Scaricare la presentazione
La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore
PubblicatoSimona Mosca Modificato 5 anni fa
1
Antigone Nota: le citazioni sono tratte dalla traduzione di Franco Ferrari per la BUR. Per la lettura della tragedia, va bene qualsiasi traduzione italiana. Per la conoscenza di due drammi fondamentali (Anouilh, Brecht) nella ricezione dell’ Antigone nel ‘900 si consiglia: Antigone. Variazioni sul mito, a cura di M.G. Ciani, Venezia, Marsilio (più volte ristampato)
2
Ricezione di un mito Significa: come un mito (antico) è stato usato, rielaborato, riscritto nelle epoche successive. Per capire la ricezione è necessario conoscere a fondo le epoche nelle quali questa ricezione avviene. Il ‘mito’ ( termine che in greco significa ‘parola’, ‘discorso’) non è facilmente definibile. Esso va distinto dalla mitologia, cioè dai specifici racconti che hanno protagonisti, vicende, conclusioni. Il mito è un linguaggio, che si serve di simboli e non di un discorso logico, dimostrativo.
3
Antigone Il mito di Antigone, così come ha influenzato la letteratura, l’immaginario, la speculazione successiva, è legato alla tragedia di Sofocle che porta questo titolo. Sofocle non ha inventato questo mito, ma lo ha rielaborato e portato in scena in una tragedia che ha influenzato in maniera decisiva l’immaginario (la letteratura e l’arte, ma non solo) delle epoche successive. Il mito di Antigone ha una ricezione immensa, difficilmente sintetizzabile. Un classico sulle ricezioni del mito è di George Steiner, Le Antigoni, tradotto in italiano per Garzanti. Si tratta di un libro utile, ma ormai datato.
4
Le linee principali del mito
Antigone, con la sorella Ismene, sono le uniche sopravvissute della famiglia di Edipo. Si tratta di una famiglia decisamente particolare, in cui i legami parentali sono sovvertiti: il padre è anche il fratello dei suoi quattro figli, poiché ha sposato (anche se involontariamente) la madre, Giocasta. La vicenda di Antigone rappresenta dunque la conclusione e la conseguenza della storia di tutta la sua disgraziata famiglia, su cui pende un’antica maledizione.
5
Le linee principali dell’ Antigone
Il plot della tragedia di Sofocle è piuttosto semplice. Siamo all’alba dopo la fine della guerra tra Argo e Tebe; Tebe ha vinto, nel senso che ha allontanato i suoi nemici. La vittoria, però, è costata cara, perché si sono reciprocamente uccisi Eteocle (che deteneva il potere) e Polinice (che aveva portato guerra alla sua città, per esigere la sua parte di potere, a capo dell’esercito di un’altra città, appunto Argo). Prende il potere Creonte, che è l’erede maschio legittimo (è il fratello di Giocasta). Le donne non potevano salire al trono.
6
Il gesto di Antigone Creonte deve dunque ristabilire la pace e rassicurare la città. Perciò dimostrativamente, appena preso il potere, decreta che il cadavere di Polinice, caduto per mano del fratello mentre stava dando l’assalto alle mura della città, resti fuori da essa, insepolto. Si tratta di una duplice offesa postuma: al cadavere, a cui si nega la sepoltura; ad un membro della famiglia reale, a cui si nega il (simbolico) ritorno a casa. Antigone si ribella a questo e decide di dare sepoltura al cadavere del fratello, mettendo così in pericolo la propria vita, perché Creonte ha decretato la pena di morte per chi avesse infranto la sua norma. Antigone cerca prima la complicità della sorella Ismene, che però gliela rifiuta. Viene catturata mentre sta dando una simbolica sepoltura al cadavere di Polinice e condotta davanti al Re. Qui i due giungono ad un contrasto di parole.
7
Analisi della tragedia (1)
La tragedia comincia all’alba. In scena ci sono due ragazze. Una è sconvolta, dovrebbe portare i segni di una lunga veglia, del fatto che non ha dormito; l’altra, invece, ha più l’aria sorpresa, attonita. Sappiamo che è appena uscita dal palazzo, da cui Antigone dice che l’ha mandata a chiamare. Già in questa indicazione c’è la diversità tra le due sorelle: Antigone si trova fuori dall’oikos, dalla ‘casa’, che è il luogo dove devono stare le donne, secondo il loro ruolo sociale: sapremo infatti subito che Antigone ha ascoltato, evidentemente recandosi sui luoghi del combattimento, il decreto del nuovo re. L’altra invece, Ismene, si presenta subito come più consona al ruolo che deve essere tenuto dalle donne in generale, dalle vergini e nobili in particolare.
8
Il primo verso Il primo verso della tragedia è difficile da tradurre. C’è il nome di Ismene, il che è tra l’altro necessario perché il pubblico capisca subito chi siano i personaggi: ma a questo nome proprio, dall’etimologia incerta, forse legato al fiume di Tebe (Ismeno), forse collegato alla radice del verbo che in greco significa ‘sapere’, Antigone associa due aggettivi: ‘comune’ e ‘sorella nata dallo stesso padre e dalla stessa madre’. Inoltre non dice semplicemente ‘Ismene’, ma usa una perifrasi: ‘O testa di Ismene’, con cui intende anche il volto di Ismene, quei tratti certamente a lei simili che attestano e rinforzano il legame tra loro. Un verso così pletorico serve a iniziare enfaticamente la tragedia, e a mostrare subito cosa è che sta a cuore di Antigone: i legami della famiglia.
