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PubblicatoVenceslao Patti Modificato 9 anni fa
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“Maestro di color che sanno” Parte prima: la metafisica
ARISTOTELE “Maestro di color che sanno” Parte prima: la metafisica
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La vita Aristotele, figlio di Nicomaco, un medico al servizio del re macedone Aminta a Pella, nasce a Stagira, al confine tra Grecia e Macedonia nel 384/3. Dopo la morte del padre, a 17 anni, si reca all’Accademia platonica di Atene, di cui diventa una delle personalità di spicco per più di vent’anni. Dal 347 lo troviamo ad Asso, in Asia Minore, città in cui fonda una scuola filosofica, e poi in compagnia dell’allievo Teofrasto a Mitilene. Nel 342 è precettore di Alessandro Magno, un incontro questo assai singolare tra uno dei più grandi intellettuali e uno dei maggiori condottieri e uomini politici della storia. Dal 338 con la battaglia di Cheronea, la Grecia perde la sua indipendenza e diventa protettorato macedone. Nel 336 Alessandro sale al trono e poco dopo Aristotele torna ad Atene dove fonda il Liceo, la sua scuola, chiamata così perché sorta vicino ad un tempietto dedicato ad Apollo Licio. Acquisirà in seguito anche un altro nome: il Peripato, per sottolineare l’abitudine dei suoi appartenenti di insegnare passeggiando (peripatèo = camminare) Nel 323, alla morte di Alessandro, Atene diventa il centro di una reazione antimacedone, di cui il filosofo, legato alla dinastia regale di Macedonia, fa le spese. Infatti, accusato di empietà, viene condannato all’esilio. Si reca quindi a Calcide nell’Eubea, lasciando a Teofrasto la direzione del Liceo.A Calcide muore nel 322.
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Le opere Le opere di Aristotele si possono dividere in due grandi gruppi, quelle essoteriche – di cui rimangono solo frammenti – , cioè destinate al grande pubblico e molto legate al periodo accademico e alla filosofia di Platone e quelle esoteriche (o acroamatiche), destinate alla cerchia ristretta degli studenti del Liceo. Queste ultime sono costituite da appunti per le lezioni o trascrizioni delle lezioni stesse che Aristotele teneva nel Peripato e contengono gli aspetti più originali della dottrina del Filosofo.
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Il corpus aristotelicum
Le opere esoteriche ci sono giunte per vie traverse grazie a Teofrasto e all’amico di Aristotele, Neleo, i cui discendenti le conservarono in una cantina finché un bibliofilo di nome Apellicone non le acquistò. Dalle sue mani, i libri passarono in quelle di Silla che le portò a Roma. Passarono ancora un po’ di anni prima che Andronico di Rodi, decimo successore alla guida del Peripato, intorno metà del I sec. a.C., avendole sottomano, le ordinasse e pubblicasse interamente, più o meno nel modo in cui oggi le possiamo apprezzare.
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La composizione del corpus
Le opere aristoteliche sono state divise per argomenti. Ad aprire il loro elenco, così come fu stilato da Andronico, è il gruppo delle opere logiche (chiamato successivamente Òrganon = strumento, ad indicare la logica come strumento essenziale del pensare) formato da Categorie, De interpretatione, Analitici I e II, Topici e Confutazioni sofistiche. Seguono le opere di logica, quelle di filosofia della natura: Fisica, De coelo, De generatione et corruptione; Metereologia; il trattato De anima e i piccoli scritti Parva naturalia sono da includere in questo gruppo. Dopo le opere di fisica vi sono i quattordici libri riuniti sotto il nome unico di Metafisica (l’opera più famosa e importante dello Stagirita). Poi le tre grandi etiche, che trattano temi morali: Etica nicomachea, Grande etica, Etica Eudemia, cui va aggiunta la Politica, tema che per Aristotele risulta essere un’appendice dell’etica. Infine sono da annoverarsi tra le opere filosofiche quelle estetiche: La poetica e la retorica. Relative più propriamente alla storia della scienza sono altri scritti particolari come la Storia degli animali, Le parti degli animali, il Moto degli animali e la Generazione degli animali.
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Aristotele e Platone Al di là delle critiche specifiche che Aristotele elaborò nei confronti del maestro, in particolare sulla dottrina delle idee (le vedremo successivamente), confrontando i due filosofi si possono avanzare i seguenti rilievi: Aristotele, a differenza di Platone, non ha particolari interessi politici. Egli è sostanzialmente, diremmo oggi, un professore che indaga ogni aspetto della realtà e in ciò non disdegna la natura, non considerandola un mondo inferiore. Al Liceo la ricerca ha una vocazione empirica e non matematica. Ci si rivolge preferibilmente al mondo concreto della phýsis piuttosto che iperuranio logico-ideale delle matematiche. A differenza di Platone, Aristotele ha un atteggiamento sistematico, cioè punta ad inserire le nozioni scientifiche all’interno di un sistema ordinato e gerarchico che ambisce a racchiudere in sé tutto il sapere. In Aristotele sono assenti elementi mitico religiosi.
