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R.L. Stevenson, Author’s Note to “The Master of Ballantrae”

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Presentazione sul tema: "R.L. Stevenson, Author’s Note to “The Master of Ballantrae”"— Transcript della presentazione:

1 R.L. Stevenson, Author’s Note to “The Master of Ballantrae”
“Il bisogno di un confidente per Mr Henry mi portò a introdurre Mackellar […]. Nulla mi dà maggior piacere del fatto che uno dei miei pupazzi si mostri nel suo stesso linguaggio; in nessun altra forma che questa del monologo drammatico i tratti incongrui e umoristici vengono presentati in modo così persuasivo. Di conseguenza, e perfettamente soddisfatto di me stesso, scrissi e riscrissi precipitosamente la prima metà della mia storia fino alla fine del duello, attraverso gli occhi e le parole del buon Ephraim. Ma la codardia viene sempre punita; non avevo ancora preso il largo, non avevo ancora imparato ad apprezzare i vantaggi del mio metodo, che fui messo faccia a faccia con i suoi difetti e precipitai in un terrore folle della conclusione. Come potevo, con un narratore come Mackellar, rappresentare il melodramma nelle terre selvagge? Come potevo, con il suo stile così pieno di goffaggini, affrontare un episodio che doveva essere del tutto travolgente o del tutto sciocco e assurdo?”

2 Giorgio Manganelli, L’ordigno letterario
“Mackellar è il servitore fedele di un uomo naturalmente fedele; l’uno e l’altro intimamente quotidiani, ignari di avventure; la devozione impersonale di Mackellar si arricchisce di una fondamentale viltà: egli è definitivamente sacro alle anguste e patetiche dimensioni della vita domestica. È collaboratore di gesti umili, il discreto assistente, anche l’amico taciturno, abituato ad avari ma solenni consensi. È anche il cronista di gran parte della storia [...] Ma un altro compito gli spetta, inconsapevole ed essenziale: Mackellar deve non capire quello che sta accadendo, deve registrare con occhi afflitti e diligenti il mostruoso miracolo, senza intenderlo”

3 Il narratore inattendibile
Cfr. Wayne Booth, The Rhetoric of Fiction (1961) Uno scrittore ha lo scopo fondamentale di comunicare e di imporre al lettore “il mondo da lui immaginato”; Tuttavia, l’artefice di questo mondo non è l’autore empirico, ma è una sua controfigura all’interno del testo, una sorta di “alter ego”, che Booth chiama “autore implicito”; “Quando scrive, [l’autore] non crea semplicemente un ‘uomo in generale’, impersonale e ideale, ma una versione implicita di se stesso” Autore Reale → Autore Implicito → Narratore → Lettore

4 Il narratore inattendibile
Wayne Booth, The Rhetoric of Fiction (1961): “Ho chiamato attendibile [reliable] il narratore che parla o agisce in armonia con le norme dell’opera [the norms of the work] (cioè con quelle dell’autore implicito), inattendibile [unreliable] quello che non lo fa. […] Di solito l’inattendibilità non ha nulla a che fare con le bugie, per quanto per alcuni scrittori moderni i narratori menzogneri si siano rivelati una risorsa preziosa […]. L’inattendibilità è più spesso collegata con ciò che James chiama inconsapevolezza: il narratore è in errore, o crede di possedere qualità che l’autore rifiuta di riconoscergli […]. Così i narratori inattendibili sono notevolmente diversi, a seconda di quanto e in che direzione si allontanino dalle norme del loro autore. […] Tutti esigono dal lettore – più di quanto facciano i narratori attendibili – capacità di deduzione”.

5 Il narratore inattendibile
Cfr. Wayne Booth, The Rhetoric of Fiction (1961) Autore Reale Autore Implicito Narratore Lettore Si crea una forma di complicità, una “intesa segreta” (Booth) tra Autore implicito e Lettore, alle spalle del Narratore.