9
…a noi sopravvissute Antigone non arriva subito al punto, è agitata, parla in maniera convulsa (in greco le parole non risultano nemmeno ben legate grammaticalmente), e tuttavia prepara la sorella a quello che vuole dirle ricordando, attraverso il nome del padre, i mali che sono caduti sulla loro stirpe: nulla che non sia indegno, turpe, doloroso non hanno già conosciuto, eppure qualcosa ancora gli dei hanno in serbo per loro due, che sono le uniche sopravvissute. Proprio all’inizio, Antigone dà enfasi all’idea della sopravvivenza, perché il suo scopo sarà cercare di dire alla sorella che, dato che sono sopravvissute, hanno il dovere di vivere evitando, per quel che a loro spetta, la vergogna. Già di per sé, però, sopravvivere a tanti grandi mali costituisce motivo di vergogna.
10
… hai sentito cos’è quest’editto?
Antigone procede per domande, alle quali sa che la sorella non può rispondere: da una parte sembra quasi che voglia mettere alla prova la sorella (hai sentito quel che accaduto?), capire come mai non è agitata e sconvolta come lei, dall’altra Antigone vuole far capire che è accaduto qualcosa di gravissimo, come se la guerra non fosse ancora finita: o meglio, se è finita la guerra della città, adesso inizia un’altra guerra, famigliare stavolta (ignori le insidie che i nostri nemici tramano contro chi ci è caro?)
11
…niente che mi rallegri o mi rattristi
Ismene sembra sotto choc. Non ha sentito nulla di nuovo, ma sa che i due fratelli sono morti, anzi: che si sono reciprocamente uccisi. Questo fatto terribile sembra averla sprofondata in uno stato di inerzia: non ha da rallegrarsi, nemmeno perché la guerra è finita e la città è salva. Per lei è come se il tempo si fosse fermato quando ha saputo della morte dei due fratelli, ossia della fine della sua famiglia, perché sono gli uomini a detenere il potere. Tutto quello che avviene dopo la guerra, vedrà la famiglia di Edipo, che regnava sulla città, del tutto ai margini del potere. Sembra che per questo Ismene si sia isolata, abbia preferito la propria solitudine all’informazione sui fatti nuovi, di cui invece Antigone è andata in cerca. Quindi Ismene ignora, o fa finta di ignorare, anche che c’è un nuovo re.
12
… ti ho fatta chiamare dal palazzo, perché tu sola udissi
Antigone non può aver urlato nella notte, ‘ha fatto venire fuori’ Ismene (forse con un messaggero?): bisogna ubbidire ad una necessità drammaturgica del teatro greco. Tutto deve svolgersi fuori, all’aperto. Tuttavia Antigone parla come se stesse dando inizio ad una cospirazione: ‘perché tu sola udissi’. Quello che ha da dire riguarda solo loro due, perché è appunto un affare di famiglia. Ma d’altronde, una volta che c’è un nuovo re, loro hanno perso il loro stato privilegiato. Inoltre Antigone sa (ma Ismene no) che il decreto di Creonte deve essere rispettato, oppure ci sarà la pena di morte, e quindi non può dire qualcosa che vada contro il nuovo re facendosi sentire.
13
…un pensiero ti turba Per dire ‘turbare’ Sofocle usa un verbo metaforico, che viene dalla parola che vuol dire ‘porpora’: già i commentatori antichi notavano l’etimologia di questo termine. Come la conchiglia che produce la porpora turba il colore del mare, tingendolo di rosso, così turbati sono i pensieri di Antigone. Dallo stesso verbo viene il nome di Calcante, che è l’indovino dell’armata greca nell’ Iliade. Finalmente Antigone dice alla sorella che cosa ha in mente: seppellire il fratello, e fa una dimostrazione di come questo decreto sia abominevole, descrivendo nei dettagli lo stato in cui Creonte vuole che sia lasciato il corpo di Polinice.
14
… è prevista la pena di morte per lapidazione
Si tratta della pena usuale per chi ha commesso gravi crimini nel diritto attico, ma Creonte, come vedremo, la acuirà ancor di più e la renderà più ‘disumana’ (dal nostro punto di vista). Antigone conosce nei dettagli il contenuto del decreto, che pure deve essere ancora annunciato alla città. E’ esasperata dal fatto che questo decreto valga anche per loro due, le sorelle, e per lei in particolar modo. Insomma: Antigone non accetta che il nuovo Re non abbia rispetto per la famiglia del morto. Proprio però nell’aver pensato un tale decreto ‘da solo’, senza cioè essersi consultato pubblicamente con i cittadini o con altri, si intuisce già la natura autoritaria del nuovo re.
