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La scoperta della volontà. La sofferenza universale.
Arthur Schopenhauer La scoperta della volontà. La sofferenza universale.
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La scoperta della volontà
Mentre per Kant il noumeno è inaccessibile all’uomo, per Schopenhauer - che, romanticamente non può accettare il limite del finito - è possibile andare oltre il velo e scoprire la vera realtà
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In realtà sarebbe impossibile trovare il significato di questo mondo che ci sta dinanzi come rappresentazione […] se il filosofo stesso non fosse qualcosa di più che un puro soggetto conoscente (una testa d'angelo alata, senza corpo). Ma il filosofo ha la sua radice nel mondo; ci si trova come individuo, e cioè la sua conoscenza, condizione e fulcro del mondo come rappresentazione, è necessariamente condizionata al corpo […]. Al soggetto conoscente, che deve la sua individuazione all’identità col proprio corpo, esso corpo è dato in due maniere affatto diverse; da un lato come rappresentazione intuitiva dell’intelletto, come oggetto fra oggetti, sottostante alle loro leggi; ma insieme, dall’altro lato, è dato come qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno, e che vieni designato col nome di volontà. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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Il “passaggio segreto”
L’uomo, infatti, non è solo un puro soggetto conoscente, ma esiste come individuo; in quanto ha un corpo, appartiene alla dimensione fenomenica, Questo corpo è dato al soggetto in due modi diversi: attraverso la rappresentazione, come un oggetto tra gli altri oggetti; direttamente come volontà.
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Ogni atto reale della sua volontà è sempre infallibilmente liriche un movimento del suo corpo; il soggetto non può voler effettivamente un atto, senza insieme constatare che quest’atto apparisce come movimento del suo corpo. L’atto volitivo e l’azione del corpo non sono due stati differenti, conosciuti in modo obbiettivo, e collegati secondo il principio di causalità; non stanno tra loro nella relazione di causa ed effetto: sono, al contrario, una sola e medesima cosa che ci è data in due maniere essenzialmente diverse: da un lato immediatamente, dall’altro come intuizione per l’intelletto. L’azione del corpo non è che l’atto della volontà oggettivato, cioè divenuto visibile all'intuizione. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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Volontà e corpo Il soggetto non può volere realmente un atto senza muovere il corpo. Atto volitivo e movimento non sono due cose (causa ed effetto) ma la medesima realtà che ci è data in modo diverso il corpo è volontà resa visibile, oggettivata; Ma la volontà è colta anche attraverso una conoscenza non rappresentativa in cui non si distinguono soggetto e oggetto (la mia volontà sono io).
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Il mondo è volontà La volontà è dunque l’essenza del nostro essere, il noumeno che si nasconde dietro il fenomeno del nostro corpo. Tale scoperta deve essere, per analogia, estesa ad ogni rappresentazione (anche là dove non possiamo cogliere direttamente la volontà): la volontà è l’essenza di ogni fenomeno.
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[Chi avrà riflettuto] non soltanto nei fenomeni simili al proprio, negli uomini e negli animali, riconoscerà come essenza intima questa medesima volontà; ma un po' più di riflessione lo porterà a riconoscere che tutta l’universalità dei fenomeni, pur così diversi nelle loro manifestazioni, ha una sola e identica essenza [...]. Volontà vedrà egli nella forza che fa crescere e vegetare la pianta; in quella che dà forma al cristallo; in quella che dirige l’ago calamitato al nord; nella commozione che prova al contatto di due metalli eterogenei [elettricità]; nella forza che si manifesta nelle affinità elettive della materia in forma di ripulsione e attrazione, di combinazione o decomposizione; e persino nella gravita, che agisce con tanta potenza in ogni materia e attira la pietra a terra come la terra al cielo. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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Caratteri della volontà
Questa volontà si presenta come: unica: la molteplicità esiste solo attraverso lo spazio e il tempo; eterna, perché oltre il tempo; inconsapevole: coscienza e intelletto sono solo sue manifestazioni secondarie; senza scopo: il quanto al di là della categoria di causa, non è soggetta a finalità, è una forza cieca che mira solo al suo mantenimento.
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Schopenhauer e Hegel La visione di Schopenhauer è quindi radicalmente pessimistica, agli antipodi della concezione hegeliana, qui si potrebbe dire: “tutto ciò che è reale è irrazionale”. Entrambe le filosofie, concordano tuttavia nel non attribuire una reale sussistenza al finito che viene “risolto” in un “assoluto” del quale è manifestazione.
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La sofferenza universale
Scoprire che tutto è volontà significa per Schopenhauer comprendere che il dolore non è un fatto contingente, ma una caratteristica essenziale della vita.
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Desiderio e sofferenza
La volontà per gli esseri dotati di sensibilità è fonte di dolore, infatti: la volontà è desiderio, implica una privazione che è avvertita come sofferenza; il tendere è impedito nella realizzazione, ogni essere è in continua lotta con gli altri esseri; la soddisfazione, perciò, non è certa né è durevole; il desiderio appagato è solo il punto d’avvio di un nuovo tendere e di un nuovo soffrire.
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Per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti.
[Il desiderio appagato] rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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Piacer, figlio d’affanno
Il piacere (fisico o psichico), d’altra parte, implica il dolore: esso è, infatti, la cessazione di un dolore, lo scarico di una tensione che ne è condizione (il godimento del bere presuppone il dolore della sete); viceversa non vale per il dolore, che può essere sperimentato senza che lo preceda il relativo piacere (“Non c’è rosa senza spina, ma vi sono parecchie spine senza rose!”).
