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LA VALUTAZIONE DEL CORPORATE IN UN GRUPPO
MULTIBUSINESS
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SOMMARIO La valutazione del corporate e del potenziale futuro del gruppo I metodi di stima del valore dell’impresa e il Corporate portfolio management Alla ricerca di nuovi criteri e nuovi modelli
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI)
Le origini. Nel 1926 quattro imprese britanniche costituirono l’Imperial Chemicals Industries (ICI). Lo scopo era fronteggiare la concorrenza delle grandi imprese chimiche americane ed europee. Nei decenni successivi ICI crebbe soprattutto in Europa conquistando una posizione rilevante nel settore della chimica (in particolare chimica di base). A metà anni ’70 il rafforzamento della sterlina mise in crisi le esportazioni di ICI che rappresentavano i 2/3 delle vendite. Perse posti di lavoro.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI)
La prima ristrutturazione. Accantonò la chimica di base per entrare nella chimica specializzata. Il portafoglio di business unit venne implementato, in parte attraverso lo sviluppo interno e in parte attraverso lo sviluppo esterno con l’acquisto di imprese. Acquisì infatti tra il 1985 e il 1987 le imprese: Beatrice (chimica specializzata), Glidden (vernici) e Stauffer (agrochimica). Mentre ICI allargava la presenza a più segmenti della chimica, la divisione farmaceutica divenne il “gioiello di famiglia” con profitti largamente superiori a quelli delle altre divisioni.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI)
Prigioniera del successo. Tuttavia, come scriveva allora un giornalista, ICI divenne “prigioniera del proprio successo”. L’espansione verso i segmenti della chimica specializzata e verso i nuovi segmenti (agricoltura) e l’espansione geografica (verso ovest negli Stati Uniti e verso est in Europa ed Asia), avevano reso difficile il controllo su tutte le business unit ormai troppo diversificate.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI)
Nel 1990 il nuovo chairman La task force avviata riscontrò che: ben poche delle BU del portafoglio di ICI potevano considerarsi vincenti, ad alcune era necessario dare molta attenzione e risorse, altre dovevano essere vendute, ICI era integrata verticalmente oltre misura e in questo modo diluiva valore per i propri azionisti, mancavano i capitali ed era difficile sostenere i dividendi sui livelli elevati degli ultimi anni ’80.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI)
La modesta creazione di valore per gli azionisti era lo specchio di una crisi profonda. Esisteva un forte scostamento tra il valore presumibile di ICI e la sua capitalizzazione espressa dal mercato azionario. In pratica era come se il mercato valutasse soltanto la parte farmaceutica e desse alla parte rimanente valore zero. Ristrutturazione spinta dall’esterno. La situazione di ICI non sfuggì ad un “predatore di professione” come il conglomerato britannico Hanson, che comprò il 2,8% del capitale di ICI.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI) segue
L’obiettivo era un takeover ostile. Acquistare ICI, ristrutturarla, smembrarla e vendere le attività farmaceutiche separatamente dal resto avrebbe procurato forti guadagni. Ma il takeover fallì. La reazione del management. Il management di ICI reagì prontamente scorporando la divisione farmaceutica (Zeneca). Inoltre chiuse 40 stabilimenti tra il 1991 e il 1993, licenziò 40 mila persone, mise in vendita 40 BU e tagliò drasticamente le spese giudicate non necessarie.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI) segue
Lo scorporo aumentò il valore per gli azionisti (il doppio rispetto a prima) e mentre ICI e Zeneca nel ’93 insieme valevano 7,6 mld di £, nel ’94 separate valevano 13,2 mld di £. Addio alla chimica di base. Quattro anni dopo lo scorporo di Zeneca ICI non mancò di stupire nuovamente. Con una sorta di takeover alla rovescia acquistò da Unilever la divisione chimica specializzata pagandola 4,9 mld di £. La strategia fu chiara quando ICI rese nota la vendita della chimica di base a Dupont, prima impresa americana del settore.
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI) segue
Resta un forte indebitamento. La nuova acquisizione lascia il gruppo fortemente indebitato. Nel 2002 le agenzie di credit rating abbassarono la valutazione delle obbligazioni del gruppo a “junk status” (titolo spazzatura). 2007,agosto. ICI divenuta leader mondiale di vernici per interni con il suo prodotto più noto che era Dulux, sarà acquisita dal conglomerato Akzo Nobel (Paesi Bassi). Il prezzo pagato è stato il più alto nel settore (multiplo di 13,5 volte Ebitda del 2007).