6 Il narratore inattendibile
Seymour Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film (1978): “La narrazione inattendibile è una forma ironica. […] Il lettore […] avverte una discrepanza tra la ragionevole ricostruzione della storia e il resoconto datone dal narratore. […] L’autore implicito ha istituito un rapporto comunicativo segreto con il lettore […]. La inattendibilità del narratore può derivare da cupidigia (Jason Compson), imbecillità (Benjy), credulità (Dowling, il narratore di The Good Soldier), ottusità psicologica e morale (Marcher in The Beast in the Jungle), incertezza o mancanza di informazioni (Marlow in Lord Jim), innocenza (Huck Finn) e un gran numero di altri motivi”.

7 R. Ambrosini, R.L. Stevenson: La poetica del romanzo
“Da questo punto in poi, nell’intenzione dell’autore deve essere chiaro quanto condizionato dalla propria psicologia sia il modo di vedere di Mackellar, perché la narrazione diviene improvvisamente come uno specchio e ci viene offerta una confessione la cui reticenza e contorsione dovrebbero metterci sull’avviso riguardo alla veridicità del testimone”.

8 R. Ambrosini, R.L. Stevenson: La poetica del romanzo
“Questa ‘Note’ svolge una duplice funzione, nei confronti della scena in cui è situata, e del testo nel suo complesso. Quando Mackellar manifesta preoccupazione per come Henry educa il piccolo Alexander, a motivarlo è la gelosia che prova nel vede come Henry passi tutto il tempo col bambino. Qui come altrove, è l’affermazione di un affetto, di un legame di sangue, a farlo sentire un estraneo [...]. ‘R.L.S.’ sta quindi avvertendo il lettore che Mackellar avrebbe anche in seguito tentato di svolgere il medesimo ruolo nei confronti delle generazioni successive, diventando un ‘exacting servant’ di cui ci si è dovuti liberare per la sua invadenza. [...] La seconda funzione è quella di suggerire [...] che il risentimento verso la famiglia sia stata la molla che ha spinto il servitore a stendere le sue memorie”.

9 Il ruolo del paesaggio R.L. Stevenson, A proposito del “romance” (1882): “Esiste una particolare predisposizione per ogni luogo o evento. La vista di un pergolato ombroso e attraente ci fa venire in mente di sedervisi; certi ambienti suggeriscono l’idea del lavoro, altri l’ozio, altri ancora il desiderio di alzarsi presto e di fare lunghe passeggiate nell’erba ancora umida di rugiada. Le immagini della notte, di un qualsiasi corso d’acqua, di città illuminate, del baluginare dell’alba, delle navi, dei mari aperti, ci evocano nella mente miriadi di sensazioni piacevoli e di desideri indistinti. Sentiamo che qualcosa dovrebbe accadere; non sappiamo ancora che cosa, ma procediamo, cerchiamo, in attesa.

10 Il ruolo del paesaggio R.L. Stevenson, A proposito del “romance” (1882): “E molte delle nostre ore più felici ci scorrono fra le dita nella vana aspettativa dell’apparizione del genius loci. […] È certo che alcuni luoghi parlano da sé, in modo distinto: certi giardini umidi e oscuri attendono ansiosi i più orrendi delitti, certe vecchie case implorano di essere visitate da spettri, certi scoscesi tratti costieri sono stati creati apposta per un bel naufragio. Altri sembrano meditare sul loro stesso destino, suggestivi e impenetrabili”.

11 La figura del Master, tra essere e apparire
Stevenson, The Genesis of “The Master of Ballantrae”: “Per il Master non avevo alcun modello [original], ciò che forse è un altro modo per confessare che il modello non era altri che me stesso. Tutti noi abbiamo un certo atteggiamento nei confronti del nostro carattere e del nostro ruolo nella vita; in maggiore o minore misura, desideriamo che ci sia identità tra l’essere e l’apparire [between the essence and the seeming], e il segreto del Master è soprattutto questo, che lui è indifferente a tale problema. Un uomo vivo, un uomo pieno, un uomo umano sotto tutti gli altri aspetti, che ha quest’unico elemento di inumanità”.

