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ANTROPOLOGIA ED ETNOGRAFIA
Se volete capire che cosa è una scienza, non dovete considerare innanzitutto le sue teorie e le sue scoperte (e comunque non quello che dicono i suoi apologeti): dovete guardare che cosa fanno quelli che la praticano. Nell’antropologia, o per lo meno nell’antropologia sociale, coloro che la praticano fanno dell’etnografia. Ed è nel capire che cosa è l’etnografia, o, più precisamente che cosa è fare etnografia, che si può cominciare ad afferrare in che cosa consista l’analisi antropologica come forma di conoscenza. (Geertz 1987, pp.41-42)
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Antropologia e pratica etnografica
Benché tutti gli antropologi concordano sul fatto che ogni serio studio della società deve fare riferimento a qualche lavoro empirico, non tutti concordano su come debba essere intesa la relazione fra lavoro empirico ed elaborazione teorica.
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I molti modi di intendere la pratica etnografica
Lungo tutta la storia della disciplina, vi è sempre stata coesistenza di esperienza di ricerca sul campo e di interpretazione di testi di varia natura prodotti da altri: Testi prodotti da viaggiatori, missionari, letterati, storici, altri antropologi ecc. Analisi di materiale visivo come film, documentari, fotografie,ecc. Testimonianze indirette raccolte con questionari Testimonianze dirette raccolte attraverso informatori
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La nascita dell’etnografia moderna
Benché la tradizione assegni a Malinowski il ruolo di fondatore dell’etnografia moderna, in realtà essa costituisce l’esito di di un processo assai più complesso che si sviluppa dalla fine del’800 ai primi decenni del 900: Già prima di Malinowski il lavoro sul campo costituiva un settore di ricerca consolidato Malinowski non fu il primo antropologo a teorizzare la ricerca sul campo e neppure il primo a produrre un’etnografia attraverso il soggiorno prolungato, comunicando con gli indigeni nella lingua nativa I motivi per cui gli antropologi cominciarono a dedicarsi personalmente, e in maniera sistematica, alla raccolta dei dati etnografici sono diversi: L’esigenza di verificare personalmente i dati della riflessione teorica L’emergere dell’antropologia accademica La possibilità di accedere in maniera più rapida e agevole a regioni sulle quali i paesi coloniali imposero il loro dominio
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La magia etnografica di Malinowski
Il lavoro sul campo di Malinowski nelle isole Trobriand rappresenta per la tradizione antropologica una sorta di esperienza archetipa, oggetto di una considerevole elaborazione mitopoietica Come sostiene Geertz, “M. inaugurò il mito dello studioso sul campo, simile ad un camaleonte, perfettamente in sintonia con lìambiente esotico che lo circonda, un miracolo vivente di empatia, tatto, pazienza e cosmopolitismo” In base ad essa M. è diventato il prototipo dell’antropologo, incarnandone l’ideale professionale fondato: sulla conoscenza diretta e personale dell’oggetto di studio Sulla duplice caratteristica di ricercatore sul campo e di teorico
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Rapporto fra studio antropologico e pratica etnografica
Con M. si viene a stabilire una stretta relazione fra teoria antropologica e pratica etnografica intesa come: descrizione di una realtà colta con una prolungata immersione in essa intesa ad ottenere una visione coerente della società e della cultura studiata sulla base di un approccio olistico finalizzata ad afferrare il punto di vista dei nativi, il loro rapporto con la vita, la loro visione del loro mondo offerta alla conoscenza del lettore tramite la produzione di un testo
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L’osservazione partecipante
Nella sua forma classica, l’osservazione partecipante consiste in una ricerca: condotta da un singolo ricercatore e fondata sulla presunta neutralità dell’osservatore partecipante che trascorre un lungo periodo di tempo fra le persone che intende studiare padroneggiandone la lingua Immergendosi nelle loro attività quotidiane allo scopo di ottenere una comprensione il più possibile completa dei loro significati culturali e delle strutture sociali attraverso l’esperienza empatica immediata e soggettiva dell’etnografo Basata su un approccio positivistico, l’osservazione parteciapnte si fonda sul presupposto che vi siano fatti sociali da scoprire: come sostiene M. “lo sforzo principale deve essere quello di lasciare che i fatti parlino da soli”