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI) segue
Grazie all’acquisto di ICI Akzo Nobel detiene il 20% del mercato mondiale delle vernici. Copre un’area geografica molto ampia, che comprende paesi emergenti in forte espansione. Gli analisti valutano tuttavia troppo alto il prezzo pagato (valore+sinergie di costo). ICI si unisce così alla lunga lista di imprese britanniche passate in mani straniere: Corus (acciaio), Pilkington (vetro), BOC (distribuzione gas).
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Il caso: Imperial Chemical Industries (ICI)?
Quali fattori spinsero ICI alla prima ristrutturazione? Quali alla seconda? Perché decise lo scorporo di Zeneca? Per quale motivo l’acquisto della chimica specializzata da Uniliver?
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Il ruolo del corporate in un gruppo multibusiness
Che cosa cambia quando il gruppo è presente in più settori con più business unit? Le opzioni di scelta sono le stesse del gruppo single-business: sviluppo, stabilità e contrazione, ma cambiano gli strumenti per agire, cambia il ruolo del top management che deve saper allocare le risorse in modo da raggiungere gli obiettivi complessivi del gruppo e deve promuovere la cooperazione tra BU al fine di sviluppare sinergie e aumentare la creazione di valore.
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Il ruolo del corporate in un gruppo multibusiness
Fiat Group è sempre stato un esempio di gruppo multibusiness, presente in più settori: nell’auto, nei veicoli industriali nelle macchine agricole, nella robotica, nella componentistica. Da gennaio 2011 con la scissione le attività sono state in parte razionalizzate. Iveco e CNH hanno, allo stesso tempo, avuto al loro interno più BU. Iveco è ad esempio articolata in una varietà di business: veicoli pesanti, veicoli medi, veicoli leggeri, bus, veicoli speciali e servizi.
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Il ruolo del corporate in un gruppo multibusiness
Il compito del corporate di un gruppo multibusiness consiste nel cercare il mix ottimale di business unit presenti in più settori e nel coordinare la loro attività con il fine ultimo di raggiungere gli obiettivi di LT.
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Come si valuta la struttura di un gruppo e come si orienta l’organizzazione, attraverso eventuali ristrutturazioni, verso gli obiettivi di lungo termine?
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Il corporate di un gruppo multibusiness deve:
Formulare gli obiettivi dell’intero gruppo; Valutare costantemente il potenziale dei settori in cui il gruppo è presente e la posizione competitiva delle imprese o delle business unit componenti il gruppo che operano nei vari settori; Migliorare i risultati del gruppo sia attraverso una maggiore efficienza nel management delle singole business unit sia attraverso politiche di ulteriore diversificazione o politiche di disinvestimento.
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Il ruolo del corporate in un gruppo multibusiness
La responsabilità sulla gestione delle imprese o delle BU all’interno del gruppo compete agli AD o ai DG delle singole BU con i quali il corporate conduce una sorta di negoziazione sia delle risorse allocate sia degli obiettivi da raggiungere. Il punto di partenza è sempre la valutazione dei piani del passato e del potenziale futuro. Occorre inoltre procedere ad una serie di analisi che tengono conto della particolare prospettiva in cui si trova il corporate.
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Principi generali che ispirano la valutazione del portafoglio di business:
Rischi e potenziale di ciascun business Analisi della posizione competitiva Analisi delle risorse Confronto tra il potenziale di settori diversi e business unit diverse Valutazione della struttura del gruppo
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Rischi e potenziale di ciascun business
Il primo passo consiste nel valutare i rischi e il potenziale di ciascuno dei settori/mercato in cui l’impresa è già presente, effettuando un’analisi dell’ambiente e un’analisi interna per poter conoscere una serie di elementi: ciclo di vita del settore, capacità produttiva del settore in rapporto alla domanda, esistenza di barriere all’entrata, ecc. Il corporate deve chiedersi se il settore presenta le caratteristiche attese in termini di redditività, sviluppo, generazione di liquidità.
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2. Analisi della posizione competitiva delle singole business unit
Qual è la posizione delle nostre business unit in relazione ai concorrenti rispetto a quote di mercato, gamma dei prodotti, tecnologia e distribuzione? Quali sono i fattori chiave che hanno un effettivo peso nella posizione competitiva delle imprese che operano in questo settore? Che cosa hanno fatto le imprese che hanno raggiunto una posizione competitiva dominante?
