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Sant’Agostino e la scoperta della libertà

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Presentazione sul tema: "Sant’Agostino e la scoperta della libertà"— Transcript della presentazione:

1 Sant’Agostino e la scoperta della libertà
La correzione e la grazia

2 Ancora i monaci di Adrumeto
Sembra che il saggio su «La grazia e il libero arbitrio» non abbia convinto tutti ad Adrumeto. Qualcuno in particolare se ne è uscito con un’osservazione che pare avere la forza di una confutazione. Costui ha detto, lo sappiamo dalle Ritrattazioni, «che non bisogna correggere nessuno se non osserva i comandamenti di Dio, ma solo pregare per lui perché li osservi». Agostino, ben cosciente del pericolo che la diffusione di una tale interpretazione avrebbe costituito per la dottrina cristiana e per la prassi tradizionale della Chiesa, prende ancora in mano la penna per precisare. Di qui il De correptione et gratia, databile attorno al

3 L’esordio Dopo la parte dedicata ai saluti rivolti all’abate Valentino, Agostino insiste sul punto di partenza della discussione, che deve essere l’autorità divina: «da una simile autorità non dobbiamo staccarci se vogliamo raggiungere lo scopo a cui aspiriamo». L’autorità divina è quella stessa che dà la legge che insegna il bene, e poi, necessariamente, offre il dono gratuito di poterla rispettare. Altrimenti la legge sarebbe solo stimolo alla trasgressione, come più volte sottolineato…

4 Il libero arbitrio per il bene e per il male
La grazia è necessaria perché noi possediamo il libero arbitrio «per fare sia il bene sia il male, ma ne fare il male ognuno è libero dal vincolo della giustizia e servo del peccato, nel fare il bene invece nessuno può essere libero se non è stato liberato» (Agostino, La correzione e la grazia, 1,2) da Cristo. Ecco ancora ribadita la concezione di Agostino relativamente al libero arbitrio. Esso esiste ma funziona, in condizioni normali, solo per il male; per il bene ha bisogno di essere attivato dalla grazia. Il libero arbitrio sembra dunque che MANIFESTI due strade, le illumini con la sua presenza, ma poi ne possa percorrere solo una se non è a sua volta sostenuto dalla grazia. Una volta che la grazia abbia liberato il libero arbitrio per il bene, essa rimane necessaria a perseverare nel bene stesso, e dunque va chiesta con la preghiera del fedele.

5 Senza la grazia non si compie nessun bene
Nulla di bene il pensiero, la volontà, l’amore e l’azione possono compiere senza la grazia. Se è vero che bisogna esortare e ammaestrare, perché così hanno fatto gli Apostoli e i dottori delle Chiese, nulla si può ottenere in definitiva senza l’intervento di Dio. A Dio bisogna rivolgersi con la preghiera, ma anche quest’ultima capacità (di rivolgersi a Lui) è data da Dio stesso.

6 L’obiezione Ecco allora l’obiezione «Ma se la volontà stessa è preparata dal Signore, perché mi rimproveri quando vedi che non voglio adempiere ai suoi precetti e perché piuttosto non chiedi a Lui di operare in me anche il volere?» Si tratta di un’obiezione estremamente acuta, perché il rimprovero evidentemente presuppone che a decidere possa essere il rimproverato, e che quest’ultimo abbia in potere di fare il bene, cosa che è stata appena negata da Agostino.

7 La risposta di Agostino
La strategia argomentativa di Agostino risulta essere un po’ deludente. Egli infatti nel riportare i termini della contestazione suscita l’aspettativa di una risposta nel merito. Tale aspettativa viene tradita perché la replica avviene su un altro piano, cioè sul piano psicologico. Un Agostino-Nietzsche (se ci è permesso un simile accostamento) decostruisce psicologicamente l’intenzione di chi obietta, invece che produrre un argomento contro l’obiezione. Infatti il nostro vescovo afferma che l’obiezione è dovuta alla ben poco onorevole volontà di non riconoscere il male compiuto e di non voler per questo ricevere un rimprovero, dirottando la responsabilità su Dio: tu che parli così «non vuoi che siano dimostrati i tuoi difetti, non vuoi che essi siano colpiti producendo un dolore per te utile, che ti induca a cercare il medico; non vuoi essere mostrato a te stesso in modo che vedendoti deforme, tu senta il bisogno di chi ti può cambiare» (5,7).

