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PubblicatoLazzaro Fumagalli Modificato 11 anni fa
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IMMIGRAZIONE Quando si parla di immigrazione e di immigrati si finisce per trattare la questione come un "problema" da affrontare o da risolvere; pare che gli immigrati abbiano bisogno del nostro aiuto, del nostro sostegno, della nostra solidarietà. Ma se guardassimo al fenomeno della immigrazione con un occhio diverso ‑ non orientato soltanto alla risorsa economica della forza lavoro ‑ e vedessimo gli immigrati come persone che portano con sé valori propri, cultura e fede?
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ancora viviamo mentalità vecchie ed ostili alimentate, non poco, dai media che considerano gli immigrati troppo numerosi, un pericolo perché sottraggono lavoro agli italiani, aumentano l'insicurezza sociale, la criminalità, il terrorismo.
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Questi stereotipi sono smentiti dai fatti e dalle statistiche ma la percezione del fenomeno è quella indotta dai mezzi di comunicazione (e dai poteri che li detengono) che contribuiscono a mostrare gli immigrati sotto un profilo di problematicità e negatività creando paura, diffidenza e non di rado ostilità.
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I cristiani delle nostre parrocchie (e con essi i loro pastori) non sfuggono da questi meccanismi, interpellati, come sono, dall'incertezza del lavoro e difficoltà abitative, dai cambiamenti sociali e culturali, dalla ricerca di nuovi modelli.
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gli immigrati, portatori di nuovi impulsi, sollecitazioni e sfide, le spingono a rinnovarsi ed essere sempre meno autoreferenziali, più aperte verso nuovi stimoli Le comunità ecclesiali sono chiamate a smantellare i pregiudizi e le diffidenze che le attanagliano e le chiudono per liberare un pensiero nuovo, positivo capace di portare al confronto ed alla crescita, anche sul piano della fede
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Tanto per fare un esempio, la presenza islamica sul nostro territorio può portare
in un'ottica pregiudiziale: alla chiusura ed alla difesa (e quindi “conservazione”) della nostra religione cristiana, quando non ci si limita al mantenimento di simboli ed esteriorità da ostentare in un'ottica più libera: ad una costante verifica della Fede, a ricomprenderne i valori (dunque “tradizione”) perché questi siano testimoniati e "parlino" all'uomo di oggi che vive in uno scenario in rapido cambiamento e non solo a motivo della immigrazione
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Per i credenti il fenomeno migratorio non è nuovo
Adamo, espulso dal Paradiso terrestre (Gen. 3,23). Caino divenne errante e vagabondo (Gen. 4,12) e andò ad abitare nel paese di Nod ad Oriente dell’Eden Abramo ha lasciato Ur, suo paese natale, per raggiungere la terra promessa da Dio Mosé ha guidato Israele per quaranta anni nel deserto verso la terra promessa (Esodo) Più volte il popolo ebraico ha subito l’Esilio in Terra straniera
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Lo stesso Gesù Cristo, nella sua Incarnazione, è diventato un migrante su questa terra. Ha anche avuto lo stato di rifugiato in Egitto con la propria Famiglia, quando il re Erode cercava di eliminarlo. Per tutta la vita è stato migrante da un luogo all’altro, senza un luogo fisso dove posare il capo
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Gli immigrati ci rendono presente questa realtà che avevamo dimenticato o eccessivamente spiritualizzato, la loro presenza è dunque un segno forte della Provvidenza che ci chiede conversione e cambiamento. La Bibbia ci ricorda dunque la provvisorietà ed i limiti della nostra permanenza nella storia degli uomini come abitanti in terra straniera... siamo tutti in cammino verso la Patria futura.
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La migrazione è connaturata all’umano: l’uomo non è fatto per rimanere solo, è sempre in divenire, sempre in cerca del proprio habitat e di una migliore qualità di vita. Nel mondo e nella storia, tale fenomeno è una sfida quotidiana ed una necessità quasi vitale per la vita comunitaria. Il dialogo interculturale e interreligioso rende ogni giorno più sicuro e questo mondo più umano, l’assenza di tale dialogo si traduce in violenza e deportazione, guerra.
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Anche per questo dobbiamo fare attenzione al linguaggio.
Una parola come «integrazione» finisce per dire che il migrante, per essere accettato e inserito nella società o nella parrocchia, deve diventare in qualche modo come noi, deve omologarsi (mettere da parte la sua storia e la sua cultura, privarlo di quelle ricchezze di cui ha bisogno lui e noi). Bisognerebbe piuttosto parlare di condivisione "vivere insieme" ‑ ma questo richiede fatica, ed un cambiamento radicale di mentalità, ma anche gioia e soddisfazione anche il termine «accoglienza» si può prestare ad equivoci, nel senso che si finisce per collegarlo semplicemente all'aiuto materiale o a qualche forma di sostegno
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Oggi siamo tutti chiamati a lavorare con un autentico spirito missionario ad una trasformazione della nostra realtà confrontandola non con realtà lontane, ma con quelle presenti A noi spetta di scegliere il modo con cui accogliere, per poter convivere. Il futuro dipenderà dalla maniera di ricevere gli immigrati: come amici, come fratelli, come partners nella legalità o come intrusi ed invasori Che si voglia o no, si è “condannati” a vivere insieme agli stranieri, per ragioni demografiche, politiche e di interessi comuni. L’unica via possibile è quella del dialogo, che è anche il mezzo più efficace per abbattere le barriere e le contrapposizioni, spesso preconcette e talvolta ideologiche, che vengono costruite in base alla provenienza, alla cultura o alla religione.
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Signore dammi l'amore per il mio tempo, per la mia terra, per la mia gente. Senza l'amore, la cittadinanza è solo diritti e doveri, la città solo un posto dove vivere, le istituzioni solo un'autorità, la politica solo potere e compromesso, la nazionalità solo una distinzione tra chi è dentro e chi è fuori, il vicino una potenziale minaccia, il più debole solo zavorra, il lavoro solo soldi. Aiutami a comprendere che davanti a Te nessuno è senza permesso di soggiorno. Tu, che riveli l'uomo all'uomo, trasforma lo straniero in fratello, i confini in porte, le frontiere in abbraccio.
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A cura di don Luciano Cantini
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