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3. Analisi delle risorse disponibili
Si possono presentare due ipotesi: la posizione competitiva è soddisfacente e l’impresa dispone di adeguate risorse per mantenere o migliorare tale posizione, i risultati delle analisi precedenti sono poco soddisfacenti e si presenta la necessità di investire nuove risorse per rafforzare la posizione di alcuni fattori chiave. In quest’ultimo caso occorre procedere con l’analisi interna del gruppo per verificare se esistono le premesse per raggiungere una posizione competitiva migliore.
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4. Confronto tra il potenziale di settori diversi e business unit diverse
La fase più difficile è quella nella quale si confrontano: 1) la posizione competitiva raggiunta dalle nostre business unit nel settore, 2) minacce e opportunità del settore stesso, 3) le risorse di cui dispongono le BU, i loro punti di forza e debolezza e le capacità del loro management. Solo in parte queste valutazioni sono di tipo quantitativo, spesso avvengono grazie all’osservazione pratica da parte di persone esperte, che sanno individuare i fattori di successo (del settore, della BU, del mercato).
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5. Valutazione della struttura del gruppo
Le domande più frequenti in questa fase sono: Quali risultati otterrà il gruppo tra un certo periodo di tempo se la struttura rimarrà invariata? Avendo come obiettivi la creazione di valore e l’equilibrio finanziario, il gruppo è sufficientemente presente in settori a forte potenziale? Le BU che oggi hanno una struttura forte sono in grado di generare le risorse necessarie per mantenere i vantaggi sui rivali? Da quali settori conviene uscire? Come rinvestire le risorse derivanti dal disinvestimento?
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La valutazione si conclude dando risposta a due domande:
i costi di gestione derivanti dalla diversificazione (multibusiness) sono giustificati dai vantaggi? Il beneficio supera i costi? i risultati ottenuti da una business unit all’interno del gruppo sono superiori a quelli che potrebbero essere ottenuti collocandola fuori del gruppo stesso? Oppure il capitale derivante dalla cessione potrebbe essere meglio impiegato?
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Dopo aver valutato la situazione dell’intero gruppo, può porsi il problema di adottare nuove strategie o sottoporre a revisione strategie precedenti. La struttura multibusiness cambia principalmente: o con l’acquisizione di nuove imprese o con lo spin off (scorporo, dismissione, disinvestimento) di alcune business unit.
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Es. Altria Gennaio Altria, grande conglomerato americano, scorpora Kraft da Philip Morris. E’ il primo passo per separare le attività internazionali nel settore del tabacco di Altria dalle altre attività negli Stati Uniti. Due sono i motivi. La disaffezione degli investitori per i conglomerati. Il rischio da parte di Philip Morris di perdere cause per risarcimento danni negli Stati Uniti, che ne riducono le prospettive di utili e di conseguenza il prezzo delle azioni.
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Es. Altria (segue) Nell’agosto del 2007, Altria annuncia lo spin off della propria Philip Morris International (42 stabilimenti di produzione nel mondo). Lo scopo era isolare Altria dai problemi di risarcimento e di perdita di immagine.
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Es. Danone Tra il 2001 e il 2007 il gruppo Danone ha rivoluzionato la propria struttura, concentrandosi in tre principali settori: yogurt, acque minerali e baby food. Danone ha infatti venduto le BU relative alle attività della birra, biscotti, formaggi e altri cibi e bevande. Uscire dai settori a lenta crescita ha aiutato il gruppo a realizzare uno sviluppo per linee interne tra i più alti. Il mercato azionario ha premiato la scelta con un +9% in quel periodo.
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LA VALUTAZIONE DEL CORPORATE E I METODI DI STIMA DEL VALORE
Per stimare il valore del corporate e delle sue BU occorre tenere in considerazione molte variabili. In generale ricordiamo che il valore dell’impresa è calcolato in relazione a: patrimonio, redditi, flussi di cassa e potenzialità di sviluppo dell’impresa. L’analisi dei dati patrimoniali è il punto di partenza (C.N. =A-P). Spesso occorre valutare la rilevanza dei flussi finanziari e reddituali che l’impresa sarà in grado di generare in futuro.