8 Difficoltà Qui Agostino si dibatte evidentemente in qualche difficoltà: Se egli accusa colui che obietta dicendo che così non vuole che siano mostrati i suoi mali, egli pure aggiunge che il rimprovero, se fosse accettato, indurrebbe colui che viene rimproverato a cercare il medico, cioè avrebbe una sua efficacia. Tale affermazione entra in contrasto evidente con quella secondo cui sempre e in ogni caso è Dio che converte e ogni buon proposito è suscitato da Dio e da Dio portato a compimento. Tra questi buoni propositi vi è anche quello di mutare la propria vita da malvagia in buona. Cosa che logicamente renderebbe inutile il rimprovero.

9 Predicazione e rimprovero
Più rilevante e acuto è l’argomento esposto successivamente. Questo consiste in un’analogia tra la predicazione e il rimprovero. Noi accettiamo la predicazione, per esempio dell’Apostolo Paolo (ma varrebbe per tutti gli Apostoli e i santi), sapendo bene, perché Paolo stesso lo afferma a chiare lettere, che non è parola sua ma viene da Dio. Se viene da Dio, dice Agostino, nulla impedirebbe a Dio di rivelare a noi ciò che ha rivelato a Paolo. Con questa consapevolezza potremmo tranquillamente dire che la predicazione paolina è inutile, ma non lo diciamo, anzi riteniamo la sua divina ispirazione un motivo in più per ascoltare la sua parola.

10 Predicazione e rimprovero 2
Ciò non deve forse valere anche per gli eventuali rimproveri – che peraltro sono presenti nella parola di Paolo stesso? Se è Dio che muta i cuori e interviene anche senza il rimprovero, non è questo un motivo per rifiutare di rimproverare, o anche, ancor di più, di pregare per la conversione di colui che è fuori dalla retta via cristiana, anche se la conversione è comunque effetto di una grazia. Questo anche se «l’uomo si avvantaggia della riprensione quando gli presta pietà e soccorso colui che fa progredire chi vuole anche senza la riprensione».

11 Predicazione e rimprovero 3
Si potrebbe obiettare che -nella predicazione la grazia si manifesta proprio attraverso la possibilità dell’ascolto della parola, il quale ascolto è uno dei mezzi scelti da Dio per mostrare la sua volontà di donare il vangelo a chi egli vuole salvare. -la questione del rimprovero non riguarda invece il rimprovero come mezzo di espressione della grazia di Dio che fa arrivare un messaggio attraverso l’uomo, ma come atto puramente umano che si associa alla grazia o meno (e deve a questa associazione la sua efficacia). Detto ciò, si ritorna al punto di prima: a che scopo l’atto puramente umano se esso non ha alcuna efficacia in quanto tela? E se invece ha un’efficacia, dove sta questa efficacia? In che cosa l’uomo si avvantaggia della riprensione umana se in mancanza della «pietà e del soccorso divino» essa è del tutto inutile?

12 Che cosa tu hai che non abbia ricevuto?
La parola di Paolo è dirimente: bisogna mantenere la prospettiva che tutta l’iniziativa è di Dio. Nulla possiede l’uomo che non abbia ricevuto da Dio. Ma chi dal punto di vista logico ne deduce che i rimproveri umani sono allora inutili, è perché ha un difetto psicologico: non vuole essere rimproverato e tende ad attribuire il suo comportamento sbagliato al fatto che Dio non lo avrebbe fatto oggetto del dono della grazia.

