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FONDAMENTI DEL SAPERE GIURIDICO Diritto Romano prof

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Presentazione sul tema: "FONDAMENTI DEL SAPERE GIURIDICO Diritto Romano prof"— Transcript della presentazione:

1 FONDAMENTI DEL SAPERE GIURIDICO Diritto Romano prof
FONDAMENTI DEL SAPERE GIURIDICO Diritto Romano prof.ssa Isabella Piro programma frequentanti: contenuto lezioni con approfondimento sul manuale del Corso: Corbino A., Diritto privato romano. Contesti, fondamenti, discipline, quarta ed. [Padova Cedam 2019]. Si rinvia al dettaglio di programma pubblicato sul sito. Le ragioni per le quali il diritto romano si è configurato come esperienza unica, proponendosi come modello per molte altre specifiche esperienze storiche, riposano su una serie di circostanze peculiari dell’esperienza giuridica romana. In primis, l’elevatissima coscienza che i Romani mostrarono di avere: dell’irriducibilità del diritto alla regola del rilievo autonomo che assume il significato di questa (più ancora che il suo dettato) ai fini della disciplina dei fatti.

2 La terminologia romana
Per capire ontologicamente cosa significhi ius, occorre approfondire l’aspetto terminologico ius = diritto Giurisprudenza = iuris peritia; Giurista = iuris peritus L’espressione ius è antichissima, ricorre sin dalle più risalenti testimonianze giuridiche di cui disponiamo: XII tavole 6.1 ita ius esto!

3 L’accezione è ricorrente nella letteratura latina:
Se è certo che l’etimo di ius nella lingua latina vale diritto, è altrettanto certo che ius ha anche il significato di … estratto, succo, brodo. Risulta linguisticamente imparentato, quindi, con il francese jus (succo di frutta: jus de fruit) e con l’inglese juice (succo d’arancia: juice orange). L’accezione è ricorrente nella letteratura latina: Plauto (III-II a.C.) nella Cistellaria – con fine arguzia e consapevolezza del gioco di parole – fa definire da Melenide lla promessa di amore eterno fattale da Alcesimarco uno ius confusicium, un brodo di elementi artatamente mescolati per renderli irriconoscibili (vv ). Apicio (I d.c.) autore di un trattato di cucina, spiega che il brodo è il risultato di uno speciale procedimento di cottura, di carni o vegetali, in acqua: è il derivato, l’estratto delle sostanze che lo producono. Per indicare, nelle ricette, la fase in cui il cibo va irrorato e fatto cucinare nel suo stesso sugo o nel suo stesso brodo, Apicio usa di prassi l’epressione: et ius de suo sibi. Catone (I a.C.) nel de agricoltura parla – impiegando il diminutivo – di un iusculum, ossia di un brodetto di cavoli (Agr ). Cicerone gioca con l’omofonia tra ius in accezione gastronomica e ius in accezione giuridica nella seconda orazione contro Verre, a proposito degli abusi del governatore nell’amministrazione della giustizia in Sicilia: ricorda che i Siciliani, esasperati dalla rapace amministrazione del pretore, erano soliti parlare con malizia di ius Verrinum, nel duplice significato di “diritto di Verre” ma anche di “brodo di maiale” (verres, verris = verro, maiale maschio) (dunque un alimento non prelibato), secondo il concorrente significato che l’espressione può avere (Cic., Verr ).

4 Equivalenza ius/brodo e ius/diritto:
Il brodo è un prodotto, il frutto di una operazione pratica non coincide e con gli ingredienti che lo compongono; è ricavato dal sapiente combinarsi dei suoi ingredienti, cioè è l’esito di un processo di estrazione effettuato secondo un procedimento tencicamente corretto. Il diritto è anch’esso un prodotto, il frutto di una operazione pratica. È il risultato di una attività estrattiva, operata muovendo da una realtà concettuale (la regola esistente), con una tecnica essa stessa concettuale, diretta a trarre da quella il suo significato utilizzabile.   Cosa accomuna i due etimi apparentemente così lontani? La tecnica di produzione

5 Come il brodo è ciò che il cuoco (mettendo a frutto la propria abilità) sa trarre da una carne o da un vegetale così il diritto è il risultato che uno specialista (che abbia cioè un’abilità riconosciuta, una perizia) sa ricavare da una regola: il significato applicativo che essa contiene Ius può dunque bene indicare dunque il frutto di due operazioni identiche, ancorché diverse per l’oggetto al quale sono rivolte e per il risultato che da esse ne deriva. ius = esito di un’attività svolta da competenti e rivolta a trarre il significato da una regola

