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dott.ssa Manuela Molinaro B&P avvocati

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Presentazione sul tema: "dott.ssa Manuela Molinaro B&P avvocati"— Transcript della presentazione:

1 dott.ssa Manuela Molinaro B&P avvocati www.buttiandpartners.com
Diritto internazionale e comunitario dell’ambiente. L’attuazione del protocollo di Kyoto. dott.ssa Manuela Molinaro B&P avvocati

2 INDICE 1. Il diritto internazionale dell’ambiente: aspetti generali
2. Il diritto comunitario dell’ambiente: aspetti generali 3. Il protocollo di Kyoto e la sua attuazione

3 1. IL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE: ASPETTI GENERALI
1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente 1.2. Organizzazioni per la protezione del diritto internazionale dell’ambiente 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente 1.4. Principi generali di diritto internazionale dell’ambiente: cenni

4 FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE
1.1. INTRODUZIONE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE Trattati Consuetudine Principi generali del diritto Decisioni giurisdizionali Accordi volontari Hard e soft law

5 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
I TRATTATI Accordi scritti tra due o più Stati, disciplinati dal diritto internazionale, che creano o modificano diritti e doveri. Descritti anche come “convenzioni”, “accordi”, “protocolli”, “patti”, ecc.

6 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
Principali caratteristiche dei TRATTATI Offrono un quadro superiore di riferimento per affrontare le questioni ambientali, consentendo: flessibilità di costruzione legislativa meccanismi per incentivarne il rispetto o l’attuazione meccanismi di risoluzione delle controversie I trattati hanno forma scritta e di conseguenza, se confrontati con la consuetudine, sono più accessibili e suscettibili di trovare applicazione: questo aspetto è molto importante nel momento in cui si affronta una materia che richiede chiarezza e risposte giuridiche certe

7 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
L’ENTRATA IN VIGORE di un trattato Corrisponde alla data a partire dalla quale un trattato vincola ufficialmente le parti Anche qualora sia stato firmato, un accordo multilaterale tipicamente non entra in vigore finché un numero minimo di stati che lo hanno sottoscritto non ha depositato la propria ratifica. RATIFICA: il procedimento attraverso il quale i rispettivi governi nazionali conferiscono efficacia legale alla sottosottoscrizione dei propri rappresentanti Esempio: La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, sottoscritta il 31 dic. 1992, entrò in vigore il 21 marzo 1994 poiché erano richieste 50 ratifiche (art. 23 dell’UNFCCC)

8 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI QUESTIONI GENERALI Nel momento in cui un trattato è stilato è impossibile prevedere ogni situazione giuridica o di fatto che può sorgere in futuro Solo concetti abbastanza vaghi – nel senso di non troppo specifici e precisi – possono essere applicati a situazioni nuove attraverso l’interpretazione: in ogni caso, quando sorge una nuova questione, è sempre difficile stabilire fin dove possa essere coperta dalla disciplina antecedente Spesso le parti di un trattato non trovano un accordo sulla formulazione di obblighi specifici: pertanto in molti casi tali formulazioni sono vaghe e poco specifiche, e saranno precisate in seguito attraverso l’interpretazione

9 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI SOGGETTI COMPETENTI A INTERPRETARE I TRATTATI Come accade nei sistemi legali nazionali, il compito interpretativo spetta agli organi giurisdizionali. La Corte internazionale di giustizia (ICJ) è il più conosciuto tribunale internazionale, ma la sua giurisdizione si fonda sul consenso (Statuto della ICJ, art. 36, 29 giugno 1945 – entrato in vigore il 24 ott. 1945) Anche gli organi giurisdizionali o arbitrali creati dai trattati, quali la Convenzione sui Cambiamenti Climatici, sono competenti a interpretare il diritto L’attività di interpretazione può essere svolta anche dalle conferenze diplomatiche (ad esempio la Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente Umano ), dall’Assemblea Generale dell’ONU e e da istituzioni create da trattati ambientali.

10 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
B. LA CONSUETUDINE Diritto non scritto dedotto dai comportamenti degli Stati, qualora questi ultimi abbiano tenuto tale condotta nella convinzione di essere vincolati a far ciò dalla legge Secondo l’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, la consuetudine è la “prova di una pratica generale accettata come diritto” Il diritto internazionale consuetudinario è creato dalla fusione di un elemento oggettivo e di uno soggettivo

11 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
COMPORTAMENTO COSTANTE E UNIFORME (ELEMENTO OGGETTIVO) La prova necessaria a stabilirlo può derivare da: legislazione nazionale corrispondenza e note diplomatiche affermazioni e voti dei governi in organizzazioni e forum internazionali ratifiche di trattati contenenti le obbligazioni in questione opinioni di consulenti legali

12 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
ELEMENTO SOGGETTIVO Se il comportamento costante è considerato discrezionale, oppure semplicemente conveniente invece che obbligatorio, non è caratterizzato dall’elemento psicologico della “convinzione” e non può essere considerato diritto internazionale consuetudinario. LA FORMA SCRITTA E NON CODIFICATA DELLA CONSUETUDINE E’ UNA DELLE SUE DEBOLEZZE. UN RIMEDIO PUÒ ESSERE RAPPRESENTATO DALLA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO, (OPERAZIONE CHE LO RENDE ACCESSIBILE E PIÙ FACILMENTE CONOSCIBILE, DIMINUENDO PERTANTO L’INCERTEZZA DEL DIRITTO)

13 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
C. PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO Secondo l’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, “La Corte, la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili” Il riferimento ai principi generali di diritto “riconosciuti dalle nazioni civili” è un’espressione un po’ anacronistica degli anni ‘40

14 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
C. PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO Se si interpreta alla lettera l’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, i principi internazionali di diritto avrebbero lo stesso status dei trattati e della consuetudine Sono i tribunali – non gli Stati! – che hanno il potere di enunciare i principi generali di diritto attraverso un processo di induzione

15 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
D. DECISIONI GIURISDIZIONALI Lo Statuto della ICJ limita il ruolo delle decisioni giurisdizionali a quello di “mezzi sussidiari per la determinazione delle regole di diritto” Una delle ragioni è che le decisioni dei tribunali internazionali, comprese quelle della ICJ, non sono vincolanti, tranne che tra le parti e rispetto alla specifica controversia

