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Corpo nero (Planck) Effetto fotoelettrico (Einstein) L’atomo di Bohr

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Presentazione sul tema: "Corpo nero (Planck) Effetto fotoelettrico (Einstein) L’atomo di Bohr"— Transcript della presentazione:

1 Dall’ipotesi di Planck alla nascita della meccanica quantistica 23 marzo 2015
Corpo nero (Planck) Effetto fotoelettrico (Einstein) L’atomo di Bohr Effetto Compton Dualismo onda-particella, relazione di de Broglie Heisenberg e Schroedinger

2 Corpo nero Il corpo nero è una idealizzazione fisica e rappresenta un corpo che assorbe perfettamente tutta la radiazione e.m. incidente, indipendentemente dall’angolo di incidenza e dalla lunghezza d’onda Un corpo nero in equilibrio termico, cioè a temperatura costante, emette radiazione e.m. detta radiazione di corpo nero Lo spettro di emissione è determinato soltanto dalla temperatura, non dalla forma o dalla composizione del corpo (teorema di Kirchhoff) 2

3 Corpo nero Un modello molto usato, anche se non perfetto, di corpo nero è un piccolo foro in un corpo cavo le cui pareti siano opache alla radiazione Il corpo cavo sia mantenuto ad una temperatura T e la radiazione al suo interno sia in equilibrio termico con le pareti Il forellino permetterà alla radiazione e.m. di entrare e uscire dal corpo, ma se è abbastanza piccolo, l’effetto sull’equilibrio termico della radiazione all’interno della cavità sarà trascurabile La radiazione uscente sarà allora, con buona approssimazione, radiazione di corpo nero 3

4 Corpo nero Anche se inizialmente la radiazione non è in equilibrio termico con le pareti, l’equilibrio è raggiunto per assorbimento e reemissione continui della radiazione da parte del materiale delle pareti NOTA: La radiazione di corpo nero è la massima radiazione che un corpo all’equilibrio termico possa emettere, qualunque sia la sua composizione chimica o la sua struttura superficiale 4

5 Radianza spettrale Consideriamo un punto Q sulla superficie del corpo nero Una quantità infinitesima di potenza dP sia irraggiata in direzione q rispetto alla normale alla superficie del corpo da un elemento di area dA nell’angolo solido dW in una banda di frequenza dn La quantità, introdotta da G. Kirchhoff è detta radianza spettrale É questa la grandezza misurabile sperimentalmente 5

6 Radianza e densità di energia
Si può dimostrare che la radianza spettrale uscente dal corpo nero e la densità spettrale di energia e.m. presente all’interno del corpo nero sono legate da una semplice relazione di proporzionalità Per cui invece di è Bn possibile determinare un È questa la grandezza che Planck analizzò teoricamente

7 Legge di Planck Planck mise insieme due formule per la radianza del corpo nero, proposte da Wien e da Rayleigh, verificate sperimentalmente rispettivamente per alte e basse frequenze e ricavò la formula Con a e b due costanti da determinare empiricamente Siccome un è indipendente dal materiale di cui è fatta la cavità, le due costanti sono costanti universali Come vedremo sono legate alla costante di Boltzmann ed a quella che è divenuta nota come costante di Planck 7

8 Giustificazione della legge
Dato che la formula si adattava bene ai dati sperimentali per tutte le frequenze, Planck la pubblicò (19 ottobre 1900 ) A questo punto Planck cercò una giustificazione teorica della sua formula Immaginò che la cavità contenesse un numero grande ma finito di oscillatori meccanici, ciascuno con una sua propria frequenza di risonanza Gli oscillatori erano dotati di carica elettrica, in modo da poter scambiare energia con la radiazione e.m. della cavità 8

9 Giustificazione della legge
Per Planck non era necessario che questi oscillatori risonanti esistessero davvero, questa era un’ipotesi teorica, uno strumento per calcolare l’espressione della radianza spettrale Oggi questi oscillatori sono identificati con qualcosa di reale, gli atomi delle pareti della cavità Planck ricorse ai metodi sviluppati da Boltzmann in meccanica statistica, per trovare come l’energia e.m. si distribuisse sui diversi modi dinamici degli oscillatori 9