15
… e ora mostrerai se sei nata nobile
Antigone subito pone l’accento sulla ‘nobiltà’ della stirpe, che esige una serie di doveri. Il linguaggio di Antigone è palesemente militare, come abbiamo detto si sta ingaggiando in una nuova guerra a livello familiare: è una norma dell’etica eroica greca che non si deve venir mai meno alla gloria (kleos) dei genitori. Ma questa norma vale per i maschi, per i soldati, non per le donne. Invece Antigone qui vuole richiamare Ismene proprio al rispetto di quell’etica. Non casualmente Creonte, vedendo in questo atteggiamento combattivo il rispetto di un’etica militaresca maschile, la paragonerà ad un uomo.
16
Vuoi seppellirlo, infrangendo il pubblico divieto?
Ismene è sconcertata: dapprima non capisce proprio a cosa Antigone stia pensando, poi, con una serie di domande, sembra quasi volersi rendere conto di aver capito bene. Antigone vuole fare ciò che è proibito alla città, ed andare personalmente contro il re. Non capisce come questo sia possibile, ma Antigone risponde con una battuta che non ammette repliche: ‘non sta a lui (cioè a Creonte) separarmi dai miei’. Antigone qui intende dire: Creonte non può spezzare il legame con la mia famiglia, e sulla base di quel legame, io devo seppellire Polinice. Per Antigone, Creonte è diventato un ‘nemico’ da combattere ad ogni costo. La tragedia, specie all’inizio, gioca sull’ambiguità del significato del termine nemico: per Creonte nemico è chiunque attenti al bene della città, e con ciò smette di essere qualsiasi altra cosa, persino – come nel caso di Polinice – un principe ereditario. Antigone ha un’altra gerarchia, che pone la famiglia al primo posto: un fratello, se pure è diventato nemico dello Stato, non per questo smette di essere fratello, e perciò deve essere onorato. Invece un re che agisce per la città, ma che così trasgredisce legami preesistenti, diventa un nemico. In generale, Antigone si pronuncia per ‘l’amore’, ossia non in senso universalistico per l’amore per tutti: ma per legami, anche politici, che siano basati sull’amore, sull’affinità, sulla comprensione e non sull’odio. Il decreto di Creonte, infatti, essendo del tutto inutile se non come spauracchio e per diffondere il terrore, è una manifestazione d’odio, per Antigone (ma non solo per lei) inconcepibile.
17
… dobbiamo ricordarci che siamo donne
Il discorso di risposta di Ismene è così costruito: 1. la nostra famiglia è già stata segnata da tanti lutti. Noi due sopravvissute non possiamo esporci al pericolo di morte. 2. In ogni caso, noi siamo donne e deboli e quindi destinate ad obbedire e a soccombere, qualunque cosa ci si comandi. 3. Perciò io non farò niente contro questo decreto: Agire al di là dei propri limiti è insensato. Ismene non discute la giustizia dell’azione di Antigone, ma piuttosto la sua impossibilità.
18
Il dissidio di Antigone e Ismene
Prima che sull’atto concreto della sepoltura, il dissidio di Antigone e Ismene avviene sulla concezione stessa della vita. Antigone ha una concezione eroica: la vita deve essere vissuta con onore, oppure non ha alcun senso vivere. Tutti dobbiamo morire, ma proprio per questo conta la maniera con cui viviamo. La sopravvivenza ad ogni costo non ha senso. Per Ismene, invece, tutelare la vita e non metterla in pericolo è un dovere. Non bisogna seguire ideali che sono utopici, soprattutto non bisogna per questo rischiare di morire, ché anzi il più alto ideale è la vita, l’esistenza stessa.
19
Resta pure quale tu vuoi essere
Antigone capisce che una profonda differenza di concezione del valore dell’esistenza la separa dalla sorella: per lei sarà ‘bello morire’ per aver sepolto il fratello, proprio come per un soldato è bello morire per la patria o per il suo comandante. Il ‘crimine’ che lei vuole compiere è del resto ‘sacro’, perché risponde ad una volontà degli dei, o meglio è un rito conforme alla tradizione religiosa. Ma Ismene è ugualmente libera di scegliere la sua vita senza onore, anche nei confronti degli dei, ma soprattutto nei confronti di se stessa, non mostrandosi all’altezza della sua famiglia.
20
Non è una questione di principi
Ismene tenta di difendersi, dicendo che non ha in ‘spregio’ la volontà degli dei, non la disonora. Ma non è ‘capace’, ‘è senza mezzi’, per opporsi alla violenza dei cittadini. Certo, Ismene interpreta a modo suo quello che Antigone le ha detto: per lei il decreto non è un atto di autorità del solo Creonte, ma un atto condiviso da tutti i cittadini. Si, anche Ismene crede di trovarsi davanti ad un abuso: ma da sola non può certo combattere contro tutta una comunità. Come donna, si è trovata e si troverà più volte davanti ad abusi e a infamie, davanti alle quali deve soccombere.
21
Io andrò a cospargere di terra il fratello che amo
Antigone è agitata, non ha tempo per imbarcarsi in dimostrazioni e in lunghi discorsi. Lei però non ha in nessun conto la collettività, il resto della città. Pensa di ingaggiare un duello personale con Creonte, e non ha nessuna paura degli altri: per questo dice alla sorella che può, anzi deve, gridare a tutti quel che ha intenzione di fare. Le due sorelle si separano. Per Ismene, Antigone va via da ‘pazza’; e tuttavia alla fine le dichiara il suo amore, o meglio ribadisce che la sua famiglia (quello che rimane della famiglia) le vuole bene. Ma lo dice ‘a parte’, troppo tardi, Antigone è già andata via. Del resto, nella sua ansia di agire, Antigone non sembra tenere in gran conto nemmeno l’amore degli altri: sicuramente non chiede l’amore di Ismene, ma la sua concreta partecipazione; né ricorda mai Emone, il suo promesso sposo. E’ anzi Ismene a ricordare a Creonte, quando Antigone sarà catturata, che non può davvero condannare a morte la fidanzata del figlio.