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L’osservazione partecipante e la “monografia”
L’osservazione partecipante ha prodotto una specifica modalità di scrittura: la monografia Nella monografia i risultati sono esposti attraverso un modello linguistico-narrativo finalizzato a restituire una compresione olistica di una totalità socio-culturale I caratteri salienti di tale modello linguistico- narrativo sono: La forma discorsiva impersonale, legata ad una presunta obiettività e neutralità dell’autore L’uso del presente etnografico, inaugurato da M., tendente a ricostruire l’immagine di una società “tradizionale” priva di cambiamento e di storia La produzione di “oggettività” atteaverso la registrazione di dati puri, anche se dietro questa “obiettività” descrittiva c’èun complesso lavoro di elaborazione dei dati e una loro messa in relazione con precisi assunti teorici Il risultato storico di questa modalita di descrizione delle culture ha prodotto, a livello di concezione dell’oggetto dell’antropologia, un’immagine statica delle singole culture, chiuse nella loro atemporalità e nei confronti delle altre comunità
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La cospirazione del silenzio
A differenza di altri scienziati sociali, tradizionalmente gli antropologi hanno dedicato poco spazio all’analisi e alla riflessione sui loro metodi di lavoro sul campo La processualità del lavoro dell’antropologo sul campo, pur costituendo la forza della disciplina, e pur essendo entrata a far parte della tradizione orale della comunità degli antropologi, è stata per molto tempo tenuta fuori dal campo della riflessione analitica e dell’elaborazione teorica Spesso il lavoro complesso fatto di scelta di metodi ad hoc, di sentimenti ambivalenti, di dubbi e difficoltà, di tensioni e intuizioni felici, di astuzie e strategie, di amicizie e conflitti sono stati oggetto di una letteratura parallela, informale, spesso pubblicata utilizzando pseudonimi.
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La cospirazione del silenzio e l’etnografia funzionalista
Nella prospettiva di Malinowski l’osservazione partecipante più che come un metodo vero e proprio, può essere vista come la semplice descrizione di una strategia tesa a facilitare la raccolta dei dati In realtà l’esperienza personale dell’etnografo, basata sulla prtecipazione e l’empatia, così importanti nel processo di ricerca, viene totalmente espulsa nella descrizione etnografica Questo occultamento della soggettività si basa su una concezione “realistica” dell’osservazione derivata dalle scienze naturali e su una fiducia incondizionata nell’adeguatezza del liguaggio a rappresentare il mondo Questa espulsione della soggettività dell’antropologo costitusce uno dei fondamenti su cui si è costruito il mito realtivo alla possibilità di una perfetta immedesimazione empatica con l’oggetto di studio mito che la pubblicazione dei diari nel 1967 ha definitivamente spazzato via aprendo un dibattito estremamente fruttuoso all’interno della comunità scientifica delgli antropologi
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Il canbiamento delle prospettive sul piano metodologico e le sue matrici
La messa in discussione del paradigma malinowskiano ha consentito di far emergere la molteplicità dei percorsi metodologici che hanno caratterizzato la storia della disciplina In particolare, mentre l’antropologia britannica, fortemente egemonizzata dallo struttural-funzionalismo, cristalizzava il metodo dell’osservazione partecipante, l’antroplogia statunitanse, raccolgliendo l’eredità di Boas, si caratterizza per una maggiore ricchezza di percorsi metodologici Un contributo decisivo al cambiamento di prospettive, tuttavia, è dato anche dalla scuola di Manchester e dagli studi urbani in africa già alla fine degli anni ‘30 ponendo al centro dell’attenzione il mutamento, le relazioni fra i gruppi e il conflitto sociale Le trsformazioni culturali della contemporaneità, inoltre, hanno reso inadeguato il metodo elaborato per studiare comunità che venivano considerate “piccole ed isolate”
