quando vi sia la necessità di salvaguardare la vita o la salute del paziente o di terzi nell’ipotesi in cui il paziente medesimo non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire e/o di intendere e di volere; in quest’ultima situazione peraltro, sarà necessaria l’autorizzazione dell’eventuale legale rappresentante laddove precedentemente nominato.
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Problema Tale facoltà sussiste nei modi e con le garanzie dell’art. 11 anche in caso di diniego dell’interessato ove vi sia l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi.
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Alcuni principi “etici”
Il principio di autonomia esige il rispetto della volontà del malato, che, nei casi riportati, ha espressamente e risolutamente chiesto al sanitario di tacere. Qualcuno potrebbe ribattere che il principio di autonomia non sarebbe del tutto trasgredito se il sanitario chiedesse al malato di fare lì stesso la rivelazione e lo avvertisse che questo è un dovere sociale inderogabile. La preferenza del malato (che chiede di tacere) non sarebbe soddisfatta, ma si sarebbe almeno cercato il più possibile una collaborazione alla pari.
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Il principio di beneficialità o non maleficità va nella medesima direzione: se un malato perde la certezza che il suo medico sarà massimamente riservato, non si farà più curare e, quindi, ne riceverà un danno.
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Il principio di giustizia può essere interpretato in due modi:
Anzitutto va considerato il grave danno per la società proveniente dalla caduta di fiducia nella riservatezza dei professionisti sanitari: molte persone eviterebbero le cure mediche con grave danno loro e di altri.
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D’altra parte però il principio di giustizia esige che il sanitario tenga in debito conto le gravi conseguenze (per terze persone) provenienti da una decisione clinica attuata per il bene del malato. Nei casi in questione vi sarebbe un pericolo grave (per la salute e la stessa vita) a carico di un terzo ignaro, un pericolo perfettamente evitabile con la dovuta informazione e la modificazione del comportamento.
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Il principio di integrità morale della professione impone al singolo sanitario di considerare le ricadute che la sua condotta avrà anche sull’immagine pubblica della professione.
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Cass. Pen. sez. 1, 14 giugno 2001, n. 30425. Pres. Fazzioli, Rel
Cass. Pen. sez. 1, 14 giugno 2001, n Pres. Fazzioli, Rel. Vancheri, P.M. (conf.) Galasso, ric. PG in proc. Lucini La condotta del soggetto che, pur consapevole di essere affetto da AIDS, abbia contagiato il coniuge intrattenendo rapporti sessuali senza alcuna precauzione e senza informarlo dei rischi cui poteva andare incontro, sino a determinarne la morte, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e non quello di omicidio volontario.
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Caso Tarasoff Il 27 ottobre 1969 Prosenjit Poddar uccise Tatiana Tarasoff. I genitori di Tatiana affermarono in sede legale che due mesi prima Poddar aveva confidato la sua intenzione di uccidere Tatiana al dott. Lawrence Moore, psicologo a Berkley. Su richiesta di quest’ultimo, la polizia garantì un temporaneo confino di Poddar per osservazione, ma dato che Poddar appariva capace di intendere e di volere, egli fu rilasciato. Il superiore di Moore ordinò che nessuna ulteriore misura venisse presa nei confronti di Poddar.
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I giudici della Suprema Corte espressero due pareri:
Il primo, di maggioranza, sostenne la necessità della rivelazione, anche appellandosi alla versione del 1975 dei Principi di etica medica propri dell’American Medical Association. (Un medico non può rivelare segreti confidatigli nel corso della pratica medica … a meno che egli abbia l’obbligo di farlo in base alla legge oppure per il fatto che ciò sia necessario al fine di proteggere il bene dell’individuo e della società)
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L’opinione di minoranza obiettò invece che il presunto dovere di informare la potenziale vittima non porta affatto beneficio alla società, perché rende più arduo il trattamento psichiatrico, soffoca fondamentali diritti dei malati ed aumenta il numero degli episodi di violenza che i malati di mente potrebbero commettere.
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Qualche conclusione ? Come per ogni altro atto medico condotto con responsabilità e sensibilità, ogni decisione costringe il sanitario a vagliarne le possibili conseguenze caso per caso, mettendo sulla bilancia i pro e i contro nei confronti del paziente, ma anche della terza persona coinvolta (è superfluo aggiungere che solo quest’ultima potrebbe, al limite, essere destinataria della rivelazione del segreto).
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Bilanciamento di interessi?
Nella valutazione non potranno, comunque, non pesare le possibili gravi conseguenze sulla salute della terza persona coinvolta, messa fortemente a rischio dal silenzio del medico. Bilanciamento di interessi?
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