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Eugenio Montale
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Cenni biografici - Vita e opere
Nato a Genova nel 1896, trascorre l’infanzia tra la sua città natale e Monterosso, luoghi che gli offriranno una fonte di ispirazione per le sue opere.
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Di famiglia borghese, è ultimo di cinque figli.
Il padre è titolare di una ditta importatrice di resine e prodotti chimici. Lo scagno, l’ufficio, è nel centro cittadino, mentre la casa è al quartiere collinare di Righi.
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Iscritto alle scuole dei Barnabiti, interrompe gli studi per motivi di salute alla terza classe tecnica (si diplomerà ragioniere nel 1915). Continua da autodidatta, aiutato, come avete sentito, dalla sorella Marianna, che ha frequentato Lettere all’Università.
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Felicità Raggiunta Clicca sul simbolo per Ascoltare la poesia
Si può comprendere però come la felicità appaia al poeta un sentimento che da una parte svanisce da sé inevitabilmente, dall’altra l’uomo stesso è responsabile della sua scomparsa. Nei versi finali viene espressa questa idea del poeta: l’ultima immagine del bambino che ha perso il pallone diventa analogia dell’improvvisa perdita della felicità. La felicità, in questo caso, non è intesa come ideale o sognata, ma viene descritta come effettivamente entra nella vita dell'uomo Clicca sul simbolo per Ascoltare la poesia
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Nel 1915 frequenta anche le lezioni di canto del maestro Ernesto Sivori, ma l’anno seguente con la sua morte abbandona il sogno di diventare baritono.
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La guerra – Chiamato alle armi, partecipa alla Prima guerra mondiale come sottotenente. Combatte in Trentino, Valmorbia, Vallarsa.
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DOPO IL ‘20 Rientra a Genova dove si inserisce nel gruppo della rivista «Riviera ligure». Del 1922 è l’esordio letterario con la pubblicazione delle prime poesie su «Primo tempo», rivista diretta da Giacomo Debenedetti.
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Incontriamo la prima figura femminile, una villeggiante: che aveva incontrato a Monterosso, Anna degli Uberti, che evocherà quale Annetta o Arletta nelle sue liriche. La poesia di Montale si rivolge spesso a un “tu” femminile in cui l’autore cerca un’alternativa radicale all’inferno della storia e alla “prigione” dell’esistenza quotidiana.
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Non c’è, però, la possibilità di un rapporto reale con la donna; perciò non è mai descritta fisicamente, tranne in alcuni particolari simbolici, lo sguardo, i capelli, il passo. La donna è infatti soggetta a una sublimazione che l’allontana dalla realtà storica e la trasforma in una creatura inafferrabile, che appare, scompare e riappare in barlumi di luce.
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Montale recupera il modello stilnovistico e dantesco della donna-angelo, portatrice di salvezza, e la salvezza è possibile solo come fuga dal mondo; perciò la donna deve rappresentare una dimensione “diversa”, quella della morte (Arletta), della religione delle lettere (Clizia), oppure del mondo istintivo e biologico degli animali (Volpe e Mosca).
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Influenze culturali Montale è legato all’ambiente culturale gobettiano e conosce i maggiori critici e letterati che ruotano intorno a questa specie di scuola di pensiero. L’orientamento comune è quello in favore di una letteratura che si fondi sul valore della classicità e della tradizione.
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Consideriamo che siamo in un contesto storico in cui il regime fascista minacciava sempre più le libertà fondamentali. Importante però è anche la conoscenza della grande letteratura europea da Proust a Kafka, passando per Musil e per Svevo, altro autore della “crisi delle certezze”.
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Come Montale stesso afferma c’è pure il rifiuto dell’estremismo delle avanguardie storiche, privilegiando un decoro formale che fosse anche una scelta di vita, personale e civile. Abbastanza netta la presa di distanza dai modelli poetici più eminenti (Carducci, D’Annunzio e Pascoli)
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Montale è allo stesso tempo influenzato dalla tradizione poetica italiana, dalla quale trae i necessari presupposti per comprendere la condizione moderna. Tradizione e contemporaneità viaggiano su di un binario parallelo che porta a un linguaggio poetico, essenziale, ma denso e profondo
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Nella sua lunghissima carriera di poeta ha saputo dare un’originale interpretazione alle inquietudini dell’uomo contemporaneo, ispirandosi anche ai maestri del Simbolismo e del Decadentismo, rendendo estremamente attuali le loro innovazioni.
