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Università di Napoli “L’Orientale”
Leopardi Armando Rotondi Letteratura Italiana Università di Napoli “L’Orientale” a.a
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L’infinito Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare.
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L’infinito Anticipa in forma poetica un nucleo tematico che è centro delle riflessioni degli anni successivi. Teoria del piacere da cui si sviluppa la teoria del vago e indefinito. Nello Zibaldone, Leopardi sostiene che particolari sensazioni visive o uditive, per il loro carattere vago, inducono l’uomo a crearsi con l’immaginazione quell’infinito a cui aspira. Infinito irraggiungibile perché la realtà non offre che piacere finiti e quindi deludenti.
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L’infinito L’infinito come rappresentazione di uno di questi momenti privilegiati in cui l’immaginazione strappa la mente al reale. Reale che è “brutto” – infinito che è “estasi” (Zibaldone). Teorizzazioni dello Zibaldone richiamano L’infinito come esempio.
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L’infinito Poesia articolata in due momenti che corrispondono a due distinte sensazioni di partenza Avvio sensazione visiva (impossibilità della visione) Nel vv immaginazione da sensazione uditiva
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L’infinito L’impedimento della vista esclude il reale e fa subentrare il fantastico. Zibaldone: “allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale”. Il pensiero si costruisce l’idea di un infinito spaziale, immersi in silenzi sovraumani e in una profondissima quiete.
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L’infinito La voce del vento (dato effimero) è paragonato ai silenzi.
Dà il via a un “infinito temporale” (“eterno”) Si associa il pensiero delle epoche passate e svanite e dell’età presente, effimera.
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L’infinito La lirica ha: Una durata temporale interna
Un andamento narrativo Due sensazioni e due immaginazioni in successione tra loro, scaturendo l’una dall’altra. Successione narrativa non come evento unico ma ripetuto più volte (“Sempre caro mi fu…”)
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L’infinito Passaggio psicologico.
L’io lirico prova sgomento davanti alle immagini interiori dell’infinito spaziale (“si spaura”). nella seconda parte, l’io si annega nell’immensità dell’infinito (spaziale e temporale) sino a perdere la sua identità. Sensazione piacevole del naufragio. Non c’è contrasto tra spaurarsi e naufragar, ma aspetti dell’orrore dilettevole che dà l’immaginazione dell’infinito (Cellerino 1972).
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L’infinito Il perdersi dell’io nell’infinito è l’elemento costitutivo dell’esperienza mistica. Zibaldone: Leopardi usa il termine “estasi” per definire questi momenti di rapimento. De Sanctis: interpretazione in chiave religiosa. Stessa interpretazione data dagli idealisti. Tuttavia nel componimento nessun accenno ad una dimensione trascendente e sovrannaturale. L’infinito non ha le caratteristiche del divino e dello spirituale (escluso da Leopardi nello Zibaldone). “L’infinità della inclinazione dell’uomo è una infinità materiale”. Infinito non ontologico ma soggettivo, evocato da sensazioni fisiche, in chiave prettamente sensistica.
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L’Infinito Struttura dal rigoroso disegno costruttivo, fondata su precise simmetrie e molto articolata al suo interno. I due momenti (spaziale vv. 1-8 e temporale vv. 8-15) occupano ognuno 7 versi e mezzo. Passaggio al v. 8 con una forte pausa al centro.
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L’Infinito All’interno di queste due sezioni ancora altre due parti:
Nella prima (vv. 1-3 e 8-10) si ha il punto di partenza dell’immaginazione dal dato reale e sensibile. Nella seconda (vv. 4-8 e 10-15) l’allontanamento dalla realtà verso l’infinito immaginato.
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L’infinito Simmetrie sul piano sintattico
I due periodi dell’esperienze dell’infinito spaziale e temporale costruiti su due serie di polisindeto. Simmetrie si rompe sul piano lessicale. Infinito spaziale – parole molto lunghe (quattro e cinque sillabe). Infinito temporale – parole più brevi di massimo tre sillabe
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L’infinito Livello fonico
Infinità spaziale - /a/ toniche che danno idea di vastità (interminati spazi) Brivido di sgomento con vocali dal suono cupo: velari /o/ e /u/ (“spaura”) Naufragio finale accompagnato di nuovo dall’ampiezza delle /a/ (naufragar, immensità, mare)
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L’infinito Continuum metrico-sintattico
Tranne il primo e l’ultimo, nessun verso è isolabile sintatticamente. Dieci enjambements. Continuità ribadita, sul piano sintattico, da particelle congiuntive che allacciano i periodi (ma, ove, e) Processo unitario e continuo
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Ultimo canto di Saffo Canzone di 4 strofe di 18 versi ciascuno
I primi 16 endecasillabi sciolti Ultimi due a rima baciata (settenario ed endecasillabo) Spunto tratto da Ovidio, Eroidi XV Personaggio pura proiezione autobiografica e portavoce delle idee leopardiana Monologo attribuito a Saffo che, secondo leggenda, si sarebbe uccisa gettandosi dal promontorio di Leucade per amore di Faone.