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L’ordine delle scienze
Per Aristotele le scienze sono ordinate gerarchicamente a seconda della loro capacità di dare conto della realtà e della vastità delle nozioni che esse sono in grado di ordinare al loro interno. La scienza più ampia è quella dei primi principi (ciò da cui tutta la realtà proviene a in virtù dei quali è quella che è) cioè la metafisica. Essa , poiché riguarda il fondamento di tutto, provvede anche a stabilire l’ordine delle altre scienze in base ad una precisa classificazione degli atti umani (libro VI della Metafisica)…
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Scienze teoretiche… Gli uomini anzitutto conoscono: il soggetto umano riflette sull’oggetto della conoscenza ed è da quest’ultimo modificato (cambia idea, acquisisce nuove prospettive etc.). A tale atto corrispondono le SCIENZE TEORETICHE, che conoscono oggetti che non dipendono dall’uomo e che si dividono in fisica (studio della realtà naturale), matematica (studio della struttura numerico/geometrica della realtà sensibile), metafisica (filosofia prima o studio dei principi e delle cause dell’essere).
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…Scienze poietiche… L’uomo produce con un fare (poiein) che modifica l’oggetto. Le SCIENZE POIETICHE ricercano appunto quel sapere utilizzabile in vista del fare, cioè della produzioni di oggetti belli (tipici delle arti che producono oggetti fini a se stessi) o utili (costruiti dalle tecniche cui si devono oggetti che a loro volta servono a qualcos’altro), la cui esistenza dunque dipende dall’uomo.
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…le scienze pratiche L’uomo agisce cioè mantiene un comportamento nei confronti di altri soggetti uomini, costruendo una relazione reciproca con loro. Le SCIENZE PRATICHE ricercano il sapere come guida per l’azione, perché si possa comprendere che cosa è giusto e ingiusto fare agli altri uomini. Esse comprendono l’etica e la politica.
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La logica La logica infine studia la struttura del ragionare, cioè le condizioni che si devono dare affinché un ragionamento e/o un discorso sia corretta e valido. Essa pertanto è strumento (òrganon) di tutte le scienze.
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La filosofia prima Abbiamo già detto che la metafisica o filosofia prima è scienza dei principi o delle cause della realtà nel suo complesso. Essa si occupa quindi dell’essere in quanto essere (cioè di tutto ciò che è), o anche della sostanza della realtà, ciò che “sta sotto” e che rappresenta l’essenza, che fa essere, la realtà, costituendo il carattere comune di tutto ciò che è. Ma questa sostanza, al suo livello più alto, è Dio stesso, la sostanza sovrasensibile più pura e piena, che determina il mondo in tutte le sua qualità specifiche. Dunque riassumendo la metafisica tratta: 1) delle cause o principi della realtà, 2) dell’essere in quanto essere, 3) della sostanza, 4) di Dio o della sostanza sovrasensibile.
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La scienza universale Se la fisica tratta dell’essere come movimento (tutte le cose naturali sono in divenire); se la biologia (chiamandola con il suo nome moderno) tratta dell’essere come essere vivente; se la matematica tratta dell’essere come numero e quantità, LA BASE FONDATIVA di queste come di tutte le altre scienze particolari, non può essere che la scienza più UNIVERSALE, cioè appunto la metafisica che tratta dell’essere in quanto essere.
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Che cos’è l’essere? A questa domanda Aristotele comincia a rispondere dicendo che l’essere si dice in molti modi, cioè la parola essere possiede molti significati tutti legittimi. Per illustrare questa affermazione proviamo a pensare in quanti tipi diversi di frase si inserisce il termine “è”: se io dico “il prato è verde”, la parola “è” significa “possiede una data qualità”, se io dico “Dio è”, “è” significa “esiste”, se io chiedo “Dove è Tizio?” “è” indica il luogo in cui si trova, etc.
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I molteplici significati dell’essere
Gli esempi fatti prima stanno a dimostrare qualcosa di cui Aristotele si rende benissimo conto. Con il suo spirito sistematico, egli ritiene che, per rispondere alla domanda su che cosa sia l’essere, sia necessario stabilire anzitutto i significati del termine e comprendere che questa molteplicità è data dal fatto che originariamente l’essere naturale è molteplice: questo è un dato originario della nostra esperienza, che ha sempre a che fare con diversi esseri, con diversi modi di essere delle cose, e quindi anche con corrispondenti diversi significati della parola essere.
