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Mobbing aspetti medico-legali
Angelo Gallese - Responsabile U.O. di Psichiatria di Avezzano DSM – ASL Avezzano-Sulmona Alessandra Contò - Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica
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Mobbing: definizioni Il termine “Mobbing” deriva dall’inglese “to mob” che significa “accerchiare, aggredire, attaccare, assaltare” “È una forma di terrore psicologico esercitato sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi o dei datori di lavoro” – H. Ege “Il mobbing è una situazione di comunicazione non etica caratterizzata dalla ripetizione, nel lungo periodo, da parte di una o più persone, di comportamenti ostili diretti sistematicamente contro un individuo che sviluppa, come reazione, gravi problemi fisici o psicologici. Esso costituisce un processo di distruzione che può comportare l’invalidità permanente. Due condizioni devono essere assolte affinché si possa affermare di trovarsi in presenza di mobbing: la durata e la ripetitività” - Comune di Losanna (Assessorato Pari Opportunità)
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Formulazione teorica del Mobbing - studi di Heinz Leymann -
In caso di conflitto le azioni che hanno la funzione di manipolare la persona in senso non amichevole, si possono distinguere in tre forme di comportamento: un gruppo di azioni verte sulla comunicazione con la persona per attaccarla; un altro gruppo di comportamenti punta sulla reputazione della persona, utilizzando strategie per distruggerla; le azioni del terzo gruppo tendono a manipolare la prestazione della persona per punirla. Alcuni di questi comportamenti si possono trovare nella comunicazione umana quotidiana o durante casuali litigi. Solo se queste azioni vengono compiute di proposito, frequentemente e per molto tempo, si possono chiamare Mobbing.
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I “motivi” del Mobbing Invidia Gelosia Mobbing
vera e propria “patologia sociale” – H. Leymann ... processo distruttivo della persona che nasce da comunicazioni e comportamenti ostili sia palesi che occulti Competitività Carrierismo Noia
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La “natura” del Mobbing
Mobbing di tipo verticale: la violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da un superiore. bossing: azione compiuta dall’azienda o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Es. una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici (mobbing pianificato, strategico, organizzativo). bullying: indica i comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo. Mobbing di tipo orizzontale: quando l’azione discriminatoria è messa in atto dai colleghi nei confronti del soggetto colpito. Mobbing individuale: quando oggetto del mobbing è un singolo lavoratore. Mobbing collettivo: quando colpiti da atti discriminatori sono gruppi di lavoratori (ristrutturazioni aziendali, prepensionamenti, cassa integrazione, ecc.). Mobbing dal basso (ascendente) sia individuale che collettivo: quando viene messa in discussione l’autorità di un superiore. Mobbing definibile sessuale: anche se non caratterizzato da contatto fisico. Negli Stati Uniti è diffuso il termine Harassment (vessazione, tormento, molestia) usato nel contesto delle molestie sessuali e l’espressione Employee Abuse che indica l’abuso di potere o di comportamento.
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La natura del “doppio mobbing”
Maltrattamenti sul posto di lavoro “Doppio Mobbing” + Indifferenza o abbandono da parte della famiglia
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Gli “attori” del mobbing
Il mobbizzato: la vittima Il mobber: l’aggressore Gli spettatori: tutti quelli che pur non facendo parte della categoria dei mobber o delle vittime e pur non avendo apparentemente alcuna funzione, partecipano al Mobbing. Gli spettatori possono reagire al mobbing in modo passivo (non opponendosi al processo mobbizzante) o attivo (bloccando lo sviluppo del mobbing).
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“Chi è” il mobbizzato? H. Walter definisce la vittima del mobbing una persona che: mostra dei sintomi di malattia, si ammala, si assenta dal lavoro, si licenzia; è colpita da stress psichico o fenomeni psicosomatici, attraversa fasi di depressione, presenta una ideazione suicidaria; definisce il suo ruolo in termini di passività; da un lato è convinta di non avere colpa; dall’altro crede di sbagliare sempre tutto; mostra mancanza di fiducia in sé, indecisione ed un senso di disorientamento generale; rifiuta ogni responsabilità per la situazione o accusa distruttivamente se stessa. Per H. Leymann “vittima è colui che si sente tale”: il tratto tipico del mobbizzato è comunque “l’isolamento”.