10 Meccanica statistica Per trovare l’energia che compete ai modi della radiazione e.m. di frequenza compresa tra  e  +d , bisogna moltiplicare il numero di questi modi per l’energia media del modo Per l’ipotesi dell’equilibrio termico, l’energia di un modo e.m. è uguale all’energia dell’oscillatore di ugual frequenza Classicamente l’energia media dell’oscillatore vale ed è indipendente dalla frequenza Se dN e` il numero di modi e.m. di frequenza compresa tra  e  +d, l’energia corrispondente dU sara` 10

11 Meccanica statistica Si può dimostrare che dN per una cavità di volume V all’equilibrio termico è dato da Quindi l’energia e.m. dovuta a questi modi all’interno della cavita` e` Questa energia puo` anche essere espressa in termini di densita` di energia e.m. dentro la cavita`: 11

12 Densità di energia classica
Dalla teoria e.m. di Maxwell e dalla meccanica classica si otterrebbe quindi la densità di energia Questa formula non è però fisicamente possibile, in quanto prevede un aumento indefinito di u con  12

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14 Relazione di Planck (1901) Planck suppose che
l’energia degli oscillatori non fosse distribuita con continuità, ma fosse costituita da quantità minime indivisibili o quanti la quantità di energia di un quanto fosse proporzionale alla frequenza di risonanza dell’oscillatore l’energia di un oscillatore fosse un multiplo intero di e NB: Planck non propose che l’energia e.m. fosse quantizzata, questo fu fatto da Einstein nel 1905 14

15 Densità di energia di Planck (Nobel 1918)
Ora l’energia media dell’oscillatore è E l’espressione della densità di energia dei modi e.m. con frequenza compresa tra  e  +d Questa l’espressione si adatta ai dati sperimentali su tutto lo spettro di frequenza h è una nuova costante universale, la costante di Planck, con le dimensioni di energia volte tempo cioè di azione: 15

16 Satyendra Nath Bose Fu solo nel 1924 che il fisico indiano Bose sviluppò la teoria statistica quantistica dei fotoni, che permise una derivazione teorica quantisticamente corretta della legge di Planck 16

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18 Limite per basse frequenze
Per basse frequenze l’esponenziale a denominatore si può espandere in serie Riottenendo la distribuzione classica di Rayleigh-Jeans Notare che la costante di Planck sparisce

19 Limite per alte frequenze
Per alte frequenze l’esponenziale al denominatore diventa dominante rispetto a 1 Riottenendo la distribuzione di Wien

20 Energia media dell’oscillatore
Per la distribuzione classica l’energia media degli oscillatori 1-D è indipendente dalla frequenza Questa caratteristica è responsabile della divergenza della densità di energia ad alte frequenze e del conseguente carattere non fisico della distribuzione classica

21 Energia media dell’oscillatore
Per la distribuzione di Planck l’energia media dipende invece dalla frequenza e per alte frequenze è molto piccola Questo significa che la probabiltà che un oscillatore di alta frequenza sia attivo è molto bassa (‘congelamento’ dei gradi di libertà) Qualcosa di analogo succede per gli oscillatori 3-D (reali, stavolta) costituiti dagli atomi del reticolo in un cristallo

22 Effetto fotoelettrico
Scoperto nel 1887 da H. Hertz è il fenomeno per cui in opportune condizioni, la superficie di una sostanza, generalmente un metallo, esposta a radiazione e.m., assorbe la radiazione ed emette elettroni Nota: l’elettrone fu scoperto da J. J. Thomson nel 1897 Affacciando una seconda superficie alla prima e imponendo una ddp tra le due, è possibile raccogliere la corrente di elettroni e studiarne le proprietà 22

23 Effetto fotoelettrico
Se la ddp è positiva, gli elettroni vengono accelerati verso il secondo elettrodo Se questa ddp è abbastanza elevata, tutti gli elettroni vengono raccolti e ogni ulteriore aumento della ddp non porta ad alcun aumento della corrente Con una ddp negativa, è possibile rallentare gli elettroni, fino a annullare la corrente quando venga raggiunto il potenziale di blocco Vb In tal modo, imponendo la conservazione dell’energia, è possibile risalire alla massima energia cinetica Kmax degli elettroni 23