16 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
D. DECISIONI GIURISDIZIONALI Comunque, le decisioni giurisdizionali giocano un ruolo importante in ogni sistema di diritto consuetudinario, rendendo più chiare le regole incerte e non scritte Inoltre, le decisioni giurisdizionali sono diventate parte del corpo sostanziale del diritto consuetudinario – anche perchè i tribunali internazionali tendono a seguire le decisioni precedenti

17 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
E. ACCORDI VOLONTARI Accanto ai trattati internazionali, negli anni più recenti sono stati stipulati diversi tipi di accordi internazionali volontari Esempio: accordi di partnership che coinvolgono Stati e soggetti di diritto privato, risoluzioni politiche, codici di comportamento, dichiarazioni, programmi e vari altri strumenti non internazionali Gli accordi volontari possono essere usati come prova della costanza di un comportamento, sia con riguardo all’interpretazione dei trattati di cui all’art. 31(3)b della Convenzione di Vienna sui Trattati, sia per individuare il diritto consuetudinario

18 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
F. “HARD LAW” E “SOFT LAW” I termini “hard law” e “soft law” si riferiscono al tipo di strumento usato per stabilire regole nel diritto internazionale Il criterio comunemente usato per distinguere tra “hard” e “soft” law è che solo gli strumenti di “hard law” sono legalmente vincolanti - hard law: include i trattati e il diritto consuetudinario - soft law: include le dichiarazioni di principio, i codici di comportamento, le raccomandazioni, le linee guida, le risoluzioni e gli standard

19 1.1. Introduzione: fonti del diritto internazionale dell’ambiente
F. “HARD LAW” E “SOFT LAW” Gli Stati possono sentirsi vincolati anche dalle previsioni degli strumenti di “soft law”: gli strumenti di “soft law” sono spesso negoziati in un clima politico, per cui c’è una pressione intrinseca a rispettarne i termini gli Stati possono aderire a uno strumento di “soft law” solo a condizione di reciprocità gli Stati cercano di mantenere un’immagine di affidabilità verso gli altri Stati in caso di violazioni, sussiste spesso la minaccia di “vendetta” da parte degli altri Stati o altre forme di “sanzioni”

20 1.2. ORGANIZZAZIONI PER LA PROTEZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE
Organizzazioni globali Organizzazioni regionali Organizzazioni create da specifici trattati Organizzazioni non governative (NGOs)

21 ORGANIZZAZIONI GLOBALI
1.2. Organizzazioni per la protezione del diritto internazionale dell’ambiente ORGANIZZAZIONI GLOBALI L’ONU venne creata nel 1947 – prima che maturasse una “consapevolezza ambientale” Il suo Statuto crea sette organi principali, tra cui i più importanti sono l’Assemblea Generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), e la Corte internazionale di Giustizia (ICJ) Con lo Statuto dell’ONU non viene creato un organismo ambientale né si attribuiscono competenze specifiche per la protezione dell’ambiente

22 ORGANIZZAZIONI GLOBALI
1.2. Organizzazioni per la protezione del diritto internazionale dell’ambiente ORGANIZZAZIONI GLOBALI Attraverso trattati o accordi sono state create diverse organizzazioni internazionali conosciute come Agenzie specializzate dell’ONU (es. FAO, ILO, UNESCO..) Hanno personalità giuridica e possono esercitare diritti e obblighi come soggetti di diritto internazionale In molti casi, attraverso l’interpretazione dei loro trattati costitutivi, è stata riconosciuta loro una “competenza ambientale”

23 B. ORGANIZZAZIONI REGIONALI
1.2. Organizzazioni per la protezione del diritto internazionale dell’ambiente B. ORGANIZZAZIONI REGIONALI Diverse organizzazioni regionali giocano un ruolo fondamentale nel diritto internazionale dell’ambiente La più importante è l’Unione Europea (UE): è la forma più avanzata di organizzazione internazionale Ha tre caratteri fondamentali: istituzioni in grado di creare diritto istituzioni compenti a interpretare e ad attuare il diritto un tribunale con giurisdizione obbligatoria

24 C. ORGANIZZAZIONI CREATE DA SPECIFICI TRATTATI
1.2. Organizzazioni per la protezione del diritto internazionale dell’ambiente C. ORGANIZZAZIONI CREATE DA SPECIFICI TRATTATI Molti trattati creano accordi istituzionali (o organizzazioni internazionali rudimentali) per la loro attuazione Alcuni di essi sono chiamati Conferenze delle Parti: includono un Segretariato Permanente e un budget, e, in alcuni casi, organi speciali di consulenza scientifica Esempi: - incontri regolari della parti istituiti dal Protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono lo strato d’ozono, 16 Sett. 1987 - la Conferenza sui Cambiamenti Climatici istituisce una Conferenza annuale delle Parti

25 D. ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE
1.2. Organizzazioni per la protezione del diritto internazionale dell’ambiente D. ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE (NGOs) Organizzazioni non governative (come il World Wildlife Fund – WWF) sono diventate attori stabili nel procedimento di attuazione del diritto dell’ambiente per una serie di ragioni: sono più vicine alle persone colpite da situazioni di degrado ambientale e possono rappresentarle più “fedelmente” e diligentemente dei loro Governi hanno avuto il maggiore ruolo nel creare organi di scienziati per lo studio degli effetti e degli impatti derivanti da vari problemi ambientali hanno un innegabile ruolo politico a livello internazionale

26 1.3. PRINCIPALI TRATTATI DI DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE
Dalle prime convenzioni sulla pesca alla creazione delle Nazioni Unite Dalla creazione delle Nazioni Unite a Stoccolma ( ) Da Stoccolma a Rio ( ) La Convenzione delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo - UNCED (1992) Conclusioni

27 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
A. LE PRIME CONVENZIONI SULLA PESCA I primi sviluppi delle regole di diritto internazionale tendevano alla conservazione di alcune specie animali (pesci, balene..) Questi trattati avevano un oggetto molto limitato Convenzioni bilaterali sulla pesca vennero adottate a metà del XIX secolo per evitare l’eccessivo sfruttamento

