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PubblicatoNero Farina Modificato 11 anni fa
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Il compito degli insegnanti e delle famiglie nello scenario della scuola che cambia.
Il ruolo dell’adulto nella crescita dei giovani nella scuola che cambia Giovanni Cominelli
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Testo Unico dell’Istruzione
16 Aprile 1994 Decreto legislativo n Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado. ( governo Ciampi, ministro dell'istruzione Rosa Russo Jervolino, ministro della funzione pubblica Sabino Cassese)l Il Testo è diviso in cinque Parti: PARTE I- NORME GENERALI (che comprendono, tra l'altro, gli Organi Collegiali) PARTE II - ORDINAMENTO SCOLASTICO PARTE III - PERSONALE (che comprende tra l'altro lo stato giuridico del personale docente direttivo ed ispettivo) PARTE IV - ORDINAMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE CENTRALE E PERIFERICA DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE E DEL RELATIVO PERSONALE PARTE V - SCUOLE ITALIANE ALL'ESTERO
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15 marzo 1997 legge delega 59/97 (“Bassanini 1”)
“Conferimento di funzioni e compiti a Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e la semplificazione amministrativa.” per trasferire il maggior numero di funzioni e compiti agli enti periferici in un'ottica di decentralizzazione ampia ed effettiva, attribuendo a regioni ed enti locali funzioni e compiti fino ad allora esercitati dall'Amministrazione centrale e periferica dello Stato.
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L’art. 21 sull’autonomia scolastica
• Alle istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica in materia di gestione del servizio di istruzione, man mano che raggiungono i requisiti dimensionali. • Lo Stato assegna alle istituzioni scolastiche una dotazione finanziaria per il funzionamento amministrativo e didattico, suddivisa in assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa. • Le istituzioni scolastiche hanno autonomia organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale. • Ai capi d'istituto viene conferita la qualifica dirigenziale, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento e in connessione con l'individuazione di nuove figure professionali del personale docente. • Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola , il quale sarà articolato in autonome aree.
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Art. 21 (preistoria dell’autonomia)
1978 primo disegno di legge sull'Autonomia scolastica. • 1993 Il ministro Rosa Russo Jervolino presenta una proposta complessiva sull'autonomia. • 1993 Nella legge finanziaria 537/1993, “Interventi correttivi di finanza pubblica”, l'art. 4 dedicato alla Pubblica Istruzione, detta al 1° comma norme di autonomia: “Gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado nonchè le istituzioni di alta cultura di cui all'art. 33 della Costituzione, le Accademie nazionali di arte drammatica e di danza e i Conservatori di musica hanno personalità giuridica e sono dotati di autonomia organizzativa, finanziaria, didattica, di ricerca e sviluppo, nei limiti e con le gradualità e con le procedure previste dal presente articolo”. • 1994 Il dlgs 297/1994, Testo Unico dell'Istruzione, all'art. 26 comma 3, riprende l'art. 4 della L.537/93 e rimanda l'attuazione dell'autonomia a decreti delegati: “Agli istituti e scuole, che ne siano attualmente privi, sarà attribuita personalità giuridica ed autonomia organizzativa, finanziaria, didattica, di ricerca e sviluppo, nei limiti, con la gradualità e con le procedure che saranno stabiliti con i decreti legislativi da emanarsi ai sensi dell'articolo 4, comma 6, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, per l'attuazione dell'autonomia scolastica e per il riassetto degli organi collegiali della scuola. Con le stesse modalità, le forme di autonomia saranno ridefinite anche per gli istituti già dotati di personalità giuridica.”. • 1994 Il ministro Francesco D'Onofrio nel corso del 1° governo Berlusconi riprova a presentare una proposta complessiva sull'autonomia scolastica. • 1995 Il ministro Giancarlo Lombardi presenta il ddl 1810 "Delega per l'attuazione dell'autonomia scolastica e per il riordinamento dell'amministrazione scolastica”, approvato dal Governo Dini il 9 Maggio 1995.