24 Caratteristiche sperimentali
Per una data sostanza: La radiazione deve avere una frequenza maggiore di una frequenza di soglia (corrispondente a luce visibile o ultravioletta) affinché il fenomeno si verifichi L’intensità della corrente è proporzionale all’intensità della luce incidente Vb (ovvero l’energia cinetica massima degli elettroni) non dipende dall’intensità della radiazione Vb aumenta con la frequenza della radiazione Il tempo intercorrente tra l’arrivo della radiazione e l’emissione di elettroni è molto piccolo e indipendente dall’intensità della luce 24

25 Difficoltà della teoria e.m. classica
Il fenomeno è importante perché esso non è spiegabile con la teoria ondulatoria della luce Il fatto che l’energia cinetica degli elettroni non aumenti con l’intensità della luce non ci sia addirittura emissione di elettroni per frequenze al di sotto di quella di soglia l’energia cinetica degli elettroni aumenti con la frequenza della luce risultava inspiegabile dalla teoria di Maxwell Un altro fatto inspiegabile è che il ritardo di emissione degli elettroni è indipendente dall’intensità della luce 25

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27 La soluzione di Einstein (1905, Nobel 1921)
Suppone che l’energia della luce non sia distribuita con continuità nell’onda e.m., ma sia concentrata in ‘pacchetti discreti’ o quanti l’energia di un quanto sia proporzionale alla frequenza n della luce, secondo la costante di Planck un elettrone del metallo assorba un quanto di luce, aumentando la propria energia a tal punto da poter sfuggire dalla superficie questo possa avvenire se l’energia assorbita è maggiore del lavoro di estrazione W che deve compiere per superare l’attrazione del metallo 27

28 La soluzione di Einstein (1905)
Supponendo che l’energia si conservi, possiamo scrivere , ove W dipende dal metallo usato Questa formula spiega i seguenti fatti: Kmax aumenta con la frequenza della radiazione (inoltre predice che l’aumento sia lineare) Kmax non dipende dall’intensità della radiazione l’esistenza di una frequenza di soglia: (l’elettrone può essere emesso solo se K è positiva) l’intensità della corrente di elettroni emessi è proporzionale al numero di quanti assorbiti nell’unità di tempo e quindi all’intensità della radiazione luminosa l’indipendenza dall’intensità della luce dell’intervallo di tempo tra irraggiamento e emissione: l’elettrone è emesso subito dopo aver assorbito il quanto 28

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31 La formula di Rydberg (1888)
Negli anni 80 del XIX secolo J. Balmer prima e J. Rydberg poi scoprirono due relazioni tra le lunghezze d’onda delle linee spettrali dell’atomo di idrogeno misurate dagli spettroscopisti Rydberg notò che tali linee potevano essere raggruppate in serie e che i calcoli si semplificavano se si usava il numero d’onde, 1/l cioè l’inverso di l, ovvero il numero di onde presenti nell’unità di lunghezza (un metro) La formula è Ove R è la costante Rydberg (pari a x 107 m-1 ) e n1 < n2 sono due numeri interi

32 La formula di Rydberg Fissato n1 , e facendo variare n2 si potevano riprodurre le serie di linee spettrali misurate n1 n2 nome converge verso 1 2 → ∞ serie di Lyman   l=91.1 nm (UV) 2 3 → ∞ serie di Balmer  l=364.5 nm (visibile) 3 4 → ∞ serie di Paschen  l=820.1 nm (IR) 4 5 → ∞ serie di Brackett l=1458.0 nm (lontano IR)

33 Serie spettrali Serie di Lyman Serie di Balmer Nessuno però sapeva dare una spiegazione teorica della formula o del valore di R

34 L’atomo di Rutherford (1911)
All’inizio del XX secolo E. Rutherford stabilì sperimentalmente che gli atomi consistono di una nube diffusa di elettroni carichi negativamente che circonda un piccolo nucleo massiccio carico positivamente Rutherford considerò un modello atomico planetario, cioè elettroni in orbita attorno al nucleo Tale modello era però in contrasto con le leggi dell’elettromagnetismo: un elettrone orbitante avrebbe emesso radiazione e.m., perdendo continuamente energia, spiraleggiando a raggi sempre più piccoli per cadere infine sul nucleo I calcoli prevedevano per l’atomo una vita di circa 16 ps

35 L’atomo di Rutherford Inoltre se l’elettrone spiraleggiasse verso il nucleo, la frequenza della radiazione emessa andrebbe crescendo continuamente Questo era in contrasto con le misure spettroscopiche, secondo cui gli atomi emettono radiazione solo a frequenze discrete ben definite