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La relazione fra oggetto di ricerca e orientamento metodologico
Nell’ambito dell’antropologia statunitense e della scuola di manchester si sono sviluppati ambiti di ricerca e orientamenti critici che hanno favorito la messa in discussione del paradigma malinowskiano e imposto la elaborazione di percorsi metodologici alternativi e specifici in rapporto ai diversi oggetti di studio Fra questi ambiti di ricerca possimo indicare: L’antropologia urbana L’antropologia dell’educazione L’antropologia applicata Questi ambiti di ricerca si caratterizzano per un’attenzione particolare alle zone miste, alle aree di frontiera, ai meticciati non consentendo di accettare un approccio centrato sullo studio di un’altertà confinata in un luogo circoscritto Lo studio degli ambiti urbani e delle situazioni di contatto culturale hanno contribuito a risvegliare l’antropologia dal “sonno metodologico durante il quale mappa e territorio si erano fursi e confusi”
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Segnali di crisi Il metodo dello studio dettagliato di un’area delimitata cominciò a rivelare i propri limiti quando si cerco di utilizzarlo in contesti sociali e spaziali più ampi e complessi del villaggio quali le città, i grandi regni dell’africa occidentale e, iù in generale, le aree di contatto culturale Ciò avvenne assai prima della dell’epoca della cosiddetta globalizzazione In particolare due scuole hanno significativamente contribuito alla trasformazione della nozione di campo e allo sviluppo della metodologia in ambito antropologico: Robert Park e la scuola di Chicago che, intorno alla metà degli anno venti, si propose di studiare il fenomeno urbano attraversi metodi dell’antropologia culturale La scuola di Manchester che, alla fine degli anni trenta, con la fondazione del Rhodesia -Livingstone Institute di Lusaka (Zambia), si pone l’obiettivo di studiare e comprendere le trasformazioni sociali in atto nella cosiddetta Copperbelt
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La scuola di Chicago Concetti innovativi:
Ne “Il ghetto” di Wirth viene formulata l’idea che il quartiere studiato, estremamente eterogeneo per origini “etniche” e redditi dei suoi abitanti, produca identità e senso di appartenenza, non tanto attraverso il mero fatto di risiedervi, quanto attraverso il fatto di percepirsi ed essere percepiti dagli altri come suoi abitanti Per tentare di risolvere il problema legato all’applicazione alla realtà urbana di un metodo elaborato per studiare comunità piccole e isolate, elaborarono il concetto di “area naturale urbana”, intesa come “unità funzionale di base dello spazio urbano” da poter analizzare secondo il metodo antropologico. Un’entità che non coincide con il quartiere in senso amministrativo, ma tende ad identificare aree della città alle quali vengono attribuiti informalmente dei nomi e specifiche caratteristiche, per così dire dal basso, al di là di ogni pianificazione istituzionale La funzione dell’area naturale urbana sarebbe quella di soddisfare il bisogni degli individui di disporre di una ambiente di vita che sia relativamente omogeneo secondo criteri quali l’appartenenza etnica, la condizione economica e lo status sociale, come fattore di coesione interna e condizione per relazionarsi con le altre “area naturali urbane
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Limiti dei concetti elaborati dalla Scuola di Chicago
In realtà il territorio urbano si caratterizza per una elevata quantità, densità e sovrapposizione nello stesso territorio cittadino, di stili di vita, identità e visioni del mondo fra loro assai differenti Ne deriva: Una scollatura fra descrizione delle caratteristiche esterne e superficialmente osservabili della cosiddetta area naturale urbana e visione del mondo dei rispettivi abitanti Una rappresentazione della città moderna simile a quella di una città medioevale caratterizzata dalla visibilità e rigidità dei suoi confini interni e dalla perfetta coincidenza fra segni esterni e ragioni sociali (sobrero, 1992:83) Incapacità di fatto a rendere conto del fenomeno urbano nella sua totalità e nella sua specificità a causa dell’artificiosità con la quale le comunità urbane vengono isolate dal loro contesto più ampio Limiti derivanti da una applicazione acritica della nozione di “campo” come area geograficamente delimitata, nozione che avrebbe dovuto essere rielaborata in rapporto alle caratteristiche proprie del contesto che si proponevano di descrivere e interpretare