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L’essere come accidente
L’essere come accidente è il più debole significato di essere, poiché indica qualcosa che a qualche oggetto accade di essere, ma che non stabilisce che cosa veramente ed essenzialmente quell’oggetto sia. Per esempio se io dico che sono un musico, dico che mi accade di saper suonare e talvolta di suonare anche bene, ma con ciò non è determinato in modo essenziale chi io sia. Infatti io non sono sempre un musico – io mangio, bevo, dormo, corro, lavoro etc. – e musico dunque ha per me il carattere di una qualità accidentale, cioè vera, ma marginale, che può esserci o non esserci, e che, essendoci o non essendoci, poco cambia del mio essere profondo.
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L’essere come vero (o falso)
E’ la determinazione logica dell’essere, cioè la proprietà che hanno le cose di stare in un certo modo, piuttosto che in un altro, una proprietà che viene colta dal discorso (logos) e dal pensiero(logos). Infatti il discorso quando afferma qualcosa deve unire soggetto e predicato in modo che gli elementi indicati siano uniti anche nella realtà, quando nega deve scindere soggetto e predicato in modo che essi siano scissi anche nella realtà. Se accade così il discorso è vero.
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L’essere come vero (o falso): esempio
Quando io unisco il soggetto prato con il predicato verde e dico: “Il prato è verde”, se verde e prato sono uniti anche nella realtà, il discorso è vero, e accade lo stesso per le negazioni. Quando viceversa il prato è giallo e io dico: “Il prato è verde”, unisco elementi che nella realtà non sono uniti e quindi il discorso è falso. Lo stesso accade quando dico: “Il prato non è verde” e invece nella realtà il prato è verde (cioè prato e verde non sono scissi bensì uniti). È evidente che non ci sarebbe nessuna verità o falsità senza un pensiero che pensasse e un discorso che dicesse le cose. Si capisce allora perché, dice Aristotele, l’essere come vero e falso “è un’affezione del pensiero” e si applica a ciò che il pensiero pensa e dice.
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L’essere come potenza e atto
Se io ho gli occhi chiusi, ci vedo lo stesso, anche se adesso non sto vedendo. Se un oggetto ha la capacità di essere, fare, agire, si dice che il suo essere è in potenza (da “potere”, l’oggetto “può” essere così e così), se invece tale capacità è realizzata – cioè stando all’esempio io ho gli occhi aperti, posso vedere e sto anche vedendo - allora si dice che l’essere di tale oggetto è in atto. Allo stesso modo un uomo bambino è un uomo adulto in potenza (può diventare adulto in atto), un seme è un albero in potenza, l’Inter è in potenza campione d’Italia.
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Le categorie Ma i significati più importanti che riguardano l’essere sono inclusi nelle categorie, che Aristotele indica come i “generi supremi” o le “originarie divisioni dell’essere”, che corrispondono, nel discorso alle classi in cui rientrano tutti i termini possibili. In definitiva le categorie ci restituiscono sotto il profilo ONTOLOGICO i caratteri fondamentali di tutto ciò che è, mentre dal punto di vista LOGICO i concetti primari in cui tutti gli altri termini, parole, concetti possono essere racchiusi.
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Le categorie sono dieci
Le categorie sono dieci e sono le seguenti Sostanza ci dice che cos’è un dato oggetto Qualità vi attribuisce una qualità (bello, brutto, simpatico…) Quantità ce lo descrive misurandolo quantitativamente Relazione ci dice con quali oggetti è in rapporto Azione ci dice che cosa fa Passione ci dice che cosa subisce da parte di un altro Dove o luogo ci dice in che spazio è collocato Quando o tempo ci dice in che tempo è collocato Avere ci dice un suo possesso Giacere ci dice in quale condizione si trova
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Esempio di uso delle categorie
Sostanza – Tizio è un uomo Qualità – di bell’aspetto e simpatico Quantità – è alto 1.80 e pesa 78 chili Relazione – è vicino a Caio Azione – sta leggendo Passione – una corrente d’aria lo rinfresca Dove – nella sua stanza Quando – oggi Avere – porta gli occhiali Giacere – è seduto
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Tutto ciò che è e si può dire
Tutto ciò che è, ogni cosa, oggetto, situazione rientra in una categoria generale (o riguarda il “che cosa” di un oggetto, o un suo stato qualsiasi, una qualità, una misura, un tempo, un luogo etc.), cioè in una delle divisioni generali che si usano per raggruppare ciò che l’essere è (aspetto ontologico delle categorie). Questa classificazione è in parallelo con il discorso, ogni discorso ci parla infatti di qualcosa secondo le dieci categorie, che sono i significati più generali delle parole e dei discorsi (aspetto logico delle categorie).
