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PubblicatoAnnunciata Ceccarelli Modificato 9 anni fa
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PRODOTTI DESTINATI A SOGGETTI CON PATOLOGIA ALLERGICA
L'allergia è una reazione avversa a molecole estranee all'organismo (allergeni o antigeni) mediata dal sistema immunitario; nel caso delle allergie alimentari le molecole estranee, che pertanto scatenano una risposta immune, sono LE PROTEINE contenute naturalmente negli alimenti. La forma allergica più descritta e conosciuta dal punto di vista dei meccanismi biochimici è quella mediata dagli anticorpi di classe IgE (immunoglobuline E o reagine). L'allergia alimentare è un fenomeno piuttosto complesso che prevede una prima fase di sensibilizzazione durante la quale si assiste alla produzione di IgE specifiche verso un certo allergene, ovvero una o più proteine di un certo alimento. Le IgE prodotte vanno a legarsi ad un recettore specifico presente sulla superficie dei mastociti e quando il soggetto consumerà nuovamente l'alimento verso cui si è sensibilizzato, si verificherà la reazione clinica vera e propria, mediata dal riconoscimento antigene-anticorpo e dalla degranulazione dei mastociti (cellule presenti nel tessuto connettivo). La degranulazione dei mastociti porta a sua volta ad una cascata di eventi associata alla liberazione di mediatori chimici (tra questi la ben nota istamina).
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Fattori di rischio nello sviluppo delle allergie alimentari
I mastociti si trovano in tutti i tessuti dell'organismo, ma sono particolarmente abbondanti negli organi in cui si osservano più frequentemente le manifestazioni allergiche: naso, gola, polmoni, pelle e tratto gastro-intestinale. Il rischio di sviluppare una patologia allergica è correlato a diversi fattori, tra cui i principali sono l'ereditarietà, l'esposizione ripetuta all'antigene, la permeabilità gastro-intestinale e i fattori ambientali. Ereditarietà L'allergia non è trasmessa secondo le leggi di Mendel, ma esiste una ben nota predisposizione familiare alla patologia. L‘ATOPIA, ovvero la tendenza a sviluppare reazioni IgE-mediate, ha un'incidenza superiore nelle famiglie con soggetti allergici; è stato calcolato che il rischio di atopia per un bambino oscilla tra il 47 e il 100% in famiglie in cui entrambi i genitori sono allergici contro un 13% dei bambini senza precedenti familiari. DATO IMPORTANTE
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L'ereditarietà presenta alcune caratteristiche peculiari:
- la sintomatologia può cambiare notevolmente da genitori a figli sia per gravità sia per localizzazione; - l'allergia può svilupparsi verso antigeni completamente diversi: il genitore può avere allergie ai farmaci, mentre il figlio può essere allergico ai pollini o agli alimenti. Esposizione all'antigene Come detto in precedenza, per diventare allergici l'organismo deve incontrare un allergene o antigene contro cui produrre anticorpi di classe IgE. Sono queste immunoglobuline ad essere coinvolte nelle reazioni allergiche immediate, quali l'edema della glottide, l'edema delle labbra, l'asma e lo shock anafilattico. Nel caso degli alimenti, praticamente tutte le proteine sono potenziali allergeni in quanto il sistema immunitario, non riconoscendole appartenenti al sé, dovrebbe indurre una risposta di difesa come normalmente accade con i microrganismi.