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I METODI DI STIMA DEL VALORE
I principali metodi di valutazione sono: metodi analitici fondati sui flussi attesi (reddituali e finanziari); VALORE UNICO 2) metodi misti (patrimoniali-reddituali); CAPITALE NETTO CONTABILE GOODWILL 3) patrimoniali. CAPITALE NETTO CONTABILE GOODWILL INTANGIBILI SPECIFICI
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CORPORATE PORTFOLIO MANAGEMENT
Tuttavia occorre saper gestire la pluralità di business unit presenti in settori diversi e, per orientare le decisioni, il top management ricorre anche a strumenti noti come portfolio management.
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Quattro i metodi più celebrati:
Matrice sviluppo/quota di mercato (BCG), Matrice attrattività del settore/posizione competitiva dell’impresa (GE-McKinsey), Matrice stadi di evoluzione del prodotto-mercato/posizione competitiva di Hofer, Matrice risorse/mercato di Hamel e Prahalad.
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Quattro i metodi più celebrati:
Per capire il perché delle differenze, spesso sottili, tra i diversi metodi occorre tenere presente che sono “prodotti” delle società di consulenza. Ognuna di esse prende qualcosa dalla precedente proposta, cambia l’angolo della visuale adattandola alla propria. La conoscenza dei metodi è importante, tuttavia occorre tenere presente che spesso “il successo viene da qualche misteriosa combinazione tra capacità e fortuna”
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La matrice sviluppo/quote di mercato (BCG)
L’idea della portfolio analysis fu originariamente sviluppata da Henderson, fondatore nel 1963 del Boston Consulting Group, dapprima con le curve di esperienza e l’andamento costi-prezzi, in seguito con la matrice BCG che può essere applicata alla valutazione delle BU nel gruppo multibusiness.
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La matrice sviluppo/quote di mercato (BCG)
L’approccio BCG prevedeva tre passaggi: Scomporre il gruppo in BU e definire per ciascuna le prospettive di lungo termine, confrontare tra loro le varie BU attraverso una matrice a due dimensioni: ritmo di sviluppo del settore e quote di mercato, classificazione delle business unit.
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Definire e valutare le SBU
Le business unit possono essere individuate sulla base di tre dimensioni, sintetizzabili nei seguenti interrogativi (Abell): di quali consumatori vogliamo soddisfare le esigenze? quali esigenze vogliamo soddisfare? come possono essere soddisfatte le esigenze dei consumatori?
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Confronto fra SBU Il secondo passo consiste nel confrontare le business unit collocandole in una matrice a due dimensioni. La prima le confronta sulla base del ritmo di sviluppo del settore in cui operano; richiamando il concetto di curve di esperienza. Ciò equivale a valutare il potenziale di liquidità e di profitti del settore. La seconda dimensione le confronta sulla base della quota di mercato relativa, che si considera come sintesi della capacità di competere e quindi della capacità di generare profitti.
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Classificazione delle business unit
Dall’ analisi si ricavano quattro profili che rappresentano una sorta di classifica per le business unit STAR CASH COW QUESTION MARK DOG
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Possibili decisioni del corporate
Cash cows. Investe le risorse per proteggere le posizioni di mercato e le fonti di cash flow. Dogs. Riduce gli investimenti al minimo; massimizza il cash flow; abbandona. Question marks. Investe per conquistare posizioni di mercato oppure di disinvestire per rendere minimo il drenaggio di risorse. Stars. Investe per difendere le posizioni di mercato e/o investe per conquistare quote di mercato.
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La matrice sviluppo/quote di mercato (BCG)
QUOTA DI MERCATO Alta Bassa STAR QUESTION MARK Alto RITMO DI SVILUPPO CASH COW DOG Basso
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Debolezze del portfolio
management Le decisioni ipotetiche del corporate sono suggerite sulla base di due soli fattori Esistono molte difficoltà per definire il mercato, per misurare il ritmo di sviluppo e la quota di mercato
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Debolezze del portfolio
management 3. Non tiene conto dei vantaggi competitivi che può creare la diversificazione Le raccomandazioni del BCG sono generiche Non c’è posto per l’innovazione
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La matrice attrattività del settore/posizione competitiva (GE-McKinseY)
Alla fine degli anni ’70, GE era articolata in 200 centri di profitto e 145 department. Inizialmente GE prese in considerazione la matrice BCG per valutare la posizione delle varie unità. Poi si rivolse a McKinsey per una proposta più idonea.