13 L’errore non è mai riconducibile a Dio
Ma gli errori dell’uomo non sono dovuti al fatto che Dio non ha concesso la grazia, bensì ad un a causa prima, la causa del peccato originale che noi traiamo dai nostri genitori con la nostra «forma», ma che noi «misticamente condividiamo con Adamo, almeno a sentire l’Apostolo quando dice che tutti peccarono in Adamo. A ciò si aggiungano gli errori dell’uomo quando, pur avendo ricevuto la grazia, ricade nel peccato attraverso il suo libero arbitrio – libero nei confronti del male.

14 La perseveranza Ma, ancora una volta, che cosa fa sì che un uomo giustificato dalla grazia ricada nel peccato? Certo il suo libero arbitrio, libero nei confronti del male, ma un libero arbitrio la cui libertà nei confronti del male nulla potrebbe se la grazia divina avesse donato la perseveranza nel bene. Anche qui si ripropone la stessa dinamica: il rimprovero è da farsi non solo nei confronti di chi fa il male non avendo ancora ricevuto la grazia, ma anche di chi, pur avendola ricevuta non persevera nel bene. E anche qui si bisogna per Agostino affermare la bontà del rimprovero e la sua utilità, benché senza grazia esso sia del tutto inutile.

15 Nessun merito nella salvezza
Chi ottiene la conversione e poi la perseveranza, ottiene la salvezza e lo fa in modo del tutto gratuito, cioè senza che con la salvezza Dio ripaghi alcun merito umano. La dinamica del dono è quella per la quale «molti sono i chiamati, pochi gli eletti» (Mt 22,14), frase che piace molto ad Agostino perché bene si attaglia alla sua visione dell’imperscrutabilità della volontà e della grazia divina e mantiene quel certo tono minaccioso atto a non far venir meno la tensione della fede e della carità. Quindi non bisogna sedersi una volta ottenuta la chiamata, che pure è già una grazia, ma mantenere alta la vigilanza per avere un riscontro di essere non solo nel novero dei chiamati, ma anche in quello più ristretto degli eletti.

16 I non eletti I non eletti non hanno ottenuto la grazia della perseveranza. Perché esistono non eletti? Agostino risponde che non lo sa. Ciò appartiene all’imperscrutabile volontà divina: «Se tu dunque confessi che è dono di Dio perseverare nel bene fino alla fine, penso che tu non sai, esattamente come me, perché quello riceva tale dono e l’altro non lo riceva, e nessuno di noi due qui può penetrare gli imperscrutabili disegni di Dio». In ogni caso va sottolineato che «non è sicuramente con la libertà che la volontà umana consegue la grazia, ma è piuttosto con la grazia che consegue la libertà insieme a una dilettevole stabilità e a un’invincibile fortezza per perseverare».

17 Un fatto strano Si dà il fatto che alcuni chiamati non vengano eletti. Questo, dice Agostino, è un fatto strano, ma, per quanto insolito va accettato così com’è in base all’assunto che «i giudizi di Dio non possono essere né vituperati, né penetrati, PERCHÉ sono giusti e profondi, e un giudizio del genere è quello a proposito della perseveranza» (che viene data ad alcuni e non ad altri).

18 Chi non è eletto non è stato da Dio predestinato
Colui che non è stato sin dall’inizio predestinato alla salvezza, non si può dire che sia eletto. Magari rientra nel novero dei chiamati, ma Dio sa che abbandonerà prima o poi la retta via. Coloro che sono eletti, invece, malgrado possano attualmente essere addirittura nemici della fede, o malgrado possano essere stati chiamati e aver momentaneamente abbandonato la fede, sono sin dall’inizio predestinati ad accedervi o a tornarvi. Il tutto secondo l’imperscrutabile decreto divino.