28 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
A. DALLE PRIME CONVENZIONI SULLA PESCA ALLA CREAZIONE DELLE NAZIONI UNITE In questo periodo due dispute vennero sottoposte ad arbitrati internazionali: 1. Pacific Fur Seal Arbitration: nella disputa tra USA e Gran Bretagna concernente l’eccessivo sfruttamento delle pellicce di foca il collegio stabilì regole per la “opportuna protezione e preservazione” della specie in questione 2. Il caso Trail Smelter: in una disputa del 1930 tra USA e Canada concernente le emissioni di fumi sulfurei da un’acciaieria situata in Canada che aveva causato danni nello Stato di Washington, il collegio stabilì che “nessuno Stato ha diritto di usare o permettere che venga fatto un uso del suo territorio tale da causare pregiudizio attraverso emissioni al territorio di un altro Stato o alle persone o alle proprietà all’interno dello stesso”

29 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
A. DALLE PRIME CONVENZIONI SULLA PESCA ALLA CREAZIONE DELLE NAZIONI UNITE Il principio stabilito dal tribunale nel caso Trail Smelter rappresentò una tappa fondamentale per il diritto internazionale dell’ambiente, influenzando gli sviluppi successivi In ogni caso, in tale momento storico le regole di diritto internazionale erano limitate: - alla regione che coprivano - alla materia che indirizzavano LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE INIZIO’ A DIVENTARE CONSAPEVOLE CHE LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NATURALI NON POTEVA AVVENIRE IN MANIERA ILLIMITATA

30 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
B. DALLA CREAZIONE DELL’ONU ALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA ( ) La creazione dell’ONU nel 1945 rappresenta l’inizio della seconda fase dello sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente Il trattato istitutivo delle Nazioni Unite non includeva disposizioni in materia ambientale o concernenti la conservazione di risorse naturali, nè era stato istituito un organo ambientale tra le Agenzie specializzate LA BASE PER LA SUCCESSIVA ATTIVITA’ DELL’ONU IN CAMPO AMBIENTALE VENNE RITROVATA NELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN CAMPO ECONOMICO, SOCIALE, CULTURALE E UMANITARIO

31 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
B. DALLA CREAZIONE DELL’ONU ALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA ( ) 1959: Il Trattato dell’Antartico impose alle parti di dedicarsi ad attività pacifiche nella regione, proibendo esplosioni nucleari e eliminazione di scorie radioattive 1967: La comunità europea (CE) adottò il suo primo atto ambientale, concernente classificazione, imballaggio e etichettatura delle sostanze pericolose (in assenza di espresse previsioni sulla competenza ambientale nel Trattato di Roma ) 1972: La convenzione di Ramsar fu il primo trattato ambientale a stabilire regole per indirizzare la conservazione di un particolare tipo di ecosistema

32 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
B. DALLA CREAZIONE DELL’ONU ALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA ( ) Tutti questi trattati nacquero in assenza di coordinamento e senza una coerente strategia ambientale Mancavano procedimenti internazionali per assicurare l’attuazione del diritto internazionale dell’ambiente e un’autorità internazionale responsabile del coordinamento In questo contesto si tenne la Conferenza di Stoccolma (5-16 Giugno1972)

33 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
B. DALLA CREAZIONE DELL’ONU ALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA ( ) La conferenza prese in considerazione gli effetti dell’impatto umano sulla biosfera, inclusi gli effetti dell’inquinamento atmosferico e marino, la deforestazione e le opere di bonifica Gli elementi significativi di innovazione concernevano: 1- la ridefinizione delle questioni ambientali 2- l’attenzione per la cooperazione 3- l’approccio alla responsabilità internazionale

34 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
B. DALLA CREAZIONE DELL’ONU ALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA ( ) Disposizioni molto rilevanti sono contenute ai Principi 21, 22 e 24: Principio 21: La Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale riconoscono agli Stati il diritto sovrano di sfruttare le risorse in loro possesso, secondo le loro politiche ambientali, ed il dovere di impedire che le attività svolte entro la propria giurisdizione o sotto il proprio controllo non arrechino danni all'ambiente di altri Stati o a zone situate al di fuori dei limiti della loro giurisdizione nazionale. Principio 22: Gli Stati devono collaborare al perfezionamento del codice di diritto internazionale per quanto concerne la responsabilità e la riparazione dei danni causati all'ambiente (…) Principio 24: La cooperazione per mezzo di accordi internazionali o in altra forma è importante per impedire, eliminare o ridurre e controllare efficacemente gli effetti nocivi arrecati all'ambiente da attività svolte in ogni campo, tenendo particolarmente conto della sovranità e degli interessi di tutti gli Stati

35 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
B. DALLA CREAZIONE DELL’ONU ALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA ( ) Altri principi importanti: Principio 1: L'uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all'eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed è altamente responsabile della protezione e del miglioramento dell'ambiente davanti alle generazioni future Principi 2, 3, 5: linee guida generali per la salvaguardia delle risorse naturali Principi 8-15: questioni che riflettono la relazione tra sviluppo economico e sociale, da un lato, e ambiente, dall’altro Principi 16-20: occorrono opportune politiche demografiche; occorre promuovere le applicazioni scientifiche e tecnologiche, l’educazione e la ricerca scientifica

36 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
C. DALLA DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA A RIO ( ) Alla fine degli anni ’80 si era creata una discreta area chiamata diritto internazionale dell’ambiente: - erano state stabilite regole che vietavano agli Stati di svolgere attività che potessero essere pregiudizievoli all’ambiente - erano stati adottati meccanismi quali la valutazione di impatto ambientale e l’accesso alle informazioni ambientali Nel dicembre 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite convocò la Conferenza per l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED), che si tenne a Rio de Janeiro nel 1992

37 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
D. L’UNCED (1992) La conferenza di Rio adottò tre strumenti non vincolanti: la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo un’affermazione di principi per il consenso globale su Management, conservazione e sviluppo sostenibile per tutti i tipi di foreste l’Agenda 21 La Conferenza di Rio si concentrò sull’EQUILIBRIO TRA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E SVILUPPO ECONOMICO