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Un anno fondamentale 1925 Il caso Svevo Ossi di seppia
È il primo letterato che apprezza I romanzi di Svevo e lo “scopre” Ossi di seppia Esce la sua prima raccolta poetica nell’indifferenza generale
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Livia, la moglie di Svevo, Svevo, Drusilla Tanzi e un amico
L’amicizia con Svevo Livia, la moglie di Svevo, Svevo, Drusilla Tanzi e un amico
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Il 1925 Nell'epoca fascista Montale si avvicina alla resistenza antifascista: pubblica, come detto, Ossi di seppia, edita da Piero Gobetti, che l'anno successivo verrà ucciso dai fascisti, e sempre nel '25 firma il "Manifesto degli intellettuali antifascisti" di Benedetto Croce.
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La poesia di montale. Quello che lui ci dice
Avendo sentito … una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia Mareggiata…
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Scrivere sempre da povero diavolo e non da uomo di lettere professionale (Incipit de I limoni)
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Le mie poesie sono funghi nati spontaneamente in un bosco; sono stati raccolti, mangiati”.
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La spontaneità è, dunque, il carattere che della sua poesia l’autore vuole sottolineare. Una spontaneità che comunque non prescinde da una solida formazione culturale, seppure non condotta attraverso il canonico percorso universitario, ma frutto di un autonomo studio.
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Sarà sempre un uomo schivo e distaccato e, nonostante il suo presentarsi non come letterato professionale ma come uomo comune che scrive solo per sé stesso, diverrà uno dei poeti più rappresentativi del ’900.
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Le raccolte
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OPERE Ossi di seppia (1925); Le occasioni (1939); Finisterre (1943);
La bufera e altro (1956); Farfalla di Dinard (1956); Xenia (1966); Auto da fé (1966); Fuori di casa (1969); Satura (1971); Diario del ’71 e del ’72 (1973); Quaderno di quattro anni (1977); Altri versi (1980)
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Ossi di seppia Il paesaggio ligure Aspetti Il male di vivere
Il correlativo oggettivo Aspetti La filosofia in negativo
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Ossi di seppia Ossi di seppia
Il titolo fa riferimento ai piccoli resti del mollusco che, dopo essere morto, il mare sbatte qua e là. Il titolo vuole sottolineare l’umiltà dei testi sia dal punto di vista dei contenuti sia dal punto di vista dello stile. Il tema centrale è il male di vivere che si incontra quando si cerca di penetrare e di capire più a fondo la realtà in cui viviamo.
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E un sentimento che esprime la crisi tipica dell’uomo del 900, con un profondo senso di angoscia e negatività; è legato alla mancanza di certezze e al senso di solitudine.
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Spesso il male di vivere ho incontrato (1924)
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Commento (pessimismo cosmico leopardiano)
Spesso …. Lo stato sofferente della natura e il momento “negativo” della contemplazione della realtà da parte di Montale è rappresentato in un ruscello ostacolato nel suo corso, in una foglia colta nel suo accartocciarsi, in un cavallo stramazzato, tutti correlativi oggettivi del “male di vivere.
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Commento Il male di vivere è dunque raccontato attraverso un susseguirsi di immagini. Il bene non è in alcun modo ravvisabile, se non nella “divina Indifferenza”, intesa come unica evasione possibile. Da intendersi come “atarassia” (dal greco ἀταραξία, “imperturbabilità”), termine che, dalla filosofia di Democrito in poi ma soprattutto per eredità delle scuole epicuree e stoiche, designa l’atteggiamento di distacco e di liberazione dalle passioni
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OSSI DI SEPPIA
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Il titolo scelto dal poeta, dunque, è espressione del sentimento di emarginazione ed aridità nel rapporto con la realtà. Il rapporto dell’uomo con la natura non è più simbiotico, così il paesaggio ligure diventa nudo e desolato come appunto un osso di seppia.
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Il poeta non può che mettere in evidenza questa percezione negativa del suo stare al mondo, scegliendo volutamente un paesaggio aspro e un linguaggio poetico che si modella su questa inquietudine personale
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Non chiederci la parola (1923)
Montale affida la propria dichiarazione di poetica a questa poesia, epigrammatica (la prima della sezione di Ossi di seppia), rivolgendosi ad un destinatario imprecisato (con un generico “tu”), e parlando al plurale, a nome di un’intera generazione di poeti.
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Commento Noi, alcuni uomini (poeti?), non abbiamo certezze, altri ne hanno fin troppe. Nessuno chieda a me, alla mia generazione, di spiegare come e perché il mio animo sia così privo di certezze, né pretenda da me parole di fuoco, afferma in sostanza Montale nella prima quartina.
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Il poeta è ben consapevole del suo stato d’animo; sa di non possedere verità, di vivere in un mondo e in un tempo in cui ogni certezza assoluta è crollata o sta crollando, in cui vacillano la religione, i valori assoluti e la ragione è in piena crisi; un tempo in cui il dubbio domina e sovrasta la scena, perfino nelle scienze.