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Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
Fra il 1997 e il 1998 ( governo Prodi, Franco Bassanini ministro della funzione pubblica) vengono varati 5 decreti legislativi attuativi della legge delega 59/97. Il dlgs. 112 del 31 marzo 1998, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”. Si tratta del più importante trasferimento di poteri a Regioni e Enti Locali, prima della Riforma costituzionale del Titolo V. Il Capo 3 del Titolo IV del decreto riguarda l' Istruzione con conferimenti di compiti a Regioni, Province e Comuni.
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Art. 138: Deleghe alle Regioni
Le principali funzioni amministrative delegate alle regioni sono le seguenti: • la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; • la programmazione della rete scolastica; • la determinazione del calendario scolastico; • i contributi alle scuole non statali.
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Art. 139 Trasferimenti alle province ed ai comuni
Le principali funzioni attribuite alle province, in relazione all'istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, sono: l'istituzione, l'aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole; la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche; i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio; il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d'intesa con le istituzioni scolastiche; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; le iniziative e le attivita' di promozione relative all'ambito delle funzioni conferite; la costituzione, i controlli e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici a livello territoriale.
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Compiti dei comuni I comuni, anche in collaborazione con le comunita' montane e le province, esercitano iniziative relative a: • educazione degli adulti; • interventi di orientamento scolastico e professionale; • azioni tese a realizzare le pari opportunita' di istruzione; • azioni tese a promuovere la continuita' in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola; • interventi perequativi; • interventi di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute.
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Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n
Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n (in attuazione della legge 59) Governo D’Alema, Ministro dell’Istruzione Berlinguer, Ministro della Funzione Pubblica Angelo Piazza Riforma dell’Organizzazione del governo L'art. 49 istituisce il Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, MIUR. L'art 50 attribuisce al MIUR le seguenti funzioni per l'istruzione non universitaria
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Art. 50: Funzioni del MIUR organizzazione generale dell'istruzione scolastica, ordinamenti e programmi scolastici, stato giuridico del personale; definizione dei criteri e dei parametri per l'organizzazione della rete scolastica; criteri e parametri per l'attuazione delle politiche sociali nella scuola; determinazione e assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e del personale alle istituzioni scolastiche autonome; valutazione del sistema scolastico; ricerca e sperimentazione delle innovazioni funzionali alle esigenze formative; riconoscimento dei titoli di studio e delle certificazioni in ambito europeo e internazionale e attivazione di politiche dell'educazione comuni ai paesi dell'Unione europea; assetto complessivo dell'intero sistema formativo, individuazione degli obiettivi e degli standard formativi e percorsi formativi in materia di istruzione superiore e di formazione tecnica superiore; consulenza e supporto all'attività delle istituzioni scolastiche autonome ;
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Art. 75: organizzazione periferica del MIUR
Vengono istituiti li Uffici Scolastici Regionali, USR. Il successivo Regolamento (Decreto Presidente della Repubblica 6 novembre 2000, n. 347) stabilisce che tali Uffici si organizzino sul territorio provinciale, per servizi di consulenza e supporto alle istituzioni scolastiche. I Provveditorati agli Studi diventano CSA (Centri servizi amministrativi). L'art. 76 riordina gli IRRSAE che diventano Istituti Regionali di Ricerca Educativa, IRRE.
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Il DPR n. 275 dell’8 marzo1999 sull’autonomia scolastica
si realizza la parte centrale dell'art.21 della legge 59/1997.
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Art.1 (DPR 275) Natura e scopi dell'autonomia delle istituzioni scolastiche
L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale , è finalizzata al successo formativo degli alunni, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione.
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Art. 3: Piano dell'offerta formativa
Ogni istituzione scolastica predispone il Piano dell'offerta formativa (POF), che è il documento costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle singole istituzioni scolastiche e ne esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa • Il POF riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari • Il POF è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali definiti dal consiglio di circolo o di istituto, ed è adottato dal consiglio di circolo o di istituto. • Il Piano dell'offerta formativa è reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all'atto dell'iscrizione.