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GALT (IgAs) Dal momento, però, che il nostro organismo non può sopravvivere senza alimenti è indispensabile che si instauri un meccanismo in base al quale ciascun antigene alimentare venga identificato come una "sostanza estranea inoffensiva". Questo meccanismo è stato denominato tolleranza e coinvolge il GALT (Gut Associated Lymphoid Tissue/Tessuto Linfoide Associato all'Intestino); in questo complesso sistema un ruolo cruciale è giocato dalle IgA secretorie (IgAs), immunoglobuline dimeriche che impediscono, in condizioni normali, il passaggio degli antigeni attraverso la barriera mucosale. In Figura 1 è rappresentato il delicato meccanismo che regola l'induzione della tolleranza o la possibile insorgenza di sensibilizzazione. In situazioni normali, le proteine vengono digerite a oligopeptidi e amminoacidi, ad opera degli enzimi gastrointestinali. Oligopeptidi ed amminoacidi vengono poi assorbiti a livello della mucosa intestinale e sono quindi destinati ad entrare in processi biosintetici (funzione plastica) o energetici. Nel caso in cui alcuni frammenti proteici di peso molecolare medio-alto raggiungano la mucosa intestinale, esiste un sistema di monitoraggio ulteriore costituito dalle IgAs (GALT) che legano l'antigene in modo specifico impedendone l'assorbimento a livello sistemico.
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Se per qualche motivo la proteolisi viene inibita (patologie infiammatorie e non del tratto gastro-intestinale) e/o il sistema GALT risulta poco funzionale (immunosoppressione, patologie virali, malassorbimento, ecc .), la tolleranza può risultare compromessa . Bisogna sottolineare che i processi ritenuti patologici in età adulta (scarsa funzionalità dei sistemi enzimatici e ridotta risposta immunitaria) sono in realtà fisiologici in età neonatale, periodo in cui il sistema gastro-intestinale e quello immunitario devono ancora raggiungere la completa maturità . Questo spiega perché le allergie, specialmente quelle alimentari, siano più frequenti nei bambini e perché tendano a risolversi nella maggioranza dei casi entro i tre anni di vita.
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Fattori ambientali Una forma allergica può essere esacerbata dalla contemporanea esposizione a più allergeni e alcuni soggetti con allergia alimentare hanno sintomatologia più evidente in alcune stagioni. Ad esempio è ormai ben documentato che possono esserci fenomeni di potenziamento dei sintomi per coesposizione a frutta/verdura e pollini, soprattutto se della stessa famiglia botanica. Altri fattori che possono concorrere all'insorgenza della patologia allergica sono: il fumo, lo smog, lo stress, l'esercizio fisico; talora può risultare implicato anche il clima freddo invernale. Negli anni passati si era dato molto risalto al ruolo dell'inquinamento ambientale nell'aumento delle forme allergiche, ma è stato proprio quando si è cercato di studiare scientificamente questa correlazione che si sono ottenuti risultati sorprendenti: nelle zone in cui centraline di rilevazione indicavano una riduzione importante dei livelli di inquinamento le allergie andavano aumentando! Lo smog ovviamente non è un fattore protettivo nei confronti dell'allergia, ma in tempi recenti sono stati identificati due altri fattori ambientali particolarmente critici: l'igiene e la numerosità familiare.
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L’ECCESSIVA IGIENE PUO’ PROVOCARE ALLERGIE
La troppa igiene in età neonatale, ovvero la tendenza delle mamme a sterilizzare tutto, è controproducente per la maturazione neonatale del sistema immunitario, che ha come ruolo prioritario la funzione di sentinella contro i microrganismi patogeni. Quando il sistema immunitario non incontra più "i nemici naturali" devia la sua attenzione su altre molecole esogene (ad esempio le proteine alimentari). I meccanismi alla base di questa erronea funzionalità sono ormai ben descritte: in condizioni normali, i linfociti T producono interferone gamma che stimola la produzione di anticorpi antibatterici ed antivirali o cellule killer. In ambienti in cui predomina un eccesso di igiene, il sistema immunitario del bambino produce invece interleuchina 4 (IL4) che a sua volta induce la formazione di anticorpi di classe IgE. Per quanto riguarda la composizione familiare, si è osservato che i bambini che provengono da famiglie poco numerose corrono un rischio maggiore di sviluppare atopia; è indubbio che i due fattori descritti possano essere concatenati.