36 L’atomo di Bohr (1913, Nobel 1922)
Per superare queste difficoltà Bohr propose un modello per l’atomo di idrogeno con le seguenti proprietà: Gli elettroni si muovono su orbite circolari (in seguito generalizzate a orbite ellittiche) attorno al nucleo a distanze definite da esso Solo alcune delle orbite classicamente possibili sono permesse In queste orbite gli elettroni si muovono stabilmente senza emettere radiazione e.m. (come invece richiesto dall’elettromagnetismo classico) Queste orbite possiedono energie definite e sono perciò anche dette livelli energetici Gli elettroni possono acquistare o perdere energia saltando (salto quantico) da un’orbita all’altra, assorbendo o emettendo radiazione e.m. di frequenza n determinata dalla differenza di energia tra i livelli secondo la relazione di Planck

37 L’atomo di Bohr L’elettrone passa da uno stato atomico a energia maggiore ad uno a energia minore, con emissione della differenza sotto forma di energia e.m. Per semplicità supporremo dapprima che la massa del protone sia infinitamente maggiore di quella dell’elettrone In tal modo il protone rimane fermo e l’elettrone orbita attorno ad esso L’elettrone assorbe energia e.m. e passa da uno stato atomico a energia minore ad uno a energia maggiore 37

38 L’atomo di Bohr (1913) In questo modello gli elettroni seguono le leggi della meccanica classica, ma solo alcune orbite sono permesse, quelle che soddisfano una restrizione detta regola quantica La regola è che il momento angolare L dell’orbita dev’essere un multiplo intero, n, di una quantità fissa pari alla costante di Planck divisa per 2p (ovvero la costante di Planck ridotta) n è detto numero quantico principale e può assumere valori interi positivi (n>0)

39 L’atomo di Bohr (1913) Il modello di Bohr prevede che durante un salto quantico dell’elettrone venga irraggiata una quantità discreta di energia Ciononostante Bohr riteneva che questa quantizzazione non fosse da attribuire al campo e.m., ma fosse dovuta al fatto che i livelli energetici dell’atomo sono discreti In altri termini, all’epoca, Bohr non credeva all’esistenza dei quanti di luce

40 L’atomo di Bohr (1913) Il modello permette di ottenere soluzioni quasi esatte per sistemi a due corpi Atomo di idrogeno (p-e-) Atomi ionizzati con un solo elettrone (He+, Li++, ecc.) Positronio (e+-e-) Stati di Rydberg di un atomo qualunque (nocciolo- e-) Mesoni formati da quark pesanti (bu)

41 Caratteristiche delle orbite circolari
Vogliamo trovare l’espressione del momento angolare per imporre la regola quantica Questo ci permetterà di esprimere tutte le grandezze fisiche di interesse in termini del numero quantico principale Partiamo dalla legge di Newton per l’elettrone nell’atomo Ove k è la costante di Coulomb, Ze è la carica del nucleo, m, -e, v e r sono la massa, la carica, la velocità e il raggio orbitale dell’elettrone

42 Caratteristiche delle orbite circolari
Da questa eq. si può ricavare la velocità in funzione del raggio: Inseriamo ora la velocità nell’espressione del momento angolare: Imponendo la regola quantica, ci permette di esprimere il raggio in termini di n: e quindi la velocità:

43 Caratteristiche delle orbite circolari
Infine l’energia totale dell’elettrone, data dalla somma dell’energia cinetica e potenziale: Ove RE è una costante

44 L’atomo di Bohr come sistema a due corpi
Quel che cambia è che elettrone e protone si muovono entrambi attorno al comune centro di massa Come è stato dimostrato in meccanica, il sistema a due corpi è equivalente al sistema semplificato, in cui una particella fittizia di massa pari alla massa ridotta delle due particelle orbita attorno ad un centro immobile di forza a distanza r, uguale alla distanza tra elettrone e protone Inoltre l’energia totale E=K+U e il momento angolare dell’atomo sono uguali all’energia e al MA della particella fittizia In pratica basta interpretare la massa m, il raggio r e la velocità v nelle formule ricavate, come quelli della particella fittizia anziché dell’elettone 44

45 Livelli energetici dell’atomo di idrogeno
d (a0) ENERGIA CLASSICA E (eV) d è la distanza tra elettrone e protone, espressa in unità a0 =53 pm, il raggio di Bohr, che è il raggio della più piccola orbita permessa