19 Prescienza divina Dio è «colui che fece le cose che avverranno», dunque in lui tutto è già conosciuto, compreso ciò che noi ignoriamo, cioè la perseveranza di qualcuno nel bene o la possibilità che, un individuo sotto l’influsso della grazia divina, dal male passi al bene. Insomma tutto è conosciuto da Dio, mentre nulla lo è da noi. Anche gli eletti, non sanno se lo sono e Dio, affinché non si inorgogliscano li mantiene in questa ignoranza e nella possibilità di abbandonare se pur momentaneamente la retta via. Questo avviene in modo tale che nessuno possa anticipatamente sapere in quale parte dell’umanità Dio lo ha collocato, affinché nessuno inorgoglisca e, aggiungiamo noi, nessuno perda la speranza.

20 La riprensione, con amore
Pertanto la riprensione è cosa positiva perché è il modo in cui, talora Dio agisce nei confronti dell’eletto che ha momentaneamente abbandonato la retta via, convincendolo a tornare, quindi diventa propriamente un modo attraverso cui si esprime la grazia di Dio, anche se, ovviamente noi non lo possiamo sapere. Per tale motivo la riprensione va fatta con amore: noi non sappiamo se colui che viene ripreso è un eletto o no.

21 ADAMO Sorge a questo punto un problema. Come mai Adamo, che fu creato senza difetti, cadde nell’errore e commise il primo peccato? Se infatti non aveva difetti, possedeva pure la perseveranza, e come mai peccò pur possedendo la perseveranza? La risposta di Agostino parte da lontano, prendendo ad analizzare la vicenda degli angeli e tra loro di quelli decaduti.

22 Gli angeli decaduti Gli angeli decaduti, per mezzo del libero arbitrio hanno rinnegato Dio. Essi dunque non sono sfuggiti al giudizio divino che li ha resi eternamente infelici. Gli angeli che invece rimasero fedeli sono stati ricompensati con un sapere particolare che li ha resi ancora più beati di prima: il sapere che essi non potranno mai cadere. Tale sapere non era di nessuno prima che non si determinasse la scissione nelle creature angeliche tra i fedeli e i devianti. Quindi se prima la condizione angelica era del massimo di beatitudine compatibile con l’ignoranza sul proprio futuro relativamente alla scelta di stare con Dio o no, dopo, per gli angeli decaduti vi è stato il giudizio e per quelli fedeli la grazia di una felicità ancor più grande.

23 Per quanto riguarda l’uomo…
Adamo fu creato senza difetto e beato ma in possesso del libero arbitrio. La sua beatitudine era al massimo grado compatibilmente con l’ignoranza della sua futura caduta. Egli rimaneva tuttavia beato perché sentiva che il non morire e il non diventare infelice erano in suo potere. Solo dopo il suo peccato, commesso mediante il suo libero arbitrio sperimentò il giusto giudizio, per il quale tutta la sua stirpe è gravata dalla colpa.

24 La condizione di Adamo e degli eletti
Adamo quindi non era senza una grazia, ma una grazia diversa da quella di cui fruiranno gli eletti e i santi dopo il suo peccato. ADAMO I SANTI È stato posto in mezzo al giardino dell’Eden, cioè in mezzo ad un gran numero di beni che egli non si era procacciato. In questa vita si trovano tra i mali e gridano a Dio di liberarli. Nei beni in cui è stato collocato non ha bisogno della morte di Cristo. Sono sciolti dal peccato dal sangue dell’Agnello. Non avverte il contrasto tra la volontà buona e le pulsioni negative che provengono dal peccato. Non vi è lotta in lui. Sentono la ribellione del peccato alla volontà buona che intende guidare il loro agire. Essi si sentono internamente lacerati.

25 Gli eletti e il Verbo Gli eletti hanno bisogno della redenzione che il Verbo divino operò incarnandosi nel seno della Vergine Maria e offrendo se stesso in espiazione dei peccati di molti. Hanno cioè bisogno di un Mediatore che riassuma nella sua unica persona l’umanità e la divinità e che sia da sempre senza peccato perché da lui venga il dono gratuito della redenzione dal peccato.