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Sintomatologia clinica
I sintomi associati alla patologia allergica sono molto diversificati sia per la localizzazione sia per la gravità (Tabella 1). Tra quelli più frequentemente riportati nei soggetti con allergia alimentare possono essere citati i disturbi dell'apparato gastro-intestinale, della cute/mucose e del tratto respiratorio. I sintomi gastro-intestinali vengono descritti nel 70% dei bambini allergici, mentre i disturbi cutanei e respiratori contribuirebbero, rispettivamente, per il 24 e 6%. Disturbi gastrointestinali 70 %
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Diagnosi La diagnosi di allergia alimentare non può essere basata semplicemente su test diagnostici, ma richiede un'accurata analisi della storia clinica del paziente. Non sempre è facile identificare l'alimento coinvolto nella forma allergica perché spesso esistono fattori confondenti, tra questi: - la cosensibilizzazione, ovvero la reattività a più alimenti, che rende complessa la diagnosi; - l'allergenicità di un alimento crudo ma non cotto (ad esempio alcuni frutti, tra cui la mela); - la non facile identificazione dell'allergene quando la sintomatologia compaia dopo il consumo di un alimento complesso, ovvero contenente molti ingredienti. Esistono diversi saggi da condurre in vivo e in vitro per procedere nella identificazione del o degli allergeni principali; in Tabella 2 e 3 vengono elencati i principali test in vivo e in vitro, rispettivamente. In linea di massima a livello clinico per la semplicità di esecuzione, si comincia con i test cutanei, ovvero con il PRICK TEST (che utilizza preparati specifici per ì test diagnostici) o il PRICK BY PRICK (che utilizza l'alimento tal quale); i risultati ottenuti, rappresentati dalla comparsa di ponfi, sono però solo indicativi in quanto si osservano molte risposte falsamente positive.
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Ponfo
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TEST IN VITRO In parallelo si eseguono prove per la ricerca degli anticorpi specifici (IgE)mediante RAST (Radio Allergo Sorbent Test), ELISA (Enzyme Linked ImmunoSorbent Assay) o FEIA (Fluorometric Enzyme Immuno Assay), che producono dati più significativi sulla sensibilizzazione sistemica del soggetto. L'immunoblotting, pur essendo un test molto sensibile e informativo, non può essere considerato un metodo di routine ma costituisce un potente strumento per districare le situazioni più complesse. In alcuni casi si eseguono anche le prove di scatenamento orale, che richiedono però assistenza medica dal momento che è sempre possibile la comparsadi uno shock anafilattico. Il test più affidabile è il DBPCFC (Double Blind PlaceboControlled Food Challenge, Scatenamento orale in doppio cieco con l'usodel placebo) in cui si elimina anche la componente psicologica del paziente e si ottimizza l'oggettività del medico nel rilevare i sintomi. Questa prova è comunque impegnativa e può essere condotta solo quando l'identificazione dell'alimento responsabile dell'allergia non è ottenibile con gli altri test .
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Terapia L'unica terapia efficace per la risoluzione della sintomatologia allergica è quella di eliminare dalla dieta l'alimento a cui il soggetto è sensibilizzato. Tale eliminazione non deve necessariamente durare tutta la vita infatti, come detto in precedenza, specialmente nei bambini la sintomatologia tende a scomparire nel tempo. Una situazione particolarmente critica può però verificarsi nel periodo neonatale, in quanto i bambini che non possono essere allattati al seno talora si sensibilizzano alle formulazioni a base di latte vaccino; ne deriva una difficoltà nel trovare un'alternativa nutrizionalmente valida per questi soggetti. Si descriveranno di seguito le attuali alternative dietetiche e gli studi attualmente in corso per formulare nuovi alimenti idonei a neonati allergici al latte vaccino. LATTE D’ASINA ?