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“Chi è” il mobbizzato? - secondo B. Huber -
Quattro tipologie di persone rischiano in modo particolare di divenire vittime del mobbing: una persona “sola” una persona “strana”, in qualche modo “diversa” una persona “che ha successo” una persona “nuova”
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Una tipologia di “vittime”
La vittima Il prigioniero Il distratto Il paranoico Il buontempone Il severo Il sicuro di sé L’ipocondriaco L’ambizioso Il camerata Il vero collega Il permaloso Il servile Il pauroso Il sofferente Il capro espiatorio L’introverso Il passivo e dipendente Il presuntuoso
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“Chi è” il mobber? H. Walter definisce i mobber persone che:
tra due alternative di comportamento scelgono quella più aggressiva; quando si trovano in una situazione di Mobbing si impegnano attivamente affinché il conflitto prosegua e si intensifichi; conoscono e accettano in modo attivo o passivo le conseguenze negative che il Mobbing ha per la vittima; non sono consapevoli delle conseguenze negative che il Mobbing ha per la vittima; non mostrano nessun senso di colpa; non solo sono convinti di essere senza colpa ma, addirittura, credono di fare qualcosa di buono; danno ad altri la colpa e sono convinti di avere soltanto reagito a delle provocazioni.
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Una tipologia di “aggressori”
L'aggressore L’istigatore Il criticone Il casuale Il leccapiedi Il collerico Il sadico L’invidioso Il pusillanime Il conformista Il frustrato Il terrorizzato Il tiranno Il megalomane Il carrierista
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“Chi sono” gli spettatori?
H. Walter indica con il termine co-mobber o mobber indiretti le persone che non sono coinvolte nel mobbing e che: sembrano non avere nulla a che fare con il mobbing, però sono in contatto con i mobber (colleghi, capi o dipendenti diretti); si rifiutano di accettare qualsiasi responsabilità per il mobbing, però si vedono come mediatori tra i protagonisti del conflitto; dimostrano una grande fiducia in se stessi, esprimono le loro simpatie per un parte o per l’altra oppure non vogliono assolutamente a che fare con nessuna delle due; spesso sono le persone chiave del vero conflitto. B. Huber attua una distinzione tra: “spettatori” che aiutano attivamente il mobber “spettatori” che fanno finta di niente entrambi questi tipi di spettatori sono ritenuti dall’autrice veri mobber.
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Una tipologia di “spettatori”
Side-Mobber (*) Indifferenti Oppositori Il ruffiano Il falso innocente Il premuroso Il rinunciatario Il diplomatico (*) Sono spettatori che partecipano attivamente al mobbing ma, non sono gli avversari diretti della vittima: non agiscono frontalmente, ma lateralmente nei confronti del mobbizzato (dall’inglese side = fianco)
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“Fasi di sviluppo” del Mobbing - secondo H. Leymann -
Fase 1 - segnali premonitori Una relazione precedentemente neutra o addirittura molto positiva subisce un brutto cambiamento in negativo. Fase 2 - mobbing e stigmatizzazione (fase del mobbing conclamato) La vittima subisce continui attacchi da un superiore e/o dai colleghi. Le aggressioni hanno lo scopo di danneggiare la persona. Fase 3 - il caso diventa ufficiale La situazione viene riconosciuta e segnalata all’ufficio del personale e viene aperta un’inchiesta. Fase 4 - allontanamento La vittima è completamente isolata da ciò che succede nell’ambiente lavorativo, viene dequalificata professionalmente, le vengono assegnati incarichi lavorativi di scarso rilievo e poco gratificanti.