26 La grazia nel primo e nel secondo Adamo
Primo Adamo Secondo Adamo (gli eletti, l’uomo redento) Ebbe la grazia di non essere malvagio SE LO AVESSE VOLUTO Riceve una grazia PIÚ POTENTE : essa non solo fa sì che la grazia agisca a partire dalla sua\ volontà di riceverla, ma fa sì ANCHE che egli VOGLIA QUINDI Dio lascia l’efficacia della sua grazia nelle mani del suo libero arbitrio (quindi Dio avoca a sé l’onere della volontà buona) L’uomo può quello che vuole, ma non sempre vuole (e infatti non ha voluto ed è caduto nel peccato) L’uomo non solo può quello che vuole ma vuole quello che può (e infatti persevera nel bene in eterno) Possiede il libero arbitrio Possiede un libero arbitrio che non può più essere schiavo del peccato

27 Ciò che vi è di più libero
«Ma che ci sarà di più libero del libero arbitrio quando esso non potrà più essere servo del peccato?» (11,32) Il libero arbitrio che dovrebbe essere misura della libertà, in realtà si misura sulla sua sudditanza al peccato. Vi può essere un libero arbitrio schiavo del peccato, e non sarà evidentemente ciò che vi è di più libero. Vi sarà un libero arbitrio libero dal peccato, e ciò sarà veramente il massimo della libertà. Certo viene da ripetere sempre la domanda: che senso ha definire libero qualcosa che libero non è? Che senso ha parlare di un libero arbitrio «schiavo del peccato»? Evidentemente qui si allude alla presenza nell’uomo di qualcosa che lo fa agire bene quando è liberato da un impedimento e che invece lo porta ad agire male se è ostacolato dal medesimo impedimento. Ora l’impedimento è il peccato in generale, e quello originale come radice di tutti i peccati. La libertà dall’ostacolo viene dalla grazia divina, che dunque libera il libero arbitrio prima schiavo.

28 La condizione dei santi e quella di Adamo
Dunque al il libero arbitrio schiavo del peccato Agostino da un lato oppone un libero arbitrio liberato dal peccato e, prima di entrambi, un libero arbitrio che ha in potere sia il bene sia il peccato, cioè diremmo un libero arbitrio lasciato a se stesso. Il libero arbitrio liberato corrisponde a quella che egli chiama libertà di non poter peccare. Tale libertà è quella propria dei santi e degli eletti. Prima invece del peccato originale, Adamo disponeva di una libertà di poter non peccare: «Infatti il primo uomo poteva non peccare, poteva non morire, poteva non abbandonare il bene» (12,33) ma ciò era lasciato alla sua volontà.

29 L’aiuto «senza il quale non» e «l’aiuto con il quale»
Qual è la differenza allora, dal punto di vista della dotazione di cui Dio li ha beneficiati, tra i santi ed Adamo. Adamo ha ricevuto una grazia grande, quella non essere gravato da nessun obbligo e peccato. Cioè aveva tutto ciò che era necessario per non peccare. Era in una situazione che soddisfaceva le condizioni necessarie ad evitare il peccato. Aveva dunque ricevuto l’aiuto senza il quale non si può non peccare. I Santi hanno ricevuto una grazia ancor più grande. Sono stati posti in una situazione che soddisfa le condizioni necessarie e sufficienti a non peccare. Essi non solo possono non peccare ma effettivamente e positivamente non peccano.

30 La maggior grazia dei santi
Che i santi abbiano avuto una grazia ancora maggiore è poi visibile dal fatto che essi partono da una condizione di evidente maggior svantaggio. Infatti se Adamo ebbe una volontà pura e nondimeno la rese schiava del peccato, i santi non hanno avuto una volontà pura, ma schiava, e hanno ottenuto di poterla liberare. Questo perché una condizione di maggior svantaggio richiede un dono più grande: quello per cui Dio nei santi non solo e non tanto lascia libero il volere, ma OPERA il volere, lo fa giusto.