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Logica e ontologia nelle categorie
Riportiamo qui un esempio di C. Esposito sul rapporto tra ontologia e logica nelle categorie: “Classificando i predicati possibili (cioè tutto quanto può essere detto di qualche oggetto, n.d.r.), noi classifichiamo anche le cose e gli stati di cose che corrispondono a tali predicati. Se diciamo:’Socrate è in piazza’, attribuendo a Socrate un predicato che rientra nella categoria ‘dove’, in realtà noi esprimiamo uno stato di fatto (il fatto che Socrate realmente sia in un dato luogo, n.d.r.) e intendiamo anche che la piazza è qualcosa, e cioè appunto un luogo” (C. Esposito, P. Porro, Filosofia, vol. 1, Laterza, Roma-Bari, 2008, p.99).
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La sostanza: la categoria più importante
TRA TUTTE LE CATEGORIE è primaria la sostanza. Il termine sostanza nella sua derivazione latina substantia è la traduzione della parola greca hypostasis = ciò che sta sotto. Ma noi traduciamo con il medesimo termine sostanza anche e soprattutto la parola greca ousìa, forma sostantivata del participio presente del verbo essere (letteralmente essenza). La sostanza è dunque 1) quella profonda realtà di una cosa che ne determina l’identità, 2) in altri termini ciò che rimane invariato al variare delle condizioni passeggere (accidenti), 3) ossia il nucleo permanente e incrollabile dell’oggetto senza il quale un ente non è più quello che è, 4) ciò che in un ente qualsiasi è la sua caratteristica fondativa, trovata la quale sempre si trova l’ente stesso. Le altre categorie ci ragguagliano invece su aspetti esteriori e contingenti, che essendoci o non essendoci non mutano l’essere profondo e definitivo dell’ente di cui stiamo parlando.
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La domanda sull’essere
Quando dobbiamo rispondere alla domanda sull’essere, dobbiamo sempre riferirci alla SOSTANZA, che ci restituisce il nucleo profondo dell’essere di un oggetto. Tutto le altre categorie hanno un carattere accidentale (sono accidenti esteriori, più o meno passeggeri). Il termine essere non è dunque un termine UNIVOCO, cioè non significa una sola cosa (ma le dieci categorie), né EQUIVOCO, cioè non significa cose completamente diverse, perché tutte le dieci categorie ineriscono, cioè si riferiscono, alla sostanza, che è come il perno attorno a cui tutto ruota.
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I criteri per individuare una sostanza: essere centro di predicazione e mai predicato (1)
Ciò che caratterizza la sostanza è il fatto che essa determina l’essere profondo di una cosa. Se io dico che uomo è la sostanza di Tizio, dico che lo definisce in modo che Tizio viene identificato profondamente dall’essere un uomo. Ma affinché avvenga così l’essere uomo deve essere il perno, il centro di ogni altra qualità di Tizio, a sua volta quindi non deve essere una qualità. Insomma dicendo tizio è uomo significa che il termine Tizio e uomo sono identici – l’essere di Tizio è l’essere uomo – in modo che tutto ciò che io dico di Tizio nelle altre possibili determinazioni corrispondenti alle altre 9 categorie, lo dico dell’UOMO Tizio. Dunque la sostanza deve essere centro di predicazione, e mai predicato.
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I criteri per individuare una sostanza: lo stare per sé (2)
La sostanza non può dipendere da altro: deve potere stare per sé e separatamente dal resto. Non si deve confondere con altro, perché è ciò che ha un essere preciso e determinato. Essendo centro di predicazione, non dipende da altri elementi. Per esempio: se io dico bello, lo dico sempre di qualcosa. Questo qualcosa è la sostanza che, potendo essere bella, brutta, buona etc., non dipende da questi attributi. Al contrario questi attributi dipendono dalla sostanza.
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I criteri per individuare una sostanza: essere un qualcosa, di unitario (3)
Come già detto, senza determinazione, non vi è sostanza. Essere non è mai essere in generale, ma essere qualche cosa. Affinché noi possiamo identificare qualche cosa in mezzo ad altre cose, questo qualche cosa non può essere sparso, disunito, confuso con il resto, ma deve avere una certa omogeneità e poter essere contraddistinto come un elemento che ha unità in mezzo ad altre unità. Per essere UN qualche cosa, la sostanza deve avere una unità; se ha parti, tali parti devono essere organizzate secondo un unico principio.
