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Consenso informato e attività medica.
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Nuova concezione del rapporto medico – paziente
non più paternalistica. Si pone al centro dell’attenzione la persona. I doveri del medico vengono subordinati ai diritti del malato e in primis alla sua libertà di autodeterminazione terapeutica.
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Il dovere di essere informato si fonda sugli artt. 13 e 32, c. 2 Cost
Il dovere di essere informato si fonda sugli artt. 13 e 32, c. 2 Cost.: dal combinato disposto delle due norme costituzionali discende la libertà di autodeterminazione terapeutica come valore implicitamente costituzionalizzato
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Segue (connesso diritto a rifiutare le cure, art. 31, c. 4 del codice di deontologia medica impone al medico di desistere dalla terapia di fronte all’esplicito rifiuto).
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Tipicità - Antigiuridicità
non consenso come elemento della tipicità, e la rilevanza del consenso come causa di giustificazione (consenso come scriminante).
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diversi orientamenti:
l’attività medica non è mai tipica anche in mancanza del consenso; l’attività medica svolta con il consenso non è tipica;
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Diverso orientamento l’attività medica è tipica, ma scriminata dal consenso che opererebbe come causa di giustificazione, (o dall’ adempimento di un dovere ex art. 51 c.p. o in quanto attività svolta in stato di necessità ex art. 54 c.p. – si contesta a questi due orientamenti che prescindono dal consenso e possono portare a negare rilevanza all’autodeterminazione del paziente) o dall’ esercizio di un diritto.
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I reati realizzati I reati che si ritengono integrati qualora l’attività medica sia svolta senza consenso da parte di coloro che attribuiscono rilevanza ad esso (come presupposto della liceità-atipicità, come causa di giustificazione, come limite all’esercizio di un diritto) sono reati a tutela della libertà morale o dell’integrità fisica e della salute.
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Lesioni o omicidio preterintenzionale.
Si incominciano ad analizzare, innanzitutto, le posizioni della dottrina con riferimento alle fattispecie di lesioni e omicidio preterintenzionale (nel caso di morte). Si ritiene che il consenso sia preordinato alla tutela della salute e dell’integrità fisica del paziente, venendo in considerazione la fattispecie di lesioni (e di omicidio preterintenzionale nel caso di morte).
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primo orientamento Il trattamento chirurgico non è mai un fatto tipico se solo è eseguito dal sanitario secondo le regole dell’arte medica, qualunque ne sia l’esito e indipendentemente dal consenso (Crespi, Azzali, giurisprudenza Barese 2001 e Volterrani 2002).
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critiche Tale posizione viene criticata da chi osserva che tale tesi non attribuendo alcun rilievo al consenso, non appresta una tutela sufficiente contro i pericoli di autonome iniziative del sanitario.
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segue In base alla prima opzione si ritiene che il rispetto delle regole dell’arte medica esclude la possibilità di imputazione oggettiva del peggioramento della salute del paziente (anche dell’eventuale esito infausto – morte), allorché il chirurgo si sia mosso nell’ambito di un’area di rischio consentito segnata dal puntuale rispetto delle regole dell’arte medica.
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segue Anche in presenza del nesso condizionalistico, non si può ritenere che la condotta sia condicio sine qua non delle lesioni, in quanto non rappresenterebbe la concretizzazione del rischio creato dalla condotta (l’evento si sarebbe comunque verificato) (Manna).
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critiche Viene criticata tale posizione da chi osserva che si può giungere a tale conclusione solo nell’ipotesi in cui il rispetto delle regole dell’arte medica azzerri il rischio, non nelle ipotesi (più diffuse) in cui le regole dell’arte possono solo ridurre i rischi o, addirittura, comportare altri rischi (magari l’esito infausto si sarebbe realizzato lo stesso, ma in un arco temporale più lungo).
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segue Divieto di interventi senza consenso tutela non solo la libertà di autodeterminazione, ma anche impedisce a che un terzo possa inferire impunemente, il benessere residuo, l’interesse a non accelerare i decorsi patologici.