6 Regole e diritto sono fatti indicati, nella lingua latina, con espressioni non coincidenti
Gai 1.1: Omnes populi, qui LEGIBUS et MORIBUS reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium hominum IURE utuntur. Nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium est vocaturque ius civile, quasi ius proprium civitatis; quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes populos peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur. Populus itaque Romanus partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utitur. Quae singula qualia sint, suis locis proponemus. Tutti i popoli retti da leggi e consuetudini, impiegano in parte un diritto loro proprio, in parte un diritto comune a tutti gli uomini: invero quel diritto che ciascun popolo stabilisce per sé è suo proprio e si chiama diritto civile, come a dire proprio della città; mentre quello che una naturale ragione ha stabilito fra tutti gli uomini è osservato ugualmente da tutti i popoli e si chiama diritto delle genti, come a significare che di quel diritto tutte le genti si servono. Pertanto il popolo romano impiega, in parte un diritto proprio, in parte un diritto comune a tutti gli uomini. ius regole diritto leges mores

7 IL diritto non coincide con le fonti da cui esso discende
ius regole diritto leges mores Gai 1.2: Constant autem IURA populi Romani EX LEGIBUS, plebiscitis, senatus consultis, constitutionibus principum, edictis eorum, qui ius edicendi habent, RESPONSIS PRUDENTIUM Gli ordinamenti giuridici del popolo romano sono costituiti da leggi, plebisciti, senatoconsulti, costituzioni dei principi, editti dei magistrati competenti, responsi dei giuristi Il diritto non coincide con gli enunciati che lo fondano, ma con il significato normativo che viene loro attribuito. Nel linguaggio del giurista romano IL diritto non coincide con le fonti da cui esso discende

8 A) Diritto (ius) e fonti di esso (leges, atti equiparati e mores determinati dai responsa dei giuristi) sono fatti concettualmente distinti . B) Le regole sono espresse dalle leges e dai mores vincolanti (quali individuati dai responsa prudentium C) Le regole sono un essenziale presupposto del diritto, ma non ne costituiscono la immediata fonte D) Il diritto non è la diretta espressione di una determinazione idonea a fondarlo.Le leges e gli altri atti o fatti in base ai quali esso può essere «formalizzato» ne sono solo il necessario presupposto E) Le leges e gli altri atti o fatti in base ai quali esso può essere «formalizzato» ne sono solo il necessario presupposto. F) Il ius può anche coincidere con gli enunciati che hanno la funzione di consentirne l’individuazione, ma non vi coincide necessariamente. Nel momento in cui deve trovare attuazione, il diritto è sempre il risultato di un’interpretazione, dell’attribuzione a quell’enunciato di un significato.

9 Il loro ordinamento è costituito dal “ius” civile,
I Romani attribuiscono un ruolo preminente – nella disciplina dei fatti e delle attività umane – al Ius rispetto alle regole che ne permettono la produzione. Il loro ordinamento è costituito dal “ius” civile, non dalle leges e dai mores della città; il loro riferimento è al “Ius” praetorium, non all’edictum del pretore; Il loro riferimento è al “ius” gentium, non alle leges e ai mores vigenti presso i popoli civili; l’attività ordinante del magistrato è “iuris” dictio, non regularum “dictio”.

10 significato «giuridico» di una regola.
Nella visione dei Romani, dunque, non è la regola ciò che disciplina le attività umane, ma è il significato di essa. Il «diritto, ius» è il prodotto dell’attività speculativa interpretatio di chi perviene ai significati racchiusi nelle regole (leges, mores). Interpretatio iuris = significato «giuridico» di una regola.

11 interpretatio Interpretatio legis Interpretatio moris
ha una esistenza formale; è un enunciato di parole fissate alle quali va dato il significato proprio l’interpretatio legis è strettamente condizionata; deve svolgersi all’interno di un percorso rigorosamente segnato Interpretatio moris l’interprete deve in primo luogo individuare la vincolante esistenza del mos poi definirne anche la precisa configurazione

12 Interpretatio legis (XII tav. 4.2b): «si pater ter filium venum duit, filius a patre liber esto» Se un pater per tre volte ha messo a disposizione di altri dietro corrispettivo un figlio, il figlio sarà libero dal padre (sarà sottratto alla sua potestà).