12 Il personaggio, tra agente e carattere
Aristotele, Poetica: “Poiché chi imita, imita persone in azione [práttontas], queste non possono essere che serie o dappoco (i caratteri seguono sempre solo questi due tipi, perché gli uomini, per quanto riguarda il carattere, si distinguono per vizio o per virtù), persone cioè migliori di noi, o peggiori di noi, o come noi”.

13 Il personaggio, tra agente e carattere
Aristotele, Poetica: “Poiché chi imita, imita persone in azione [práttontas], queste non possono essere che serie o dappoco (i caratteri seguono sempre solo questi due tipi, perché gli uomini, per quanto riguarda il carattere, si distinguono per vizio o per virtù), persone cioè migliori di noi, o peggiori di noi, o come noi”. “[L’elemento] più importante è la sistemazione degli eventi, perché la tragedia non è imitazione di uomini, ma di azione e di vita”.

14 Il personaggio, tra agente e carattere
Aristotele, Poetica: “Poiché chi imita, imita persone in azione [práttontas], queste non possono essere che serie o dappoco (i caratteri seguono sempre solo questi due tipi, perché gli uomini, per quanto riguarda il carattere, si distinguono per vizio o per virtù), persone cioè migliori di noi, o peggiori di noi, o come noi”. “[L’elemento] più importante è la sistemazione degli eventi, perché la tragedia non è imitazione di uomini, ma di azione e di vita”. “Poiché è imitazione di un’azione, [la tragedia] è realizzata da personaggi che agiscono, e che necessariamente hanno certe qualità di carattere [ethos] e di pensiero [diánoian] […]; l’imitazione dell’azione vera e propria è la trama [mythos]. Per trama intendo in questo senso la sistemazione dei fatti, per caratteri ciò per cui diciamo che chi agisce ha certe qualità, per pensiero ciò con cui parlando si argomenta o si esprime un giudizio”.

15 Il personaggio, tra agente e carattere
Aristotele, Poetica: Si delineano due declinazioni principali: Il personaggio come pratton, come agente, come funzione degli avvenimenti e della trama; Il personaggio come ethos, come portatore di determinate qualità che definiscono la sua “personalità” e che possono essere ricondotte a un determinato sistema di valori, culturalmente connotato (bene/male, virtù/vizio, nobilità/meschinità ecc.).

16 Il personaggio come funzione
Vladimir Propp, Morfologia della fiaba (1928), il personaggio viene ridotto all’azione che compie, alla funzione che svolge nell’economia dell’intreccio, a prescindere dalle sue qualità e anche dalle motivazioni “psicologiche” che lo muovono: «Constatiamo così ancora una volta il fatto che la volontà dei personaggi e le loro intenzioni non possono essere considerate un motivo essenziale per la loro determinazione. L’importante non è quello che essi vogliono fare, non i sentimenti che li muovono, ma le loro azioni in quanto tali, valutate e determinate in base al loro significato per l’eroe e per lo svolgimento dell’azione».

17 Il personaggio come funzione
Seymour Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film (1978): «Le opinioni dei formalisti e di (alcuni) strutturalisti somigliano sorprendentemente a quelle di Aristotele. Anche loro affermano che i personaggi sono prodotti dell’intreccio, che il loro statuto è ‘funzionale’, in breve che essi sono partecipanti o attanti più che persone e che è sbagliato considerarli come esseri reali».

18 Il personaggio come paradigma di tratti
Roland Barthes, S/Z (1970): «Quando sèmi identici [sèma = un tratto semantico che rimanda a una qualità o a un carattere, ad es. buono, malvagio, generoso, arrogante ecc.] attraversano a più riprese lo stesso Nome proprio e sembrano fissarvisi, nasce un personaggio. Il personaggio è quindi un prodotto combinatorio: la combinazione è relativamente stabile (caratterizzata dal ritorno dei sèmi) e più o meno complessa (comportando tratti più o meno congruenti, più o meno contraddittori); questa complessità determina la ‘personalità’ del personaggio, altrettanto combinatoria quanto il sapore di una pietanza o l’aroma di un vino».

