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PubblicatoXaviera Longhi Modificato 9 anni fa
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Dialettica, cosmologia, morale, politica e dottrine non scritte
L’ULTIMO PLATONE Dialettica, cosmologia, morale, politica e dottrine non scritte
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I dialoghi della vecchiaia e i vecchi-nuovi problemi
Nei dialoghi della vecchiaia, Platone rivede le sue dottrine, cercando di approfondirle e di risolvere le aporie cui avevano dato origine. -L’argomento principale è sempre la dottrina delle idee con le sue declinazioni pratico politiche. -Le domande fondamentali riguardano la struttura precisa del mondo delle idee e il suo rapporto con il mondo dell’immanenza naturale.
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L’Uno e i molti nel Parmenide
Il Parmenide affronta uno degli snodi aporetici della filosofia Platonica, cioè il rapporto fra l’Uno, principio ultimo della realtà e i molti. Ci si domanda come è possibile che l’Uno (per esempio un’idea) possa essere partecipato ai molti (per esempio una molteplicità di enti che dipendono da quell’idea) senza o disperdersi o moltiplicarsi nei molti.
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Il terzo uomo Nel Parmenide ci si rende conto che la logica della riduzione ad unità della molteplicità implicita nella dottrina delle idee - ossia la logica per cui una serie di oggetti possa trovare la sua unità sotto un’unica idea - comporta la moltiplicazione all’infinito delle idee.
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Unità di molteplicità: la terza idea
Ecco come Platone descrive la difficoltà: “ Parmenide - Credo che tu sia convinto che ciascuna idea esista come un’unità per questo motivo: allorché ti sembra che vi siano molte cose grandi, ti sembra forse che ci sia un unico e identico tratto distintivo se le osservi tutte quante insieme, sicché ritieni che la Grandezza corrisponda alla (loro, n.d.r.) unità. Socrate – “Quello che dici è vero” – disse. P – “E dunque? Se allo stesso modo rivolgi lo sguardo della tua anima su tutte le cose, sul grande in sé e su tutte le altre cose grandi, non si manifesta a sua volta un’unica Grandezza, grazie alla quale tutte le cose appaiono grandi?” S – “Pare così” P – “Si manifesterà allora un’altra idea di grandezza, sorta accanto alla grandezza presa in sé, e alla altre cose che partecipano di essa: e su tutte queste vi sarà un’altra idea, in virtù della quale tutte queste cose saranno grandi. E ciascuna idea non sarà più per te unica, ma infinita e molteplice” (Platone, Parmenide, 132 ab) .
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Grandezza e idea (a b c d e) = cose grandi;
G = loro unità perché comune ad (a b c d e); Ma adesso abbiamo una nuova molteplicità di due insiemi: G e (a b c d e) Tale molteplicità troverà la sua unità in G1. Ma, dato G1, avremo un’altra molteplicità: G e G + (a b c d e) Che troverà la sua unità in G2 e così via all’infinito.
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Sulle aporie del Parmenide
Queste e altre simili aporie trovano il loro sviluppo nel Parmenide che però, pur non offrendovi una soluzione razionale, esprime conclusivamente, per mezzo del suo protagonista, il filosofo di Elea, la seguente opinione: “Ma, disse Parmenide, se qualcuno, o Socrate, non ammetterà che esistano le idee delle cose che son, considerando le questioni appena esposte ed altre simili, e non determini la specie di ciascuna cosa, non saprà neppure dove rivolgere il pensiero, poiché non ammette che il carattere distintivo di ciascuna delle cose che sono è sempre identico, e cosi annienterà del tutto il potere del ragionamento dialettico-filosofico” (Platone, Parmenide, 135 bc).
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Il sofista Il Sofista è invece il dialogo in cui Platone porta a termine il famoso parricidio nei confronti di Parmenide. Parricidio significa omicidio del padre, cioè confutazione di un maestro che Platone considerava, insieme a Socrate, il padre della sua filosofia. Questo atto simbolico si compie indagando non il rapporto idee cose, come nel Parmenide, ma la struttura interna del mondo ideale, cioè come è fatto il mondo iperuranio delle idee.
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L’essere e il non essere di Parmenide
Parmenide aveva detto che solo l’essere è. L’alternativa all’essere, secondo logica, era il nulla, cioè il contrario dell’essere. Il nulla però non poteva ceorentemente essere né detto né pensato. Conseguenza: l’essere è uno e assolutamente omogeneo. Ciò contrasta con la convinzione platonica secondo la quale il mondo delle idee è un mondo della pienezza dell’essere caratterizzato però da una molteplicità di modelli della realtà (il Buono, il Bello, il Santo etc.).
