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Pesci rossi, squali e oceani digitali:
Gabriela Jacomella per Pesci rossi, squali e oceani digitali: corso per aspiranti fact-checkers
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1. Di pesci rossi, squali, Reti e oceani
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1. Di pesci rossi, squali, Reti e oceani
NOTE PER L’INSEGNANTE 1. Di pesci rossi, squali, Reti e oceani La prima riflessione da fare è che le cosiddette “fake news” non sono il problema, bensì il sintomo di una complessità contemporanea del mondo dell’informazione. La metafora dell’oceano (in cui le “bufale” nuotano come pesci rossi che si camuffano da squali, che sono quindi disinnescabili nel momento in cui ne intercettiamo la vera natura) si applica alla Rete soprattutto se pensiamo all’enorme massa di informazione che ci assale da ogni parte, in ogni istante del nostro quotidiano, sia attraverso i canali “tradizionali" che attraverso i social o qualsiasi tipo di strumento digitale che ci consenta uno scambio di “notizie" in senso lato (anche un commento di un influencer su Instagram è notizia, come lo è un video di YouTube). Il confronto tra quel che succede nella Rete in 60 secondi (dati del 2018 e del 2019) visualizza molto bene questo “tsunami di informazione digitale”.
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2. Da dove nasce l’illusione di verità?
E da dove possiamo partire per dimostrare che sono bufale?
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2. Da dove nasce l’illusione di verità?
NOTE PER L’INSEGNANTE 2. Da dove nasce l’illusione di verità? E da dove possiamo partire per dimostrare che sono bufale? Prima ancora di imparare a smontare una “bufala”, è importante fare una riflessione sul perché questo tipo di notizia “avariata" trovi invariabilmente - se costruita bene - le sue vittime predestinate. Riflettere sull’origine della cosiddetta “illusione di verità” è importante: che si tratti di una fake news sulla patente gratis agli immigrati, di un riflesso nel vetro spacciato per un UFO sul lago di Loch Ness o di una finta citazione di Donald Trump, il meccanismo di adesione è invariabilmente collegato alla capacità della bufala di colpire le emozioni di chi la guarda o la legge, che si tratti di rabbia, meraviglia, sconcerto, soddisfazione, indignazione o altro ancora. Foto e video, nella società dell’immagine, sono elementi che possono aumentare il tasso di credibilità di una notizia, così come qualsiasi dato, numero, fatto che richiami all’oggettività giornalistica. Questi stessi elementi però possono diventare utili punti di partenza per smascherare la fake news (in alcuni casi, come quello della patente, basterà una verifica su Wikipedia, in altri - come la finta citazione di Trump - servirà invece una lunga e complessa ricerca d’archivio, oppure un minimo di conoscenza storica del mondo dei media americani… l’unico dato oggettivo, infatti, è il riferimento a Fox News, che all’epoca della presunta intervista non era ancora assurto a canale di riferimento dei repubblicani). Una bufala che funziona è una bufala ad alto tasso di emotività e che offre pochissimi appigli per la verifica.
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3. Cosa significa, davvero, “fake news”?
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3. COSA SIGNIFICA, DAVVERO, «FAKE NEWS»
NOTE PER L’INSEGNANTE 3. COSA SIGNIFICA, DAVVERO, «FAKE NEWS» Parlare semplicemente di “fake news” o di bufale è estremamente riduttivo e rischia di rivelarsi controproducente. Nell’universo dell’informazione avariata, una sottospecie particolarmente pericolosa e dannosa è rappresentata dalle notizie diffuse da media tradizionali e autorevoli che però, per attirare utenti e lettori o per banale fretta e distrazione, scivolano nella trappola del click-baiting (i titoli “acchiappa click”, che spesso promettono contenuti diversi da quelli dell’articolo) o della distorsione delle notizie. Due esempi: l’articolo sul sito dell’agenzia di stampa ANSA che riporta nel titolo una percentuale completamente fuorviante (dalla lettura completa si evince che il bestiame nel suo complesso è responsabile del 10% dei gas serra, e i bovini a loro volta rappresentano il 74% di quella parte), il lancio social della Radiotelevisione della Svizzera Italiana che sembra insinuare una mancanza di spontaneità nel “fenomeno Greta Thunberg” (ma di questa possibilità non si trova traccia nel servizio del TG linkato).
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Information disorder:Toward an interdisciplinary framework for research and policy making (2017) Claire Wardle, PhD & Hossein Derakhshan, with research support from Anne Burns and Nic Dias
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4. 7 common forms of information disorder
NOTE PER L’INSEGNANTE 4. 7 common forms of information disorder Per analizzare al meglio (e valutare l’effettiva pericolosità) di una “informazione avariata”, può essere utile riferirsi alla griglia elaborata da Claire Wardle e Hossein Derakhshan (Shorenstein Centre, Università di Harvard): in base all’intenzione o meno di fare danno e al modo in cui l’informazione viene manipolata, ecco sette categorie che possono essere applicate sia ai contenuti social, che a quelli dell’informazione “tradizionale".