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Per esempio Un uomo non è un cervello, un fegato e due polmoni sbattuti là. Non potrei distinguere un uomo se, ancor prima che i suoi organi, le sue parti minime, i suoi atomi, fossero diffusi nel vuoto e confusi con atomi di altri corpi. Al contrario, se le parti di un uomo sono organizzate secondo un principio unificatore e stanno assieme in una certa UNITÁ; se i suoi organi si unificano secondo una certa organizzazione che li rende partecipi di una sola totalità unitaria, allora io distinguo quell’ente come uomo e posso dire che la sua sostanza sia quella di essere un uomo.
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Sostanza è qualcosa in atto (4)
Ci deve essere qualcosa di realizzato nella sostanza. Se tutto fosse allo stato di potenzialità, ossia di germe non ancora sviluppato, non si potrebbe dire che cosa effettivamente sia la cosa di cui si parla. Anche un uomo bambino che è un uomo adulto in potenza, per essere sostanza deve avere delle capacità realizzate: vede, sente, parla, cammina etc., tutte capacità che egli possiede in atto, e che ci fanno capire che anche egli è una sostanza. Egli è propriamente quella sostanza tale per cui lo distinguiamo come un uomo bambino, che è già uomo seppure non tutti i caratteri dell’umanità sono in lui pienamente sviluppati.
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Ma allora che cos’è la sostanza?
Dati questi criteri, ci si domanda allora che cosa sia effettivamente e definitivamente la sostanza. Prendiamo un ente qualsiasi (di carattere sensibile, per il momento): Questo ente avrà un aspetto materiale, sarà fatto di qualche cosa, avrà cioè un sostrato, una base materiale di appoggio (una penna è fatta di plastica, una torta di farina, uova, latte, lievito, un libro di carta). Ma questo medesimo ente ha anche una forma. Con ciò non si intende l’aspetto esteriore, la forma fisica (l’esser cilindrico per la penna, il parallelepipedo per il libro), NO, non è questo. Forma in senso aristotelico è quella caratteristica fondamentale che distingue un oggetto da un altro, lo fa essere quello che è, ne realizza ogni capacità e potenzialità.
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La sostanza è materia e forma
La forma è ciò che in Platone era l’idea. Tuttavia Aristotele non pone l’idea separata dalla materia, come aveva fatto Platone, dovendo ricorrere al mito del Demiurgo nel Timeo, per superare le difficoltà relative al rapporto idee-cose (cfr. il terzo uomo). Per Aristotele la forma è ciò che determina la materia (la chora platonica) in modo da ritagliare, dentro la materia indeterminata, un ente che è quello e nessun altro. La forma - si aggiunge quindi alla materia; - si imprime in essa come uno stampo che organizza le sua parti; - si manifesta come l’elemento determinante e specificante, ciò che offre un’identità precisa all’essere vago e, appunto, informe della materia. Dunque sostanza è la materia di cui è fatto qualcosa ma sostanza è anche forma, anzi lo è in modo più profondo, perché l’essere di una cosa è dato in modo caratteristico dalla forma. Infatti la materia soddisfa solo il primo dei criteri sopra indicati (essere centro di predicazione) mentre la forma tutti e quattro.
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La sostanza è sinolo Ma avere la forma senza la materia è come avere uno stampino senza la base su cui stampare, o avere una formina senza la sabbia bagnata (questo almeno vale per le sostanze che incontriamo normalmente nella realtà sensibile). L’ente che noi vediamo è sempre una forma unita alla sua materia, cioè è un sinolo (syn+olos= con+tutto=un tutto assieme). Sostanza è dunque anche il sinolo, o l’ente individuale e concreto che ci sta davanti. Il sinolo soddisfa tutti i criteri meno l’ultimo: esso infatti non è mai completamente in atto, contenendo la materia che è sempre connessa a potenzialità.
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Sostanza prima e seconda
Aristotele, ponendosi in una prospettiva empirica (come accade nelle Categorie, libro V), chiama sostanza prima il sinolo, poiché è l’ente che – empiricamente ossia nella nostra esperienza - noi incontriamo per primo e immediatamente, mentre la forma sarebbe sostanza seconda, cioè quell’elemento che successivamente scopriamo essere alla base di quell’essere che abbiamo incontrato, nel senso che ne costituisce l’essenza profonda. Dal punto di vista ontologico evidentemente la sostanza seconda, cioè la forma, è la sostanza per eccellenza, perché determina, più di tutto il resto, l’identità vera e reale di ciò che abbiamo di fronte … essa infatti definisce ogni cosa, ce ne restituisce il che cos’è più appropriato.