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Inizio del mobbing e del dell’amministrazione
1 Conflitto quotidiano Il modello del mobbing in 4 fasi di H. Leymann 2 Inizio del mobbing e del terrore psicologico 3 Errori e abusi dell’amministrazione del personale 4 Esclusione dal mondo del lavoro Trasferimento a incarico di minore importanza Lunga malattia Ricovero in clinica psichiatrica Continui spostamenti Liquidazione Prepensionamento
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“Fasi di sviluppo” del Mobbing - secondo H. Ege -
H. Ege ha adattato alla situazione italiana il modello di H. Leymann, pervenendo ad un modello costituito da sei fasi: condizione zero conflitto mirato inizio del mobbing primi sintomi psicosomatici errori ed abusi dell’amministrazione del personale serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima esclusione dal mondo del lavoro Studi italiani dimostrano che il mobbing: è più frequente nelle realtà grandi con una certa quota di anonimato e nei reparti amministrativi o dei servizi colpisce maggiormente la fascia di età compresa fra i anni colpisce raramente i lavoratori sotto i 30 anni nelle nostre realtà è molto raro il mobbing dal basso
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Il modello del mobbing in 6 fasi di H. Ege 1 Conflitto quotidiano 2
Inizio del malessere della vittima Il modello del mobbing in 6 fasi di H. Ege Passaggio ad attacchi gratuiti da parte del mobber 2 Inizio del mobbing e del terrore psicologico 3 Errori e abusi dell’amministrazione del personale Sviluppo di manie ossessive Suicidio 4 Esclusione dal mondo del lavoro Licenziamento Sviluppo di comportamenti criminali Trasferimento a incarico di minore importanza Lunga malattia Ricovero in clinica psichiatrica Continui spostamenti Liquidazione Prepensionamento
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Le “strategie” mobbizzanti
Tipo A: la vittima non dimostra nessun cambiamento nella sua reazione al mobbing e anche il mobber esercita lo stesso tipo di azione mobbizzante. Il processo è reciprocamente lineare e può andare avanti indisturbato per anni. Tipo B: il mobber continua a compiere sempre la stessa azione mobbizzante, ma la vittima, nel tentativo di indurlo a smettere, reagisce ogni volta in modo diverso. Tipo C: il mobber cambia strategia ed atteggiamento e la vittima reagisce sempre nello stesso modo; ci si può aspettare che il mobber compia la sua azione di proposito e consapevolmente per danneggiare la vittima che al contrario presenta una monotonia di reazione. Tipo D: sia il mobber che la vittima cambiano continuamente i loro comportamenti.
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Le “cause” del mobbing - secondo H. Walter -
H. Walter individua tre campi in cui si possono inscrivere le cause del mobbing: il confronto e la relazione tra i tre stati dell’Io, ovvero le tre categorie a cui, secondo la teoria di Eric Berne si possono ricondurre i diversi caratteri e modi di comportarsi degli individui (stati dell’Io: genitore-Io, adulto-Io, bambino-Io) la presenza di stressor psichici sul posto di lavoro, ovvero di elementi esterni o interni che possono contribuire a provocare stress sul lavoratore la creazione di micro-conflitti sul posto di lavoro, cioè di situazioni che possono sviluppare conflittualità e mobbing tra i colleghi (insicurezza del proprio posto di lavoro; mancanza di riconoscimento, di sostenimento e di possibilità di promozioni; mancanza di riposo; conflitti con il superiore; conflitti e concorrenza con i colleghi; noia e monotonia del lavoro; mancanza di identificazione con l’azienda ed i suoi scopi, ecc.).