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La scuola di Manchester
Il passaggio fondamentale per quanto riguarda la nozione di campo viene realizzato dai ricercatori seguaci della scuola di Manchester chiamati a studiare la cosiddetta copperbelt, un’area fra Ndola e Lusaka che, a causa di un’impennata del mercato del Rame, in poco tempo aveva visto il sorgere di numerosi e nuovi centri abitati Queste città, dette di tipo “B” per distinguerle da quelle tradizionali, antiche e di origine indigena, preoccupavano il governo britannico perché caratterizzate da nuove configurazioni sociali non più fondate sui meccanismi di potere e di rappresentanza tribale sui quali si fondavano le pratiche di indirect rule tipiche del dominio coloniale britannico Max Gluckman, consapevole dei limiti connessi all’applicazione dogmatica del metodo dello studio dettagliato di un’area delimitata, si pose l’obiettivo: Di porre il mutamento, le relazioni tra i gruppi e i fenomeni di conflitto sociale al centro dell’analisi antropologica, Di spostare l’attenzione sull’obiettivo di “comprendere la realtà come processo e come complessità” Di dedicare grande attenzione ai criteri di delimitazione di campo, ovvero alle procedure di definizione dell’oggetto di ricerca
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Il risveglio dal sonno metodologico
Lo studio degli ambiti urbani e delle situazioni di contatto culturale ha contribuito in maniera determinante a risvegliare l’antropologia dal sonno metodologico durante il quale mappa e territorio si erano fusi e confusi La scuola di Manchester, d’altra parte, ha potuto contare su un dibattito e su esperienze di ricerca contemporanee che aveva già mostrato i limiti connessi ad una accettazione rigida dell’impostazione malinowskiana: Sigfried Nadel, allievo di Malinowski, intuì il legame il metodo codificato da Malinowski e il carattere insulare dei luoghi in cui era stato generato quando, tra il 1933 al 37 si trova a svolgere ricerche presso i Nupe (Nigeria) e si trova a fare i conti con una società di almeno individui, dotata di una complessa organizzazione sociale ed economica, costituta da un insieme di vaste regioni poliglotte e plurietniche accomunate tra di loro dall’Islam Evans-Pritchard nello studiare i Nuer arriva alla conclusione che il metodo malinowkiano può conservare una validità solo a condizione di focalizzare la propria ricerca su un oggetto specifico individuato all’interno della società studiata
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Verso una nuova concezione del campo
Sulla base dei lavori di Nadel e di Evans-Pritchard, al scuola di Manchester elabora l’idea che per studiare le nuove forma di vita sociale era necessario riformulare il concetto di delimitazione del campo: “l’oggetto di studio (…) non è il sistema complessivo, ma (…) gli insiemi interni che lo compongono: non è la tribù ne la città, ma una parte di questo o quel campo sociale, il sistema politico dei nuer, ad esempio, o il sistema parentale (..)(Sobrero, 1992:123) In questa nuova prospettiva il campo non esiste come un’entità già data in partenza, ma va “costruito” di volta in volta isolando nella confusione del vivere propria di ogni società degli ambiti all’interno dei quali l’antropologo sia in grado di osservare e raccogliere dati significativi e quantitativamente gestibili
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Le trasformazioni culturali della contemporaneità
La diffusione su scala planetaria dell’istruzione di base e superiore rendono improponibile l’impostazione tradizionale del rapporto fra informatori e antropologo e impongono un coinvolgimento diverso dei gruppi studiati rispetto agli obiettivi della ricerca e ai metodi utilizzati La mobilità di individui e gruppi, i nuovi nomadismi reali e virtuali, le dispore e i nuovi flussi migratori: impongono l’elaborazione di nuovi strumenti e metodi di ricerca costringono ad un supermento dell’idea di “campo” come contrapposto e distante rispetto al luogo d’origine dell’antropologo a favore di “nuove dislocazioni” rissumibili nelle espessioni: Entnografia multisituata Etnografia multivocale