46 Successo del modello di Bohr
Il successo fu duplice, perché riuscì a spiegare la formula di Rydberg e a calcolare il valore della costante R Infatti mettendo insieme la formula dell’energia di un livello (con Z=1 per l’idrogeno) con quella dell’energia della radiazione emessa si ottiene, passando dalla frequenza alla lunghezza d’onda

47 Successo del modello di Bohr
Ovvero ove è la costante di Rydberg, ora calcolata in base a costanti fondamentali Per quanto riguarda l’energia, considerata alla luce del sistema a due corpi, la massa dell’elettrone dev’essere sostituita con la massa ridotta

48 Serie spettrali - Lyman
d (a0) Le serie spettrali si possono interpretare come le lunghezze d’onda della radiazione emessa dagli atomi quando un elettrone salta da un livello più alto ad un livello più basso Per la serie di Lyman da un livello eccitato a quello fondamentale E (eV)

49 Serie spettrali - Balmer
d (a0) Per la serie di Balmer da un livello eccitato superiore al primo livello eccitato E (eV)

50 Produzione di raggi X

51 Produzione di raggi X Un altro modo di produrre raggi X si basa sulla rimozione di elettroni negli strati più interni degli atomi La rimozione può avvenire per urto con elettroni o con fotoni (mediante effetto Compton) inviati contro l’atomo Questi elettroni (o fotoni) scalzano gli elettroni dell’atomo creando un posto vacante nel livello atomico corrispondente Un elettrone dei livelli superiori può saltare al livello inferiore e occupare questa lacuna, accompagnato dall’emissione di un quanto X

52 Raggi X caratteristici
Questi quanti (raggi X caratteristici), a differenza di quelli prodotti per bremsstrahlung hanno un’energia di valore definito precisamente dalla differrenza di energia dei livelli atomici coinvolti

53 Effetto Compton È la diffusione di raggi X da parte di elettroni (o atomi o altre particelle) in cui la lunghezza d’onda della luce diffusa (o la sua frequenza) è diversa da quella incidente Un fotone g di lunghezza d’onda l collide con un elettrone (considerato a riposo per semplicità) L’elettrone rincula ed un nuovo fotone g ’ di lunghezza d’onda l’ emerge ad un angolo q rispetto alla direzione di incidenza 53

54 Effetto Compton La teoria e.m. classica non riesce a spiegare questo cambiamento di lunghezza d’onda L’effetto è quindi importante perché dimostra che la luce non può essere interpretata compiutamente da una teoria ondulatoria Per spiegare questo effetto la luce deve comportarsi come se fosse costituita di particelle (quanti) 54

55 La soluzione di Compton (Nobel 1927)
Nel 1923 Compton spiegò il fenomeno attribuendo ai fotoni quantità di moto usando la fisica relativistica, in quanto le velocità acquisite dagli elettroni sono paragonabili a quella della luce imponendo la conservazione dell’energia e della quantità di moto La formula trovata da Compton esprime la relazione tra il cambiamento di lunghezza d’onda e l’angolo di diffusione dei raggi X ove h è la costante di Planck e me la massa dell’elettrone è detta lunghezza d’onda Compton dell’elettrone 55

56 Derivazione della legge
p P’ p’ f Con riferimento alla figura, diciamo p e P=0 le qdm del fotone e dell’elettrone prima dell’urto e p’, P’ quelle dopo l’urto Similmente siano e, E=mc2 le energie prima dell’urto e e ’, E’ quelle dopo l’urto Imponiamo la conservazione della qdm longitudinale e trasversale Imponiamo la conservazione dell’energia

57 Derivazione della legge
p P’ p’ f Avremo quindi Esplicitiamo le due componenti della qdm Isoliamo il termine dell’elettrone, eleviamo al quadrato e sommiamo membro a membro, otteniamo

58 Derivazione della legge
p P’ p’ f Riscriviamo l’energia in termini di qdm Isoliamo la radice, eleviamo al quadrato Sostituiamo il valore della qdm dell’elettrone trovata in precedenza Troviamo ovvero

59 Derivazione della legge
Se ora sostituiamo la relazione tra qdm e lunghezza d’onda del fotone Otteniamo la formula di Compton