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La condizione umana Poiché la volontà è l’essenza di tutte le cose, il dolore le riguarda tutte: tutto soffre. Ma il dolore aumenta con la sensibilità e della coscienza; e raggiunge nell’uomo il suo massima grado. L’uomo è l’oggettivazione più perfetta della volontà ed è, perciò, ancora più bisognoso degli altri esseri.
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Nella stessa misura dunque, onde la conoscenza perviene alla chiarezza, e la conoscenza si eleva, cresce anche il tormento, che raggiunge perciò il suo massimo grado nell’uomo; e anche qui, quanto più l’uomo distintamente conosce ed è intelligente. Colui, in cui vive il genio, soffre più di tutti. In questo senso, ossia rispetto alla conoscenza in genere, e non già al semplice sapere astratto, io intendo e adopero qui quel detto del Kohelet: “Qui auget scientiam, auget et dolorem”. [...] L'uomo, come la più compiuta oggettivazione di quella volontà, è per conseguenza anche il più bisognoso di tutti gli esseri: è in tutto e per tutto un volere, un abbisognare reso concreto, è il concremento di mille bisogni. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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Tra dolore e noia La vita umana è, come per gli altri esseri, una lotta: che porta anche chi riesce a superare tutte le difficoltà verso la morte, D’altra parte della sua esistenza l’uomo non sa che fare; appena dolore fatica gli concedono una tregua egli è preda della noia contro la quale deve lottare non meno duramente che contro il bisogno.
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La vita stessa è un mare pieno di scogli e vortici, cui l'uomo cerca di sfuggire con la massima prudenza e cura; pur sapendo, che quand'anche gli riesca, con ogni sforzo e arte, di scamparne, perciò appunto si accosta con ogni suo passo, ed anzi vi dirizza il linea retta il timone, al totale irreparabile naufragio: alla morte. Questo è il termine ultimo del faticoso viaggio, e per lui peggiore di tutti gli scogli, ai quali è scampato. […] Come il nostro camminare si sa essere nient’altro che un costantemente trattenuto cadere, così la vita del nostro corpo è un costantemente trattenuto morire, una morte sempre rinviata […]. Ciascun respiro rimuove la morte ognora permanente, con la quale noi veniamo a combattere in tutti i minuti; come la combattiamo, a maggiori intervalli, con ciascun pasto, ciascun sonno, ciascun riscaldamento, e così via. Alla fine la morte deve vincere: perché a lei apparteniamo già per il fatto di essere nati, ed ella non fa che giocare qualche tempo con la sua preda, prima di inghiottirla. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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Quel che tutti i viventi occupa e tiene in molto, è la fatica per l’esistenza. Ma dell’esistenza, una volta che sia loro assicurata, non sanno che cosa fare: perciò il secondo impulso, che li fa muovere, è lo sforzo di alleggerirsi dal peso dell’essere, di renderlo insensibile, di “ammazzare il tempo”, ossia di sfuggire alla noia. Quindi vediamo, che quasi tutti gli uomini al riparo dei bisogni e delle cure, quand’abbiano alla fine rimosso da sé tutti gli altri pesi, si trovano a essere di peso a loro stessi, e hanno per tanto di guadagnato ogni ora che passi, ossia ogni sottrazione fatta a quella vita appunto, per la cui conservazione il più possibile lunga avevano fino allora impiegate tutte le forze. E la noia è tutt’altro che un male di poco conto: che finisce con l’imprimere vera disperazione sul volto. […] Anche contro di essa, come contro altre universali calamità, vengono prese pubbliche precauzioni, e già per ragion di stato: perché questo male, non meno del suo estremo opposto, la fame, può spingere gli uomini alle maggiori sfrenatezze: panem et circenses vuole il popolo. Come il bisogno e il perpetuo flagello del popolo, così è il flagello la noia per le classi elevate. Nella vita borghese è rappresentata dalla domenica, come il bisogno dai sei giorni di lavoro. Il Mondo come volontà e rappresentazione
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« Vi è nel cuore di ogni uomo una belva »
Altro di dolore viene dalla ferocia che gli uomini hanno gli uni verso gli altri: essi vivono insieme non per naturale socievolezza, ma per bisogno, e sono sempre pronti alla sopraffazione. Il loro egoismo è tale che traggono soddisfazione da ogni danno altrui e sono infastiditi dal minimo vantaggio del loro prossimo (l’uomo “è l'unico animale che faccia soffrire gli altri al solo scopo di far soffrire”).
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Pessimismo storico Non a caso la storia del mondo è storia di guerre e sopraffazioni; In essa non c’è alcun reale avvenimento (“non c'è nulla di nuovo sotto il sole”) ma solo il ripetersi dello stesso dramma. Non c’è alcun progresso, né razionalità immanente alla storia, come pretende Hegel, ma solo “cieco caso”.
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L’illusione dell’amore
Persino l’amore, in l’uomo crede di trovare la massima realizzazione è un “inganno della volontà”: il suo fine, infatti, non è l’individuo ma la procreazione: grazie ad esso la volontà riesce a conservarsi; proprio per questo l’amore procreativo viene istintivamente percepito come peccato.
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