22
Raggio del sole… Canto del coro (composto dai vecchi tebani) mentre entra in scena, che celebra il sorgere del sole nella città sconvolta dalla guerra. Serve a dare un resoconto dei fatti passati, della grande paura, della lotta alle porte della città, dell’uccisione reciproca di Eteocle e Polinice. I particolari coloristici della descrizione sono molto vividi, la descrizione procede per immagini. Il canto è chiuso dall’evocazione di Dioniso / Bacco.
23
…sono io che per stretta parentela coi morti detengo il trono e il potere…
Creonte (il nome significa ‘colui che è potente’) tiene innanzitutto a mostrare la legittimità del suo potere: non ha raggiunto il trono reale con un colpo di stato, ma perché i figli di Edipo (che avevano ambedue diritto a regnare) si sono uccisi. Sottolineando il diritto di regnare, Creonte invita anche alla lealtà i vecchi di Tebe, che sono sempre stati fedeli alla casa reale. Invero, Creonte ha già deciso di non seppellire Polinice senza interpellare i vecchi: ha dato già prova, cioè, di voler esercitare un potere che confina pericolosamente con il potere assoluto. Ha comunque necessità di presentarsi adesso alla città e di garantire i buoni propositi del suo governo.
24
Sono questi i principi in base ai quali farò grande questa città
Questi principi sono: bisogna governare senza aver paura di nulla; bisogna annientare i nemici della patria. Ma Creonte ha piuttosto messo le basi perché venga accettato il suo decreto. Egli infatti non ha ‘paura’ di emanarlo, sebbene possa sospettare che non troverà unanime consenso, e vuole anche imporre una sua particolare visione di chi è ‘nemico’ dello Stato, perché Polinice, per discendenza familiare, non lo era, e la sua guerra non aveva come motivazione la rovina di Tebe, al cui trono anzi aspirava. Creonte usa la metafora di grande fortuna letteraria dello Stato come ‘nave’, che ha bisogno dunque di un buon timoniere: la prima attestazione per noi di questa immagine è nel poeta lirico Alceo (VI sec. a.C.).
25
…pasto di cani e di uccelli
Una palese allusione all’inizio dell’ Iliade, allo scenario desolato per cui l’ira di Achille provoca immense perdite tra i Greci, e i corpi sono lasciati in preda alle fiere e agli avvoltoi. Ataviche credenze religiose rendono lo scempio del cadavere terrificante, non solo per la famiglia e per i suoi amici, ma anche per la comunità avversa, per i vincitori, che si macchiano così di un ‘miasma’, di un’empietà contagiosa davanti agli dei. Proprio sull’abominio commesso da Creonte, ruotano Le Supplici di Euripide, che abbiamo commentato nella prima parte di queste lezioni. Nella conclusione di questo suo primo discorso, Creonte enfatizza molto il proprio ‘io’. Ed infatti il coro interpreta questa volontà come soggettiva e gli dice che lui ha il potere di decidere sia dei morti che dei vivi. Tuttavia il Coro non approva esplicitamente la decisione di Creonte, ed equivoca le sue parole:pensa che il nuovo Re voglia affidare loro la guardia del cadavere.
26
…di non metterti dalla parte dei ribelli
Come ogni tiranno, Creonte vive nella paura della cospirazione. Chiedere al Coro di non appoggiare eventuali rivoltosi al suo decreto, esprime la consapevolezza che la guerra a Tebe aveva anche i caratteri di guerra civile, perché Polinice aveva diritto a regnare non meno di Eteocle. Esprime anche la paura che ci sia chi non accetti di buon grado il suo governo, paura che ritorna anche in seguito. Altra ossessione di Creonte, manifestata più volte nella tragedia, è che ci sia chi, con il denaro, voglia corrompere i cittadini per cospirare contro di lui. Sospetterà addirittura che sua stato corrotto Tiresia, sacerdote ed indovino.
27
Nessuno è così folle da cercare la propria morte
Il Coro non risponde comunque entusiasticamente a Creonte, approvando cioè in tutto e per tutto il suo decreto. Piuttosto assume un atteggiamento di rassegnata sottomissione al potere e manifesta la sua ovvia paura nei confronti della pena di morte. Più oltre nella tragedia, Antigone dirà che molti approvano la sua azione, ma tacciono per paura. Anche questo elemento (il terrore suscitato) concorre ad una rappresentazione tirannica di Creonte. Le buone leggi non dovrebbero aver bisogno di pene tanto gravi per chi le trasgredisce, e comunque il sostegno chiesto da Creonte ai vecchi perché vigilino sull’osservazione della legge è un sintomo di insicurezza.