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L’essere-diverso di Platone
Ora questa molteplicità è ingiustificabile sulla base della logica parmenidea. Platone allora si allontana dal maestro dicendo che, siccome le idee sono irrinunciabili per la comprensione del reale, bisogna ammettere in qualche modo l’esistenza di un non essere che non coincida con il nulla. Questo è l’essere-diverso. Un’ idea è se stessa e non-è un’altra idea, senza essere nulla.
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Essere-identico-diverso-quiete e movimento
Vi sono pertanto dei generi sommi da collocare al vertice del mondo ideale: l’essere che è proprio di tutte le idee. Anzitutto tutte le idee sono, dunque partecipano dell’Essere Le poi idee sono al contempo identiche a sé e diverse dalle altre, dunque tutte parteciperanno dell’Identico e del Diverso. Le idee, infine, considerate in sé sono in quiete, considerate nella relazione con le altre possono dirsi in movimento. Dunque tutte parteciperanno della Quiete e del Movimento.
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L’essere delle idee Considerato complessivamente l’essere delle idee va pensato come relazione. Tutto ciò che è, è nella possibilità di entrare in relazione con altro, mentre il nulla è ciò che non essendo, non ha possibilità alcuna né di agire né di subire, quindi non è soggetto di nessuna relazione.
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L’unità assoluta al di là dei cinque generi sommi nelle dottrine non scritte
Ecco perché il vertice del mondo ideale, l’unità assoluta è posta immediatamente in relazione con un principio duale, senza il quale non può essere pensato, così come si constata nelle dottrine non scritte. Vi è l’Uno-Bene alla sommità della piramide ideale, ma l’Uno bene è subito “relato” con la Diade indefinita. È questo il rapporto tra un principio ordinatore e contenitore, e un principio espansivo e moltiplicatore (del tutto analoga alla dialettica limite-illimitato di Pitagora).
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L’essere la differenza
Tale rapporto dà origine al tempo stesso all’essere nella sua unità e alla sua differenza ossia alla differenziazione interna tra le molteplici idee cioè al mondo ideale nella sua totalità, fatto di idee che sono e che sono diverse le une dalle altre. Uno e Diade – unità con sé e relazione con altro - costituendo assieme il carattere fondamentale di ogni possibile essere, possono occupare il luogo più alto di principio assoluto dell’universo - sia di quello materiale e sia di quello ideale.
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La dialettica È la scienza delle relazioni tra le idee. Le idee sono un complesso di elementi articolati fra loro, in modo che un’idea ne implica altre, e queste ultime rimandano alla prima come ad un loro riferimento obbligato. Per esempio: abbiamo visto come tutte le idee partecipino dell’idea dell’Essere, dell’idea di Identico e di quella di Diverso. Ciò significa che il Buono è (1); è identico a sé (2); è diverso (3) dal Bello. Buono e Bello sono quindi in relazione fra loro - una relazione di diversità e uguaglianza insieme - e tutte quindi rimandano all’Essere, Identico e Diverso, le quali implicano dunque il Buono e il Bello. La dialettica studia queste relazioni.
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Arte del distinguere e dell’unificare
Di ogni idea bisogna stabilire che cosa è e che cosa non è. Per questo bisogna dividerla nelle idee che la compongono, sapendo che queste ultime si unificano nell’idea superiore. Se io dico gli esseri possono essere inanimanti o viventi, evidentemente l’idea di Essere può essere scomposta nell’idea di Inanimato e di Vivente, i quali a loro volta possono essere distinti in idee che sono implicite in loro. Questa articolazione tra le idee, mi permette di dare una definizione concettuale di tutta la realtà.
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ESEMPIO 1 (Abbagnano) Vogliamo definire la filosofia tramite la sua idea. Filosofia è Attività (idea più generale); le attività possono essere manuali o intellettuali e la filosofia e attività intellettuale. Le attività intellettuali possono avere per oggetto le idee o le cose fisiche, per la filosofia vale la seconda ipotesi. Dunque la filosofia è attività intellettuale che ha per oggetto le idee. Le idee possono essere idee-valori o idee matematiche. Ma per la filosofia vale la prima ipotesi, dunque la filosofia è attività intellettuale che ha per oggetto idee-valori. In questo modo partendo da un’idea generale abbiamo veramente definito che cosa essa implichi, arrivando a stabilire l’esatta natura di una realtà: la filosofia è attività intellettuale che ha per oggetto idee che sono idee valori.