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Art. 4: l’autonomia didattica
Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune tra cui: • l'articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; • la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione e l'utilizzazione degli spazi orari residui; • l'attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni in situazione di handicap; • l'articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; • l'aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari. Le istituzioni scolastiche assicurano la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale. Individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche .
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Art. 5 l’ Autonomia organizzativa
• Le istituzioni scolastiche adottano, anche per quanto riguarda l'impiego dei docenti, ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertà progettuale. • Gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione alle esigenze del POF. • L'orario complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività sono organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una programmazione plurisettimanale, fermi restando l'articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo previsto per le singole discipline e attività obbligatorie. • In ciascuna istituzione scolastica le modalità di impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi e sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative adottate nel POF.
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Art. 6: Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo
Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali.
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Art. 7: le reti di scuole . Le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento della proprie finalità istituzionali. Nell'ambito delle reti di scuole, possono essere istituiti laboratori finalizzati tra l'altro a: • la ricerca didattica e la sperimentazione; • la documentazione, secondo procedure definite a livello nazionale per la più ampia circolazione, anche attraverso rete telematica, di ricerche, esperienze, documenti e informazioni; • la formazione in servizio del personale scolastico; • l'orientamento scolastico e professionale.
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Art. 8: La definizione dei curricoli
Il Ministro della pubblica istruzione definisce per i diversi tipi e indirizzi di studio: • gli obiettivi generali del processo formativo; gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni; le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale; l'orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche; i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo; gli standard relativi alla qualità del servizio; gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi; i criteri generali per l'organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all'educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali. 2. Le istituzioni scolastiche determinano nel POF il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare la quota nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte. 3. Nell'integrazione tra la quota nazionale e quella riservata alle scuole è valorizzato il pluralismo culturale e territoriale 4 . La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni concretamente rilevate
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Art. 9: ampliamento dell'offerta formativa
1. Le istituzioni scolastiche, singolarmente, collegate in rete o tra loro consorziate, realizzano ampliamenti dell'offerta formativa che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. 2. I curricoli possono essere arricchiti con discipline e attività facoltative; la realizzazione di percorsi formativi integrati è programmata sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali.
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Art. 14 Attribuzione di funzioni alle istituzioni scolastiche
Alle istituzioni scolastiche sono attribuite le funzioni già di competenza dell'amministrazione centrale e periferica relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni, all'amministrazione e alla gestione del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed economico del personale non riservate all'amministrazione centrale e periferica.
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Art. 2 (Obiettivi specifici di apprendimento)
Decreto Ministeriale 26 giugno 2000, n. 234: i curricoli Regolamento, recante norme in materia di curricoli nell'autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.275 . Governo Amato , ministro del MIUR Tullio De Mauro, viene varato il Decreto Ministeriale 234., Art. 2 (Obiettivi specifici di apprendimento) Ciascuna istituzione scolastica, può riorganizzare, in sede di elaborazione del POF, i propri percorsi didattici secondo obiettivi formativi specifici di apprendimento e competenze degli alunni. Art. 3 (Quota nazionale e quota riservata alle istituzioni scolastiche) • La quota oraria nazionale obbligatoria dei curricoli è pari all'85% del monte ore annuale delle singole discipline di insegnamento • La quota oraria obbligatoria dei curricoli riservata alle istituzioni scolastiche è pari al restante 15% del monte ore annuale. • L' adozione , nell'ambito del piano dell'offerta formativa, di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria non può comportare la riduzione dell'orario obbligatorio annuale, nell'ambito del quale debbono essere recuperate le residue frazioni di tempo. Nota: il Decreto legislativo 226 del 17 ottobre 2005 relativo al 2° ciclo di istruzione, porta al 20% la quota riservata alle istituzioni scolastiche “ l'incremento fino al 20% della quota dei piani di studio rimessa alle istituzioni scolastiche, nell'ambito degli indirizzi definiti dalle Regioni in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale in uscita dal percorso di cui all'articolo 2, comma 3 ” ).