28
Mio sovrano…. L’entrata in scena della guardia ha degli indubbi effetti comici. L’uomo non vuole presentarsi al cospetto del Re, perché sa di portargli una notizia assai sgradita: qualcuno ha tentato di seppellire il cadavere. Ma proprio questo racconto non fa che confermare ed esasperare i dubbi di Creonte: c’è chi sta cospirando contro di lui, forse gli stessi soldati, che sono stati corrotti. Il potere di Creonte si presenta già come fragile, perché il suo primo decreto, con il quale pensava di dimostrare i principi con cui avrebbe governato lo Stato, è stato platealmente trasgredito.
29
Sul posto non appariva traccia di vanga…
Ci possiamo chiedere perché Sofocle faccia raccontare di questa prima sepoltura, tutto sommato inutile all’azione della tragedia. Di sicuro, la notizia, così repentina, avrebbe dovuto mettere sull’avviso Creonte e indirettamente indurlo a ripensare il suo decreto. D’altro canto, il fatto che questa sepoltura sia presentata come un evento prodigioso, dato che non si riesce proprio a capire come sia potuta accadere, né chi abbia commesso il fatto, doveva indurlo a pensare a quale tradizione e rito religioso si stesse opponendo, vietando la sepoltura di Polinice. Questo ‘intermezzo’ con la guardia, poi, serve a stemperare l’azione, ad acuire l’attenzione del pubblico, a suscitare in parte il dubbio che Antigone abbia già compiuto quel che si era proposta. In realtà, la prima sepoltura non fa che irritare Creonte, il quale, colmo di rabbia, non tiene in dovuto conto nemmeno gli avvertimenti del Coro, che pensano agli dei come autori di quel rito. Creonte allora svela sempre più la sua natura tirannica, moltiplicando le sue minacce contro i soldati, ai quali prospetta la tortura, e contro il colpevole.
30
… è certo che non mi vedrai tornare
Invece la guardia tornerà, il che renderà quasi grottesco il suo ritorno, perché tornerà dopo che Antigone è stata catturata. Segue il primo stasimo del Coro, una tra le pagine più celebri della letteratura greca e della letteratura occidentale in genere. Apparentemente un inno all’uomo come artefice, quindi un inno al progresso ed alle manifiche sorti del genere umano: ma nelle parole del Coro si coglie anche la paura della morte, l’unico male contro cui l’uomo non è riuscito ad escogitare alcun rimedio. Ma vi sono altre asserzioni generali, che portano il pubblico ad interrogarsi: chi è davvero nemico della patria? E l’uomo è ‘prodigioso’ oppure, in una possibile accezione del termine greco deinòs con cui si apre il canto corale, ‘terribile’? Si ripropongono qui degli elementi fondamentali del racconto: il patriottismo, l’essere sempre dalla parte della ‘città’ (cosa che Polinice non ha fatto, portando guerra alla testa di un esercito straniero); la morte come evento ineludibile dell’esistenza umana; la volontà umana incoercibile (quella di Creonte, ma anche di Antigone che sta per entrare in scena).
31
Cos’è mai questo prodigio?
Antigone appare come un ‘prodigio’, che spaventa ed incute rispetto insieme. E’ inverosimile che a trasgredire il decreto di Creonte sia stata una ragazzina, sua nipote, che doveva dunque obbedire al nuovo Re anche in quanto zio e tutore, e come donna, alla cui natura pertiene, come ha detto Ismene nel prologo, ‘obbedire’. La guardia che porta Antigone è la stessa che prima, costretto da un’estrazione a sorte, aveva portato al Re la cattiva notizia della sepoltura: e che ora manifesta una grande gioia, ed appare agli occhi del pubblico come una specie di buffone, un arlecchino che obbedisce agli ordini, ha paura, non si ferma a pensare, che non è nemmeno consapevole di quale cosa sconvolgente annunci adesso, più sconvolgente della sua prima notizia, perché Antigone è la nipote del Re.
32
L’avete vista. L’avete colta in flagrante. Ma come?
La guardia vorrebbe attenersi solo al dato di fatto che Antigone è stata catturata, ma è Creonte a sollecitare un più lungo racconto, come se fosse incredulo rispetto a ciò che è accaduto. Il racconto serve invero solo a dimostrare che si è trattato davvero di un prodigio, poiché c’è stata una terribile bufera, ed Antigone è stata come un’apparizione. La reazione isterica di Antigone può essere motivata dal fatto che lei ha già compiuto il rito, e si trova ora davanti al cadavere di nuovo nudo. Ma era rimasta lì a vegliarlo? E perché nessuno se n’era accorto? Queste questioni di verosimiglianza invece ci fanno capire che Sofocle vuole proprio che il fatto sia e resti inspiegabile. Forse anche per questo Creonte chiede subito ad Antigone se sia stata lei, a sua volta incredulo, e come se tutti quei particolari raccontati dalla sentinella comunque non l’avessero convinto.