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ESEMPIO 2 (Platone dal Politico)
Dobbiamo definire l’uomo. L’uomo è un essere, gli esseri possono essere viventi o non viventi, l’uomo è vivente. I viventi possono essere animali selvatici o domestici, l’uomo è domestico. Gli animali domestici possono essere acquatici o terrestri, l’uomo è terrestre. I terrestri possono volare o camminare, l’uomo cammina. Gli animali che camminano possono essere quadrupedi o bipedi, l’uomo è bipede. I bipedi possono essere con piume o senza piume, l’uomo è senza piume. Avremo così la definizione di uomo come essere vivente, domestico, terrestre, che cammina, bipede, implume.
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ESEMPIO 3 (Platone dal Sofista)
Dobbiamo definire il sofista in base all’idea di caccia (cioè ci domandiamo in che senso è possibile definire il sofista un cacciatore). La caccia si dirige verso esseri, questi possono essere inanimati o viventi, la caccia è dei viventi. I viventi possono essere natanti o pedestri, la caccia va verso i pedestri. I pedestri possono essere selvatici o domestici, la caccia dei sofisti si rivolge verso gli animali domestici. La caccia verso gli animali domestici può essere compiuta con violenza o con persuasione, la caccia dei sofisti utilizza la persuasione. Essa può svolgersi in pubblico o in privato, per i sofisti essa è svolta con discorsi privati. Il fine dei discorsi privati può essere quello di regalare qualcosa o di guadagnare, per i sofisti il fine è il guadagno. Il guadagno può essere per sostentarsi o per avere più soldi, per i sofisti vale la seconda possibilità. Dunque la caccia dei sofisti è verso esseri viventi, pedestri, domestici, fatta con persuasione, in privato, per guadagno al fine di procurarsi denaro in più rispetto al sufficiente.
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ESEMPIO 4 (Maraviglia) Dobbiamo definire il coraggio in quanto comportamento. Il comportamento può essere umano o animale, nel coraggio si tratta di un comportamento umano. Il comportamento umano può essere virtuoso o vizioso, per il coraggio esso è virtuoso. I comportamenti virtuosi possono essere razionali (virtù come sapienza) o irrazionali (virtù per nascita o istinto), per il coraggio si tratta di un comportamento razionale. I comportamenti razionali possono essere forti cioè capaci di vincere le avversità o deboli cioè incapaci di vincere le avversità, per il coraggio si tratta di un comportamento forte. I comportamenti forti possono essere capaci di sacrificio (vincono tutte le avversità anche quelle interiori) o incapaci di sacrificio (vincono solo le avversità esteriori), il coraggio è capace di sacrificio. Il sacrificio può essere disinteressato cioè indifferente al proprio vantaggio, o interessato, cioè attento al proprio vantaggio, per il coraggio vale la prima ipotesi. Quindi avremo la seguente definizione di coraggio: comportamento umano, virtuoso, razionale, forte, capace di sacrificio disinteressato.
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La diàiresis (divisione)
Il procedimento della divisione consente di scindere ogni idea in due componenti alternativi, scegliendo quello che vi appartiene e quello che non vi appartiene, in modo da arrivare a specificarla sempre di più fino ad arrivare ad un’idea non ulteriormente divisibile. Tutte le divisioni trovate, individuano alla fine la loro unità nell’idea che si è definita. Per questo si è detto che la dialettica è arte del distinguere e dell’unificare. L’errore in tale processo è dovuto a divisione arbitrarie, quando cioè si effettua male la scissione oppure quando si scelgono alternative sbagliate. Ovviamente le divisioni possono essere diverse a seconda della definizione cercata, perché le implicazioni delle idee, cioè le altre idee che una particolare idea contiene, sono tutte da scoprire.
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Le dottrine non scritte e le loro conseguenze morali: il Filebo
Nel Filebo il tema è che cosa sia il bene per l’uomo. La trattazione risente evidentemente delle dottrine non scritte dell’autore. Infatti per Platone il bene umano è misto, non è il piacere, come per gli animali; né la purissima intelligenza, come per gli dei. La vita umana dovrà per forza essere una vita mista, in cui al principio smisurato del piacere (diade), si affianca quello misurante dell’intelligenza (Uno).