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La poesia di Montale risente di questa temperie culturale
La poesia di Montale risente di questa temperie culturale. Il poeta confessa la sua inquietudine insieme con l’incapacità di comprenderla fino in fondo.
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Così nella seconda quartina rileva, con una punta di invidia e insieme di disprezzo, che mentre in molti è presente il “male di vivere”, ci sono soggetti sicuri di sé, concentrati sul proprio interesse personale, individualistico, soggetti che non si rendono neppure conto della loro “ombra” ossia del loro lato oscuro e della loro precarietà
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Infine la conclusione. Non c’è una formula magica che possa sconfiggere il male di vivere, che è connaturato con l’esistenza stessa dell’uomo, né che possa vincere il dubbio; noi uomini (ma anche i poeti) possiamo soltanto abbozzare qualche proposta, ma in definitiva possiamo dire semplicemente ciò che non vogliamo essere e ciò che desideriamo che non accada.
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La verità non è data, va ricercata proprio grazie al dubbio metodico: questa è la condizione umana e da questo ambito l’uomo non può, ma anche non deve uscire; non ci sono verità assolute, definitive; alla verità ci si avvicina per gradi ed è sempre provvisoria; l’uomo deve avere la consapevolezza piena dei suoi limiti (qualche storta sillaba) e di una ricerca che non ha fine, deve vivere nel e del dubbio.
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Il recupero e la rielaborazione formale e contenutistica della tradizione letteraria italiana fanno sì che la prima raccolta montaliana sia un punto fermo tra i più noti della nostra poesia novecentesca, come dimostrano emblematicamente alcuni testi, tra cui: I Limoni, Non chiederci la parola, Meriggiare pallido e assorto -
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I limoni
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Commento Il componimento introduce un elemento peculiare della poetica dell’autore: il rifiuto della lirica tradizionale propria dei poeti laureati, da cui scaturisce il voler conferire importanza a quegli aspetti della realtà che gli altri poeti definiscono quotidiani e dimessi. Montale apre la prima parte del testo presentando la differenza tra il proprio modello di poeta e il canone tradizionale.
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Montale predilige i luoghi comuni, come i fossi, le pozzanghere e gli alberi di limoni. Nella seconda parte il poeta si sofferma a osservare la realtà circostante, per trovare uno spiraglio che gli consenta di accostarsi al mistero della natura. Se, infatti, si scruta bene, nel clima del tedio dell’inverno, è possibile intravedere da un malchiuso portone il giallo dei limoni, simboleggianti un barlume di speranza, un frammento di verità.
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I limoni Parafrasi Ascoltami, i poeti circondati di allori si aggirano solamente tra piante dai nomi ricercati: bossi, ligustri o acanti. Io, per quanto mi riguarda, amo le strade che sbucano sui fossi ricoperti d’erba, dove i ragazzi in pozzanghere in parte prosciugate agguantano qualche esile anguilla: le viuzze che affiancano le rive dei fossi, discendono fino alle cime delle canne e si immettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se il baccano degli uccelli ammutolisce, inghiottito dall’azzurro: il sussurro tra i rami, amici nell’atmosfera quasi immobile, si può ascoltare più nitidamente, e [si può ascoltare] la percezione di questo odore che non sa staccarsi da terra, e piomba nel petto una dolcezza inquieta.
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In questi luoghi miracolosamente si placa
la guerra delle passioni che ci trascinano qua e là, qui anche per noi semplici uomini c'è il nostro premio, che è l’odore dei limoni. Vedi, in questi silenzi in cui le cose si abbandonano e sembrano vicine a rivelare il loro segreto ultimo, talvolta ci si attende di scoprire uno sbaglio di Natura, un varco, l’anello che non tiene, il filo che ci consenta di sbrogliare la matassa, consentendoci finalmente di conoscere una verità.
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Lo sguardo scruta attorno a sé la mente indaga, collega, separa mentre il profumo (dei limoni) dilaga sul calar della sera. In questi momenti di silenzio sembra di vedere in ogni figura umana che si allontana qualche divinità disturbata. Ma l’illusione sfugge quando il tempo ci riporta nelle città caotiche, dove l’azzurro (del cielo) si staglia solo per piccoli spazi, in alto, tra i cornicioni degli edifici.
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Poi la pioggia consuma la terra, si addensa il tedio dell’inverno sulle case, la luce diminuisce e l’anima si riempie di amarezza. Quando un giorno da un portone mal chiuso si riescono a vedere i frutti gialli dei limoni tra gli alberi di una corte, si scioglie il gelo del cuore e le trombe d’ oro fanno risuonare nel petto la loro musica, limpida e splendente come il sole
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Meriggiare pallido e assorto
Descrizione di un assolato e arido paesaggio estivo, dominato dalla desolazione della calura e della luce accecante. Condizione esistenziale dell'uomo, isolato, svuotato e incapace di comprendere il mistero che lo circonda.