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Esito sfavorevole Nell’ambito, invece, delle posizioni che attribuiscono un qualche rilievo penalistico all’assenza del consenso ai fini dell’integrazione della fattispecie di lesioni (o omicio preterintenzionale) occorre, innanzitutto, distinguere la posizione di coloro che fa dipendere la rilevanza penale della condotta dall’esito sfavorevole dell’intervento, da quella di coloro che non vi attribuiscono alcuna rilevanza
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Esito sfavorevole In base al primo orientamento si ritiene che la rilevanza penale della condotta medica dipende dall’esito: in caso di esito favorevole non vi sarebbe alcuna somiglianza della condotta e dell’evento a quelli tipici delle lesioni e dell’omicidio o comunque l’attività sarebbe tipica, ma scriminata dall’esercizio di un diritto; in caso di esito sfavorevole si avrebbe un fatto tipico
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La dottrina accoglie, innanzitutto, una nozione di malattia intesa come processo che provoca un’apprezzabile menomazione funzionale dell’organismo e il cui esito può essere la completa guarigione, l’adattamento dell’organismo ad una nuova condizione di vita..
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segue Si osserva che anche se il trattamento chirurgico provoca sempre un decorso postoperatorio (fatto morboso in evoluzione) o, in alcuni casi, una menomazione funzionale (amputazione di un arto, asportazione di un polmone), la condotta del medico non sarebbe tipica, in caso di esito favorevole, perché inoffensiva rispetto al bene giuridico tutelato, la salute, il complessivo benessere fisiopsichico alla cui tutela l’intervento è funzionale.
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segue Si arriva a tale conclusione in base all’oggettiva funzionalità, valutata ex ante, del trattamento alla salvaguardia della salute del paziente; si nega che il decorso postoperatorio e le eventuali menomazioni funzionali rappresentino una malattia in esito ad un complessivo bilanciamento dei vantaggi e degli svantaggi.
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Esito negativo Solo in caso di esito negativo dell’intervento si pone un problema di liceità della condotta medica: a) parte della dottrina esclude la tipicità sulla base di indici oggettivi, il rispetto delle regole dell’arte medica (il richiamo alla dottrina dell’imputazione oggettiva);
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Esclude l’antigiuridicità
b) altra parte della dottrina esclude l’antigiuridicità richiamando come causa di giustificazione l’esercizio di un diritto (l’attività medica), trattandosi di attività giuridicamente autorizzata per la sua utilità sociale e quale servizio pubblico come si desume dall’art. 32 Cost. e da tutta la legislazione che riconosce, disciplina e favorisce tale attività..
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segue Non è giustificata dal consenso, che scrimina sulla base dell’interesse mancante e della conseguente indifferenza dell’ordinamento giuridico, mentre la liceità dell’attività medica si fonda sull’utilità sociale e quindi sul conseguente giudizio di prevalenza dell’interesse da essa espresso.
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segue In base alla concezione personalistica dell’uomo, il principio dell’indisponibilità della persona umana manu aliena pone dei limiti all’esercizio del diritto in questione: principio della salvaguardia della vita, dell’integrità fisica e della salute del soggetto (art. 32 Cost., 5 c.c.) e i limiti oggettivi dell’idoneità tecnica della struttura e del personale sanitario, e del rispetto della leges artis;
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segue il principio della salvaguardia della dignità della persona umana; il principio dell’uguaglianza e pari dignità dei soggetti umani (che si oppone a discriminazioni in materia di prelievi e sperimentazioni); il principio del consenso (se si tratta di trattamento estetico il consenso scrimina nei limiti dell’art. 5 c.c.).
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segue Sulla base dell’art. 51 c.p. e nei suddetti limiti è “giustificato” il trattamento medico chirurgico come tale per le lesioni e le sofferenze in cui si concreta. (Nel caso di esito infausto, che non rientra nei limiti dell’autorizzazione legislativa dell’attività medico-chirurgica, il medico va esente da responsabilità dolosa o colposa se ha rispettato tutti i limiti; risponderà di omicidio o lesioni dolose o colpose se ha agito con il consenso e gli eventi sono dovuti alla violazione dolosa o colposa dei limiti oggettivi.).