60 L’esperimento di Compton usava raggi X Ka del molibdeno, che hanno lunghezza d’onda di nm. Questi erano diffusi da un blocco di grafite e osservati a diversi angoli con uno spettrometro di Bragg Lo spettrometro consiste di una struttura rotante con un cristallo di calcite per diffrangere i raggi X e di una camera a ionizzazione per rivelare i raggi X Poiché la spaziatura dei piani cristallini nella calcite è nota, l’angolo di diffrazione dà una misura accurata della lunghezza d’onda

61 La formula di Compton prevede che la lunghezza d’onda diffusa dipende dall’angolo di diffusione e dalla massa del diffusore Per diffusione da elettroni fermi, in direzione 90°, la formula dà una lunghezza d’onda di nm, consistente con il picco di destra nella figura

62 Il picco che sta vicino alla lunghezza d’onda originale è interpretato come diffusione dagli elettroni interni degli atomi di carbonio, che sono legati più strettamente al nucleo di carbonio Ciò causa il rinculo di tutto l’atomo contro il fotone X, e la maggior massa efficace di diffusione riduce in proporzione lo spostamento in lunghezza d’onda dei fotoni diffusi Inserendo la massa di tutto l’atomo di carbonio nell’equazione di diffusione, otteniamo uno spostamento in lunghezza d’onda quasi volte minore che per un elettrone esterno, e di conseguenza la lunghezza d’onda di questi fotoni diffusi non è apprezzabilmente variata

63 La visione di de Broglie (Nobel 1929)
“Quando concepii le prime idee base della meccanica ondulatoria nel , fui guidato dal desiderio di una reale sintesi fisica, valida per tutte le particelle, della coesistenza degli aspetti ondulatori e corpuscolari che Einstein aveva introdotto per i fotoni nella sua teoria dei quanti di luce nel 1905” 63

64 Onde di materia Il concetto di onde di materia, o onde di de Broglie riflette la dualità onda-particella della materia La teoria fu proposta da de Broglie nel 1924 e stabilisce che ad un oggetto materiale è associata una lunghezza d’onda, inversamente proporzionale alla quantità di moto dell’oggetto Inoltre alle onde di materia è associata una frequenza direttamente proporzionale all’energia dell’oggetto

65 Diffrazione di elettroni
Se gli elettroni hanno natura ondulatoria, è pensabile di eseguire un esperimento simile a quello utilizzato per indagare la struttura di un cristallo con i raggi X Si può applicare la condizione di Bragg per l’interferenza costruttiva

66 Condizione di Bragg Ove d è la distanza tra i piani cristallografici, supposta nota da precedenti misure con i raggi X,  la direzione in cui si ha un massimo d’intensità, n è l’ordine di diffrazione e  è la lunghezza d’onda di de Broglie

67 L’esperimento di Davisson e Germer
Nel 1927 C. Davisson e L. Germer usarono elettroni lenti per studiare la struttura cristallina del nichel La dipendenza angolare degli elettroni riflessi risultò avere lo stesso andamento di quello predetto per la diffrazione di raggi X Per la prima volta era stato provato che particelle materiali (gli elettroni) mostravano diffrazione, e quindi che la materia aveva natura ondulatoria L’esperimento confermò l’ipotesi di de Broglie per gli elettroni Esperimenti successivi hanno mostrato che questa ipotesi è vera anche per atomi e molecole

68 Diffrazione di elettroni

69 Interferenza di elettroni
Nella figura è riportato il risultato dell’esperimento di A. Tonomura, et al. (1989) sull’interferenza da doppia fenditura a singolo elettrone La sequenza si riferisce all’accumulo di elettroni sul rivelatore al passare del tempo 69

70 Heisenberg (1925) Pubblica un articolo nel settembre 1925 che segna la nascita della meccanica quantistica moderna La sua formulazione della teoria è nota come meccanica matriciale Nel 1927 propose il principio di indeterminazione Nel 1932 gli fu assegnato il premio Nobel per la creazione della meccanica quantistica

71 Schroedinger (1926) In un articolo comparso nel gennaio 1926, formulò una diversa versione della meccanica quantistica, la meccanica ondulatoria, secondo cui un sistema fisico è rappresentato da una funzione d’onda che può essere determinata risolvendo un’equazione d’onda In seguito dimostrò che la sua versione era equivalente alla meccanica matriciale di Heisenberg Nel 1933 gli fu assegnato il premio Nobel per la scoperta di una nuova forma di teoria atomica


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