19 Il personaggio come costrutto aperto
Chatman, Storia e discorso: «Certi personaggi di narrative sofisticate rimangono costrutti aperti, proprio come nella vita reale certe persone, per quanto le conosciamo, rimangono misteriose». Giorgio Ficara, Homo fictus (in F. Moretti, Il romanzo, vol. IV): «Ciò che io autore non conosco è precisamente ciò che il mio personaggio, nel momento stesso in cui viene narrato, mi aiuta a conoscere o, perlomeno, mi addita come conoscibile o non ancora conosciuto».

20 Il personaggio, un “gruppo di parole”
Edward Morgan Forster, Aspetti del romanzo (1927): “Il romanziere mette insieme una certa quantità di gruppi di parole [word-masses] che grossomodo rispecchiano l’animo di lui autore [...], li fornisce di nome e di sesso, assegna loro azioni plausibili, li fa parlare usando le virgolette, e forse li fa anche agire con una certa coerenza. Questi gruppi di parole sono i suoi personaggi”.

21 Il personaggio, un “gruppo di parole”
Edward Morgan Forster, Aspetti del romanzo (1927): “Il romanziere mette insieme una certa quantità di gruppi di parole [word-masses] che grossomodo rispecchiano l’animo di lui autore [...], li fornisce di nome e di sesso, assegna loro azioni plausibili, li fa parlare usando le virgolette, e forse li fa anche agire con una certa coerenza. Questi gruppi di parole sono i suoi personaggi”. Paul Valéry, Tel Quel (1943): “Superstizioni letterarie – così chiamo tutte quelle convinzioni che concordi dimenticano la condizione verbale della letteratura. Quindi esistenza e psicologia dei personaggi, queste creature vive senza viscere”.

22 Il personaggio, un “gruppo di parole”
Edward Morgan Forster, Aspetti del romanzo (1927): “Il romanziere mette insieme una certa quantità di gruppi di parole [word- masses] che grossomodo rispecchiano l’animo di lui autore [...], li fornisce di nome e di sesso, assegna loro azioni plausibili, li fa parlare usando le virgolette, e forse li fa anche agire con una certa coerenza. Questi gruppi di parole sono i suoi personaggi”. Paul Valéry, Tel Quel (1943): “Superstizioni letterarie – così chiamo tutte quelle convinzioni che concordi dimenticano la condizione verbale della letteratura. Quindi esistenza e psicologia dei personaggi, queste creature vive senza viscere”. Roland Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti (1966): È ingenuo “vedere il narratore e i personaggi come persone reali, ‘vive’ (conosciamo l’indefettibile potenza di questo mito letterario) [...]. Narratore e personaggi sono essenzialmente degli ‘esseri di carta’ [êtres de papier]”.

23 Il personaggio, un “gruppo di parole”
Jacques Lacan, Hamlet ( ): Niente di più sbagliato che considerare i personaggi come dei nostri vicini di casa: “Amleto non è un nevrotico per la buona ragione che è una creazione poetica; Amleto non ha una nevrosi, ci mostra – ed è cosa completamente diversa – una nevrosi [...] L’eroe è strettamente identico alle parole del testo”.

24 Il personaggio, tra segno e illusione
Cfr. Arrigo Stara, L’avventura del personaggio. Distingue tra: Il “principio della natura segnica del personaggio”, cioè l’idea che il personaggio sia un segno come un altro, un “gruppo di parole” rinchiuso nell’universo circoscritto del testo, privo di un rapporto effettivo con la realtà extratestuale, con la dimensione referenziale; Il “principio della natura illusionistica del personaggio”, cioè la constatazione che il personaggio ha un potenziale mimetico o illusionistico, permette al lettore di identificarsi emotivamente in lui, come se fosse una persona reale dotata di vita propria.