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L’essere come accidente (e il proprio)
Dopo aver visto che l’essere è la sostanza e che la sostanza è eminentemente la forma, possiamo riprendere gli altri modi di essere dell’essere, dando loro la giusta collocazione. L’accidente corrisponde ad una qualità accessoria della sostanza, cioè ad una sua determinazione contingente (che può esservi o non esservi, cioè la cui presenza è casuale). All’accidente si può aggiungere, come carattere della sostanza il “proprio”. Il proprio non rientra nella definizione sostanziale di un oggetto, per esempio se definizione sostanziale di uomo è “animale razionale”, il proprio è la capacità di ridere. Quest’ultima è una caratteristica necessaria dell’uomo e solo di lui, e dipende dall’essere della sostanza in modo non casuale, tuttavia non la individua in modo esaustivo. Se una persona non ride mai, si potrà dire dire che ad un uomo manca qualcosa che ci dovrebbe essere, ma tale mancanza non fa venir meno l’essenza dell’uomo. Può essere chiamato proprio qualcosa di ancor più necessario, come il fatto che la somma degli angoli interni di un triangolo è 180°. Ma anche qui è importante l’idea che tale carattere necessario, non costituisce la primaria definizione dell’oggetto (che per il triangolo sarebbe “figura geometrica con tre lati”).
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L’atto e la potenza o il divenire dell’essere
Gli esseri con cui abbiamo a che fare sono esseri in divenire. Ora, come possiamo pensare il divenire a partire dall’essere sostanziale, così come lo abbiamo definito? Ebbene il divenire, secondo Aristotele non è passaggio dall’essere al nulla, ma divenire dell’essere stesso. Come diviene ciò che è senza contraddire il fatto stesso che è? Diviene, questa è la risposta di Aristotele, passando dalla potenza all’atto. La potenza (dýnamis) è ciò che caratterizza primariamente la MATERIA. Infatti la materia è quel sostrato indeterminato ( hypokèimenon = substratum = strato sottostante) degli enti sensibili, che a loro volta si determinano prendendo una forma particolare che li distingue da tutto il resto. Dunque la materia è per eccellenza CAPACITÁ di prendere una forma, cioè di assumere una qualsiasi determinazione, e quindi è POTENZA.
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L’atto L’atto (enérgheia) è la capacità realizzata. Compimento e perfezione della materia (per esempio l’adulto è l’atto del bambino). Esso è dato dalla forma, che in ogni essere porta all’atto, cioè realizza le potenzialità dell’essere stesso. Ogni essere è dunque entelécheia (ev télos échon = ciò che ha in sé il proprio fine), nel senso che avendo una forma da realizzare, ha dentro di sé il principio del proprio sviluppo e del passaggio ad uno stato diverso, più maturo, più pieno e completo di essere.
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Il primato dell’atto sulla potenza
Benché noi vediamo sempre, nel divenire delle cose, gli esseri passare dalla potenza all’atto, e dunque quoad nos (per quanto ci riguarda) viene prima la potenza dell’atto, in sé l’atto ha una sua priorità assoluta sulla potenza. Infatti Dal punto di vista gnoseologico, noi non potremmo sapere e conoscere che una cosa è in potenza se non sapessimo come dovrebbe essere in atto. Io devo sapere che cosa è un albero per sapere che il seme che ho in mano è un seme. Anche dal punto di vista cronologico, l’atto è anteriore alla potenza, non però guardando all’individuo, ma alla specie. E’ grazie alla mia appartenenza alla specie uomo che io nasco e mi sviluppo come uomo. Dal punto di vista ontologico: l’essere è essere in atto, l’«è» di ogni cosa è la cosa così come si è realizzata, l’essere in potenza in realtà è un essere mancante. Quindi “ciò che nell’ordine della generazione è ultimo, nell’ordine della forma o sostanza è primo”.
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La voglia di sapere Viste in tutte le sue specificità, le caratteristiche dell’essere, possiamo ora capire la dottrina aristotelica delle cause, che lo Stagirita esamina all’inizio della sua Metafisica. In effetti noi abbiamo sviluppato la domanda fondamentale sull’essere mossi dalla volontà di sapere di più sul mondo, e tale volontà origina da una meraviglia, da uno stupore per tutto quanto esiste, che ci riempie di ammirazione e al tempo stesso ci fa sentire la nostra condizione di ignoranza.
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Le quattro cause Ora la nostra voglia di sapere ci fa domandare il perché di ogni cosa, ossia ci fa ricercare il principio e la condizione che fa essere un dato fenomeno, in una parola la sua CAUSA. Tale causa è di quattro tipi: La causa materiale: ciò di cui è fatto un ente = la materia, il sostrato materiale; La causa formale: ciò che contraddistingue profondamente il suo essere, la sua forma o essenza; La causa finale: lo scopo per cui una cosa è fatta = il suo atto, ogni cosa tende a realizzare appieno il suo essere; La causa efficiente, ciò da cui origina quella cosa, la sua causa motrice = un altro essere in atto che la muove In definitiva, come si può vedere, materia e forma coprono lo spettro di tutte queste cause, infatti La materia è il sostrato senza il quale non vi sarebbero gli enti. La forma in quanto tale contraddistingue l’essenza di ogni cosa; la forma è però anche ciò verso cui ogni cosa tende, quindi l’atto come scopo del divenire di ogni cosa (causa finale), e infine un ente in atto è anche ciò che muove ogni cosa a divenire, quindi la sua causa efficiente.