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Le “cause” del mobbing - secondo H. Leymann -
H. Leymann vede nel conflitto il presupposto fondamentale della nascita del mobbing e individua sei campi in cui possono svilupparsi dei conflitti: l’organizzazione del lavoro (cattiva organizzazione e distribuzione del lavoro) le mansioni lavorative (qualità del lavoro monotono e sottoqualificante) la direzione del lavoro (un buon metodo per evitare l’insorgenza del mobbing è la pratica del job-rotation, ossia nella rotazione regolare delle mansioni) la dinamica sociale del gruppo di lavoro (un gruppo di lavoro messo sotto pressione tenderà a sviluppare più velocemente conflitti rispetto un gruppo tranquillo) le teorie sulla personalità (il carattere della vittima è indipendente dal mobbing) la funzione nascosta della psicologia nella società (abuso che si fa dei termini “Psicologia” e “psicologico”)
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“La violenza morale”: modalità di azione
Può manifestarsi con una molteplicità di aspetti: isolare il lavoratore (privarlo dei mezzi di comunicazione: telefono, computer, posta), bloccare il flusso di informazioni necessarie al lavoro, estrometterlo dalle decisioni, impedire che gli altri lavoratori gli rivolgano la parola, negare la sua presenza, comportarsi come se il mobizzato non ci fosse, trasferirlo in luoghi isolati o comportanti lunghi tempi di percorrenza, ecc. discreditare il lavoratore; attacchi contro la reputazione (ridicolizzarlo, umiliarlo, attaccare le sue convinzioni religiose, sessuali, morali, calunniare i membri della sua famiglia) ridurre la considerazione di sé del lavoratore ( privarlo degli status symbol, non attribuirgli incarichi, attribuirgli incarichi inferiori o superiori alle sue competenze, simulare errori professionali, continue critiche alle prestazioni o alle sue capacità professionali anche di fronte a soggetti esterni all’impresa, ma anche critiche soggettive, applicare sanzioni amministrative senza motivo apparente e senza motivazioni, consegne volutamente confuse, contraddittorie e/o lacunose, azioni di sabotaggio, ecc.) compromettere il suo stato di salute (diniego di periodi di ferie o di congedo, attribuzione di mansioni a rischio o con turni massacranti, ecc.) cambio di mansioni violenza o minaccia di violenza
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“La violenza morale”: considerazioni
In alcuni casi si cerca di determinare comportamenti incontrollati da parte del mobbizzato, in quanto un comportamento irresponsabile della vittima può divenire un insindacabile motivo di licenziamento. Molte delle azioni, possono essere assolutamente “normali”, ovvero dettate da momenti contingenti, sporadici ed occasionali; in questi casi, la singola azione mobbizzante non assume alcuna rilevanza giuridica o sociologica. Si parla di mobbing soltanto quando una o più di queste azioni diviene sistematica ed a lungo termine. Secondo Leymann, infatti, almeno una di queste azioni deve essere esercitata almeno una volta alla settimana e per un periodo minimo di sei mesi; infatti è la reiterazione della frequenza con cui si esercita tale condotta a qualificare “come distruttivo”, il processo lesivo della dignità della persona.
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Conseguenze Consolidamento dello stress Doppio mobbing
Stato di malattia Cure psichiatriche Suicidio (*) (*) In Svezia le statistiche dimostrano che tra il 10 ed il 20% del totale dei suicidi in un anno, hanno avuto il “mobbing come fattore scatenante”
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Diagnosi di mobbing e criteri di valutazione medico-legali
Elementi fondamentali per la diagnosi di mobbing: evidenziare situazioni di mobbing inquadrare nosograficamente i quadri clinici accertare il nesso causale tra i quadri clinici ed il contesto lavorativo porre attenzione alla durata dell’esposizione, all’evoluzione e alla durata dei disturbi. Elementi fondamentali per valutare l’esistenza e l’entità di un danno psichico: valutazione psicopatologica del danno in ambito medico-legale (mira all’esplorazione delle conseguenze di un dato evento sullo psichismo dell’uomo – “psicopatologia dell’evento”) valutazione ed interpretazione in ambito medico legale della documentazione clinica (acquista grande valore come “onere della prova”)
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Quadri psichiatrici e DSM-IV
Le patologie più frequentemente registrate nei casi di danno biologico da mobbing rimandano prevalentemente a quadri nosograficamente inquadrabili nell’ambito del: Disturbo d’ansia generalizzato Disturbo dell’adattamento Disturbo distimico Disturbo post traumatico da stress
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Conseguenze del mobbing sullo stato di salute della vittima
Sintomi da “pressione” psicologica: mal di testa, capogiri, disturbi dell’equilibrio, svenimenti. Difficoltà nelle funzioni intellettive: difficoltà di memoria e di concentrazione. Disturbi del sonno: insonnia, incubi, interruzioni del sonno, risvegli anticipati. Problemi delle funzioni gastriche e digestive: gastrite, bruciori di stomaco, inappetenza, nausea, vomito, diarrea. Dolori muscolari: dolori di schiena, dolori cervicali, reumatismi, artriti. Sintomi di nervosismo: palpitazioni, bocca secca, difficoltà respiratorie, tremori o debolezza agli arti, nodo alla gola, pressione sul petto, sudori improvvisi, agitazione, tensione nervosa, irrequietezza, reazioni aggressive ed esagerate. Manifestazioni depressive: pessimismo, apatia, tendenza al pianto, insicurezza, timore.