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Intelligenza e piacere
Ma l’intelligenza mantiene il primato: essa è infatti causa dell’ordine e della misura della vita umana e purificherà anche il piacere, che sarà valutato positivo non in base all’appagamento di un bisogno, ma se scaturisce dalla contemplazione del bello e del buono. Ecco allora la vita umana come giusta misura, giusto mezzo tra gli eccessi ai quali il piacere e la vita sensibile tenderebbero se non fossero ordinati dall’intelligenza.
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Il Timeo Nel Timeo Si cerca di risolvere il problema del rapporto tra le idee e le cose, ossia tra la realtà dell’essere pieno e perfetto e quella transeunte del cosmo sensibile. Lo stesso problema che il Parmenide aveva lasciato insoluto (come è possibile che l’Uno si partecipi ai molti? Cioè come è possibile che l’unità complessiva e pur articolata delle idee, dia origine alla molteplicità propria di questo mondo).
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Il mito del Demiurgo La soluzione trovata da Platone ha un carattere mitico, ossia verisimile, ovvero ancora introduce ad una verità che, per la sua altezza e profondità, non può essere descritta in termini rigorosamente logico-razionali, ma deve essere raccontata senza timore di chiamare in causa anche l’elemento religioso. Tale è il mito del Demiurgo.
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La genesi del mondo Il Demiurgo è un essere divino, dotato di intelligenza e volontà, è una mente ordinatrice cui Platone affida la prerogativa di plasmare questo universo ordinato così come appare. Il Demiurgo è posto a metà tra il mondo dell’essere perfetto e ideale e una materia informe, egualmente eterna, chiamata chora o Necessità Egli ama il bene, e, guardando al bene, come un grande artista, plasma la chora informe, illimitata e ribelle, dando origine a questo mondo (in ciò il Demiurgo è diverso dal Dio cristiano che crea dal nulla), che è pertanto costruito a immagine e somiglianza del mondo ideale.
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Una trasposizione cosmologica delle dottrine non scritte
Ancora una volta, nella produzione platonica dell’ultimo periodo è contenuto un riferimento alle dottrine dell’Uno e della diade indefinita. Infatti la materia rappresenta ad un livello più basso, la diade, ossia un principio smisurato. L’azione del Demiurgo è quella di applicare a questo principio, la forza ordinatrice dell’Uno, cioè dell’Idea che culmina nell’Uno.
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L’anima del mondo Il Demiurgo opera la sua azione plasmatrice dando al mondo un’anima che ordina e plasma la materia, la tiene insieme e le dà una forma. Egli crea anche il tempo, immagine mobile dell’eternità, ossia dislocazione sul piano della successione di quella gerarchia ordinata di enti che nel mondo ideale esiste contemporaneamente in un presente eterno.
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L’imperfezione del cosmo
L’opera plasmatrice del Demiurgo incontra un ostacolo insuperabile nell’informità della chora. Essa, è vero, si fa plasmare, tuttavia rimane sempre tendenzialmente refrattaria ai confini e alla misura che il demiurgo le impone. Di qui la mutevolezza e corruttibilità di questo mondo, cioè la sua imperfezione.
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La sua perfezione (parziale) dovuta alla sua struttura numerica
Il mondo è costituito da quattro elementi fondamentali – quelli propri di tutta la tradizione fisico-cosmologica greca -, acqua, aria, terra e fuoco. Questi hanno una struttura geometrica, così come aveva visto Pitagora (tutta questa parte del Timeo è una rielaborazione delle dottrine pitagoriche), e tale struttura è riconducibile ad una misura aritmetica. Quindi tutto ciò che ha un corpo, rivela nella sua composizione (acqua, aria, terra o fuoco) una misura numerica di esattezza e perfezione, che lo rimanda direttamente alla misura perfetta della idee matematiche e all’unità suprema alla quale tali idee si riferiscono. Quindi il mondo ha una struttura matematica, prospettiva questa fondamentale anche per la scienza moderna, che, pur in una diversa impostazione di pensiero, su questo punto è del tutto concorde.
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Il fine del mondo Il Demiurgo ha plasmato il mondo affinché questo assomigliasse quanto più possibile alla sfera delle idee. Quindi tutto dovrebbe tendere alle idee. L’avvicinamento alla sfera ideale e all’Uno-Bene è lo scopo con il quale il mondo è stato plasmato. Quindi la sua struttura matematica trova nell’Uno-Bene la sua giustificazione e il suo fine ultimo. Questo elemento differenzia radicalmente Platone dalle prospettive moderne, che tendono ad escludere, nell’indagine del mondo, qualsiasi finalismo.