38 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
D. L’UNCED (1992) La DICHIARAZIONE DI RIO rappresentò: - un compromesso tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo - un equilibrio tra l’obiettivo di protezione ambientale e quello di sviluppo economico Comprendeva 27 principi a partire dai quali Stati e persone dovevano collaborare e sviluppare il diritto internazionale nel campo dello sviluppo sostenibile Non era vincolante ma rappresentava in parte regole di diritto consuetudinario e in parte regole emergenti, fornendo così una guida per gli sviluppi futuri

39 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
D. L’UNCED (1992) Principio 1: Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura. Principio 2: Conformemente alla Carta delle Nazioni ed ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo, ed hanno il dovere di assicurare che le attività sottoposte alla loro giurisdizione o al loro controllo non causino danni all'ambiente di altri Stati o di zone situate oltre i limiti della giurisdizione nazionale.

40 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
D. L’UNCED (1992) I principi 3 e 4 vanno letti assieme: il primo rappresenta una “vittoria” per i Paesi in via di sviluppo, il secondo è la risposta dei Paesi sviluppati Principio 3: Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all'ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future. Principio 4: Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell'ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo.

41 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
D. L’UNCED (1992) Principio 15: Al fine di proteggere l'ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale. (PRINCIPIO DI PRECAUZIONE) Principio 16: Le autorità nazionali dovranno adoperarsi per promuovere l'"internalizzazione" dei costi per la tutela ambientale e l'uso di strumenti economici, considerando che, in linea di principio, e‘ l'inquinatore a dover sostenere il costo dell'inquinamento, tenendo nel debito conto l'interesse pubblico e senza alterare il commercio e le finanze internazionali. (PRINCIPIO “CHI INQUINA PAGA”)

42 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
D. L’UNCED (1992) Principio 7: Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l'integrità dell'ecosistema terrestre. In considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le loro società esercitano sull'ambiente globale e le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono. (“RESPONSABILITÀ COMUNI MA DIFFERENZIATE”)

43 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
E. CONCLUSIONI Dopo l’UNCED, sono stati adottati altri strumenti, tra i quali: - il Protocollo di Kyoto (1997) attua la Convenzione sui cambiamenti climatici del 1992 - il c.d. Biosafety Protocol (2000) attua la Convenzione sulla diversità biologica ENTRAMBI GLI STRUMENTI RIFLETTONO UN NUOVO APPROCCIO DEL DIR. INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE, CHE VALORIZZA IL RUOLO DEI SOGGETTI PRIVATI Nel 1998, venne adottata la Convenzione di Aarhus, il primo trattato a disciplinare i diritti di partecipazione sanciti nel Principio 10 della Dichiarazione di Rio

44 1.3. Principali trattati di diritto internazionale dell’ambiente
E. CONCLUSIONI Nel settembre 2002 si tenne a Johannesburg il World Summit sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD), quale follow-up dell’UNCED Il WSSD non adottò nessuna convenzione o dichiarazione di principi Conteneva un Piano di attuazione senza specifiche azioni da prendere, ma con aspirazioni generali riguardanti: fame, acque potabile, cure sanitarie di base, energia, rifiuti pericolosi, piani di efficienza, ambiente marino, diversità biologica, sviluppo sostenibile, .. Il dir. internazionale dell’ambiente sta muovendo verso una nuova fase: avrà sempre più a che fare con questioni procedurali e istituzionali, e sarà sempre più integrato negli aspetti economici e dello sviluppo

45 1.4. PRINCIPI DI DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE - CENNI
Sovranità sulle risorse naturali. Responsabilità di non causare danno all’ambiente di altri Stati o ad aree poste sotto la loro giurisdizione nazionale Principio dell’azione preventiva Principio di cooperazione Sviluppo sostenibile Principio “chi inquina paga” Principio di precauzione Principio delle responsabilità comuni ma differenziate

46 1.4. Principi di diritto internazionale dell’ambiente: cenni
SOVRANITÀ SULLE RISORSE NATURALI. RESPONSABILITÀ DI NON CAUSARE DANNO ALL’AMBIENTE DI ALTRI STATI O AD AREE POSTE SOTTO LA LORO GIURISDIZIONE NAZIONALE Dichiarazione di Stoccolma - art. 21 La Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale riconoscono agli Stati il diritto sovrano di sfruttare le risorse in loro possesso, secondo le loro politiche ambientali, ed il dovere di impedire che le attività svolte entro la propria giurisdizione o sotto il proprio controllo non arrechino danni all'ambiente di altri Stati o a zone situate al di fuori dei limiti della loro giurisdizione nazionale.

47 1.4. Principi di diritto internazionale dell’ambiente: cenni
PRINCIPIO DELL’AZIONE PREVENTIVA Sono connessi al Principio 21 il divieto di causare danni all’ambiente e l’obbligo di ridurre o controllare le attività che possano causare tali danni Si tratta di un obbligo distinto da quello del Principio 21 Il principio dell’azione preventiva richiede che vengano prese misure tempestivamente e, se possibile, prima che il danno si sia verificato

48 1.4. Principi di diritto internazionale dell’ambiente: cenni
C. SVILUPPO SOSTENIBILE Si ritiene che l’espressione “sviluppo sostenibile” sia stata usata la prima volta nel 1987 (nel Rapporto Brundtland), dove fu definito come “lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri” Elementi: generazioni future utilizzo sostenibile delle risorse naturali (accettazione dei limiti a tale utilizzo e sfruttamento) integrazione di ambiente e sviluppo

49 1.4. Principi di diritto internazionale dell’ambiente: cenni
D. CHI INQUINA PAGA Il principio stabilisce che i costi dell’inquinamento devono essere sopportati dalla persona responsabile della causazione dell’inquinamento stesso Il significato del principio e la sua applicazione a casi o situazioni particolari rimangono aperte all’interpretazione Il principio è connesso alla responsabilità civile per il danno ambientale

50 1.4. Principi di diritto internazionale dell’ambiente: cenni
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE (rinvio) PRINCIPIO DELLE RESPONSABILITÀ COMUNI MA DIFFERENZIATE (cfr. Pr. 7 di Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo - UNFCCC)