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Sintomi fisici Eruzioni cutanee
Abbassamento delle difese immunitarie: tosse, raffreddore, influenza, maggiore vulnerabilità alle malattie Disturbi tiroidei Disturbi cardiaci: tachicardia, senso di oppressione, ipertensione Problemi delle funzioni gastriche e digestive: bulimia, gastrite e ulcera Disturbi intestinali Disturbi della sfera sessuale Dolori osteoarticolari Astenia
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Sintomi psichici Manifestazioni psicosomatiche (sono le prime a manifestarsi): perdita di concentrazione, di memoria, turbe del sonno, cefalea, sudorazione. Agitazione-irrequietezza Sindromi ansiose Depressioni con fissazione del pensiero sul proprio problema, abuso nel consumo di sigarette, caffè, analgesici, stimolanti, alcolici. Disturbi comportamentali che impediscono la partecipazione alla vita lavorativa fino all’espulsione dal mondo del lavoro (attacchi di panico, disistima, ecc.). Alterazioni della personalità (fino al suicidio) Bradey Wilson inquadra tali disturbi psichici, in base al DSM-IV, nel gruppo “Disturbo post- traumatico da stress” (*) (*) Disturbo che, secondo Bargagna e coll., corrisponde ad una variante del disturbo d’ansia, caratterizzato “dalla sperimentazione di uno stato d’animo di particolare risonanza affettiva evocato da eventi estremamente traumatizzanti di cui il soggetto sia vittima o sia testimone o risulti comunque coinvolto”.
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“Aspetti medico-legali” del mobbing
Danno alla salute o danno biologico: deriva dalla compromissione del “bene-salute” costituzionalmente protetto che costituisce un valore fondato sull’integrità psico-fisica della persona. Per quanto riguarda il danno biologico, quello di natura psichica, costituisce una conseguenza tipica delle moleste morali. Riduzione della capacità lavorativa specifica: fa riferimento alle caratteristiche professionali del lavoratore. Inabilità permanente parziale o assoluta: trattasi del “danno permanente” alla capacità lavorativa generica.
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Riconoscimento in ambito INAIL
I casi di mobbing possono essere denunciati all’INAIL come malattie professionali non tabellate per cui spetta al lavoratore l’onere della prova dell’origine professionale, (la difficoltà consiste spesso nel disporre di prove flagranti: raccogliere documentazioni relative ad eventuali provvedimenti, lettere di richiamo o di biasimo, modifica di mansioni, trasferimento di sede di lavoro, spostamento di ufficio, ecc.). La diagnosi e la prova dell’origine professionale: la violenza morale in ambito lavorativo Centri specializzati Utilizzo di metodi standardizzati di ricerca come il questionario LIPT di Leymann (Leymann Inventory of Psycological Terrorism) Diagnosi differenziale con altre forme di violenza morale come lo stalking (controllo costante dei lavoratori mirante ad abolire tutti i tempi morti) o con lo stress lavorativo
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L’onere della prova Il lavoratore deve provare il nesso causale tra i comportamenti del datore di lavoro ed il pregiudizio alla propria salute cioè, il soggetto mobbizzato deve provare il nesso causale tra condotte mobbizzanti e danno subito. La causa dovrà, pertanto, essere cronologicamente, qualitativamente, quantitativamente e modalmente idonea a produrre quel determinato evento, secondo la teoria della “causalità adeguata”.
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Valutazione del “danno psichico” in ambito INAIL
Tale valutazione dovrebbe essere fatta all’atto della stabilizzazione del danno che, in genere, per quanto riguarda la sfera psichica richiede tempi lunghi, come lunghi appaiono i periodi di inabilità assoluta temporanea che, mai come in questo caso, assumono rilievo ai fini della prevenzione di danni maggiori. A tal proposito, è opportuno, per quanto concerne essenzialmente la capacità lavorativa, partire dalle valutazioni previste dell’invalidità civile.