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La matrice attrattività del settore/posizione competitiva (GE-McKinsey)
McKinsey raccomandò una pianificazione secondo criteri che mettessero in primo piano le strategie, le condizioni esterne ed interne delle varie unità operative identificandole come Strategic Business Unit (SBU). McKinsey elaborò la matrice nota come matrice a nove celle GE- McKinsey, che distingue le SBU secondo due criteri: capacità di competere e attrattività del settore in cui operano.
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La matrice attrattività del settore/posizione competitiva (GE-McKinseY)
Posizione competitiva dell’ impresa Forte Media Debole WINNER QUESTION MARKS AVERAGE BUSINESS PROFIT PRODUCERS LOSER Alta Attrattività del settore nel lungo termine Media Debole
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Ricordiamo il modello del ciclo di vita del settore su cui si basa la matrice Hofer
Il modello analizza, per ogni fase del ciclo di vita, i seguenti aspetti: Domanda Prezzi Barriere all’entrata Concorrenza Prodotti e tecnologia Distribuzione Profitti
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IL MODELLO DEL CICLO DI VITA DI SETTORE
Le fasi del ciclo Embrionale Sviluppo Shakeout Maturità Declino
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IL CICLO DI VITA DI SETTORE
Embrionale Sviluppo Shakeout Maturità Declino Utilizzatori Compratori Caratteristiche dei concorrenti Pochi. Sono i “primi adottanti” Crescono rapidamente di numero Acquistano in modo selettivo Saturazione della domanda Acquisti di sostituzione Minore uso del prodotto Pochi Entrano nuovi concorrenti Lottano per la conquista di quote di mercato Modesta differenziazione dei prodotti I concorrenti possono essere molti Guerra dei prezzi più deboli sono “esplulsi” mantenere le quote di Difficile aumentare le Efficienza e bassi costi al primo posto Alcuni abbandonano Distribuzione selettiva
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IL CICLO DI VITA DI SETTORE
Limiti del modello: Difficoltà nell’ individuazione degli stadi in cui si trova il settore Durata delle fasi Imprevedibilità del futuro Differenze fra Paesi diversi
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La matrice Hofer è basata sul ciclo di vita del settore
La matrice stadi di evoluzione del prodotto/mercato e posizione competitiva (Hofer) La matrice Hofer è basata sul ciclo di vita del settore La matrice posiziona le SBU in base a due dimensioni: la posizione competitiva (forte, media o debole); lo stadio di evoluzione del prodotto/mercato (lancio, sviluppo, shakeout, maturità/saturazione, declino).
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POSIZIONE COMPETITIVA
La matrice stadi di evoluzione del prodotto/mercato e posizione competitiva (Hofer) LANCIO SVILUPPO SHAKEOUT MATURITA’ DECLINO B A D C E FORTE MEDIA DEBOLE STADI DI EVOLUZIONE DEL PRODOTTO-MERCATO POSIZIONE COMPETITIVA
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La matrice stadi di evoluzione del prodotto/mercato e posizione competitiva (Hofer)
La matrice Hofer è utile per interpretare la posizione competitiva attuale e cercare di prevedere come l’evoluzione del ciclo di vita del settore potrebbe agire sulle decisioni (sia prese sia in fase di definizione). Le dimensioni dei cerchi indicano la dimensione relativa del settore (in rapporto agli altri). Quando la matrice è completata, il management dispone di un indicatore circa la distribuzione delle SBU nei vari stadi del ciclo di vita.
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La matrice risorse/mercati (matrice di Hamel e Prahalad)
Il gruppo ha successo se combina nel modo migliore le proprie risorse con quanto emerge dall’ambiente competitivo. Le risorse devono tradursi in vantaggio rispetto ai concorrenti nel singolo business e in creazione di valore per l’intero gruppo diversificato.
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La matrice risorse/mercati (matrice di Hamel e Prahalad)
Esempio di matrice risorse/mercati RISORSE/ CAPACITÀ MERCATI NELLA PRODUZIONE DI MASSA NELLA DISTRIBUZIONE NELLA TECNOLOGIA Semiconduttori X Elettronica di consumo Computer
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La matrice risorse/mercati (matrice di Hamel e Prahalad)
I due Autori vanno oltre al modello precedentemente proposto e propongono di considerare l’impresa come un portafoglio di risorse anziché di business. La matrice distingue tra competenze esistenti e nuove competenze da acquisire da un lato, e prodotti o mercati esistenti e prodotti o mercati nuovi dall’altro
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Propongono un approccio strutturato in sei fasi operative:
individuare le attuali core competencies del gruppo; costruire una matrice a quattro domande; stabilire un piano di acquisizione delle core competencies di cui l’impresa attualmente non dispone; acquisire e consolidare tali competenze; dispiegare le competenze all’interno dell’impresa; proteggere e rafforzare rispetto ai rivali la leadership di tali competenze.