51 2. IL DIRITTO COMUNITARIO DELL’AMBIENTE: ASPETTI GENERALI
2.1. Introduzione: rilevanza del profilo comunitario nel diritto ambientale 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria 2.3. Sviluppi e applicazioni del diritto ambientale comunitario

52 UNIFORMITA’ DEL DIRITTO AMBIENTALE DEGLI STATI MEMBRI
2.1. Introduzione: rilevanza del profilo comunitario nel diritto ambientale UNIFORMITA’ DEL DIRITTO AMBIENTALE DEGLI STATI MEMBRI Il diritto ambientale degli Stati membri presenta nel complesso una sostanziale uniformità, raggiunta attraverso: direttive sul ravvicinamento delle legislazioni in materia formulazione, a livello comunitario, di principi che hanno progressivamente influenzato le legislazioni nazionali sentenze della Corte di Giustizia

53 RAPPORTO CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE
2.1. Introduzione: rilevanza del profilo comunitario nel diritto ambientale RAPPORTO CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE Molti atti internazionali si limitano a fissare una serie di principi in materia ambientale: spesso tali norme entrano a far parte del diritto interno degli Stati membri attraverso il diritto comunitario (Il diritto comunitario esercita un’influenza più penetrante sugli ordinamenti interni in quanto direttamente applicabile) Vi è una sostanziale corrispondenza tra i principi del diritto internazionale dell’ambiente e quelli del diritto comunitario

54 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
LA NOZIONE DI DIRITTO AMBIENTALE COMUNITARIO Nei trattati istitutivi delle Comunità Economiche Europee la protezione dell’ambiente non era espressamente contemplata tra le materie di interesse comunitario Trattato CECA: la protezione dell’ambiente era menzionata con riferimento all’ambiente di lavoro (previsto il sovvenzionamento di attività di ricerca relative all’ambiente di lavoro in un’ottica di miglioramento della qualità della vita del settore architettonico ed urbanistico) Trattato EURATOM: il terzo capitolo era dedicato interamente alla protezione dalla contaminazione radioattiva (attribuiva ampi poteri alla Commissione per un’azione di protezione ambientale nel settore dell’energia nucleare. Si trattava comunque di un intervento settoriale, che non andava nel senso della realizzazione di una vera politica ambientale comunitaria) Trattato CEE: nella versione originale non era presente alcun riferimento alla protezione dell’ambiente

55 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
DAL 1973 ALL’ATTO UNICO EUROPEO (1986) Serie di direttive miranti principalmente a migliorare il funzionamento del mercato interno, ma contenenti norme che creano obblighi per gli Stati membri in materia ambientale dir. 79/409/CEE (sulla conservazione degli uccelli selvatici): la tutela della fauna e degli habitat naturali è per la prima volta oggetto di un atto comunitario specifico dir. 85/337/CEE (sulla valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici o privati): è tra gli atti più noti in materia ambientale, ispirata dal principio di precauzione dir. 75/442/CEE (relativa ai rifiuti)

56 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
L’ATTO UNICO EUROPEO (1986) 1986: la politica ambientale viene disciplinata per la prima volta a livello comunitario dall’Atto Unico europeo (L’Atto Unico introdusse nel testo originario del Trattato CEE gli articoli 130R e 130T) 130R: l’azione della Comunità in materia ambientale si fonda sui principi dell’azione preventiva e della correzione (alla fonte) dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga” 130T: i provvedimenti adottati dalla Comunità e volti alla protezione dell’ambiente non impediscono agli Stati membri di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore

57 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
IL TRATTATO DI MAASTRICHT (1992) 1992: il Trattato di Maastricht disciplina in modo ancora più dettagliato la politica della Comunità a livello ambientale obiettivo di assicurare un “elevato livello di tutela ambientale” esplicita previsione di un “principio di precauzione” distinto da quello di “prevenzione” riconoscimento della necessità di promuovere sul piano internazionale misure per risolvere problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale (riflessi dell’incidente di Chernobyl)

58 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
IL TRATTATO DI AMSTERDAM (1999) Trattato di Amsterdam: inserisce nell’art. 2 (obiettivi e compiti della Comunità) il perseguimento di un elevato livello di protezione dell’ambiente l’art. 6 afferma che “le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche comunitarie”

59 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
DAL TRATTATO DI NIZZA (2001) AL TRATTATO CHE ADOTTA UNA COSTITUZIONE PER L’EUROPA (2004) Trattato di Nizza: nessuna modifica di rilievo Trattato che adotta una costituzione per l’Europa (non in vigore) Dà particolare risalto al tema dello sviluppo sostenibile Si attribuisce all’azione esterna dell’Unione il compito di “contribuire alla messa a punto di misure internazionali volte a preservare e a migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile”

60 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
IL TRATTATO DI LISBONA (2007) Trattato di Lisbona: firmato il 13 dicembre 2007 dai rappresentanti dei 27 paesi membri dell’Unione Europea, modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato sulla Comunità europea.

61 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
GLI OBIETTIVI DELLA POLITICA AMBIENTALE COMUNITARIA Art. 2 Trattato CE: è compito della Comunità Europea promuovere “uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche” nonché “un elevato livello di protezione dell’ambiente” [disposizioni analoghe nel nuovo art. 2 del Trattato sull’Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona]

62 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
GLI OBIETTIVI DELLA POLITICA AMBIENTALE COMUNITARIA Art. 174 Trattato CE - Gli obiettivi che la Comunità Europea deve perseguire sono: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente protezione della salute umana utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale

63 2.2. La storia della politica ambientale comunitaria
LE COMPETENZE DELLA COMUNITA’ IN MATERIA AMBIENTALE Trattato di Lisbona (2007): l’Unione ha competenza esclusiva per la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della comune della pesca l’Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri in materia ambientale

64 2.3. Sviluppi e applicazioni del diritto ambientale comunitario
GLI ATTI COMUNITARI IN MATERIA AMBIENTALE: LA TUTELA DELL’AMBIENTE TERRESTRE L’azione della Comunità Europea si è concentrata su: conservazione dell’ambiente naturale gestione dei rifiuti protezione dei suoli