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LE BASI SCIENTIFICHE PER LA FORMULAZIONE DI PRODOTTI DIETETICI DESTINATI A SOGGETTI ALLERGICI AL LATTE VACCINO Gli antigeni Gli antigeni o allergeni sono le molecole direttamente responsabili del legame con le IgE e del conseguente scatenamento della reazione allergica. Nel caso degli allergeni alimentari possiamo descrivere le seguenti caratteristiche: - hanno natura proteica (le poche eccezioni sono tuttora controverse); - hanno un peso molecolare compreso tra e 5000 daltons, anche se alcuni autori collocano il valore inferiore intorno a daltons; - possono essere più o meno resistenti alla denaturazione termica (ad esem pio alla cottura); - possono essere più o meno resistenti all'attacco enzimatico (ovvero alla digestione gastro-intestinale). In realtà nel settore delle allergie ci sono ancora tanti lati oscuri e la ricerca scientifica è quanto mai indispensabile per risolvere i problemi dei soggetti colpiti da questa patologia.
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Epitopi conformazionali e sequenziali
Si chiama epitopo o determinante antigenico la porzione di proteina (allergene o antigene) che lega lo specifico anticorpo. I determinanti antigenici si dividono in conformazionali e sequenziali. Epitopo conformazionale Gli epitopi conformazionali sono costituiti dall'assemblaggio tridimensionale di sequenze amminoacidiche. In questo caso, gli amminoacidi coinvolti nel legame con l'anticorpo possono essere lontani nella sequenza primaria della proteina ma vicini spazialmente, quando la proteina è nella sua conformazione tridimensionale. Gli epitopi conformazionale sono sensibili ai processi di denaturazione, in quanto la perdita della struttura tridimensionale annulla la possibilità di formazione del complesso antigene-anticorpo. Anche l'idrolisi enzimatica può eliminare il potenziale antigenico di un epitopo conformazionale.
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Epitopo sequenziale L'epitopo sequenziale è costituito da un certo numero di amminoacidi allineati nella sequenza primaria di una proteina; è resistente ai processi di denaturazione ma sensibile all'attacco enzimatico purché l'enzima sia in grado di riconoscere un sito di taglio all'interno della sequenza. La Figura 3 illustra l'influenza della alterazione della configurazione tridimensionale di una proteina allergenica, con epitopo conformazionale o sequenziale, sulla formazione del complesso antigene-anticorpo.
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La cross-reattività Si definisce cross-reattività o reattività crociata il fenomeno per cui un soggetto sensibilizzato ad un certo alimento risulta reattivo anche ad altri a cui non è mai stato esposto. È noto che un soggetto allergico al latte vaccino non tollera il latte di altri mammiferi, così come gli allergici alla carne di manzo spesso non possono mangiare quella di altri animali. La ragione chimica della cross-reattività sta nel fatto che specie animali filogeneticamente vicine, o vegetali delle stessa famiglia botanica, hanno proteine con sequenze amminoacidiche simili; se la similitudine è elevata nella zona del determinante antigenico la cross-reattività è praticamente certa. Un esempio di questo fenomeno è descritto in Tabella 4 dove vengono confrontate le sequenze amminoacidiche del determinante antigenico della sieroalbumina di diverse specie animali; la sieroproteina è un importante antigene sia del latte che della carne. Le omologie di sequenza giustificano il fatto che un soggetto allergico alla carne bovina non tolleri neppure quella ovina (due soli amminoacidi diversi) e in alcuni casi anche quella di maiale. Viceversa, la minore omologia di sequenza (soprattutto la presenza di un certo numero di amminoacidi di seguito diversi) spiega un fatto già noto da anni nella pratica clinica, ovvero che le carni di cavallo e coniglio sono da considerarsi "ipoallergeniche".
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Le carni di cavallo e coniglio sono ipoallergeniche
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Gli allergeni del latte vaccino
L'allergia più diffusa nei bambini e più studiata dal punto di vista dello sviluppo di formulazioni dietetiche è quella che riguarda il latte vaccino; su questo alimento pertanto approfondiremo la trattazione. In teoria tutte le proteine presenti nel latte di vacca sono potenziali allergeni, ma quelle più comunemente responsabili di sensibilizzazione sono le caseine, la b-lattoglobulina, la sieroalbumina e le immunoglobuline. Relativamente al potenziale antigenico, molte proteine del latte vaccino (in particolare le caseine) sono fortemente stabili alla denaturazione termica e quindi mantengono la capacità di legare gli anticorpi specifici anche dopo i trattamenti tecnologici a cui le formule per lattanti vengono sottoposte.