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segue Nel caso di esito infausto il medico risponderà di lesioni dolose e di omicidio preterintenzionale, se ha agito senza il consenso e l’intervento, non consentito e non urgentemente necessario, comporti una lesione personale o una lesione personale da cui derivi la morte
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Causa di giustificazione non codificata
c) altra dottrina ritiene che l’attività medica è giustificata in quanto causa di giustificazione non codificata idonea a scriminare l’eventuale esito infausto di un trattamento compiuto lege artis;
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Critiche critica tale orientamento chi osserva che non si può parlare rispetto all’attività medica dell’operare di scriminanti tacite, in quanto tale categoria di cause di giustificazione non codificate o extralegislative (i criteri del bilanciamento degli interessi, il giusto mezzo per il giusto scopo, l’azione socialmente adeguata, non pericolosità sociale dell’azione)
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segue sono ammissibili in ordinamenti incentrati sul principio di legalità sostanziale, ma non sono conciliabili con ordinamenti incentrati sul principio di legalità formale, che non ammettono scriminanti oltre quelle espressamente previste (problema diverso è quello dell’applicazione analogica delle scriminanti codificate):
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Mancanza di colpevolezza
d) oppure la dottrina ritiene che la condotta anche se tipica e antigiuridica, sarebbe priva dell’elemento soggettivo, la colpevolezza (la negazione del dolo in capo al chirurgo). (Salva la possibilità, per qualche autore, che in caso di mancanza di consenso l’attività medica con esito favorevole possa integrare delitti contro la libertà morale).
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segue Il chirurgo che agisce nel rispetto delle regole dell’arte medica non agisce con l’intenzione di cagionare l’evento, agisce animato da uno scopo terapeutico; non si ritiene integrato il dolo eventuale perché “quando il medico agisce nella consapevolezza o nella convinzione di osservare regole cautelari doverose, seppure egli si rappresenti un siffatto rischio, non per questo si potrà ritenere che abbia accettato la verificazione dell’evento” (Giunta).
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critiche (Si contesta a tale orientamento che in realtà il medico mette in conto la possibilità di verificazione dell’evento, quale specifica concretizzazione di un rischio che egli è disposto a correre pur di non pregiudicare le chances di esito positivo dell’intervento).
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LESIONI ANCHE IN CASO DI ESITO FAVOREVOLE
In base ad un diverso orientamento anche nell’ipotesi di esito favorevole, si integrano gli estremi delle lesioni. Si ritiene che non è possibile negare il disvalore delle sofferenze concretamente provocate dall’atto operatorio.
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segue della sua incidenza cioè sullo stato fisiopsichico della persona, che è il vero bene giuridico tutelato dagli artt. 582 e 583 c.p., sofferenze la cui entità può variare enormemente a seconda dell’importanza e dell’invasività dell’intervento, ma che sempre sono prodotte ogniqualvolta vi sia un decorso postoperatorio di una qualche significatività, ovvero l’intervento abbia effetti permanenti in grado di incidere sul benessere del soggetto
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segue Si considera che l’orientamento precedente che valuta solo il risultato complessivo dell’operazione, esprime un residuo di una concezione paternalistica della salute, che ne affida la tutela al solo medico, pretermettendo così la considerazione della percezione del paziente stesso sul proprio benessere fisiopsichico; si contrappone l’idea di un paziente arbitro della propria salute al quale sia riservato il bilanciamento tra costi e benefici.
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Critiche Più in generale altra dottrina contesta a tale orientamento che distingue la valutazione della condotta medica in base all’esito che così si accentua in termini eccessivi per il medico il rischio di un risultato che non può essergli affatto addebitabile.