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La riforma costituzionale del 2001: l'entrata in vigore del nuovo Titolo V
Nel 2001,al termine della legislatura, la maggioranza di centrosinistra, sotto il secondo governo di Giuliano Amato, vara la riforma del Titolo V della Costituzione, entrata in vigore con la legge n. 3 confermata il 18/10/2001, dopo la consultazione referendaria, a cambio di governo già avvenuto.
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Art. 114 art.114 Titolo V 2001 “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”
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Le novità nell'articolo 117 Titolo V 1948 art. 117 Titolo V 2001 art
Le novità nell'articolo 117 Titolo V art.117 Titolo V art (seguiva elenco) (... segue elenco delle materie spettanti allo Stato) NOVITÀ: Inversione del criterio di riparto delle competenze. Le Regioni accrescono i loro poteri, infatti si passa: • dal precedente elenco "in positivo": alle Regioni la potestà legislativa per le sole materie elencate, tutte le altre di competenza dello Stato, • ad uno "in negativo": allo Stato la potestà legislativa per le sole materie elencate, tutte le altre spettano alle Regioni.
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Art. 117 Titolo V 1948 La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato … Titolo V 2001 Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia NON espressamente riservata alla legislazione dello Stato
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Art. 118 Titolo V 1948 Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti loca li o valendosi dei loro uffici. (…) Titolo V 2001 Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza… Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini , singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale , sulla base del principio di sussidiarietà
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Il principio di sussidiarietà
E' introdotto, per la prima volta nella Costituzione, il principio di sussidiarietà, che era già stato previsto nell'art. 4 della legge 59/97, la così detta Bassanini 1. Si tratta di quel principio sociale e giuridico che stabilisce che l'intervento dello Stato, nei confronti sia degli enti e suddivisioni amministrative ad esso sottostanti, sia dei cittadini, debba essere attuato esclusivamente come sussidio (ovvero come aiuto, dal latino subsidium) nel caso in cui l'entità sottostante o i cittadini siano impossibilitati ad agire per conto proprio. Il principio di sussidiarietà riveste un duplice aspetto: Sussidiarietà verticale : la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata dallo stato verso gli enti politico-amministrativi più prossimi al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio; Sussidiarietà orizzontale : attività e servizi di interesse generale possono essere svolti non solo dai poteri pubblici, ma anche, e prima di tutto, da soggetti privati, singoli e associati, e da altri enti che costituiscono espressione della società civile.
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La scuola nel Titolo V Titolo V 1948
La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato,………………. -istruzione artigiana e professionale -e assistenza scolastica Titolo V 2001 La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni Alla legislazione esclusiva dello Stato competono • i livelli essenziali delle prestazioni (lep) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale • le norme generali sull'istruzione • i principi fondamentali Alla legislazione concorrente compete • l'istruzione - salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche - con esclusione dell' istruzione e formazione professionale Alla legislazione della Regione compete 1) ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
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Le innovazioni del Titolo V
Le competenze legislative sull'istruzione e formazione sono divise fra: • legislazione esclusiva dello Stato che diventa circoscritta e definita, • legislazione concorrente , che significa che la potestà legislativa è delle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali riservati allo Stato, • legislazione delle Regioni, che viene estesa a tutto ciò che non è espressamente riservato allo Stato. In termini più specifici • Alla legislazione esclusiva dello Stato viene assegnata SOLO la definizione: • dei livelli essenziali delle prestazioni (lep), che non riguardano solo istruzione e formazione, ma tutti i “diritti civili e sociali”, es. sanità, sicurezza sociale ecc.., • delle norme generali sull'istruzione, • dei principi fondamentali. • Alla legislazione concorrente compete • l'istruzione, fatta salva l'autonomia scolastica, assurta a principio costituzionale. Vale la pena di ricordare che nella seduta 959 del 16/11/2000 fu proposta - senza esito - la cancellazione dell' istruzione tra le materie inserite nella legislazione concorrente , poiché si riteneva che l'autonomia regionale venisse fortemente limitata se allo Stato si lasciavano oltre alle norme generali anche i principi fondamentali sulla legislazione regionale, generando, come peraltro si è visto, non poca confusione. • Alla legislazione delle Regioni competono • l'istruzione e formazione professionale , nel rispetto dei LEP • ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