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5. In pratica… Il 5 novembre 2016 questo articolo compare su Facebook, e viene diffuso con una velocità iniziale di fino a 100 share al minuto. Nello stesso giorno, il Denver Post pubblica un articolo che rivela come la notizia sia una bufala, indicando punto per punto le “red flags”, cioè gli indizi che avrebbero dovuto farci drizzare le orecchie. Sapreste dire quali sono?
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NOTE PER L’INSEGNANTE 5. In pratica… Ecco, infine, un esercizio pratico di verifica di una notizia falsa. Si tratta di un articolo completamente inventato, pubblicato da una finta testata locale americana. Nelle prossime slide seguiremo il percorso di debunking (“sbufalamento”) con cui i giornalisti del Denver Post (un giornale vero, stavolta) hanno svelato la fake news.
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Cosa può dirci? Cosa ci insospettisce? Che informazioni può nascondere? Perché può essere importante?
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NOTE PER L’INSEGNANTE 6. ANALIZZIAMO
La home page della finta testata presenta degli elementi che ci dovrebbero far rizzare le antenne: COSA CI INSOSPETTISCE? La barra della home ha dei contenuti anomali, come gli annunci funebri e l’oroscopo, che non dovrebbero essere pubblicati con tanta evidenza e sono indizio di una struttura non tradizionale COSA PUÒ DIRCI? Una delle prime mosse da fare è cliccare sul “chi siamo” (about us): troviamo un’affermazione da tenere d’occhio, secondo la quale il Denver Guardian sarebbe “la più antica fonte di informazione di Denver e uno dei quotidiani più di vecchia data di tutti gli Stati Uniti” CHE INFORMAZIONI PUÒ NASCONDERE? La foto sembra troppo generica per un quotidiano locale, che non dovrebbe avere difficoltà a reperire scatti dell’evento, soprattutto quando ha una portata di interesse nazionale. Vale la pena fare una verifica inversa (cioè un controllo delle altre occasioni in cui l’immagine è comparsa sulla Rete) con Google Immagini o TinEye PERCHÉ PUÒ ESSERE IMPORTANTE? La “breaking news” riportata sotto l’apertura ha un indirizzo politico ben preciso, simile a quello dell’articolo principale
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…e infatti scopriamo: Il Denver Guardian dichiara di essere“la più vecchia fonte di informazione di Denver”, ma il dominio denverguardian.com risulta registrato nel luglio 2016 su GoDaddy (WhoIs) Cliccando su altre sezioni di notizie, il sito segnala errori o moduli incompleti In home page riporta soltanto un’altra notizia di stampo “cospirazionista”, e le categorie delle notizie sono anomale Facendo una ricerca inversa si vede che la foto è stata caricata già nel 2010 su Flickr da un utente di nome Adam Belles
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NOTE PER L’INSEGNANTE 7. …E INFATTI SCOPRIAMO
Tramite un servizio gratuito come WhoIs, che ci permette di risalire ai dati di registrazione di un sito, scopriamo che la dichiarazione di autorevolezza del Denver Guardian è falsa. Invece di limitarci alla sezione e all’articolo su cui ci troviamo, andiamo a curiosare nel resto del sito: scopriremo cose interessanti, come ad esempio che il sito stesso è sostanzialmente… vuoto. Infine, la stessa foto che ha attirato la nostra attenzione si rivela “rubata" a un ignaro utente di Flickr, che l’aveva pubblicata parecchi anni prima, e che la colloca in un contesto anche geografico completamente diverso.
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Scavando più a fondo….
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8. SCAVANDO PIU’ A FONDO NOTE PER L’INSEGNANTE
Analizzando il testo dell’articolo, si scoprirà che gli “elementi di verità” riportati sono in realtà specchietti per le allodole: non esiste nessuna Walkerville in Maryland, ma solo una Walkersville, che però non ha un dipartimento di polizia (si appoggia a quello di una città più grande) la fonte principale, il capo della Polizia Pat Frederick, non può quindi esistere il link a WHAG - un canale tv locale - è vero, e serve ad aumentare la sensazione di credibilità; ma nei giorni del presunto evento, il sito non riportava nessuna notizia in merito. Un po’ strano per una televisione che lavora sul territorio… l’ultimo indizio viene dai contatti forniti al pubblico: nessuna , nessun numero di telefono, solo un indirizzo fisico. Da qui si può partire con una banale ricerca su Google Maps/Street View. Quello che si scopre è…
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…l’indirizzo rimanda ad un parcheggio nella periferia di Denver, non a un edificio in grado di ospitare la redazione di un giornale!
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