65 2.3. Sviluppi e applicazioni del diritto ambientale comunitario
GLI ATTI COMUNITARI IN MATERIA AMBIENTALE: L’AZIONE NEL CAMPO DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO dagli anni ’70: direttive sull’emissione dei gas di scarico di veicoli (es. dir. ’85: gli Stati avrebbero dovuto introdurre la benzina senza piombo dall’89..) ’84: direttiva su obbligo di dotare i nuovi impianti industriali delle migliori tecnologie disponibili 2000: direttiva sui limiti di emissione per i grandi impianti industriali

66 2.3. Sviluppi e applicazioni del diritto ambientale comunitario
GLI ATTI COMUNITARI IN MATERIA AMBIENTALE: LA TUTELA DELLE ACQUE DOLCI, COSTIERE E DELL’AMBIENTE MARINO ’75: direttiva sulla tutela delle acque superficiali per l’estrazione dell’acqua potabile ’76: direttiva sulle acque di balneazione 2000: direttiva che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque la Comunità ha preso parte a numerose convenzioni internazionali relative alla tutela delle acque marine dall’inquinamento

67 2.3. Sviluppi e applicazioni del diritto ambientale comunitario
GLI ATTI COMUNITARI “TRASVERSALI” ’85: direttiva sulla valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati 1990: direttiva che istituisce l’Agenzia europea dell’ambiente (con il compito di creare e coordinare una rete europea di informazione e osservazione in materia ambientale) 1990 e 2003: direttive sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale

68 3. CAMBIAMENTI CLIMATICI GLOBALI. IL PROTOCOLLO DI KYOTO
3.1. Introduzione: l’aumento delle emissioni di GHGs 3.2. L’Earth Summit del 1992: l’UNFCCC 3.3. Il Protocollo di Kyoto

69 3.1. INTRODUZIONE: LE EMISSIONI DI GHGS- IMPATTI E CONSEGUENZE
L'effetto serra è il risultato della presenza attorno a un pianeta di un'atmosfera che assorbe parte dei raggi infrarossi emessi dal suolo quando questo è riscaldato dalla radiazione ricevuta dalla stella Questo effetto ha reso possibile la vita sulla terra e determina in gran parte il clima terrestre Gas responsabili: Vapore acqueo, CO2, CH4, CFCs, N2O, O3

70 3.1. INTRODUZIONE: LE EMISSIONI DI GHGS - IMPATTI E CONSEGUENZE
L’aumento della concentrazione dei gas serra è la causa principale del surriscaldamento terrestre. Porta anche a: eventi climatici estremi aridità e desertificazione aumento del livello dei mari Le responsabilità dell’uomo: utilizzo di combustibili fossili, produzione di cemento, deforestazione … IPCC report 1990: aumento di 0.3°C ogni decade rispetto al periodo pre-industrializzato: +2°C nel 2025, +4°C nel 2100 aumento del livello del mare di 20cm nel 2030, 65cm nel 2100

71 3.2. L’EARTH SUMMIT DEL 1992: L’UNFCCC
La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change) venne firmata all’Earth Summit del Con essa si stabilì un insieme di rimedi oggettivi rispetto al problema dell’aumento dell’effetto serra Articolo 2 “L’obiettivo ultimo della presente convenzione e di tutti i relativi strumenti giuridici che la conferenza delle parti può adottare è di stabilizzare, in conformità delle pertinenti disposizioni della convenzione, le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera a un livello tale che escluda qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. Tale livello deve essere raggiunto entro un periodo di tempo sufficiente per permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente ai cambiamenti di clima e per garantire che la produzione alimentare non sia minacciata e lo sviluppo economico possa continuare ad un ritmo sostenibile”

72 3.2. L’EARTH SUMMIT DEL 1992: L’UNFCCC
L’UNFCCC venne conclusa dopo un accelerato processo di negoziazione, cui diede inizio nel 1990 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite attraverso la creazione di un Comitato intergovernativo di negoziazione A causa del breve periodo di negoziazione, delle enormi implicazioni economiche e delle incertezze dal punto di vista scientifico, nella versione finale del trattato vennero adottate solo disposizioni molto prudenti Ad ogni modo, l’UNFCCC – diversamente da altre convenzioni quadro – era uno strumento giuridicamente vincolante: con essa venne creata una struttura istituzionale funzionale a un successivo sviluppo normativo Gli Stati non erano ancora pronti per adottare obblighi di riduzione delle emissioni tout-court: accettarono obblighi generali e crearono un’istituzione in grado di adottare strumenti più specifici

73 3.2. L’EARTH SUMMIT DEL 1992: L’UNFCCC
L’UNFCCC adotta per la prima volta il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” (art. 3,1): I PROBLEMI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE POSSONO ESSERE AFFRONTATI SOLO ATTRAVERSO LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, MA I DIVERSI STATI PRESENTANO CONDIZIONI SOCIALI ED ECONOMICHE DIVERSE CHE INFLUENZANO LA LORO CAPACITÀ DI RISPOSTA AL PROBLEMA. I PAESI SVILUPPATI CONDIVIDONO LA MAGGIORE RESPONSABILITÀ IN ORDINE ALL’EMISSIONE DI GHGs: devono essere i primi a intraprendere azioni per far fronte al problema

74 3.2. L’EARTH SUMMIT DEL 1992: L’UNFCCC
Sulla base del principio delle CBDR (Common but differentiated responsibilities) vennero stabiliti obblighi generali di riduzione diversi per Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo PAESI SVILUPPATI Obbligo di ridurre le emissioni complessive dei GHGs ai livelli del 1990 entro il 2000 Obbligo generale di realizzare trasferimenti finanziari e tecnologici verso i Paesi in via di sviluppo PAESI SVILUPPATI e PAESI IN VIA DI SVILUPPO Obbligo di creare un inventario dei GHGs e programmi nazionali di adattamento

