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PubblicatoRosabella Mosca Modificato 11 anni fa
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L ’affermazione delle lingue nazionali e la riscoperta dei classici.
a cura di Matteo B., Alessio B., Giacomo B.
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Il movimento, che si sviluppò dalla metà del XIV sec
Il movimento, che si sviluppò dalla metà del XIV sec. all’inizio del XVI e si caratterizzò per la riscoperta dei classici latini (e greci), con la conseguente riaffermazione dei valori etico-culturali del mondo antico, prenderà il nome di “umanesimo”. Il termine deriva dall’espressione "studia humanitatis", che indica la formazione dell’uomo colto secondo il principio educativo dello sviluppo della persona nella complessità dei suoi aspetti attraverso lo studio della letteratura e della filosofia.
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L’entusiasmo con cui Poggio Bracciolini, segretario pontificio al concilio di Costanza ( ), racconta in una lettera del 15 dicembre 1416 ad un amico, del ritrovamento, presso l’abbazia benedettina di San Gallo, dell’ Institutio Oratoria di Quintiliano, testimonia la passione che, sulla via aperta da Petrarca e Boccaccio, animava l’amore per i classici e la ricerca dei testi antichi.
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Ritratto di Quintiliano
Miniatura, XV sec.Reg.lat. 1881, f.2v, B.A.V.,Città del Vaticano
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Un caso fortunato per lui, e soprattutto per noi, volle che, mentre ero ozioso a Costanza, mi venisse il desiderio di andare a visitare il luogo dove egli era tenuto recluso. V’è infatti, vicino a quella città il monastero di San Gallo, a circa venti miglia. Perciò ci recammo la per distrarci, e insieme per vedere i libri di cui si diceva vi fosse un gran numero. Ivi, in mezzo ad una gran massa di codici che sarebbe lungo enumerare, abbiamo trovato Quintiliano ancora salvo ed incolume, ancorché tutto pieno di muffa e di polvere. Quei libri infatti non stanno nella biblioteca, come richiedeva la loro dignità, ma quasi in un tristissimo ed oscuro carcere, nel fondo di una torre, in cui non ci caccerebbero neppure dei condannati a morte. Ed io son certo che chi per amore dei padri andasse esplorando con cura gli ergastoli in cui questi grandi sono chiusi, troverebbe che una sorte uguale è capitata a molti dei quali ormai si dispera. Trovammo inoltre i tre primi libri e metà del quarto delle Argonautiche di Caio Valerio Flacco, ed i commenti ad otto orazioni di Cicerone, di Quinto Ascanio Pediano, uomo eloquentissimo, opera ricordata dallo stesso Quintiliano. Questi libri ho compiuto io stesso, ed anche in fretta, per mandarli a Leonardo Bruni e a Niccolò Niccoli, che avendo saputo da me la scoperta di questo tesoro, insistentemente mi sollecitarono per lettera a mandar loro al più presto Quintiliano. Fortuna quaedam fuit cum sua tum maxime nostra, ut quum essemus Constantiae ociosi, cupido incesseret vivendi eius loci, quo ille reclusus tenebatur. Est autem monasterium Sancti Galli prope urbem hanc milibus passuum xx. Itaque nonnulla animi laxandi et simul perquirendorum librorum, quorum magnus numerus esse dicebatur, gratia eo perreximus. Ibi, inter confertissimam librorum copiam, quos longum esset recensere, Quintilianum comperimus adhuc salvum et incolumem, plenum tamen situ et polvere squalentem. Erant enim non in biblioteca libri illi, ut eorum dignitas postulabat, sed in teterrimo quodam et obscuro carcere, fundo scilicet unius turris, quo ne capitalis quidem rei damnati retruderentur. Atqui ego pro certo existimo, si essent qui haec barbarorum ergastula, quibus hos detinent viros, rimarentur, ac recognoscerent amore maiorum, similem fortunam experturos in multis de quibus iam est conclamatum. Reperimus praeterea libros tres primos, et dimidiam quarti C. Valerii Flacci Argonauticon, et expositiones tamquam thema quoddam super octo Ciceronis orationibus Q. Ascondi Pediani eloquentissimi viri, de quibus ipse meminit Quintilianus. Haec mea manu transcripsi, et quidem velociter, ut ea mitterem ad Leonardum Aretinum, et Nicolaum Florentinum; qui cum a me huius thesauri adinventionem cognovissent, multis a me verbis Quintilianum per suas litteras quam primum ad eos mitti contenderunt.