13 Filii familias (qui: filii, filiae, nepotes, pronepotes)
Pater familias Donne in manu Filii familias (qui: filii, filiae, nepotes, pronepotes) Persone in mancipio pater

14 (XII tav. 4.2b): «si pater ter filium venum duit, filius a patre liber esto» Se un pater per tre volte ha “venduto” (messo a disposizione di altri dietro corrispettivo) un figlio, il figlio sarà libero dal padre (sarà sottratto alla sua potestà). Pater: paterfamilias o parens (genitore naturale)? Filius: tutti i sottoposti alla potestas o solo i filii maschi?

15 Interpretatio moris Interpretatio moris Patria potestas Compra vendita
D pr. (Inst. Ulp.): ...nam cum ius potestatis moribus sit receptum... Infatti, poiché il diritto di potestas è derivato dai mores… Gai. 1.55: fere enim nulli alii sunt homines, qui talem in filios suos habent potestatem, qualem nos habemus. Non vi è quasi alcun altro ad avere sui figli un potere come quello che abbiamo noi. Gai : Pretium autem certum esse debet. nam alioquin si ita inter nos convenerit, ut quanti Titius rem aestimaverit, tanti sit empta, Labeo negavit ullam vim hoc negotium habere; cuius opinionem Cassius probat. Ofilius et eam emptionem et venditionem; cuius opinionem Proculus secutus est. Il prezzo deve essere anche determinato. Infatti se si convenisse tra noi che la cosa sarà acquistata al prezzo stimato da Tizio, Labeone ritenne che questo contratto fosse invalido; l’opinione del quale Cassio approva. Ofilio crede che vi sia valida compravendita e in questa opinione è seguito da Proculo.

16 Insomma: - la lex è un dato obbiettivo che non ha bisogno di riconoscimento, della quale l’interprete deve solo individuare i significati racchiusi nelle parole che la esprimono - il costume è un dato che ha bisogno innanzitutto di riconoscimento. con la conseguenza che: - in materia di lex, si possono avere opinioni diverse in ordine al significato da attribuire alle sue disposizioni; - in materia di mores, si può discutere, invece, anche in ordine alla loro esistenza (come pratica sociale vincolante). Es.: commodatum e depositum, prima di divenire «contratti», fonte perciò di obligatio, furono a lungo ritenuti semplice manifestazione di consuetudini amicali.

17 La riflessione del giurista può:
Attribuire ad una espressione della lex o ad un principio moribus constitutum un certo significato vuol dire stabilire qual è il ius che in essi si racchiude, quale il criterio da osservarsi per la soluzione di un concreto problema. La riflessione del giurista può: - confermare le riflessioni dei giuristi precedenti, e consolidare il diritto che deve ritenersi relativo ad una certa materia; - introdurre elementi di dubbio e di discussione; - risolvere questioni dibattute offrendo una nuova e convincente soluzione. In qualunque delle circostanze: il «diritto» al quale ci si deve perciò riferire ai fini della sua applicazione ad una concreta vicenda, sarà diverso da quello che era prima di quell’intervento interpretativo. Sarà infatti o rafforzato o indebolito o cambiato.

18 La interpretatio iuris fu considerata dai Romani un’attività che non poteva essere di chiunque, ma solo di specialisti di riconosciuta competenza: i giurisperiti. Le loro opinioni (responsa) sono vincolanti per coloro cui spetta di applicare le regole. La rilevanza del «diritto», più che delle «regole», spiega perché i Romani – al contrario degli altri popoli antichi, che ponevano ordinariamente l’accento sulle regole ed esaltavano perciò la saggezza dei «legislatori» – guardassero invece in primo luogo ai «giuristi». Alla loro opera i Romani devono il fatto di disporre di un ordinamento giuridico in confronto al quale ogni altro appariva «inconditum ac paene ridiculum» (disordinato – privo di un fondamento razionale – e quasi degno di derisione: così Cicerone).