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Irrilevanza dell’esito
Nell’ambito della dottrina che non dà rilievo all’esito dell’intervento si distingue la posizione di chi considera il non consenso un elemento della tipicità e di chi considera il consenso una causa di giustificazione
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Tipicità I. In base al primo orientamento si ritiene che un contemperamento degli interessi del paziente e del medico si ottiene sottolineando che il paziente è il dominus regolatore dell’intervento del sanitario e che il medico il quale intervenga su richiesta con il consenso (libero, consapevole e informato) è il protagonista di un’attività altamente sociale, che non può essere confusa con le condotte tipiche di figure delittuose.
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segue Se l’attività medica è svolta lege artis e con il previo consenso (non opera l’art. 5 c.c.), l’eventuale peggioramento transitorio delle condizioni del paziente o la perdita dell’integrità fisica in vista di guarigioni o miglioramenti successivi, o l’esito infausto non possono essere considerati come lesioni o omicidio tipici scriminati, in quanto carenti sotto il profilo della tipicità (non tipici).
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Trattamento non terapeutico
Secondo una parte della dottrina si distingue, però, il trattamento medico – chirurgico non terapeutico, che sarebbe, invece, tipico e il consenso svolgerebbe solo una funzione scriminante (opera l’art. 5 c.c.).
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Scriminante II. L’attività medica è tipica, ma scriminata dal consenso del paziente (o di un suo legale rappresentante), quale regolare fondamento giustificativo di un fatto (l’operazione chirurgica) tutt’altro che inoffensivo rispetto alla salute del soggetto, e che è per questo bisognoso di specifica giustificazione;
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segue fatta salva l’ipotesi della situazione di urgenza, in cui l’intervento si appalesi indifferibile per evitare la morte o un grave danno alla salute del paziente (e salva, ovviamente, l’ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio ex lese).
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segue I limiti alla disponibilità del proprio corpo fissati dall’art. 5 C.C. non possono sensatamente operare rispetto ad interventi funzionali e finalizzati alla tutela dello stesso bene giuridico alla cui tutela la stessa norma mira.
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segue In difetto di una idonea giustificazione, infine, non potrà che ravvisarsi il dolo in capo al chirurgo: il quale vuole cagionare, quanto meno, tutte le conseguenze che sa essere necessariamente connesse all’intervento che sta compiendo, essendo affatto irrilevante - ai fini della responsabi-lità ex artt. 582 e ss. c.p. - il fine terapeutico che egli in concreto persegua
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segue In caso di morte del paziente si dovrebbe applicare la fattispecie di omicidio preterintenzionale solo nell’ipotesi di colpa del medico nel rispetto del principio di colpevolezza ex art. 27 comma 1 Cost.; la dottrina ritiene censurabile l’orientamento della giurisprudenza che continua a interpretare l’omicidio preterintenzionale non come un’ipotesi di dolo misto a colpa, ma di dolo e responsabilità oggettiva, con la conseguenza di applicare tale fattispecie (e la sua grave sanzione, minimo 10 anni) in caso di morte del paziente anche se il medico ha agito nel rispetto delle regole dell’arte medica
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segue (caso Massimo: la responsabilità si sarebbe potuta e dovuta affermare in capo al chirurgo - anche in Barese e in Volterrani - sarebbe stata quella sola di lesioni personali dolose, integrate dalla cosciente e volontaria sottoposizione del paziente ad un intervento cui questi non aveva prestato alcun consenso).
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Reati contro la libertà morale.
Una parte della dottrina ritiene che l’attività medica senza consenso sarebbe tipica come attività che offende il bene giuridico della libertà morale, della libertà di autodeterminazione della persona sulla propria salute.
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segue . Il medico risponderà dei reati di cui agli artt. 605, 610 e 613 ricorrendone gli estremi, se ha agito senza il consenso e l’esito è positivo (Ad esempio Mantovani, che ritiene che il consenso è un limite all’esercizio del diritto di svolgere l’attività medica, legislativamente autorizzata; il medico risponderà dei reati di cui agli artt. 605, 610 e 613 ricorrendone gli estremi, se ha agito senza il consenso e l’esito è positivo (se negativo lesioni dolose o omicidio preterintenzionale).