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Le norme generali 1) le norme generali dovrebbero riguardare la ripartizione in cicli, la durata dei corsi di studio, la suddivisione degli indirizzi, l'orario e la sua ripartizione fra quota nazionale e quota locale, la suddivisione fra discipline fondamentali ed opzionali, i titoli di studio, la valutazione del sistema dell' istruzione, gli aspetti nazionali dello stato giuridico del personale docente e dirigente. Quest'ultimo punto potrebbe anche rientrare nei principi fondamentali, infatti si ricordi che al senato fu accolto un ordine del giorno (seduta 957 del 15/11/2000) nel quale si affermava che "… nella fissazione dei principi fondamentali in materia di istruzione, la legislazione statale debba stabilire i seguenti punti essenziali in armonia con l'art. 33 della Costituzione: a) libertà di insegnamento; b) stato giuridico e carriera dei docenti; c) criteri e procedure nazionali di concorso e di assunzione; d) formulazione dei piani di studio e delle discipline.
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Principi fondamentali e LEP
2) I principi fondamentali, sul cui rispetto si esercita la legislazione concorrente, dovrebbero riguardare tutto ciò che si riferisce alla gestione del servizio,compresa la gestione del personale docente e dirigente. 3) I livelli essenziali delle prestazioni, lep, non sono innanzitutto da intendersi come “livelli minimi”, infatti la dizione “livelli minimi di garanzia da assicurare sul territorio nazionale“, adottata nel testo unificato della I Commissione della Camera, fu considerata limitativa e modificata. I lep dovrebbero riguardare gli obiettivi di apprendimento, le competenze essenziali, come altrove si chiamano, che dovrebbero essere unitarie sia per l'istruzione che per l'istruzione e formazione professionale, la durata e l'esercizio del "diritto-dovere all'istruzione e formazione (definita invece nel decreto come “norma generale”), ecc…
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Le contraddizioni nell’applicazione
La legge delega di riforma della scuola n.53 del 28 marzo 2003 ha preceduto la legge delega di attuazione del Titolo V n.131 del 5 giugno 2003 e che i decreti attuativi della legge delega 53/03 sono stati emanati senza che ci fossero i decreti attuativi della legge 131/03 ( mai varati poiché nel frattempo si è deciso di ri-riformare la Costituzione). Si citano alcune contraddizioni rilevate, che evidentemente non sono solo nominalistiche. • Titolo della legge 53/03: "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale" (quindi sembra riferire i lep solo all'istruzione e formazione professionale). • Titolo del decreto legislativo 59/04: “Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione". Sottotitolo delle Indicazioni per Scuola dell' Infanzia e 1° Ciclo: "Le Indicazioni esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le Scuole Primarie del Sistema Nazionale di Istruzione sono tenute ... ” • Titolo del decreto legislativo 226/05 “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione“. All'interno del decreto “i livelli essenziali” sono riferiti solo all'istruzione e formazione professionale, e a differenza del 1° ciclo, non vengono menzionati nemmeno nelle Indicazione per i licei.
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La transizione difficile
Le norme e il servizio Secondo il titolo V la Regione ha legislazione concorrente sulla “istruzione”, che significa che su questa ha potestà legislativa nel rispetto dei principi fondamentali definiti dallo Stato. Ma su cosa può in concreto intervenire la Regione? Per capirlo bisognerebbe definitivamente prendere atto che con il nuovo Titolo V: • Statali sono solo le regole (le "norme generali sull'istruzione ", i "livelli essenziali " e "i principi fondamentali" ), ma queste non sono il servizio dell'istruzione. • Le norme sono prescrizioni di carattere generale, sono un "prevedere". Il servizio è un fare in concreto, un "provvedere": servizio vuol dire organizzare, erogare prestazioni, rilevare e soddisfare bisogni. • Con il Titolo V la gestione del servizio e quindi del personale è quasi per intero regionale e locale (enti locali e istituti scolastici), ma questo richiede un quadro d'insieme che ora non c'è. Nella realtà si continua a procedere senza tenere conto del nuovo Titolo V, si considera l'amministrazione e la gestione delle scuole e del suo personale ancora statale (del ministero e dei suoi uffici periferici, gli USR), e si rischia ogni volta l'incostituzionalità delle norme.