33
Il confronto tra Antigone e Creonte
Nell’interpretazione di Hegel, in questo confronto si rivela l’irremovibilità dei due caratteri, che restano sulle loro posizioni. Questo confronto, comunque, sposta l’oggetto del contendere: non è più il cadavere di Polinice il problema. La questione della sepoltura sembra anzi dimenticata. Il problema è divenuto invece l’imposizione dell’autorità. Antigone afferma di aver agito in base ad un’altra legge, superiore a quella di Creonte, e che il rispetto di quell’altra legge per lei è più importante della vita stessa. Creonte si trova dunque nella paradossale situazione di dover difendere l’autorità del suo decreto, applicando la sua categoria di ‘nemico’ anche ad una sua parente, una donna, fidanzata di suo figlio:me deve farlo, perché si tratta in fin dei conti di difendere il suo stesso regno. Ed è a destabilizzare proprio il potere di Creonte che Antigone sembra tendere, a minare cioè le fondamenta del suo ragionamento iniziale, i principi in base ai quali ha cominciato a regnare. Il timore, dunque, appare, di contro a quello che aveva detto Creonte, come una qualità del buon re, se questo timore è nei confronti degli dei e delle leggi elementari della convivenza umana, come quella che impone la sepoltura. Inoltre un parente, un familiare, non può diventare un nemico. Creonte non sta tutelando la memoria di Eteocle, il re giusto e buono, perché anzi, se Eteocle fosse vivo, approverebbe quel che ha fatto Antigone; né agisce sulla base di principi generali, ma suoi propri, anche perché non ha idea di quali siano le leggi sacre nel mondo dei morti. Creonte punisce Antigone, perché non farlo significherebbe implicitamente ‘prendere ordini’ da lei. E questo non è possibile ad un Re.
34
Ismene Ismene vuole morire con la sorella. Perché? Di sicuro, capisce che la sorella ha agito giustamente, dal punto di vista del rispetto della famiglia. E siccome lei è l’altra superstite della stessa famiglia, non può che morire con lei. Ma Antigone rifiuta la sua compartecipazione. Lo fa, probabilmente, per salvare la sorella, la cui morte sarebbe inutile. Ma è pure possibile che il rifiuto di Antigone significhi che vuole punirla ulteriormente: la vita di Ismene è ormai svuotata di senso, e la sua sopravvivenza sarebbe stata a fianco di Creonte, con la macchia di essere la sorella di due traditori (Polinice ed Eteocle). Antigone la punisce , dunque, abbandonandola ad una solitudine incolmabile. La razionalità di Ismene, che si è subito rivelata nel prologo, si rivela ancora nel ricordare a Creonte che Antigone è la promessa sposa del figlio, Emone, e che perciò Creonte, condannandola a morte, offende anche il proprio stesso figlio. Ma per Creonte Antigone non esiste più, e come donna non è mai esistita, non è mai stata un soggetto giuridico insostituibile.
35
Emone Emone aveva un fratello, che è morto in guerra. E’ rimasto dunque figlio unico, e perciò erede del padre, con il quale va a parlare con il padre, spinto forse dall’amore per Antigone, ma soprattutto per sottoporlo ad un agone sui principi del buon governo. Lo scontro non è solo sentimentale, cioè di un padre con il figlio, ma anche politico. Emone rappresenta la nuova generazione, che sembra non ammettere un potere ereditato per diritto familiare, e vorrebbe un maggiore coinvolgimento dei cittadini. Creonte è legato invece ad un’idea vecchia di tenere il potere, di condurre la nave dello Stato, e forse anche di famiglia: il suo rapporto con la donna/sposa appare privo di qualsiasi comprensione e coinvolgimento. Ed infatti sua moglie, Euridice, sarà vittima di tutta questa situazione. Emone, come Ismene, ma con maggiore autorevolezza, rappresenta la moderazione e la razionalità, la necessità di adattarsi alle situazioni e rinunciare ad una presa di posizione, quando questa si riveli perniciosa per se stessi e per gli altri. Antigone e Creonte, invece, nel loro non ascoltare questi inviti alla flessibilità, si assomigliano.
36
… la condurrò in un luogo…
Creonte cambia idea sulla pena da comminare ad Antigone. All’inizio aveva detto che il criminale che avesse trasgredito il suo decreto sarebbe stato lapidato. Ora invece esilia Antigone fuori dalla città, perché questa non sia contaminata da un’uccisione su cui evidentemente lui stesso ha dei dubbi, anche se non manifesti. Inoltre non decreta che sia uccisa, ma sepolta viva, magari nella speranza che il dio dei morti possa salvarla. La punizione sembra più crudele: ma è invece una dilazione all’esecuzione, quasi un attendere che si possa verificare un prodigio divino,; ed anche un lavarsi le mani dallo spargimento di sangue di una vergine, che avrebbe avuto l’effetto di un sacrificio alla rovescia: invece di propiziarsi gli dei, li avrebbe fatti nemici alla città. Il canto del coro ad Eros (= l’amore) da una parte commenta ancora l’atteggiamento di Emone, dall’altra esprime paura nei confronti dei gesti irrazionali che l’amore, qualsiasi tipo di amore, porta a compiere.