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Ultimo canto di Saffo Tema centrale – infelicità come destino individuale dell’io lirico che un errore del caso (corpo brutto) ha condannato all’esclusione dalla natura e all’infelicità. Idea dell’infelicità individuale si allarga a un’infelicità universale che abbraccia tutti gli uomini. Il discorso passa dall’io iniziale al noi Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor. Negletta prole nascemmo al pianto, e la ragione in grembo de’ celesti si posa. (vv )
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Ultimo canto di Saffo Condizione dell’uomo condannato a perdere ben presto la gioia giovanile e a patire malattie. Infelicità non solo dei moderni che hanno perso la facoltà di illudersi, ma coinvolge tutti gli uomini di tutti i tempi. Esempio di infelicità è Saffo: la miseria umana non risparmia neanche gli antichi che Leopardi riteneva privilegiati perché più vicini alla natura e immuni dagli effetti distruttivi della ragione. Concezione dell’infelicità universale – da natura benigna a quella maligna , fato crudele e cieco. Uomo come negletta prole e destinato alla sofferenza senza scampo. In Dialogo della natura e di un Islandese: attribuzione alla natura delle caratteristiche di questo fato ostile all’uomo e passaggio da un pessimismo sensistico-esistenziale ad un pessimismo radicale, materialistico e cosmico. Saffo portatrice di una coscienza tutta moderna e portavoce del poeta stesso.
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Ultimo canto di Saffo Canzone dominata dal “linguaggio del vero”
Metafore ardite attraverso cui il negativo assume sostanza corposa e tangibile: “Sì torvo… di fortuna il volto”, “disfiorato… si volvesse il ferrigno mio stame”, “l’obra della gelida morte”). Domina il lessico aulico – funzione di dare una forma solennemente definitiva al negativo: “arcano consiglio”, “negletta prole”, “indomita Parca”, “velo indegno”. Sentenze secche: “Arcano è tutto / fuor che il nostro dolor”.
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Ultimo canto di Saffo Esempi di linguaggio dell’immaginare.
Non vago e indefinito. Abbandono al vagheggiamento di visioni idilliche: “Placida notte, e verecondo raggio / della cadente luna” (notturno lunare richiama l’apertura della Sera del dì di festa) “mattutino albor” “candido rivo” “puro seno” “odorate spiagge” (motivi del profumo connota i paseaggi idillici leopardiani: “maggio odoroso” in A Silvia e “odorati colli” delle Ricordanze).
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Ultimo canto di Saffo: tema della morte
Il suicidio è considerato l’ultima risposta non solo di fronte all’infrangersi delle illusioni d’amore, ma anche di fronte all’avversione della natura che disprezza la nobiltà d’animo. Il suicidio di Saffo è anche un gesto catartico di romantica purificazione da un errore di natura che aveva rivestito la sua anima di un “velo indegno.”
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Tema della morte Il tema della morte e del suicidio ricorre insistentemente nello Zibaldone, considerato l’officina tematica e poetica del recanatese. Si legge nel pensiero sessantaquattresimo: [...] nell’amore la disperazione mi portava più volte a desiderar vivamente di uccidermi: mi ci avrebbe portato senza dubbio da se, ed io sentivo che quel desiderio veniva dal cuore ed era nativo e mio proprio, non tolto in prestito, ma egualmente parea di sentire che quello mi sorgea così tosto perché dalla lettura recente del Werther, sapevo che quel genere di amore finiva così, in somma la disperazione mi portava là, ma s’io fossi stato nuovo in queste cose, non mi sarebbe venuto in mente quel desiderio così presto, dovendolo io come inventare, laddove me lo trovava già inventato. Il passo citato è un chiaro esempio del topos della morte desiderata e ritenuta l’ ultima risposta ad una condizione di sofferenza individuale e psicologica, questa causata da una delusione d’amore. Il pensiero del suicidio è fomentato dalla lettura del Werther di Goethe, il celeberrimo modello letterario di suicidio.
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Tema della morte L’inevitabilità della sofferenza e l’impossibilità di esser felice rendono l’uomo prima indifferente e poi disincantato rispetto alle sue aspettative. Tale disillusione conduce all’odio dell’esistenza e alla visione antagonistica di sé. L’annullarsi nella morte induce un ironico sorriso, concepito come smacco del destino. Nasconde una certa disperazione e consapevolezza dell’eterna infelicità, a cui si è destinati.
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