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Critiche Critiche. In generale si contesta a tale orientamento che è difficile che l’attività medica integri le modalità coattive dell’altrui volontà (violenza o minaccia) proprie della violenza privata (art. 610 c.p.), con la conseguenza che l’attività medica senza consenso sarà impunita nella gran parte dei casi,
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segue rimanendo applicabile (in quanto la condotta è tipica – condotta violenta strumentale alla coazione del paziente a tollerare l’ intervento indesiderato sul proprio corpo) in ipotesi estreme (soggetto sottoposto ad anestesia generale senza il suo consenso; testimone di Geova costretto a tollerare la trasfusione).
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segue L’ipotesi, invece, che rileva nella prassi è quella del paziente che ha prestato il proprio consenso per un intervento e il medico decide unilateralmente di modificare il piano operatorio durante l’intervento
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Art. 610 c.p, In questo caso si potrebbe considerare la condotta violenta ex art. 610 c.p. in base alla concezione naturalistica di violenza, intesa come esplicazione di energia fisica sul corpo.
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segue Nell’art. 610 c.p., però, la violenza e la minaccia sono modalità alternative di una condotta che deve costituire il mezzo per realizzare l’evento ulteriore della costrizione della vittima (a fare, omettere o) tollerare qualcosa; ma questo qualcosa non potrebbe essere che la stessa operazione, condotta ed evento verrebbero a coincidere: evidentemente non si realizzano tutti gli elementi del fatto tipico.
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segue In ogni caso l’evento costrizione non può essere commesso nei confronti di una persona in stato di completa incoscienza. Il nostro legislatore quando ha voluto ha espressamente equiparato il costringimento mediante violenza o minaccia e l’approfittamento di condizioni di inferiorità psichica o fisica (art. 609 – bis c.p.). Il dissenso potrebbe essere solo presunto, ma per aversi costrizione il dissenso deve essere reale.
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Stato di incapacità procurata mediante violenza. 613 c.p.
In questo caso si potrebbe anche ravvisare nell’anestesia la condotta di causazione dello stato di incapacità, ma manca l’assenza del consenso del paziente, perché normalmente il paziente consente all’anestesia. Il consenso ex art. 613 c.p. si considera come non prestato se estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con l’inganno, non rileva l’errore del paziente salvo se cagionato da inganno.
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segue Anche a voler immaginare un vera e propria attività ingannatoria del medico (normalmente, invece, il mutamento del piano operatorio è deciso durante l’intervento a fronte di una situazione diversa da quella preventivata) resta la difficoltà di considerare invalido il consenso del paziente all’anestesia per effetto di un’erronea rappresentazione relativa all’operazione cui dovrà essere sottoposto; l’errore in cui versa il paziente è un errore sui motivi.
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Art. 605 c.p.- sequestro di persona.
I suoi estremi potrebbero ricorrere solo nell’ipotesi (casi di scuola) in cui la privazione della libertà del paziente si estenda per un lasso di tempo superiore a quello necessario per eseguire l’intervento (paziente trattenuto con la forza in ospedale, senza alcun previo provvedimento di T.S.O.)
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GIURISPRUDENZA. In base ad un primo orientamento “l’uso del bisturi in mancanza di consenso” viene equiparato al “colpo di pugnale” in quanto si ritiene che integri la fattispecie di lesioni; si tutela l’integrità fisica per cui anche se l’esito è fausto e il paziente ringrazia, si deve procedere.
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Caso Massimo 1992 In tale direzione non è chiarissima la sentenza Cass. Massimo 1992, in cui le peculiarità del caso di specie esaminato sono tali da non rendere immediatamente intelligibile se i giudici intendano per ‘malattia’ lo stesso atto chirurgico in sé considerato - taglio operatorio e resezione della parte del corpo malata -, o piuttosto la menomazione funzionale e/o il processo patologico conseguenti l’operazione stessa.