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Etnografia multisituata
Esempi: David Edwards: a partire da un progetto di ricerca tradizionale in una piccola comunità montana in Afganistan alla fine degli degli anni ‘70, a seguito delle ribellioni e dei colpi di stato che hanno preceduto l’invasione sovietica, si ritrova a inseguire i membri della comunità all’interno delle diverse diaspore e in contesti reali e virtuali assai lontani fra loro Bruno Riccio: per studiare le comunità senegalesi che a partire dai primi anni ‘90 si sono insediate in Romagna lavora sul campo sia a Rimini che a Ravenna, sia aDakar, Touba; Kebemer e Kaolack seguendo un approccio transnazionale al fenomeno migratorio L’applicazione di una “poetica” del seguire, tuttavia, trova applicazione proficua anche per seguire anche nello spazio oggetti immateriali, metafore, storie di vita e conflitti, come mostrano gli esempi contenuti in “Nomadismi contemporanei”
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Le nuove dimensioni spaziali e temporali del lavoro di campo
Se le pratiche etnografiche contemporanee non implicano più che il lavoro di campo si svolga necessariamente in un solo luogo, anche la connotazione “esotica” tradizionalmente associata al lavoro dell’antropologo viene a cadere Molti antropologi oggi conducono le loro ricerche in contesti “familiari” o comunque prossimi alla loro stessa residenza: Una simile antropologia del noi richiede una riflessione specifica e una capacità del ricercatore di distanziarsi dal suo oggetto al fine di ricreare e mantenere uno sguardo esterno sull’universo sociale che studia e al quale, contemporaneamente appartiene Anche la dimensione temporale del lavoro etnografico subisce in questo quadro delle trasformazioni e molti antropologi oggi optano per soggiorni brevi , frequenti ed estesi nell’arco temporale di diversi anni
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Etnografia multivocale
Per comprendere la complessita dei contesti contemporanei, non basta l’asservazione diretta e la raccolta di testimonianze orali da informatori più o meno consapevoli A queste fonti tradizionali occorre affiancare l’analisi di altri “testi”: dai quotidiani ai messaggi televisivi, dallo studio di documenti amministrativi all’analisi dei discorsi politici, dai materiali foclorici ai film, ai documenti fotografici, ecc. Alla tradizionale visione dall’interno occorre sostituire la complementarietà delle visioni: dall’interno, dall’esterno e dai margini In questo quadro sempre più complesso, inoltre, il ricercatore è chiamato ad esporre le sue scelte toriche, ad esaminare ed esplicitare i percorsi metodologici, a riflettere sulle relazioni complesse che si ativano fra i dati raccolti, i suoi vissuti e le interpretazioni
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La svolta interpretativa e gli sviluppi dell’etnografia
Il pensiero di Geertz è stato di grande importanza nel segnare i cambiamenti che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’etnografia Rappresenta una risposta alla crisi delle scienze umane, del loro modello costruito analogicamente alle scienze naturali e inaugura un processo di appropriazione della ricchezza del significato simbolico della cultura In particolare critica quell’ossessione moderna rappresentata dal mito di un metodo scientifico univoco e fisso, mettendo in discussione gli strumenti teorici che hanno guidato l’antropologia fin dai suoi esordi
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La metafora della cultura come testo
Secondo questa metafora, le attività sociali possono essere “lette” per il loro significato da parte dell’osservatore proprio come lo sono i materiali scritti e parlati. Il nucleo concettuale dell’antropologia interpretativa è la nozione di “significato”, proprio perché nella ricerca ci si domanda: qual è il “significato” delle azioni sociali Per rispondere è necessario mettersi in grado di “vedere le cose dal punto di vista dei nativi”.
