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PubblicatoBaldassare De angelis Modificato 9 anni fa
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Ronald Fairbairn (1889 – 1964) La centralità della relazione
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Ronald Fairbairn – che elaborò i suoi contributi di psicoanalisi negli anni ’40 – pose al centro del suo interesse il profondo bisogno da parte del bambino di relazioni personali basate sull’amore. Egli affermò, in contrasto con Freud, che la motivazione centrale degli esseri umani è stabilire buone relazioni con gli altri (“la libido non è ricerca di piacere, ma ricerca d’oggetto”) Per Fairbain l’asse centrale attorno al quale ruota lo sviluppo del bambino sono le buone relazioni, all’insegna dell’affetto, dell’amore, della stima, della considerazione personale. Il bisogno di relazione è così centrale che “è meglio una relazione cattiva che nessuna relazione”
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Nelle prime fasi dello sviluppo l’Io non è strutturato e dotato di una coscienza di sé di tipo riflessivo, ma è tutt’uno col caregiver. Il piccolo è, cioè, in “identificazione primaria” con l’altro. Così, se il bambino sperimenta relazioni insoddisfacenti, egli – in virtù dell’identificazione – giungerà a percepire se stesso come insoddisfacente e “cattivo”.
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Questo sentirsi cattivo comporta un’esperienza molto dolorosa, addirittura catastrofica, nell’esperienza di Sé del bambino. …l’esperienza di non essere accettato e riconosciuto nel proprio bisogno di amore è un’esperienza devastante che, a livello profondo, è l’esperienza della vergogna per aver manifestato dei bisogni affettivi. Il senso del proprio valore è minacciato. Ad un livello ancora più profondo, si ha un senso di svuotamento e di morte psichica. La consapevolezza che il proprio amore è inutile genera un senso di futilità dell’Io… (Fairbairn, 1944, tr. it. 1970, p. 140)
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Fairbairn descrisse approfonditamente come tali esperienze relazionali negative possano essere controllate solamente tramite la loro rimozione nell’inconscio. la rimozione nell’inconscio delle esperienze negative è un espediente per “bonificare” le relazioni della loro “cattiveria” e farle apparire di nuovo positive e “buone”. È l’esperienza, tristemente nota, dei bambini abusati che non riescono ad accusare i loro aguzzini della violenza subita perché hanno bisogno di credere nella bontà della relazione.
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Nell’inconscio, tuttavia, questi sentimenti negativi permangono; in virtù dell’identificazione, il proprio Io, inconsciamente percepito come profondamente “contaminato” di cattiveria, svuotato. Fairbairn tale parte dell’Io contaminata di cattiveria “sabotatore interno”, che rappresenta quella parte dell’Io profondamente contaminata da un senso di cattiveria e capace di boicottare i miglioramenti della personalità
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Ciò genera una vera e propria situazione di tipo “schizoide” ovvero di scissione all’interno dell’Io. Ci sono, cioè, delle “parti” del nostro Io legate a delusioni relazioni molto profonde che intaccano e si legano al senso di sé da dover essere negate perché intollerabili. Questi individui percepiscono che il bisogno di amore, dipendenza e affetto sono pericolosi e vanno negati. L’amore è sentito come connesso alla distruzione e alla morte. È questo il senso dell’affermazione di Oscar Wilde che, nella Ballata della prigione di Reading, esclama “Ogni uomo uccide la cosa che ama” (Fairbairn 1940, tr. it 1970).
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Inoltre, osserva Fairbairn, assieme alla inconscia sensazione di cattiveria dell’Io, v’è un’altra parte dell’Io, anch’essa diventata inconscia, che ambisce ad avere soddisfatti quei bisogni relazionali di cui non ha avuto esperienza. Tuttavia li desidera in maniera compulsiva, esigente, vorace, voluttuosa, “libidica”. Fairbairn chiama tale Io “Io libidico” e a suo parere assomiglia all’inconscio pulsionale descritto da Freud.
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Riassumendo: Le relazioni insoddisfacenti generano, cioè, da un lato un bisogno insoddisfatto che assume una forma seduttiva, stimolante e, dall’altro lato, la continua frustrazione di quei bisogni da parte dell’ “Io cattivo” (sabotatore interno), che incarna la memoria del fallimento profondo di ogni tentativo di mettersi in relazione. Il sabotore interno, come suggerisce il nome, “attacca” rabbiosamente quella parte dell’Io (l’Io libidico) che manifesta desideri. Più in fondo, l’attacco del sabotatore interno rappresenta anche un attacco che il bambino rivolge verso sé stesso in quanto dipendente e bisognoso di relazione.
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Precisazione: Rispetto a questa dinamica profonda avente a che fare relazioni buone o cattive, il senso di colpa che genera il Super-Io descritto da Freud agisce, per Fairbairn, a un livello più superficiale. Fairbairn pensa infatti che il senso di colpa sia una difesa “morale” più evoluta dietro la quale si cela una situazione più originaria legata a relazioni interiorizzate assolutamente cattive (in cui il proprio Io è sentito come indegno e cattivo). Il colpevolizzarsi viene utilizzato, cioè, per coprire e per tenere lontano dalla coscienza la sensazione profonda di disperazione legata alle relazioni cattive. Meglio, cioè, sentirsi in colpa che sentirsi indegno di esistere.