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lesione dell’integrità personale
Nel primo senso parrebbe deporre il riferimento della Cassazione alla lesione dell’integrità personale, certamente realizzata dal semplice atto operatorio; conclusione alla quale pianamente conduce, del resto, la nozione di ‘malattia’ come << qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo », ripresa dalla Relazione ministeriale al codice penale e adottata in prevalenza dalla giurisprudenza in tema di lesioni personali.
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apprezzabile menomazione funzionale e di processo patologico
L’insistenza, d’altra parte, nel sottolineare il concreto esito dell’intervento sulla paziente, definito in termini di apprezzabile menomazione funzionale e di processo patologico (poi sfociato nell’esito letale), parrebbe invece presupporre una nozione di <<malattia ..più aderente agli auspici della dottrina, che da tempo sottolinea l’insufficienza di una alterazione meramente anatomica dell’organismo,
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segue ponendo piuttosto l’accento sui requisiti della menomazione funzionale o della causazione di un processo patologico destinato a risolversi nella guarigione, nella morte o nell’adattamento dell’organismo ad una nuova condizione” (per cui se è raggiunto l’obiettivo terapeutico non si integra la fattispecie prevista dall’art. 582 c.p. perché manca un elemento costitutivo)
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Ratio decidendi In ogni caso, ad avviso della dottrina, dalla ratio decidendi della sentenza Massimo sembra emergere che ogni intervento chirurgico - o quanto meno ogni intervento chirurgico che produca immediatamente una apprezzabile, anche se transitoria, menomazione funzionale nell’organismo del paziente – cagiona una << malattia .. ai sensi delle norme in tema di lesioni personali, indipendentemente dall’esito finale - fausto o infausto - del trattamento stesso:
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segue e dunque anche laddove il trattamento, come purtroppo non avvenne nel caso di specie, si risolva in un complessivo miglioramento della salute del paziente
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segue Come tale, il trattamento chirurgico integra sotto il profilo oggettivo un fatto di lesioni personali, che necessita di essere giustificato sul piano del consenso o dello stato di necessità; in mancanza, il chirurgo risponderà per lesioni personali dolose, dalle quali potrà altresì derivare una sua responsabilità per omicidio preterintenzionale nell’ipotesi in cui il paziente muore
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Caso concreto Nel caso di specie il medico realizza durante l’intervento oggetto di consenso un intervento ulteriore rispetto al quale l’anziana paziente aveva espresso reiterato dissenso).
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Orientamento conforme
Tale orientamento in relazione alla nozione di malattia viene ripreso dalla sentenza Firenzani, la quale si inserisce, però, nell’ambito di tre recenti sentenze (Firenzani 2001, Barese 2001 e Volterrani 2002) le quali stabiliscono che:
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segue l’attività medica trova in sé fondamento e giustificazione; la liceità non deriva dal consenso ma discende dal fatto che l’attività medica tutela il bene della salute costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.); in ogni caso il consenso non potrebbe giustificare l’attività medica incontrando i limiti dell’art. 5 c.c., che vieta atti di disposizione che cagionino una dimunizione permanente dell’integrità fisica.
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segue La dottrina precisa a tal proposito che anche a voler allargare i confini previsti dall’art. 5 in ipotesi in cui è in pericolo la salute, interpretando l’art. 5 in rapporto all’art. 32, rimangono situazioni in cui la cura viene lecitamente praticata, al di fuori del consenso (trattamento sanitario obbligatorio ex lege, o paziente incapace, anche per causa transitoria).
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sentenza Firenzani, Cass. 2001
Afferma l’autolegittimazione dell’attività medica in quanto posta a tutela della salute, accoglie espressamente la più rigorosa nozione di malattia come alterazione anatomica, che, anche se non chiaramente, sembra accolta dalla sentenza Massimo (pur partendo da una diversa premessa in quanto non si asseriva l’autolegittimazione dell’attività medica)
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segue e, sulla scia della sentenza Massimo, ritiene necessario il consenso fondato sull’art. 13 Cost., il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi compresa la libertà di salvaguardare la propria salute ed integrità fisica, escludendo ogni restrizione se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e con le modalità previste dalla legge (art. 32, 2 c. Cost. vieta interventi coercitivi se non per disposizione di legge, nei limiti imposti dal rispetto della persona umana).