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L’analisi culturale come scoperta dei significati che gli attori conferiscono alle loro azioni
I “significati”, per Geertz, non sono da scoprire a un livello che oltrepassa la realtà dell’esistenza delle persone studiate, essi sono incorporati nelle società. gli uomini interpretano non solo quando contemplano il mondo o riflettono sulla vita, ma anche quando lavorano, giocano, danzano o altro. l’uomo non può che “interpretare”, l’uomo interpretante agisce nei confronti della sua vita, del flusso delle sue sensazioni, emozioni e sentimenti, ed è questa l’unica procedura per conferire ordine e significato all’esperienza. l’antropologo deve accantonare le sue concezioni dell’esistenza e “leggere” le esperienze degli altri dall’interno, nel quadro della loro concezione, cogliendo il significato delle forme simboliche e dei fatti culturali osservabili
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La metafora testuale e il lavoro dell’antropologo
La stessa etnografia viene fatta coincidere con l’esegesi: Fare etnografia è come cercare di leggere (nel senso di “costruire una lettura di”) un manoscritto — straniero, sbiadito, pieno di ellissi, di incongruenze di emendamenti sospetti e di commenti tendenziosi, ma scritto non in convenzionali caratteri alfabetici, bensì in fugaci esempi di comportamento dotato di forma.
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Nalla prospettiva ermeneutica, capire un testo significa
elaborare una chiave di lettura per fare emergere le significazioni in esso implicite. E un impresa costruttiva e aperta in quanto comporta che l’azione sia considerata polisemica, leggibile in molti modi Capire un testo non significa rifarsi alle intenzioni dell’autore, per mezzo di rapporti empatici o identificazioni emotive, entrando nella “sua testa” o “indossando i suoi panni” l’intelligibilità richiede che l’azione venga inserita in una complessa rete di significati composta dal contesto culturale dell’azione, quello dell’attore e quello dell’interprete.
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Questo aspetto della comprensione è definito da Geertz, prendendo il termine da Ryle, thick description, “descrizione densa»” La “descrizione densa” consiste nello scoprire e ricostruire i livelli di significato non espliciti delle prospettive degli attori, cioè le molteplicità delle complesse strutture concettuali che le informa. Rappresenta la ricerca di “un contesto”, «qualcosa — sostiene Geertz — entro cui eventi sociali, comportamenti istituzioni, processi, possano essere intellegibilnente, cioè “densamente” descritti».
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Far coincidere la “descrizione densa” con una “gerarchia stratificata di strutture significative”, apre la possibilità di dare voce ad una pluralità di attori e di prospettive Con Geertz si rende possibile una rappresentazione etnografica multivocale sia nel senso che l’interpretazione, la descrizione etnografica appare come un processo di negoziazione di significati fra antropologo e informatore, sia nel senso che il campo appare esso stesso come caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di attori caratterizzati da differenti prospettive e modi di dare senso all’espeienza
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Etnografia come rappresentazione testuale e come processo di comprensione
Le etnografie sono documenti che si collocano ai margini fra due mondi o sistemi di significato: il mondo dell’etnografo e il modo dei membri della cultura studiata Attraverso la scrittura, l’antropologo decodifica una cultura per tradurla e renderla comprensibile ai membri di un’altra cultura In quanto descrizione testualizzata essa rappresenta una versione della realtà, una sua “rappresentazione” In quanto tale essa è relativamente indipendente dal lavoro sul campo su cui si basa Il lavoro etnografico è infatti un lungo processo di comprensione che inizia molto prima di andare sul campo e continua dopo che si è lasciato il campo
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