75 3.2. L’EARTH SUMMIT DEL 1992: L’UNFCCC
L’APPROCCIO GLOBALE Nella prima fase delle negoziazioni volte alla creazione della UNFCCC, l’attenzione della Comunità internazionale era concentrata sulla riduzione delle emissioni di CO2 (il principale dei gas a effetto serra) In seguito, gli USA presentarono un approccio diverso: nell’attuazione degli obblighi di riduzione, le parti avrebbero potuto scegliere tra la riduzione di qualsiasi mix di GHGs e l’abbattimento attraverso i sinks Alla fine, l’UNFCCC recepì sostanzialmente l’approccio globale proposto dagli USA

76 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO LA STORIA
La prima UNFCCC COP (COP-1: prima Conferenza delle Parti) si tenne il 28 marzo 1995 a Berlino con lo scopo di indirizzare gli ulteriori obblighi, i meccanismi finanziari, gli aiuti tecnologici per i Paesi in via di sviluppo e le questioni amministrative e procedurali connesse ai cambiamenti climatici Con il MANDATO DI BERLINO i Paesi sviluppati si accordarono per future negoziazioni di un protocollo contenente obiettivi puntuali per la riduzione delle emissioni La COP-2 (seconda Conferenza delle Parti), riunita nel luglio 1996, diede luogo a significativi sviluppi, in particolare per quanto riguarda la posizione degli USA, che si indirizzarono verso un accordo giuridicamente vincolante che riconoscesse gli obiettivi del Mandato di Berlino e dell’UNFCCC (La posizione dell’Amministrazione Clinton non era condivisa dal Senato USA. Infatti, nel luglio 1997 una risoluzione del Senato chiarì che gli USA non sarebbero stati parte di nessun accordo sulla riduzione delle emissioni dei GHGs se i Paesi in via di sviluppo non fossero stati parte a loro volta)

77 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO LA STORIA
Alla COP-3 (terza Conferenza delle Parti) tenutasi a Kyoto nel 1997 vennero fatti significativi passi avanti in risposta al problema del riscaldamento globale Il Protocollo di Kyoto, adottato al termine della COP-3, è entrato in vigore il (Art. 25: il Protocollo entrerà in vigore dal 90° giorno in cui sarà ratificato da almeno 55 parti che lo hanno sottoscritto, a condizione che tali parti rappresentino almeno il 55% delle emissioni totali di CO2 rilevate nel 1990) Attualmente è stato ratificato da 169 Stati e dalla CE (con decisione del Consiglio 2002/358/CE del 25 aprile 2002), pari a circa il 61% delle emissioni. Gli Usa lo hanno sottoscritto ma non ratificato

78 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO IL CONTENUTO
L’art. 2 del Protocollo prevede degli obblighi generali per tutti gli Stati parte dello stesso secondo le proprie capacità (“policies and measures”) La CE avrebbe voluto che il protocollo ponesse obiettivi di riduzione e vincolasse gli Stati anche per quanto riguarda i metodi di perseguimento di tali obiettivi É prevalso l’atteggiamento degli USA e delle parti che volevano un trattato più “debole”, senza obblighi vincolanti quanto al “metodo”

79 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO IL CONTENUTO
L’art. 3 del Protocollo prevede obblighi specifici per tutti gli Stati elencati nell’Allegato I alla UNFCCC: a ciascuno Stato è assegnato un determinato tasso di emissioni nella prospettiva di ridurre almeno del 5% il livello di emissioni del 1990 nel periodo (“commitment period”) - i 39 Paesi dell’Allegato I sono solo Paesi industrializzati! - art. 3: “Annex I countries shall individually or jointly ensure that..” Per ogni Stato è fissato un target individuale: non devono superare il proprio ASSIGNED AMOUNT (AA) (es. se l’AA di uno Stato è “92”: deve ridurre dell’8% il livello di emissioni di gas serra relativo al Moltiplicando per 5 l’Assigned Amount si ottiene la quantità di gas serra che lo Stato in questione potrà emettere nel quinquennio )

80 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO IL CONTENUTO
Per permettere agli Stati di conseguire le riduzioni percentuali di CO2 stabilite, il protocollo di Kyoto ha individuato 3 strumenti (MECCANISMI FLESSIBILI) [Meccanismi flessibili: intesi in senso lato, comprendono anche l’uso dei sinks (art. 3, par. 3) e i burden sharing agreements (art. 4)] Art. 6 – Joint implementation (Ji) o azione congiunta Uno o più Stati “industrializzati” possono attuare un progetto congiuntamente ad uno dei Paesi che, pur avendo un vincolo alle emissioni, si trova in uno stato tecnologico più arretrato (es. Stati dell’Est europeo) 2. Art. 12 – Clean Development Mechanism (Cdm) o meccanismo di sviluppo pulito Gli Stati di cui all’Allegato I (soggetti a vincoli di emissione) possono esportare tecnologie a bassa emissione di CO2 da implementare in uno dei Paesi in via di sviluppo (tra cui – nel 1990 – erano stati ricompresi anche Cina, India e Brasile)

81 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO IL CONTENUTO
Sono meccanismi volontari e flessibili Alla base dell’adozione dei suddetti meccanismi vi sono motivazioni di carattere economico: se i Paesi sottoposti a vincolo di riduzione sono liberi di abbatterli in qualsiasi parte del mondo, sceglieranno di ridurli nelle zone dove ciò è più conveniente dal punto di vista economico. In questo modo, i Paesi industrializzati potranno: - abbattere le emissioni all’interno del proprio Paese - esportare tecnologie pulite negli stati in via di sviluppo o comunque in quelli che si trovano in uno stato tecnologico meno avanzato LE IMPRESE INVESTITRICI DEVONO RICAVARNE UN UTILE La riduzione di CO2 che si ottiene dall’attuazione dei meccanismi flessibili è premiata con il rilascio di crediti chiamati: - CERTIFICATED EMISSIONS REDUCTIONS (CERs) per i progetti Cdm - EMISSION REDUCTIONS UNITS (ERUs) nel caso dei progetti Ji