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segue Il consenso è considerato un “presupposto di liceità del trattamento medico chirurgico”, affienisce alla libertà morale e alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporea, tutti profili della libertà personale ex art. 13 Cost.
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segue Il medico non ha il “diritto di curare”, ma una potestà o facoltà salvo: trattamenti obbligatori ex lege; il paziente non sia in condizioni di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e l’intervento risulti urgente ed indifferibile al fine di salvarlo dalla morte o da grave pregiudizio alla salute.
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L’arbitrarietà del trattamento
“La mancanza del consenso (opportunamente informato) del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo decidere se permettere interventi estranei sul suo corpo (Corte di Assise di Firenze 1990, Cass. Massimo 1992; Cass. N. 364/’97; Corte di Appello di Firenze 1995 Germano e Attolini).
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Fattispecie dolose Le ipotesi delittuose configurabili possono essere di carattere doloso: artt. 610, 613, 605 c.p. nell’evenienza di trattamento terapeutico non chirurgico; ovvero, art. 582 c.p.nell’evenienza di trattamento chirurgico: difatti, il delitto di lesioni personali ricorre nel suo profilo oggettivo,
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segue poiché qualsiasi intervento chirurgico, anche se eseguito a scopo di cura e con esito fausto, implica necessariamente il compimento di atti che nella loro materialità estrinsecano l’elemento oggettivo di detto reato, ledendo l’integrità corporea del soggetto»
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Esito favorevole ». Su quest’ultimo punto, si sottolinea che il reato di lesioni sussiste anche quando il trattamento eseguito a scopo terapeutico abbia esito favorevole, e la condotta del chirurgo nell’intervento sia di per sé immune da ogni addebito di colpa, << non potendosi ignorare il diritto di ognuno di privilegiare il proprio stato attuale (v. così, in termini, la citata Sez. V, 21 aprile 1992, Massimo)”.
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Lesioni colpose e dolose
Si individua il reato di lesioni in un intervento chirurgico senza il consenso: lesioni colpose se per errore il chirurgo ritenga il consenso sussistente; dolose se il chirurgo sia consapevole dell’assenza del consenso. In questa direzione potrebbe essere rilevante anche l’incompletezza del consenso; sarebbe sufficiente una alterazione cruenta dello stato fisico senza peggioramento o pregiudizio per la salute. (Nel caso di specie il medico sbaglia il ginocchio da operare).
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sentenza Barese del 2001 Nella stessa direzione la sentenza Barese del 2001 afferma l’illiceità dell’intervento senza consenso, ma nega la responsabilità del medico per omicidio preterintenzionale per mancanza del dolo intenzionale richiesto dall’art. 584 c.p. (conforme Pretura Artezzo 1997 Gervino, Trib. Di Venezia 98 Chinello che ritiene che la mancanza di consenso sia un elemento costitutivo del reato) e la giurisprudenza civile
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attività socialmente utile
Le sentenze Barresi e Volterrani, invece, non solo sostengono l’autolegittimazione dell’attività medica, ma ritengono che l’attività esercitata senza consenso non rende possibile per ciò solo la configurazione della fattispecie di lesioni dolose, o, in caso di morte, di omicidio preterintenzionale perché si tratta di attività socialmente utile e diretta a concretare un diritto sancito dalla Costituzione (non è possibile ravvisare un delitto per assenza del consenso).
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Esito favorevole Conformemente a quanto osservato da certa dottrina si osserva che se l’intervento chirurgico ha avuto esito favorevole manca il reato perché mancano le lesioni non essendovi “malattia”, intesa come alterazione funzionale susseguente ad alterazione anatomica con pregiudizio della salute fisica e mentale: si accoglie la nozione più evoluta di malattia accolta dalla scienza medica.