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I PRODOTTI DESTINATI A SOGGETTI ALLERGICI AL LATTE VACCINO
Nel caso in cui un neonato, non allattato al seno, diventi allergico alle formule a base di latte vaccino nasce la necessità di identificare una corretta alternativa dietetica. Diciamo subito che la scelta non è sempre immediata e che non può essere indiscriminatamente eguale per tutti i piccoli pazienti. In Tabella 5 sono elencate le principali tipologie di prodotti studiati come alternativa alle formule a base di latte vaccino normalmente utilizzate nell'alimentazione artificiale dei lattanti.
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Formulazioni a base di latte vaccino sottoposto
a trattamenti tecnologici Latti trattati termicamente Le prime ricerche nel settore delle formule ipoallergeniche erano incentrate sull'identificazione di un processo tecnologico in grado di eliminare il potenziale antigenico delle proteine del latte vaccino; tra questi il primo processo applicato è stato il trattamento termico. I risultati non sono stati però entusiasmanti in quanto le caseine, e in parte anche le sieroproteine, contenendo importanti epitopi sequenziali non perdono antigenicità con la denaturazione termica. Se il trattamento termico del latte è effettuato nel modo classico, come nel caso della pastorizzazione e del trattamento UHT, ma anche dell'essiccamento spray, non si osserva alcun effetto ipoallergizzante sulla caseina mentre si ha una diminuzione della solubilità e della antigenicità delle sieroproteine. Se il trattamento termico è più drastico (120 °C per minuti), si assiste ad una denaturazione importante delle sieroproteine con conseguente diminuzione del potere allergizzante delle stesse; in parallelo però si ottiene una perdita del valore nutrizionale, in gran parte da ascriversi alla perdita di lisina disponibile ad opera delle reazioni di Maillard.
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La presenza di antigenicità residua e i problemi tecnologici legati alla denaturazione termica (riduzione di solubilizzazione e del valore nutrizionale) hanno reso poco idoneo l'utilizzo di questo processo. Idrolisati di proteine del latte vaccino Grande sviluppo e notevole successo hanno ottenuto le formulazioni a base di proteine di latte vaccino idrolizzate; in commercio ne esistono due tipologie: le formule parzialmente idrolizzate (definite per lo più HA, ovvero Hypoantigenic o ipoallergeniche) e le formule fortemente idrolizzate. Le formule idrolizzate presentano le seguenti caratteristiche comuni: - sono per lo più idrolizzati di sieroproteine, ma alcuni prodotti del commercio sono a base di idrolizzato di caseine; - l'idrolisi avviene mediante utilizzo di preparazioni enzimatiche; - l'idrolisi viene combinata con altri trattamenti: processi termici, passaggio su carbone attivo e tecniche di ultrafiltrazione.
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Gli enzimi utilizzabili sono diversi anche se la proteasi più impiegata è la TRIPSINA; studi in corso stanno verificando l'idoneità di altre preparazioni enzimatiche food grade disponibili sul mercato nazionale ed internazionale. L'idrolisi ha lo scopo di ridurre la dimensione delle proteine e di scindere le sequenze epitopiche responsabili del legame con gli anticorpi. I trattamenti associati (carbone attivo e/o ultrafiltrazione) servono ad allontanare dal prodotto della digestione i frammenti a maggior peso molecolare e, nel caso dei fortemente idrolisati, a contenere i pesi al di sotto della soglia considerata antigenica. Le formule parzialmente idrolizzate, come dice il nome, si ottengono con un attacco enzimatico parziale e pertanto contengono materiale proteico a medio-alto peso molecolare. Nate con lo scopo di prevenire l'insorgenza di allergia in soggetti a rischio, ovvero con familiarità, queste formule sono oggi molto criticate e si ritiene che non siano meglio delle formule tradizionali contenenti proteine di latte vaccino integre. Il loro utilizzo è comunque sostenuto da alcuni ricercatori che ipotizzano un ruolo dei peptidi a medio peso molecolare nello stimolare il sistema immunitario verso il fenomeno della tolleranza. Al momento, i dati clinici a disposizione non sono in grado di dimostrare in modo certo una funzione "protettiva" per i soggetti a rischio di atopia e pertanto i prodotti parzialmente idrolizzati dovrebbero essere usati con molta cautela in campo allergologico.