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Ogni cosa ha le sua cause: bisogna trovare le cause prime
Ogni cosa ha quattro generi di cause: ha una materia di cui è fatta, una forma che ne contraddistingue l’identità di specie, ha un fine al quale tende – che consiste nella realizzazione più completa possibile della sua forma – ha una causa motrice o efficiente che l’ha generata così com’è. Quando domando la causa di qualcosa potrei sempre continuare a chiedere “perché”, come fanno i bambini, e andare all’infinito. Ma se ci fossero per ogni oggetto cause infinite non ci sarebbero cause, perché la causa vera e propria (quella che sta all’inizio) non sarebbe più individuabile. Quindi la serie di cause è finita e comincia con una causa prima. Nel caso della materia essa è appunto la materia come sostrato di tutto ciò che è e che prende via via caratteri diversi nei diversi elementi, nei non viventi, nei viventi e nell’uomo. Per quanto riguarda la forma, la causa prima, cioè quella che produce l’essere della cosa è quella più prossima, che determina la specie della cosa, differenziandola da tutte le altre specie. Infatti oltre la forma della cosa è impossibile risalire. La causa prima finale coincide con quella formale cioè la realizzazione piena della propria forma, che per i non viventi riguarda anche la loro collocazione in un luogo naturale (cosa che vedremo analizzando la Fisica) e per i viventi comprende anche la riproduzione di un individuo simile.
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La causa prima motrice o efficiente
Se il mutamento è “l’atto di ciò che è in potenza in quanto è in potenza” e se ha luogo sempre a partire da qualcosa che è già in atto, per esempio: un corpo diviene caldo per opera di ciò che è già caldo; un uomo si genera a partire da un essere adulto; un corpo muta il suo luogo a partire da un altro corpo in atto che lo pone in un luogo diverso da quello naturale; se ciò è vero, tutto ciò che è mosso è mosso da altro, in una catena di cui si deve trovare il primo anello. Questo deve essere in atto e non deve muoversi a sua volta, perché altrimenti bisognerebbe risalire ancora più indietro. Per non muoversi, la causa prima, deve essere completamente in atto e proprio per questo non deve essere materiale, perché la materia è principio di potenzialità. La causa prima del movimento deve essere dunque una causa immobile e immateriale, quindi non sensibile. Si attua qui il passaggio da un ricerca su oggetti fisici ad una sulle sostanze soprasensibili.
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Per esempio “L’uomo ha come causa motrice suo padre, la vita e la capacità generatrice di suo padre dipendono dall’alimentazione, la quale dipende a sua volta dalla disponibilità di cibo, quindi dal ciclo biologico delle piante e degli animali; questo poi dipende dall’alternarsi delle stagioni, che a sua volta dipende, secondo Aristotele, dal movimento del sole lungo un’orbita inclinata rispetto all’equatore […]; ma il movimento del sole dipende da un’altra causa ancora” (E. Berti, Profilo di Aristotele, Studium, Roma, 1979, pp ). Il movimento del sole, che è eterno e circolare (come quello di tutti gli astri), ha bisogno di una causa è questa deve essere immobile.
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Come muovono le sostanze immobili
Il sole e tutti gli astri sono mossi da sostanze immobili che muovono senza muoversi esse stesse. Come è possibile che un motore muova senza muoversi? Ciò può accadere solo se esso muove come oggetto di desiderio, un desiderio razionale che si rivolge a ciò che è massimamente perfetto. La massima perfezione muove perché tutto il resto si muove verso di lei, vuole imitarla e rendersi a lei simile. Ci si muove in quanto ci si rivolge a ciò che, essendo perfetto, attira e porta a sé.
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Il sistema mobile della natura
Tutti gli enti naturali sono in movimento. Il loro essere non è stabile. Qual è la causa di questo movimento? Il passaggio dalla potenza all’atto, determinato da un qualche essere in atto che genera o muove un essere in potenza. Ciò forma una catena tra gli enti, nella quale un ente in atto fa sì che altri enti tendano al loro atto. In più in natura c’è un movimento costante ed eterno, ed è il movimento dei cieli e dei pianeti, che governa la vita sulla terra e permette al mondo di esistere così come è, alternando le stagioni e presiedendo a tutto ciò che vive ed esiste. Ancora una volta: che cosa causa questo movimento? Le sostanze immobili ai quali il moto dei pianeti si rivolge come alla loro causa.