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Mancanza di dolo Nella sentenza Barresi si sottolinea che manca il dolo diretto perché il chirurgo, che agisce per migliorare le condizioni fisiche, non si rappresenta diretto l’evento naturalistico “malattia” (in giurisprudenza il dolo del delitto di lesioni è considerato “diretto” in quanto denotante “tensione aggressiva”: deve rappresentarsi il pregiudizio per la salute del soggetto passivo, che manca nell’intervento secondo le regole dell’arte medica); lo stesso per l’omicidio preterintenzionale ex art. 584 che richiede il dolo diretto del 581 e 582.
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Volterrani (Cass. 29 maggio 2002)
Nella sentenza Volterrani si precisa, inoltre, che una volta ammessa la radicale liceità della condotta dell’imputato anche a prescindere dal consenso del paziente, il richiamo alla causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p. diviene superfluo.
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Volontà espressa in forma negativa
In questa sentenza si ribadisce che <<in ambito giuridico e penalistico in particolare », la volontà del paziente svolge un ruolo decisivo solamente quando sia espressa in forma negativa [ossia, in presenza di un esplicito dissenso del paziente], perché ciò sarebbe in contrasto con il principio personalistico espressamente accolto dall’art. 2 Cost., e chiaramente emergente da una serie di altre disposizioni della legge fondamentale (in questo caso si configurerebbero a suo carico gli estremi del reato previsto dall’art. 610 c.p.).
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segue Conseguentemente, il fatto che il Volterrani abbia dilatato la sua azione terapeutica ben oltre i confini tracciati dall’adesione dell’infermo agli interventi minori non deve assolutamente considerarsi per ciò solo illecito e arbitrario.
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segue E ciò anche perché, prosegue la Corte, un eventuale preventivo consenso del paziente esteso all’esecuzione della duodenocefalopancreasectomia non avrebbe avuto, di per sé, efficacia liberatoria delle conseguenze dell’esito infausto dell’operazione stante il principio dell’indisponibilità dell’integrità fisica da parte del suo titolare
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Convenzione di Oviedo La Corte riconosce invero che una breccia nella direzione di una maggiore rilevanza della volontà del paziente nell’ambito del trattamento medico potrebbe aprirsi in seguito all’entrata in vigore, nel nostro ordinamento, della Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicna, che enuncia all’art. 5 il principio della necessarietà - fatta salva l’ipotesi di urgenza terapeutica, di cui all’art. 8 - del consenso del paziente
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Tuttavia, non essendo ancora stati emanati i decreti di adeguamento previsti dalla legge di ratifica ed esecuzione di tale convenzione nell’ordinamento italiano (1. n. 145/2001), deve ritenersi che a tutt’oggi il quadro normativo sia rimasto immutato, e che pertanto allo stato il medico è legittimato a sottoporre il paziente affidato alle sue cure
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segue al trattamento terapeutico che giudica necessario alla salvaguardia della salute dello stesso, anche in assenza di un esplicito consenso. L’unico limite è dato, come si diceva, dalla sussistenza di un dissenso esplicito e attuale del paziente, dal quale discenderebbe senz’altro per il medico l’obbligo di astenersi dall’intervento, profilandosi in caso contrario una sua responsabilità per il delitto di violenza privata ex art. 610 c.p.
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segue Mai, però, dall’esecuzione di un trattamento conforme alle regole dell’arte potrebbe discendere una responsabilità del medico per lesioni personali o, in caso di esito infausto, per omicidio preterintenzionale, quale che sia stata la volontà del paziente in merito all’esecuzione del trattamento: con buona pace del principio espresso in Massimo
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segue ”). E ciò indipendentemente dalla sussistenza dei rigidi requisiti di cui all’art. 54 c.p., dovendo piuttosto essere ravvisato uno << stato di necessità generale e, per così dire, ‘istituzionalizzato’, intrinseco, cioè, antologicamente all’attività terapeutica;
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