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Formule a base di latte diverso da quello vaccino
Sono commercializzati alcuni preparati a base di latte di capra o pecora non idrolizzati, da destinarsi a soggetti con intolleranza al latte vaccino . Questi prodotti non vanno utilizzati per i soggetti allergici in quanto è ben documentata, sia in vivo che in vitro, l'esistenza di cross-reattività tra le proteine antigeniche del latte vaccino, ovino e caprino . L'utilizzo indiscriminato di questi prodotti pertanto può causare reazioni cliniche gravi, anche di tipo anafilattico. In letteratura esistono segnalazioni di buona tollerabilità del latte di asina e cavalla che richiedono però ulteriori approfondimenti sia di tipo clinico che tecnologico.
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Formulazioni a base di proteine di origine vegetale
Il principale ostacolo allo studio di formulazioni a base di proteine diverse da quelle del latte è stato superato nel momento in cui si è verificato che i fabbisogni nutrizionali del neonato potevano comunque essere soddisfatti. Numerose aziende dietetiche hanno studiato e messo in commercio formule a base di proteine vegetali integre o idrolizzate. Dal momento che, tra i vegetali, i legumi sono quelli che presentano proteine a maggior valore nutrizionale la prima alternativa proposta è stata la SOIA. Il latte di soia si divide con le formule fortemente idrolizzate il mercato mondiale dei prodotti destinati a neonati con allergia alle proteine del latte vaccino. La principale critica rivolta alla soia come prodotto sostitutivo delle proteine di latte vaccino è che essa stessa può determinare sensibilizzazioni; a questa contestazione recentemente si è aggiunto il timore che, essendo difficile reperire in commercio soia non transgenica, sia meglio evitarne l'uso nella alimentazione infantile. I latti di soia hanno comunque il vantaggio di avere buone caratteristiche organolettiche e prezzo contenuto a differenza dei prodotti fortemente idrolizzati.
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Molto recentemente, sono stati commercializzati anche prodotti a base di proteine di riso idrolizzate; ritenuti inizialmente poco idonei all'alimentazione neonatale, i prodotti a base di riso stanno invece trovando riscontri positivi sia nella buona valenza nutrizionale che per il bassissimo potenziale allergenico. Questi prodotti sono utilizzabili anche per bambini che abbiano sviluppato intolleranza alla soia. Altre formulazioni Tra le varie alternative, un tipo di prodotto che ha trovato collocazione e un buon riscontro clinico per i neonati allergici al latte vaccino è quello che contiene la porzione proteica in forma di idrolizzato parziale di proteine vegetali e animali. La fonte vegetale è generalmente la soia e la fonte animale, escludendo allergeni importanti come le caseine e l'ovoalbumina, si avvale di norma di una proteina poco allergenica: il collagene. Qualche problema si è avuto con la comparsa dei primi casi di BSE (encefalopatia spongiforme bovina) che ha portato necessariamente alla scelta di un collagene alternativo a quello bovino. Un'altra formulazione che ha avuto notevole evoluzione dal punto di vista della qualità nutrizionale è quella a base di amminoacidi liberi, che è destinata a soggetti con forme allergiche gravissime. Studi clinici hanno dimostrato che queste formule, che devono essere usate con stretto controllo clinico, possono consentire un idoneo accrescimento del lattante, contrariamente a quanto si riteneva in passato.
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Evoluzioni future La ricerca in questo settore è in continua evoluzione e attualmente sono allo studio nuove fonti alimentari e tecnologie innovative per l'ottenimento di prodotti sempre più sicuri per i piccoli pazienti allergici.
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