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L’evoluzione come passaggio dalla dipendenza immatura alla dipendenza matura
Crescendo il bambino sarà indotto a evolvere dalla dipendenza immatura alla dipendenza matura. Affinché tale passaggio possa avvenire in modo emotivamente sano occorre che il bambino abbia la sensazione di essere sostenuto e incoraggiato nell’ambito di relazioni in cui si sente amato come persona; altrimenti egli tale passaggio e l’aprirsi al mondo esterno come carichi di troppa ansia di separazione. L’ansia di separazione è spesso legata alla sensazione di sentirsi intrappolati in spazi troppo stretti o troppo ampi.
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Approfondimento: Per Fairbairn le relazioni cattive rimosse nell’inconscio (che contengono un’esperienza dell’Io come cattivo e dell’altro come cattivo) sono alla base dei disturbi ossessivi, paranoidi, isterici e fobici. Si riportano i meccanismi di difesa così come vengono intesi da Fairbairn: La fobia rappresenta la tensione connessa al passaggio dalla dipendenza infantile a quella matura, nella speranza di “farcela” e nel timore di rimanere intrappolato, rinchiuso, inghiottito… Il conflitto è quello tra la fuga dall’oggetto e il ritorno all’oggetto. Il fobico adotta una posizione passiva e si pone nella scelta di fuggire dal potere dell’oggetto o sottomettersi ad esso. La paranoia è la più radicale, in quanto gli oggetti cattivi vengono trattati come assolutamente cattivi. Questi diventano dei persecutori che attaccano il soggetto dall’esterno. Il paranoide è caratterizzato da una grandiosità stravagante (perché non basata su una realistica autostima) che teme l’attacco da parte degli oggetti cattivi persecutori.
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L’isteria non è una fissazione alla fase fallica come conseguenza della situazione edipica, come nella teoria freudiana, ma è un rifiuto degli organi genitali perché essi sono utilizzati per avere soddisfazioni di tipo infantile-dipendente. Fairbairn fa l’esempio di una bambina tenuta in disparte da genitori che non si occupavano di lei che inizia ad utilizzare la seduzione per avere il padre dalla sua parte. A differenza che per il paranoico e l’ossessivo, nell’isterico l’oggetto cattivo è trattenuto psicologicamente dentro: l’isterico vuole consegnare tutto ai suoi oggetti d’amore, spesso idealizzandoli, nella speranza di stabilire una relazione più rassicurante, ma non dà loro gli organi sessuali, che restano invischiati in un meccanismo di soddisfazione regressiva con l’oggetto cattivo e devono pertanto essere tenuti fuori dalla relazione idealizzata. L’isterico, come il fobico e l’ossessivo, ha in parte acquistato una maturità durante la fase di transizione, ma in parte è rimasto legato in modo immaturo ai suoi oggetti interni. Proprio l’esagerazione dell’isterico solleva il sospetto che il suo comportamento derivi dalla sovracompensazione d’un rifiuto. Questo sospetto è confermato nell’isterico dalla presenza di dissociazioni e l’analisi può evidenziare l’identificazione con i genitali rifiutati. Nell’ossessione, invece, c’è un po’ di atteggiamento oblativo della dipendenza matura. L’ossessivo è come se volesse metaforicamente espellere di propri oggetti cattivi e pertanto esercita un forte controllo, spesso connotato da alta aggressività, su di essi.
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Iper-investimento difensivo del mondo interno
Per paura di ulteriori “fallimenti relazionali”, il bambino si “attaccherà” di più al suo “mondo interno” fatto di relazioni con oggetti cattivi (che lo fanno sentire una nullità) e oggetti libidici (che stimolano il suo desiderio in maniera vorace). L’attaccamento al mondo interno va a compensare la sensazione di solitudine; ma così l’individuo si chiude in un circolo vizioso sempre più stringente, fino al punto che il dare e l’interagire autentico con gli altri viene sentito come un pericoloso “svuotamento”.
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Melanie Klein aveva già evidenziato come il normale sviluppo infantile contempli il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività) e la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio e si prova gratitudine verso l’oggetto). L’espressione dell’aggressività diventa connotata da senso di colpa e dal desiderio di riparare al male fatto. Gli sviluppi patologici derivano invece da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo.
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(Super-Io primitivo sadico e punitivo)
Realtà esterna, altri Parte matura dell’individuo in interazione con la realtà e capace di interagire in senso realistico col mondo (Io centrale) Senso di colpa (Super-Io “morale” di Freud) (“non devi comportarti così”; “non essere così dipendente”; “non essere egoista, pensa come soffrono gli altri”; “sei proprio una persona cattiva” ecc.) Io solo, abbandonato, vergognoso del proprio bisogno di amore, con un senso di profonda disistima e di cattiveria (sabotatore interno) (Super-Io primitivo sadico e punitivo) Io che reclama aggressivamente il soddisfacimento dei propri bisogni, non più percepiti come puri bisogni relazionali e di affetto, ma come esigenze, “capricci”, lusinghe, seduzioni (che spesso si intrecciano con la sfera sessuale), uno sfruttare gli altri. Contro questo bisogno il sabotatore interno mobilita la sua aggressività (perché in fondo è un bisogno che si sviluppa da una mancanza, compensatorio, che il sabotatore interno rabbiosamente mette a tacere) (io libidico) Relazioni con oggetti interiorizzati, cui l’individuo è costretto a ricorrere in mancanza di una relazione soddisfacente con gli oggetti del mondo esterno
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