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Goold, Campbell e Alexander (1994)
Il parenting mix Goold, Campbell e Alexander (1994) Il modello è strumento utile per scegliere in un gruppo multibusiness il migliore portafoglio di SBU. La prospettiva è quella di una parent company (che controlla il capitale e la gestione delle SBU) con l’obiettivo di creare il massimo valore per gli azionisti. Nelle intenzioni dei tre ideatori è uno strumento per definire i core skills (o core competencies) che il centro (parent company) dovrebbe sviluppare e infondere in ciascuna SBU per assisterla nel raggiungimento dei propri obiettivi.
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Ballast (zavorra) è la collocazione delle SBU per le quali il centro può far poco: potrebbero avere successo se fossero indipendenti. Heartland (la patria) indica una situazione in cui la parent company aggiunge valore; è il fulcro di future strategie. Value trap (trappola del valore) indica posizioni pericolose: al centro é chiesto di contribuire, ma non ha le risorse; le SBU dovrebbero spostarsi in Heartland; Alien (alieno) identifica i casi per i quali la prospettiva è l’abbandono.
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RAPPORTO TRA FATTORI DI SUCCESSO E RISORSE DEL CORPORATE
Matrice del parenting mix RAPPORTO TRA FATTORI DI SUCCESSO E RISORSE DEL CORPORATE Alto Ballast Heartland Basso Alien Value trap ESIGENZE DELLA SBU NEI CONFRONTI DEL CORPORATE E COMPETENZE DEL CORPORATE
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Profit impact of marketing strategies (PIMS)
Lo Strategic Planning Institute (SPI) aggiorna costantemente un database che contiene le esperienze di 3000 SBU facenti parte di circa 450 imprese nordamericane ed europee.
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Le ricerche riguardano circa 100 diversi tipi di informazioni.
Scopo é stabilire attraverso l’osservazione empirica quali relazioni esistano, e in presenza di quali condizioni, tra le strategie adottate da un lato e il return on investiment (ROI) e il cash flow dall’altro. Tutto ciò con riferimento a specifici prodotti e servizi.
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Le imprese che hanno un ROI elevato hanno le seguenti caratteristiche:
Bassa intensità degli investimenti (ammontare del capitale fisso e del capitale circolante); Elevata quota di mercato; Elevata qualità dei prodotti (a confronto con quelli rivali); Alto livello di capacità produttiva utilizzata; Efficienza operativa elevata (rapporto tra produttività attesa e produttività effettiva); Bassi costi unitari di produzione (a confronto con quelli dei concorrenti).
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ROI Forza competitiva Attrattività del mercato Produzione snella
PIMS: i principali fattori per valutare il potenziale strategico Forza competitiva Attrattività del mercato ROI Produzione snella Eccellenza delle risorse umane
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Alla ricerca di nuovi criteri e di nuovi modelli
Due interrogativi: nuove soluzioni nei criteri di scelta negli ultimi anni? progressi nei modelli tradizionali (matrici)?
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Alla ricerca di nuovi criteri e di nuovi modelli
Primo interrogativo Nuove soluzioni nei criteri di scelta negli ultimi anni? Area di efficienza Il giusto core business
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Alla ricerca di nuovi criteri e di nuovi modelli
Area di efficienza Allen (2000) Ogni impresa multibusiness dovrebbe definire quale area della competizione massimizza il shareholder value in rapporto a dati parametri, tra cui: rischio, capitale investito e utili nel breve periodo. Questa è la cosiddetta area di efficienza.
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Il giusto core business
Zook e Allen (2001) danno una nuova definizione sul core business che occorre individuare. “E’ l’insieme dei prodotti, capacità, clienti, canali della distribuzione, aree geografiche che definisce l’essenza di quanto l’impresa è o aspira ad essere attraverso lo sviluppo.”
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Alla ricerca di nuovi criteri e di nuovi modelli
Secondo interrogativo Progressi nei modelli tradizionali (matrici)? I modelli Boston e PIMS riflettono condizioni di mercato degli anni ’70. I modelli più recenti sono troppo generici.
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