19 Corollari: Fluidità= capacità del sistema normativo di restare sempre aderente ai tempi Continuità del pensiero giurisprudenziale = svolgersi di esso in costante riferimento con il pensiero pregresso e con quello dell’insieme attuale dei suoi cultori Concentrazione a Roma dei giuristi = possibilità di un costante e diretto scambio e di una costante valutazione pubblica del loro operato

20 Funzioni dell’interpretatio iuris 1) Orientare i comportamenti
Funzioni dell’interpretatio iuris 1) Orientare i comportamenti. Chi intenda preventivamente assicurarsi della liceità o anche solo della efficacia di un proprio atto può consultare un esperto e sottrarsi così – osservandone il responsum (la risposta, il parere espresso) – al rischio di una successiva contestazione. Es.: XII tab., ) Sostenere la decisione giudiziaria delle questioni. Es.: un nipote «venduto» dal paterfamilias è o no uscito dalla sua patria potestas? Riflessi sulla petizione dell’eredità

21 Rilievo politico del diritto
Importante e decisivo, perché connotante della visione romana, è stato non solo il fatto di avere dato evidenza al diritto e di averlo regolato, ma il modo in cui quella evidenza è stata data (il linguaggio utilizzato) e il modo in cui esso è stato regolato. L’avere utilizzato l’espressione “ius” ha permesso infatti ai Romani di fissare una idea del “diritto” non puramente formale.

22 L’avere visto nel “diritto” una operazione tecnica assimilabile (e perciò descrivibile con il medesimo segno linguistico) a quella che compie il cuoco quando realizza il brodo tra regola e diritto vi è una relazione necessaria (come tra sostanza, carne o vegetale, e brodo; senza la prima non può esservi il secondo). Non può esservi diritto se non vi è una regola che lo contiene. Senza dunque una “indicazione politica” la enunciazione di un criterio d’ordine non potrebbe avere forza di “diritto”. B) La seconda: non può esservi buon “diritto”, se l’operazione non è affidata ad uno specialista. Come per il “cuoco”, solo il “giurista” (iurisperitus, lo specialista che elabora la regola) sa e può dare pregio al “diritto”.

23 come è essenziale la “regola”
come la città deve dare dunque attenzione alla creazione della regola (che è infatti compito collettivo). Non è allora la “forma” che conta e non basta la coscienza della alterità del diritto rispetto alla regola. Occorre molto di più. così è essenziale – per la produzione del diritto – l’“interprete” così deve dare parimenti attenzione alla sua interpretazione, alla attribuzione alla regola del significato che ne costituisce il presupposto applicativo indispensabile. Occorre che a trarre “diritto” dalle regole siano coloro che sono in grado di attribuire a questo una funzione pratica utile, di pregio: i giuristi

24 giuristi” non come “esperti” riconosciuti tali in funzione di un sapere “isolato” dal mondo e dal tempo, ma di un sapere sostenuto piuttosto dalla esperienza del mondo e del tempo Accede ai sacerdozi chi ha una posizione economica (conseguita, con il successo militare e sociale, dai propri antenati) che gli permetta lo svolgimento di attività pubbliche ed ha reso anche meritori servizi alla città, in pace e in guerra. Si diviene di regola sacerdoti dopo essere stati magistrati (spesso rivestendo, anzi, contemporaneamente le due funzioni). Si era “giuristi” perché si era “altro”: sacerdote (esperto delle pratiche religiose necessarie per mantenere costante la benevolenza degli dei sulla città), ma anche persona di conclamata saggezza perché adusa all’esercizio (con quelle sacerdotali) anche di funzioni politiche. Giurista poté divenire perciò un “laico”. E tuttavia solo quando egli godesse del riconoscimento pubblico della sua sperimentata competenza in materia di relazioni umane. Il giurista – come ha scritto Bretone – non dedica tutto il suo tempo al diritto. Il giurista è un cittadino che è considerato autorevole esperto di un settore del sapere e della vita sociale, perché è già socialmente autorevole, per le sue pregresse attività pubbliche Il diritto è scienza pratica. Disciplina le attività degli uomini. Deve dare indicazioni che ne assicurino il successo o almeno una regolamentazione accettata (in relazione agli obbiettivi: siano questi soddisfacenti relazioni personali e familiari, equilibrati rapporti economici, relazioni di affare reciprocamente utili). Una sua efficace individuazione può venire solo perciò da chi abbia saputo distinguersi (per l’apprezzamento generale conseguito) nel difficile esercizio di funzioni pubbliche. Il segno distintivo del giurista è ora l’essere “consultus”, l’avere la propria casa frequentata da coloro che si rivolgono liberamente a lui per riceverne disinteressato (perciò gratuito) consiglio. E sono consulti coloro che si sono distinti nell’esercizio di cariche pubbliche, che hanno dato prova del loro saper fare.


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