31 Nessuno si glori Chiunque faccia il bene, lo fa in ogni caso per un aiuto del Signore e nessuno si deve gloriare se non nel Signore. A tal fine, se Dio ha scelto gli eletti sin dall’inizio dei tempi, e se il loro numero è fisso e predeterminato, Dio ha nondimeno tenuto nascosto agli uomini la sua scelta, affinché gli eletti non soccombano alla presunzione e alla superbia (così dice Agostino, anche se non si capisce per quale motivo gli eletti possano soccombere alla presunzione e alla superbia – forse sarebbe più plausibile dire «affinché i non eletti non aumentino la loro perfidia», giacché conoscere il loro destino li renderebbe ancor più sordi al bene… Ma anche qui il ragionamento tiene fino ad un certo punto. Il problema di fondo è che non avrebbe senso vivere sapendo di essere consegnati al male). Il segreto qui è l’unica scappatoia per mantenere un senso.

32 Se nessuno sa, il rimprovero è lecito
Nessuno può sapere chi è predestinato. Dunque bisogna agire come se nessuno lo fosse e pensare che il rimprovero potrebbe essere il mezzo attraverso cui passa la grazia, anche se non sappiamo se sarà effettivamente così e se dunque sarà efficace. In ogni caso per i predestinati il rimprovero sarà una medicina, per i non predestinati, un castigo. Di non predestinati ve ne sarà una quantità e, dice Agostino, non bisogna cadere nell’inganno di una cattiva interpretazione della frase «Dio vuole che tutti siano salvi». Non bisogna pensare infatti che la volontà divina desideri una salvezza che coinvolga tutti, mentre la vera interpretazione del passo è che Dio contempla tra i predestinati tutti i generi di uomini.

33 Dio fa ciò che vuole con la volontà umana
Coloro che Dio vuole salvi sono mossi da Dio nella loro volontà ad aver bene e a fare il bene. Nessuno può resistere alla decisione divina. Agostino qui ribadisce, con esempi tratti dalla storia della salvezza e in particolari dalle vicende relative all’instaurazione della monarchia in Israele e alla salita al trono di re David, che se è vero che gli uomini agiscono con la loro volontà, rimane altrettanto vero che quest’ultima è mossa da Dio, perché Dio governa le vicende umane «impossessandosi» del cuore degli uomini, «padroneggiando» la loro volontà, più di quanto possano farlo gli uomini stessi.

34 Noi dobbiamo rimproverare con amore
Dunque, in chiusura Agostino ribadisce che noi dobbiamo rimproverare, fornendo un’ulteriore interpretazione del detto «Dio vuole che tutti siano salvi». Così come infatti quando Paolo in Gal 4, 6 dice: «Mandò lo spirito del Figlio suo a gridare Abbà Padre», bisogna intendere: «Mandò lo spirito del Figlio suo affinché noi gridassimo Abbà Padre» (e infatti in Rm 8, 15 si dice: «Riceveste lo Spirito di adozione a figli, in unione con il quale gridiamo: Abbà, Padre!), allo stesso modo quando nelle Scritture è detto «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi» (1Tim 2,4), bisogna intendere «Dio vuole che noi vogliamo che tutti siano salvi». Questo avviene perché noi non sappiamo chi Dio ha predestinato. Quindi con tutti dobbiamo comportarci con amore, volendo che tutti siano salvi, anche se sappiamo che solo alcuni lo saranno.

35 Non riprendere è una negligenza
Evitare di riprendere con carità colui che sbaglia sarebbe, alla luce di quanto detto, una grave negligenza. Tale azione si configurerebbe come un rifiuto di farsi strumento della grazia di Dio per i predestinati. Qualora invece il rimprovero fosse rivolto a chi non è predestinato, l’amore con cui lo si fa, ritornerebbe a nostro vantaggio e a nostra edificazione. Se si evitare la riprensione a chi la merita, si renderebbe male per male, perché non si dimostrerebbe nei suoi confronti l’amore che gli è dovuto. Quell’amore che «non commette peccato e copre una moltitudine di peccati.


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