37
Antigone va a morire Il coro non esprime, nella scena d’addio di Antigone, pietà o partecipazione nei suoi confronti. Antigone paragona il suo destino a quello triste di Niobe, che fu pietrificata, ma il Coro distingue tra Niobe, che era una dea, ed Antigone, che è una mortale: se pensa di averne uguale destino, deve allora essere contenta, perché ha il destino, per quanto terribile, di una divinità. A perdere Antigone sono state, secondo il Coro, le colpe del padre, che ha ereditato, e la sua ostinazione. Dunque il Coro sembra ritenere del tutto responsabile Antigone, sia della sua azione, che della sua fine. Gli dei scompaiono dal suo gesto, che si deve a lei sola, alla sua determinazione, alla sua scelta. Se Creonte non si è piegato, nemmeno Antigone lo ha fatto. Antigone, però, rimpiange la vita che non ha avuto, il matrimonio, i figli, e nel momento estremo augura a chi gli sta facendo questo di subire la stessa pena. Il Coro commenta con esempi celebri di mortali, pur nobili, che furono annientati dal destino.
38
Tiresia Dopo l’uscita dalla scena di Antigone, il ritmo della tragedia diviene precipitoso. Niente di buono, invero, lasciava sperare la maledizione di Antigone, il suo finale richiamo alle proprie ragioni e all’ingiusto oltraggio subito. L’atmosfera cupa lasciata dal suo andare a morire, si amplifica con l’entrata in scena di Tiresia, cieco, guidato da un ragazzo, che dà infine la sua interpretazione dei fatti a Creonte e lo redarguisce. Certo, Creonte avrebbe dovuto consultarlo prima, prima ancora cioè di emanare il decreto. Tutta l’azione della tragedia ha origine da un atto di volontà di Creonte, che si credeva sostituivo di altre autorità (dei cittadini e dell’autorità religiosa), inebriato dal potere raggiunto, sebbene a tale potere fosse approdato per via di un fratricidio. Tiresia torna al problema principale, la sepoltura di Polinice, che in tutta la vicenda di Antigone sembrava accantonato. Bisogna seppellire Polinice, perché la città è contaminata. Creonte dapprima fa prova di tutta la sua pervicacia, crede che anche Tiresia sia stato corrotto, rifiuta decisamente di seppellire il cadavere. Allora Tiresia si lancia in vere profezie, e predice a Creonte tutto il male che gli verrà.
39
Epilogo Creonte cambia parere da un momento all’altro. Si dice turbato da quel che ha detto Tiresia e improvvisamente sta ad ascoltare i consigli del coro. Decide di andare a seppellire Polinice e di liberare Antigone. Questa decisione repentina è però tardiva. Con la subitaneità della decisione di Creonte, Sofocle dà la misura dell’inanità dell’uomo nel modificare la propria sorte, nel momento in cui ha sbagliato senza appello. Creonte avrebbe dovuto ascoltare prima i vecchi, e prima consultare Tiresia, avrebbe dovuto riflettere sulle parole di Emone, se non su quelle di Antigone, che non avevano uguale autorevolezza. Adesso è troppo tardi e tutto precipita. Anche il canto del coro per Dioniso/Bacco, dio protettore della città di Tebe, che sta in rapporto ‘circolare’ con il primo canto, è comunque tardivo. La tragedia testimonia un grande scetticismo nella possibilità di correggere le azioni degli uomini, quando queste siano sbagliate. Creonte certo ne esce distrutto, come uomo e come re, ma nemmeno Antigone si salva dalla sua follia, che avrebbe potuto correggere se non evitare. L’intervento dell’autorità religiosa (Tiresia) è a sua volta tardivo, come se comunque la responsabilità di ciò che accade resti solo agli uomini. Ismene, forse la figura più propositiva della tragedia, è l’unica a salvarsi. A lei sembrerebbe affidata la speranza di sopravvivenza della città. Ma invero, dal punto di vista drammaturgico, scompare definitivamente e scompare anche dal racconto mitologico, perché la sua vicenda, così intimamente connessa con la sua famiglia, non può continuare autonomamente.
40
Legge e norma Creonte poteva emanare il decreto di non sepoltura? Si, lo poteva. Il decreto in sé non ha nulla di particolarmente scandaloso, e l’insepoltura è un atto che si riserva ai nemici per sfregio, dalle guerre antiche a quelle contemporanee, come l’esposizione del cadavere. Il primo esempio letterario, celeberrimo, è lo scempio sul cadavere di Ettore compiuto da Achille. Il problema piuttosto sta nel fatto che Creonte prende questa decisione da solo, senza consultarsi con nessuno, né con un consiglio di vecchi, né con il popolo. Infatti chiede solo in seguito, dopo aver emanato il suo decreto, ai vecchi che compongono il coro di vegliare perché questo sia correttamente eseguito. Dunque Creonte non emana una legge, che giuridicamente ha bisogno di un iter molto più complesso: ma diventare legge quella che è una norma eccezionale, dettata dall’occasione. Perciò, anche se tecnicamente non è così, Creonte è un tiranno, colui che impone la propria volontà.
41
Legge e giustizia La norma emanata da uno solo è tipica dei sistemi dittatoriali, e non democratici. Ma anche quando la legge sia voluta da tutta una comunità, non è detto che essa corrisponda alla giustizia. Da sempre, esistono leggi che non sono giuste rispetto ad altri parametri, etici o sociali. L’Antigone di Sofocle pone la questione generale: come deve comportarsi l’individuo davanti ad una legge che non ritiene giusta? Ribellarsi oppure rispettarla ugualmente? Si ricordi l’esempio di Socrate, che non fuggì, salvandosi,come avrebbe potuto fare, ma bevve la cicuta per rispetto verso le leggi della città.