25 Il personaggio, tra segno e illusione
John Fowles, La donna del tenente francese (1969), cap. 13: “La storia che sto raccontando è tutta immaginazione. I personaggi che creo non sono mai esistiti fuori della mia fantasia. Se ho finora finto di conoscere la loro mente e i loro pensieri più segreti, è perché sto scrivendo in una convenzione (nonché in parte con un vocabolario), universalmente accettata all'epoca in cui si si ambienta il mio racconto, secondo la quale il romanziere siede accanto a Dio. Può non sapere tutto, ma cerca di fingere il contrario. Io però vivo nell'epoca di Alain Robbe-Grillet e Roland Barthes; se questo è un romanzo, non può che esserlo nell'accezione moderna del termine. […] Forse voi credete che a un romanziere basti tirare i fili giusti perché i suoi fantocci si comportino come nella vita, e producano a richiesta un’analisi approfondita dei propri motivi e delle proprie intenzioni […]”.

26 Il personaggio, tra segno e illusione
“Voi forse credete che i romanzieri abbiano sempre un piano predeterminato per il loro lavoro, e che il futuro previsto nel primo capitolo sia sempre, inesorabilmente, il presente del tredicesimo. In realtà i romanzieri scrivono per un’infinita varietà di ragioni: per il denaro, per la fama, per le recensioni, per i genitori, per gli amici, per le persone amate […] Potrei riempire un libro di queste ragioni, e sarebbero tutte vere, ma non vere per tutti. Una sola ragione è comune a tutti noi: vogliamo creare mondi reali quanto quello che esiste, ma diversi. Per questo non possiamo far piani. […] Sappiamo anche che un mondo autenticamente creato deve essere indipendente dal suo creatore, che un mondo pianificato (un mondo che riveli totalmente la sua progettazione) è un mondo morto. Incominciamo a vivere soltanto quando i nostri personaggi e i nostri eventi cominciano a disobbedirci”.

27 Il personaggio, tra segno e illusione
“Quando Charles si allontanò da Sarah [sono i due protagonisti del romanzo] sul bordo della scogliera, gli ordinai di tornare direttamente a Lyme Regis. Ma lui non mi ascoltò: voltò senza alcuna giustificazione e scese alla cascina. Su, andiamo, direte voi: in realtà io voglio dire che mentre scrivevo mi venne in mente che sarebbe stato più azzeccato farlo fermare a bere il latte… e incontrare di nuovo Sarah. Ora questo spiegherebbe sicuramente quanto è accaduto, ma io posso soltanto riferire – e sono il testimone più attendibile – di aver avuto la netta impressione che l’idea partisse da Charles e non da me. E non soltanto perché lui ha cominciato a conquistarsi una certa autonomia, ma perché se voglio che lui sia reale devo rispettare questa autonomia e non i piani semidivini che avevo fatto per lui”.

28 Il personaggio, tra segno e illusione
“Ho scandalosamente distrutto l’illusione? No. I miei personaggi continuano a esistere, e in una realtà che non è meno, o più, reale di quella che ho appena distrutto. […] Io ritengo che questa nuova realtà (o irrealtà) sia più valida, e vorrei che voi pure condivideste la mia convinzione di non poter controllare del tutto queste creature della mia mente, come voi non controllate […] i figli, i colleghi, gli amici o addirittura voi stessi. Dite che questo è assurdo? Che un personaggio o è ‘reale’ o ‘immaginario’? Se tu la pensi così, hypocrite lecteur, posso soltanto ridere. Tu non consideri del tutto reale neanche il tuo passato; lo aggindi, lo indori, lo diffami, lo censuri, lo rattoppi... in una parola lo romanzi e lo metti su uno scaffale, è il tuo libro, la tua biografia romanzata. Tutti noi non facciamo che sfuggire alla realtà reale. È questa una definizione fondamentale dell'homo sapiens”.

29 Il personaggio, tra segno e illusione
Quando apriamo un romanzo, sottoscriviamo una sorta di patto con l’autore, che potrebbe essere formulato così: “So benissimo che quello che mi stai per raccontare è una finzione, che i personaggi non esistono, che gli eventi sono immaginari ecc.; ma finché durerà la mia lettura io fingerò di credere che quanto mi racconti sia reale” Cfr. S.T. Coleridge: “Volontaria sospensione dell’incredulità (willing suspension of disbelief”)


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