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L’ultimo Platone: il Politico e le Leggi
In questi testi Platone, pur non rinunciando all’impostazione tendenzialmente aristocratica della Repubblica, modula la sua dottrina politica in senso realista: se la Repubblica ha disegnato la figura di uno Stato ideale, il Politico e le Leggi indicano alcune linee-guida nella politica reale.
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La misura nel Politico Nel Politico è evidenziata la misura come criterio supremo dell’azione dell’uomo politico. Nell’esercizio delle sue prerogative, egli deve rifuggere gli eccessi e perseguire il giusto mezzo. Il giusto mezzo non è però una misura matematica ma etica, si tratta di trovare in ogni azione “il conveniente, l’opportuno, il doveroso” (cfr. Politico, 284 b-e).
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La politica come tessitura
L’attuazione del giusto mezzo deve perseguire il fine dell’unità dello Stato, che deve attuarsi mediante la composizione delle più diverse visioni del mondo, delle più disparate esigenze e degli opposti interessi. Un governo saggio deve essere terzo fra le opposizioni, e saperle ricomporre in una complessiva armonia, costruendo così, con i diversi fili dei diversi caratteri umani, degli interessi e dei modi di pensare e di agire presenti nella società, l’unico tessuto dello Stato.
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La tela dell’azione politica
“Questo è infatti il fine dell’azione politica: la buona tessitura dell’indole dei valorosi e dei temperanti, quando con vincoli di concordia e di amore, l’arte regia ne fa comune la vita, portando a fine la più stupenda e la più nobile delle tele, e avvolgendovi tutti gli uomini negli Stati, liberi e servi insieme, li tiene uniti in quest’orditura, e , per quanto è dato ad una città di essere felice, la governa e l’amministra in guisa da non omettere proprio nulla che possa contribuire allo scopo” (Politico 311 b-c).
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Nuovo catalogo delle forme di governo e delle loro degenerazioni
Le tre forme principali di governo sono la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, con le loro relative forme degenerate: la tirannide, l’oligarchia e la demagogia. Le forme positive o degeneri dipendono dal rispetto delle leggi da parte dei governanti e dei cittadini. La migliore di esse è la monarchia, anche se senza leggi è la peggiore (corruptio optimi pessima, verrebbe da dire), la meno peggio è la democrazia, anche se è “fiacca e non combina granché di buono”.
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Le funzione delle leggi nel Politico
Il rispetto delle leggi è dunque fondamentale per discriminare la bontà di un regime. In realtà, dice Platone, un governo saggio e forte non dovrebbe utilizzare le leggi, che nella loro astrattezza e impersonalità non sempre si adattano ai molteplici aspetti e casi della vita. Tuttavia, siccome un governante così saggio di fatto non c’è, è necessario che “ci aduniamo insieme e formuliamo statuti scritti” (Politico 301 e). L’adesione dello Stato al Bene comune è dunque, negli Stati reali, affidata alla legge, e gli uomini concorrono a tale Bene con il suo necessario rispetto e con il suo necessario aiuto.
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Lo Stato misto nelle Leggi
Nelle Leggi vi è un’ulteriore piccola modificazione della rotta, rispetto al Politico, circa la costituzione migliore di uno Stato, Questa deve essere mista e allontanarsi sia dal potere arbitrario della monarchia e della tirannide (come per esempio in Persia), sia dall’eccessiva libertà di Atene. “Se non sarà una monarchia, deve almeno contenere un principio monarchico, il principio del governo saggio e vigoroso subordinato alla legge. Ma parimenti deve contenere, se non la democrazia, il principio democratico, il principio liberale della partecipazione al potere delle masse, a loro volta naturalmente subordinate alla legge” (G. H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Etas, Milano, 2003, p. 62).
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La giusta misura Ancora una volta, nella costituzione mista, preminente è il principio della giusta misura, che come si è visto, domina tutta la speculazione dell’ultimo Platone, sia in campo metafisico, sia in campo etico, sia infine in campo politico. In quest’ultimo ambito, esso permette a Platone di analizzare la materia politica con maggiore aderenza ai fatti, costruendo una dottrina che sappia tenere assieme le supreme esigenze ideali della Repubblica e la concreta situazione dove l’uomo politico, che si spera sempre saggio e filosofo, è chiamato ad agire.
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