82 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO IL CONTENUTO 3. Art. 17 – International Emissions Trading Il terzo dei meccanismi flessibili previsti dal protocollo di Kyoto riguarda lo scambio commerciale dei crediti di emissioni Gli Stati dell’Allegato I o le imprese private - assegnatarie di quote di emissione in base ai piani nazionali di assegnazione - possono trasferire i “crediti” previsti dal Protocollo, e precisamente: - gli AAU (Assigned Amount Units) riguardano i Paesi industrializzati - gli RMU (Removal Units) riguardano i Paesi industrializzati - i CER (Certificated Emission Reductions) raggiunti con CDM - gli ERU (Emission Reduction Units) raggiunti con JI TUTTE QUESTE UNITÀ SONO CONSIDERATE EQUIVALENTI E INTERSCAMBIABILI

83 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO L’ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO NELLA CE
Il terzo dei meccanismi flessibili previsti da Kyoto ha trovato concreta attuazione all’interno della Comunità Europea attraverso la direttiva 2003/87/CE (c.d. direttiva emission trading). Sistema previsto: ogni Stato membro deve determinare un quantitativo massimo annuo di emissioni di CO2 (CAP), che va approvato dalla Commissione Europea (il cap è espresso in quote di emissione: diritto ad emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente) lo Stato membro assegna le quote a determinati soggetti appositamente autorizzati “ad emettere gas ad effetto serra”, che sono così legittimati a emettere in atmosfera tanti quantitativi di CO2 quanti quelli assegnati i soggetti autorizzati che nell’arco dell’anno hanno mantenuto il quantitativo di emissioni al di sotto del cap possono vendere la differenza di quote agli impianti che hanno invece oltrepassato il limite assegnato.

84 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO L’ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO NELLA CE
I soggetti che sforano il cap dovranno pagare: - sanzione pecuniaria allo Stato - prezzo per comprare le quote da restituire allo Stato stesso Fine ultimo dello schema: indurre le imprese a ritenere più vantaggioso investire in tecnologie ambientalmente sostenibili, rispetto all’acquistare quote sul mercato e pagare le sanzioni La CE ha abbandonato il metodo del Command and Control per far fronte al problema del riscaldamento globale: si è passati ad un c.d. Market Based Instrument (strumento economico-finanziario in grado di incentivare la tutela ambientale attraverso meccanismi di mercato) Altro elemento innovativo: creazione di un “bene” giuridicamente inteso (le quote di emissione), che lo Stato decide di assegnare a determinati soggetti autorizzati

85 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO L’ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO: CENNI AL CASO ITALIANO Legge 1 giugno 2002, n. 120 (“Ratifica ed esecuzione del protocollo di Kyoto alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997”) Decreto legge 12 novembre 2004, n. 273 (“Disposizioni urgenti per l’applicazione della direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di emissione di gas ad effetto serra nella Comunità europea”) La Commissione approva il Pna italiano con la decisione finale C(2005) 1527 del (dettando alcune condizioni) L’Italia, adeguandosi alla decisione della Commissione, approva la versione finale del Pna il

86 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO L’ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO: CENNI AL CASO ITALIANO Nel corso del tempo necessario all’approvazione da parte della Commissione del Pna, l’Italia ha dovuto necessariamente implementare il sistema attraverso alcuni decreti ministeriali attuativi del d.l. 273/2004. [I primi atti adottati furono le autorizzazioni all’emissione di CO2. Fecero seguito le linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di GHGs e le norme sull’accreditamento degli enti verificatori deputati a verificare i dati relativi alle emissioni] Il formale recepimento della direttiva 2003/87/CE si è avuto solo con il d. lgs. 4 aprile 2006, n. 216 Decreto del Ministro Ambiente 18 dicembre 2006 (Approvazione del Piano nazionale di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo )

87 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO PROFILI CRITICI
Secondo alcuni, Kyoto offre la diagnosi sbagliata in quanto confonde le cause con i sintomi: L’attenzione è focalizzata esclusivamente sulla riduzione delle emissioni di GHGs prodotte dalla combustione di idrocarburi Per intervenire sulla causa e non sui sintomi, Kyoto avrebbe dovuto promuovere politiche dirette ad ottenere e assicurare energia rinnovabile e sostenibile Infatti, l’85% dell’energia necessaria per soddisfare le esigenze globali è ora – e sarà probabilmente per i prossimi 30 anni – basata sugli idrocarburi: la CO2 continuerà ad aumentare!

88 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO PROFILI CRITICI
2. Altro errore fondamentale commesso con Kyoto: impostazione secondo la quale l’obiettivo di riduzione della CO2 poteva essere perseguito senza l’attiva partecipazione dei Paesi in via di sviluppo: L’esigenza di coinvolgere i Paesi in via di sviluppo nella ricerca di fonti alternative di energia è evidente se si pensa che nel 2015 tali Paesi consumeranno più petrolio dei Paesi dell’OCSE Diversamente, Kyoto ha vincolato i Paesi sviluppati a ridurre le loro emissioni dal 5 al 7 % al di sotto dei livelli del 1990 nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012, mentre in capo ai Paesi in via di sviluppo non sono state poste simili restrizioni (in nome del principio delle CBDR) Allo stesso tempo, concentrandosi solo sul riscaldamento globale, Kyoto ha frustrato gli obiettivi di sviluppo sostenibile tra i Paesi in via di sviluppo

89 3.3. IL PROTOCOLLO DI KYOTO PROFILI CRITICI
3. A 10 anni dalla sottoscrizione e a più di due dalla sua entrata in vigore, i risultati del Protocollo possono dirsi deludenti L’emissione di CO2 cresce inesorabilmente Nessuno dei Paesi sviluppati ha ridotto le emissioni secondo gli obiettivi fissati da Kyoto (5% al di sotto dei livelli del 1990) Alcuni studiosi hanno effettuato delle previsioni computerizzate ipotizzando l’integrale attuazione del Protocollo: anche in tale (irrealizzabile) eventualità si eviterebbe soltanto che la temperatura del pianeta crescesse di un 1/20 di grado entro la fine del secolo corrente! CONCLUSIONI: LA RIDUZIONE DEI GHGs – a fronte della crescente richiesta di petrolio – NON PUÒ AVVENIRE SENZA IL RICORSO A FONTI ALTERNATIVE DI ENERGIA


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