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Le sostanze immobili, la loro gerarchia e Dio
Per Aristotele la vita sulla terra è regolata dal moto del sole e degli astri, il quale produce l’alternarsi delle stagioni e il succedersi dei fenomeni fisici naturali. Ma tra gli astri vi è una gerarchia:
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I moti dipendono dal PRIMO MOTORE
La cosiddette stelle fisse sono gli astri più importanti e sono incastonate nella sfera più ampia (che comprende tutte le altre), una sfera che, muovendosi come tutte le altre di moto circolare ed eterno, determina l’eterno alternarsi del giorno e della notte. Gli altri astri sono costituiti dai sette pianeti, dal Sole e dalla Luna. Tutti i pianeti si muovono di un moto continuo ma non del tutto regolare attorno alla Terra. Ciascun pianeta è infatti incastonato in più sfere e il loro moto visibile è dato dalla somma dei movimenti delle sfere in cui sono incastonati. Ogni sfera è mossa da un motore immobile-sostanza sovrasensibile. Tuttavia, dice Aristotele, malgrado il Primo Motore muova direttamente solo il cielo più importante, il movimento di quest’ultimo è collegato a quello di tutti gli altri in modo che le altre sfere, mosse dai loro motori, non potrebbero esservi se non vi fosse il Primo Motore e il movimento del primo cielo (Aristotele non procede oltre nella spiegazione). Quindi il politeismo dello Stagirita – cioè la sua idea che vi siano molteplici motori immobili, che contribuiscono al movimento dei diversi astri – tende verso l’unità dell’unico Dio corrispondente al Primo Motore del primo cielo, che è propriamente il Dio aristotelico.
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Il compimento metafisico della fisica aristotelica
La catena degli enti trova all’inizio la pura potenzialità materiale e alla fine il puro atto. L’atto puro è l’origine di tutti i movimenti, è l’essere perfetto che attrae a sé ogni essere che tendendo alla perfezione a lui tende e per questo diviene. Esso è primario rispetto alla pura potenzialità infatti senza di lui non vi sarebbe il mondo ma solo un magma indistinto (e come tale impensabile). Dunque esso è il vero fondamento non sensibile (cioè non più fisico, bensì al di là del fisico, ovvero metafisico) del mondo. Come si caratterizza questo atto puro?
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Il compimento teologico della metafisica aristotelica
L’atto puro è primo motore di tutto il divenire della natura, perché essendo la realizzazione perfetta di tutto ciò che è, è il centro a cui tende tutto ciò che punta alla perfezione, ossia tutto ciò che è in natura. Tale motore muove tutto essendo però egli stesso immobile, poiché è pienamente realizzato e non ha bisogno di divenire alcunché. Tale motore immobile o atto puro è scevro di materia: non avendo in sé alcuna potenzialità, non possiede nemmeno il principio di ogni potenzialità ossia la materia. Esso quale fondamento ultimo di tutta la realtà, perfezione ultima e piena di tutti gli enti è il Dio aristotelico (Theòs).
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Il Dio di Aristotele Questo Dio motore di tutto, realizzazione di tutto ciò che è realizzabile, immobile nella sua perfezione, è totalmente spirituale e immateriale. Esso ha il carattere dell’eternità (perché ciò che produce il movimento eterno dei cieli deve, come sua causa, essere egualmente eterno), così come eterno è il mondo che lo ama e a lui tende (infatti se ci fosse stato un caos prima del mondo ordinato, la potenza sarebbe anteriore all’atto, il che è impossibile). Inoltre deve essere impassibile e inalterabile, come qualità che discendono direttamente dalla sua perfezione. E siccome la perfezione di Dio è spirituale, egli è pensiero, pura razionalità ordinatrice senza alcun elemento di caos che lo inquini. Ma questo pensiero a che cosa penserà? Penserà all’oggetto più perfetto possibile, cioè a se stesso. L’atto puro è dunque pensiero di pensiero.
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Un Dio che non ama Al Dio di Aristotele, che pure è vita la massimo grado e intelligenza al massimo grado, manca l’amore e il darsi pensiero degli altri. La vita di Dio è rinchiusa dentro la sua perfezione, egli pensa se stesso e vive per se stesso. Rispetto al Dio cristiano la sua personalità è in qualche modo “mancante”, il Dio aristotelico è il Perfetto e manca di quella sovrabbondanza, che precisamente ha nome di “amore”, senza la quale gli è vietato dalla sua stessa suprema razionalità, di chinarsi verso il mondo e di preoccuparsi per il mondo. Egli è solo ed esclusivamente oggetto di amore, un oggetto muto che non risponde all’amore che l’universo intero prova per lui.
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