42
Le leggi non scritte Creonte si richiama a principi condivisibili: che cioè la patria è il sommo bene, che va difesa da nemici esterni, ma anche interni, che il buon re deve avere a cuore solo la cosa pubblica, e non guardare invece a interessi privati o familiari (Polinice è pur sempre suo nipote). A questo Antigone oppone caparbiamente la volontà di seguire le ‘leggi non scritte’, leggi immutabili, che sono nel cuore degli uomini, che non hanno bisogno di legislatori per essere riconosciute, e che sono dunque divine anche perché sotto la tutela degli dei. In base a queste leggi, Antigone ha il dovere di seppellire suo fratello.
43
Famiglia e stato Bisogna però fare attenzione a non generalizzare subito le ragioni che spingono Antigone ad agire: tutto sommato,Antigone agisce a tutela della propria famiglia. Anche nel dialogo iniziale con la sorella Ismene, che ha invece paura di Creonte e della pena di morte, cerca di richiamarla ai suoi doveri parentali, non a diritti più universali. In fin dei conti, non il solo Polinice è morto attaccando Tebe: abbiamo visto nelle Supplici di Euripide che in quella guerra sono morti altri guerrieri di Argo, ma Sofocle non ne fa parola. E’ vero che Antigone dà un significato simbolico alla sua azione, e che cerca di chiamare alla partecipazione tutti i cittadini di Tebe: i quali però tacciono, attanagliati dal terrore, ma sembrano anche piuttosto critici nei confronti della ragazza, che accusano di troppa ostinatezza, ed in fin dei conti di essersi meritata la condanna. Emone cerca, con maggiore senso politico, di ricondurre alla ragionevolezza Creonte, comunicandogli gli umori sotterranei della folla e cercando di indurlo a piegarlo. Ma a quel punto, Creonte ha già fatto della questione una questione di principio: ad essere messo in discussione non è ciò che è ’giusto’, ma la sua stessa autorità.
44
L’ amore di Antigone In una battuta famosa, forse la più famosa di tutta la tragedia, Antigone afferma di essere nata per amare e non per odiare. Ma anche in questo caso dobbiamo con cautela pensare che Antigone esprima una legge universale: il suo amore è riservato alla sua famiglia, a chi per natura è destinato a condividere con lei amore. Del resto, il personaggio di Sofocle non si caratterizza per tenerezza o manifestazione di affetto, è anzi piuttosto algida. Sarà Emone, suo promesso sposo, a morire per lei. Forse per colmare questa mancanza di tenerezza, Euripide scrisse un’ Antigone , che purtroppo non ci è rimasta, che aveva forse una specie di lieto fine, perché Antigone ed Emone si sposavano. Paradossalmente dal nostro punto di vista le prime ricezioni dell’Antigone la vogliono innamorata, ed enfatizzano questo aspetto.
45
La figura di Ismene Rimasta in ombra nella tradizione successiva, Ismene è una figura ambigua: da una parte sembra uniformarsi al potere, temerlo, voler ricondurre la propria condizione a quella comune di inferiorità delle donne; dall’altra, invece, ha uno slancio di generosità inaudito, volendo andare a morire con la sorella, anche se non c’è nessuna prova che sia stata sua complice. Antigone rifiuta questo sacrificio comune, tuttavia la figura di Ismene viene fuori eroica in questo suo tentativo: e forse la sua razionalità e concretezza la rendono più esemplare, eticamente e politicamente, rispetto all’ostinazione e all’autolesionismo di Antigone.
46
Linee principali della storia delle ricezioni dell’ Antigone di Sofocle
A. Influenzata più da altre fonti che non dalla tragedia di Sofocle, sino al ‘700 Antigone è vista come figura pietosa, in senso cristiano, come donna innamorata, come vittima dell’autorità incestuosa di Creonte. B. Antigone come ‘sorella’, ossia come colei che tutela il diritto della famiglia rispetto allo Stato: questo sorpattutto nella lettura di Hegel. C. Antigone come la resistente alla tirannia: già in Alfieri, poi soprattutto nell’interpretazione dell’ Antigone di Brecht. D. Antigone come voce delle rivendicazioni femminili (dagli anni 70 del ‘900 ad oggi) o come simbolo della forza ‘militare’ delle donne (nel terrorismo degli anni ‘70 sino ad oggi). Al limite, figura di trasgressione del genere sessuale (Judith Butler). E. Antigone come figura liminare alla morte e di aspirazione e/o meditazione sulla morte (da Maria Zambrano sino alla lettura psicanalitica di Lacan)
47
Programma d’esame a.a. 2018/2019 per i frequentanti
Tutte le diapositive proiettate a lezione (sono 11 documenti. Chi non li possedesse tutti o non sia riuscito a scaricarli, è pregato di scrivere a Lettura analitica in italiano delle tragedie: Eschilo: Supplici; Eurpide: Supplici, Eraclidi; Sofocle: Antigone. Sotera Fornaro, Antigone.Storia di un mito, Carocci editore, capp. 1, 2 e 6.
Presentazioni simili
© 2024 SlidePlayer.it Inc.
All rights reserved.