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Il fervore che spinge gli uomini di cultura dell’epoca a scandagliare biblioteche e monasteri di tutta Europa, per scovarvi i più reconditi testi antichi, porta alla luce innumerevoli opere di grande importanza, come il De rerum natura di Lucrezio. Il fervore che spinge gli uomini di cultura dell’epoca a scandagliare biblioteche e monasteri di tutta Europa, per scovarvi i più reconditi testi antichi, porta alla luce innumerevoli opere di grande importanza, come il De rerum natura di Lucrezio. Il fervore che spinge gli uomini di cultura dell’epoca a scandagliare biblioteche e monasteri di tutta Europa, per scovarvi i più reconditi testi antichi, porta alla luce innumerevoli opere di grande importanza, come il De rerum natura di Lucrezio. Frammento del IX secolo. Frammento del IX secolo. Frammento del IX secolo.
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Tuttavia la riscoperta dei testi classici non si limita ad un ampliamento quantitativo, ma implica soprattutto un cambiamento qualitativo dell’interpretazione. Gli uomini dei secoli precedenti (quell’età che gli umanisti percepirono come “media”, ossia frapposta tra lo splendore degli antichi e la loro riscoperta) non trascurarono affatto il patrimonio dell’antichità anzi, si premurarono di assicurarne la conservazione. Tuttavia si prodigarono a trasmettere le opere degli antichi, per assimilarne il valore nella visione cristiana.
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Le Tragedie di Seneca (XV sec.)
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Le Notti attiche di Aulo Gellio (XV sec.)
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La Storia Naturale di Plinio (XIV sec.)
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La Guerra gallica e la Guerra civile di Giulio Cesare (XV sec.)
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Dante nutre la massima ammirazione per Virgilio, lo assume come guida nel suo viaggio ultraterreno, in quanto è “il savio gentil che tutto seppe”, rendendolo figura allegorica della Ragione umana, ossia assegnandogli un significato che valica il limite della sua esistenza storica attribuendogli un valore attuale. Si ignora, insomma, quel distacco temporale dall’antichità che, invece, gli umanisti cominciarono a percepire e dal quale avrà origine un approccio diverso alle opere degli antichi.
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Opere di Caio Sallustio Crispo (VX sec.)
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Il Cristianesimo aveva valorizzato la dignità umana riconoscendo in Cristo Dio fatto uomo, tuttavia quando la visione cristiana raggiunge l’apice del teocentrismo, l’uomo avverte il bisogno di riscoprirsi e di porsi di nuovo al centro (antropocentrismo). Gli umanisti incontrano nei classici latini e greci (rimasti ignoti al Medioevo) i compagni ideali nella riscoperta dei valori umani. Di qui la febbrile ricerca dei testi rimasti esclusi dai canoni tradizionali di letteratura, di qui l’esigenza di ampliare il raggio delle voci udibili, di qui la necessità di interpretare il testo antico nella consapevolezza della sua distanza cronologica e di restituirgli la purezza e la correttezza originaria: nasce la filologia.
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Copia di un’opera aristotelica posseduta dal Boccaccio
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Il culto umanistico dei classici e la volontà di recuperare l’autentico messaggio dell’antichità si traducono, a livello linguistico, in un nuovo predominio del latino. Se l’età comunale aveva segnato il trionfo del volgare, il primo Quattrocento riporta in auge il latino. Gli umanisti scrivono esclusivamente in latino, perseguendo la purezza originaria della lingua. Modello per eccellenza della loro prosa resta Cicerone, le cui opere non solo esaltano i valori dell’humanitas , ma presentano quello stile armonioso ed elegante tanto ambito.
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Il trionfo del latino relega il volgare agli usi pratici della comunicazione quotidiana, degli atti pubblici, delle cancellerie, ma non per molto. Mantenuta viva nelle tradizioni popolari, come ad esempio le sacre rappresentazioni e i cantari cavallereschi, la “volgar lingua” si prepara a riemergere e ad affermarsi definitivamente come lingua di cultura dalla metà del Quattrocento . Il volgare comincia a riconoscere come propri classici i grandi del Trecento, Dante , Petrarca e Boccaccio.
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La dinamica del rapporto tra il latino e il volgare non finisce qui anzi, prende inizio un processo molto fecondo di reciproca influenza. La letteratura volgare, ripartita con nuovo slancio, matura il proprio sviluppo con gli esiti originali e di grande valore che conosciamo, senza perdere la consapevolezza di un confronto sempre attivo con la tradizione.
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