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La sentenza della Corte costituzionale
La sentenza 13/2004 della Corte Costituzionale ha tentato di indicare la strada del cambiamento, sancendo che: La gestione di tutto il personale della scuola non è più statale Alle Regioni spetta fin da ora di legiferare e gestire gli organici Gli Uffici Scolastici Regionali non hanno più ragion d'essere
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La questione strategica dell’istruzione professionale
Titolo V Art L'articolo stabilisce che la Regione emana norme legislative, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sull' istruzione artigiana e professionale. Legge n Solo negli Anni Settanta, con l'istituzione delle Regioni, cominciarono a prendere corpo le norme costituzionali sull'istruzione professionale. Fu la legge 845/1978 “Legge quadro in materia di formazione professionale”, a dare applicazione, dopo 30 anni, all'art Gli Istituti Professionali, però, cresciuti nell'alveo dell'istruzione statale, si schierarono contro la propria regionalizzazione. La legge 845 sancì allora la distinzione fra “formazione professionale” , termine non presente nella norma costituzionale, e “istruzione professionale” assegnando la prima alle Regioni e mantenendo la seconda in capo allo Stato. Decreto legislativo n Bassanini, dopo avere tentato di rilanciare il passaggio alle Regioni di tutta l'istruzione professionale, incappò nella stessa opposizione di vent'anni prima, e alla fine alle Regioni furono trasferite solo poche decine di Istituti Professionali, quelli privi di corsi quinquennali. 2001 – Nuovo Titolo V art Nonostante questi precedenti e questi inequivocabili segnali la Legge n.3 di riforma costituzionale ha riproposto sia l'anomalo dualismo fra “formazione” e “istruzione” professionale , sia la separazione dell'istruzione professionale dal resto dell'istruzione secondaria superiore, senza sancire con estrema chiarezza che l'amministrazione di tutte le scuole è regionale, che i docenti e i dirigenti dell'istruzione professionale non saranno giuridicamente e contrattualmente separati dagli altri docenti ai quali sono da sempre uniti. Solo così, non si sarebbe generata la reazione verso una regionalizzazione vissuta come “ghettizzazione”.
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I due canali della Legge 53
La legge 53/03 ha però approfondito il solco, tanto che da scelta inevitabile si è trasformata in scelta discriminante, perchè: • i licei sono stati mantenuti quinquennali, e si è ridotto a 4 anni il solo percorso per il conseguimento del diploma professionale, nonostante tutte le proposte più lungimiranti chiedessero la conclusione di tutti i percorsi del 2° ciclo a 18 anni, cioè al conseguimento della maggiore età, come avviene in tutti i Paesi europei, e non solo. • sono stati “licealizzati” tutti gli istituti tecnici, marginalizzando ulteriormente l'istruzione e la formazione professionale , facendone cioè una filiera di "relegazione" riservata agli alunni che non hanno successo nella scuola, o ai figli di prima generazione degli immigrati. Una smentita della proclamata pari dignità fra i due sistemi • si agisce come se il sistema dei licei continuasse ad essere a gestione statale (con le stellette di prima classe) e solo l'istruzione e formazione professionale a gestione regionale (con il bollo dell' emarginazione) • non è stato definito, fino ai 16 anni, un nucleo di “competenze essenziali” uguali per entrambi i sistemi: tale carenza rende di fatto impossibile qualsiasi flessibilità o passaggio fra i sistemi
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