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Commento All’interno della raccolta ha il valore emblematico di introdurre il tema-chiave dell’estate infiammata che rende tutto arido e secco. Il meriggio di una calda e assolata giornata estiva è un momento di immobilità e sospensione: per effetto della calura e della luce accecante, la vita è quasi ferma, tutto si muove molto lentamente e a fatica.
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Infatti, l’aridità della natura è l’emblema di una condizione esistenziale di prigionia, solitudine, di assenza di ogni slancio vitale. Il poeta si vede costretto ad accettare la triste e limitata condizione umana: l’uomo è simile alle formiche rosse che si muovono incessantemente senza meta.
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La “muraglia” è l’emblema della limitatezza della condizione umana e sovrastata dai “cocci aguzzi di bottiglia” che sono simbolo dei dolori e delle sofferenze della vita.
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Forse un mattino andando
Forse un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco. Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto Alberi case colli per l’inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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La rivelazione del vuoto
Nella prima quartina il poeta immagina che nell’atmosfera tersa di un mattino d’inverno, nel semplice atto di voltarsi indietro, l’ordine dei fenomeni si infranga, che il miracolo tanto atteso di una improvvisa intuizione del senso del mondo si compia: ma tale miracolo altro non gli rivela che il nulla.
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La scoperta che la realtà è illusoria, che il mondo e i suoi fenomeni sono inconsistenti, produce in lui la vertigine del vuoto, lo fa sentire come un ubriaco che avanza barcollando e vede le cose ondeggiare intorno a sé. Nella seconda quartina la folgorazione svanisce e improvvisamente tornano a profilarsi le cose consuete (alberi case colli), ma il poeta ora sa che tutto è apparenza, che i fenomeni sono illusori come le immagini proiettate su uno schermo cinematografico.
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Questa sconvolgente scoperta può essere però vissuta solo soggettivamente, non è comunicabile, perché gli altri uomini, superficiali (che non si voltano), si lasciano ingannare dai sensi. Constatata l’impossibilità di comunicare il suo segreto, il poeta se ne va zitto. Il paesaggio non è quello arido e assolato degli Ossi di seppia; è un’aria di vetro, un’atmosfera surreale e indeterminata, coerente con la tematica filosofica della lirica.
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Cigola la carrucola nel pozzo
Fra i temi della poesia di Montale c’è quello della memoria, come in questa lirica in cui il ricordo è la conferma che il passato è un’illusione e che i momenti di gioia lasciano una traccia di solitudine e di vuoto.
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Stride la carrucola del pozzo, mentre l’acqua portata in superficie dal secchio sembra fondersi con la luce che la colpisce. Su di essa affiora un ricordo, si delinea l’immagine tremula e sorridente di una persona amata. Quando il poeta accosta il volto a quelle labbra femminili che crede di vedere, muove la superficie dell’acqua e fa svanire l’immagine; il cigolio della carrucola riconduce la visione al fondo oscuro del pozzo
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La lirica presenta l’andamento di un racconto all’apparenza molto semplice ma dal significato simbolico complesso. Tutto è effimero, vuole dirci Montale, non riusciamo a trattenere nella memoria neppure i volti amati e gli istanti di gioia: essi sono solo un barlume, un’illusione che si spegne, ritirandosi nella profondità dell’inconscio
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Il concetto astratto dell’irrecuperabilità del ricordo è espresso dal poeta attraverso immagini concrete: il volto femminile che si deforma e invecchia allude al fatto che il passato si modifica nella nostra memoria; il ritorno della visione in fondo al pozzo indica che quel ricordo si allontana definitivamente. Speranza, illusione e delusione
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Commento La poesia è incentrata sul tema della memoria. Come l’acqua dal buio del pozzo sale alla luce così dal fondo della dimenticanza sale alla memoria del poeta il ricordo di una persona amata e per un istante pare intatta, uguale a quella di un tempo.
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La poesia è suddivisa in due momenti ben distinti, il primo positivo, in cui il ricordo emerge ed il secondo negativo determinato dallo svanire rapido dell’immagine ricordata, infatti, i particolari diventano incerti e imprecisi e si avverte che sono diversi da quelli di un tempo. Il significato è quindi l’illusorietà della realtà dove anche il ricordo è un evento effimero che si deforma e svanisce ripiombando nel fondo del nostro inconscio.
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L’immagine è un’illusione, così come è apparsa svanisce rapidamente perché ormai appartiene ad un mondo passato, ad un tempo trascorso irrimediabilmente, con cui non esiste più alcun legame, ne consegue un senso di vuoto e solitudine.
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