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Riconoscimento come “causa di servizio”
La predisposizione organica a contrarre una determinata malattia o la sua preesistenza all’assunzione in servizio non costituiscono, di per sé, preclusione al riconoscimento della dipendenza da causa, o – per meglio dire – concausa di servizio, né quindi del diritto all’equo indennizzo, dovendosi considerare se l’attività svolta abbia facilitato o accelerato l’insorgenza della malattia o, ne abbia aggravato o accelerato il decorso, contribuendo all’insorgenza di esiti più gravi. Nella valutazione del danno si fa ricorso alle tabelle di legge che, per quanto concerne le patologie di tipo psichiatrico, sono lacunose, operando anche per similitudine. Utile è il riferimento alle valutazioni previste dalle tabelle dell’invalidità civile Il riconoscimento della causa di servizio e della successiva prestazione indennitaria (equo indennizzo) risarcisce l’avvenuto danno alla capacità di lavoro e, dunque, al lavoratore rimane la possibilità di richiedere, nelle modalità di legge, il risarcimento del danno biologico.
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Responsabilità, danni risarcibili, tutela processuale nel mobbing
Danno biologico Danno psichico Danno morale (c.d. pretium doloris) Danno da mobbing Danno esistenziale
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Danno da mobbing: il “danno biologico”- il “danno psichico”
Il danno biologico è una menomazione dell’integrità psicofisica della persona in quanto tale; modifica, in senso peggiorativo, il modo di essere del soggetto cioè, le sue funzioni naturali e le attività della vita quotidiana. Comprende anche il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla vita sessuale. Danno psichico e psicosomatico, cioè non derivante da lesione organica. Danno alla salute. Danno evento. Il danno psichico, come “specie” di danno biologico richiede, ai fini della sua configurabilità, la sussistenza in concreto non di una mera sofferenza o turbamento, ma di una vera patologia e dunque lesione alla salute, la valutazione della quale non può che essere rimessa al medico legale.
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Danno da mobbing: il “danno morale”
Per danno morale, va inteso il danno morale subiettivo, che si sostanzia nelle sofferenze spirituali, nei perturbamenti dello stato d’animo (c.d. pretium doloris), danno conseguenza della lesione sofferta dal soggetto offeso, cioè del comportamento illecito. Il risarcimento del danno morale è possibile solo nelle ipotesi in cui l’illecito civile costituisce anche reato. Il risarcimento di un danno genericamente morale, è stato accordato in connessione diretta con fenomeni ricondotti esplicitamente alla figura del mobbing soltanto di recente (Tribunale di Torino, 1999).
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Danno da mobbing: il “danno esistenziale”
La categoria del danno esistenziale, consiste nella modificazione peggiorativa dell’insieme delle attività realizzatrici della persona, nell’alterazione di quell’universo di azioni, consuetudini, affezioni, attraverso cui l’individuo costruisce la propria identità, la propria esistenza. Costituisce un danno alla qualità della vita del soggetto. Il mobbing colpisce quel basilare e naturale diritto al rispetto che deve essere riconosciuto ad ogni individuo, anche sul lavoro: le offese arrecate dalle condotte mobbizzanti sono innanzitutto quelle alla dignità della persona ad all’integrità morale. Il “danno da mobbing”, pertanto, prima ancora che nel danno morale o nel danno biologico, sembra trovare corrispondenza proprio nella categoria del danno esistenziale.
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Mobbing: le possibili soluzioni
La prevenzione: prevenire il mobbing è il modo più efficace per evitarlo La sensibilizzazione dell’opinione pubblica La formazione: consiste nel rendere consapevoli le persone del fenomeno; ha l’obiettivo di curare, assistere e intervenire sul fenomeno in modo che questo causi il minor numero di danni possibili L’istituzione di seminari sul mobbing nelle Aziende, produce ricadute positive sul grado di soddisfazione sul lavoro e sulla riduzione dei costi aggiuntivi riguardo al personale Una formazione sul mobbing per l’Amministrazione del personale e i quadri dirigenti delle Aziende porta ad un netto cambiamento dell’atteggiamento nei confronti dei dipendenti vittime del fenomeno Il ricorso alla consulenza di un esperto con il compito di condurre una mediazione tra il mobber, le vittime, i colleghi, il rappresentante dell’Amministrazione ed i quadri direttivi, finalizzata ad una presa di coscienza degli attori rispetto alla presenza del fenomeno mobbing all’interno dell’Azienda La presenza di un medico specialista, esterno all’Azienda, che si occupi direttamente della salute psicofisica della vittima
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