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PubblicatoDorotea Mascia Modificato 11 anni fa
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La “riforma gregoriana” e la “lotta per le investiture”
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La cosiddetta”riforma gregoriana” prende il nome da papa Gregorio VII (1073-1085).
In realtà la riforma è stata preparata dai papi tedeschi che lo avevano preceduto e si compie con i papi a lui seguenti.
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L’elezione del papa tedesco Clemente II (Natale 1046), operata da Enrico III segnava certamente un cambio di clima all’interno della Chiesa: il papa stesso si faceva promotore della riforma della Chiesa. Lui stesso, in un sinodo romano (1047), proibì severamente ogni genere di simonia. Morì, però, prematuramente (ottobre 1047), ma i successori continuarono sulla sua stessa linea.
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L’imperatore si avvalse del diritto di designare i papi successivi: Damaso II (1048), S.Leone IX ( ), Vittore II ( ), Stefano IX ( ). Tutti e quattro tedeschi. Persone di alto profilo morale, di carattere risoluto e fermo, decisi nel proseguire nell’opera della riforma.
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Un aspetto problematico…
Questo modo di designare i pontefici romani, per quanto meritorio fosse, costituiva un problema: la Sede Romana appariva quasi una “chiesa propria” del re tedesco. Quanto più avrebbe preso piede il movimento della riforma (che vedeva proprio nell’ideale della “libertas ecclesiae” la sua parola d’ordine), e tanto più sarebbe aumentato il desiderio di libertà e di indipendenza del papato.
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S.Leone IX Premessa D’importanza decisiva è il pontificato di Leone IX ( ), Bruno già vescovo di Toul, parente dell’imperatore. Il suo pontificato fu per certi versi un paradosso: un papa posto sulla cattedra di S.Pietro per la decisiva volontà di un imperatore, sviluppò un’azione di governo che mirava a rendersi autonomo dall’invadenze proprio dell’imperatore.
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La sua azione Leone era completamente intriso dello spirito della riforma. I cinque anni del pontificato di Leone IX furono brevi, ma molto intensi. Viaggiò per tutta Europa; tenne ben 12 sinodi papali, molti dei quali fuori Roma. Riforma: Sotto la sua guida questi sinodi emanarono severe decisioni contro la simonia e il matrimonio del clero e inculcarono a tutti i chierici dal suddiaconato in su, l’obbligo del celibato.
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Libertas ecclesiae: Leone intervenne, contro lo strapotere del diritto germanico delle “chiese proprie”, estendendo di molto l’istituto dell’”esenzione” e la protezione papale dei monasteri. Il primato romano/petrino, che negli ultimi tempi aveva sofferto gravi umiliazioni, per merito suo guadagnò nuovamente un carattere universale ed un nuovo riconoscimento.
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Alla base dell’azione di Leone vi furono due strumenti cruciali:
a. un gruppo di collaboratori riformisti che egli coinvolse in modo del tutto nuovo, chiamandoli vicino a sé, fino allo sbocco istituzionale del collegio dei cardinali; b. la concezione del primato petrino, che venne arricchito di nuovi contenuti teologici.
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a. Il gruppo dei suoi collaboratori
Leone chiamò presso di sé persone di grandi capacità e come lui animati dallo stesso spirito riformistico. Le varie e sparse iniziative di riforma vennero in tal modo riunite, incanalate e in qualche modo dirette dal papato, che veniva, in questa funzione di guida, a sostituirsi decisamente all’imperatore. Fu per opera degli uomini di Leone IX, tre dei quali diventeranno a loro volta papi, che la riforma progredì sensibilmente.
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Ugo il Candido del monastero di Remiremont e futuro cardinale; Umberto monaco di Moyenmoutier futuro cardinale-vescovo di Silva Candida; Federico di Lorena del capitolo della cattedrale di Liegi, bibliotecario, cancelliere, abate di Montecassino (futuro Stefano IX); il monaco Ildebrando che si trovava a Cluny, lo ordinò suddiacono, lo nominò tesoriere e rettore del monastero di S.Paolo fuori le mura, (futuro Gregorio VII); Pier Damiani priore di Fonte Avellana e poi cardinale-vescovo di Ostia; Anselmo da Baggio vescovo di Lucca (futuro Alessandro II); Alinardo vescovo di Lione. Tutti costoro posero la loro intelligenza e il loro studio al servizio della causa della riforma guidata dal papato. Da loro venne anche un nuovo impulso dottrinale alla questione del primato petrino.
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b. Il primato petrino Negli interventi amministrativi, giuridici della curia romana, di questo periodo, nei privilegi per monasteri e chiese si trovano numerose affermazioni in cui la sede di Roma non è più presentata solo come elargitrice di concessioni (come nei documenti dei papi precedenti), ma come il punto di convergenza di tutta la Chiesa. Il papato vi è presentato come centro dinamico che per sua natura deve essere presente ed efficace dovunque, primariamente per il bene delle istituzioni ecclesiastiche, ma più in generale per sollevare chi è caduto o debole o per assicurare la libertà e stabilità. Nelle sue lettere Leone mostra di avere chiara l’idea che il papa è al vertice della gerarchia ecclesiastica, ma non per questo di una struttura autoritaria: i rapporti con l’episcopato, che è concepito unitariamente e di cui il papa è partecipe insieme agli altri vescovi, devono essere caratterizzati da uno spirito di fraternità e di comunione.
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La teologia dei collaboratori del papa (Umberto da Silva Candida, Pier Damiani) era posta alla base di un concreto programma di governo. Si arrivò così ad una svolta dalle conseguenze rivoluzionarie: si era operata la saldatura tra la tradizione della teologia del primato e gli ideali della riforma. Ne derivava la convinzione che l’unico strumento sicuro per una rigenerazione della Chiesa e dell’intera società fosse l’affermazione del primato papale, considerato non più una delle caratteristiche della funzione papale, ma avente valore teologico dominante: il primato diventava oggetto di fede, il rifiuto del quale non era solo un peccato, ma una vera eresia.
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Meno felice fu l’intervento di Leone IX nei rapporti
con la chiesa bizantina: in seguito all’agire precipitoso del patriarca di Costantinopoli di allora, Michele Cerulario e alla rigidità dei legati pontifici (Umberto da Silva Candida), sarà proprio durante il suo pontificato che si verificherà lo scisma con la Chiesa d’Oriente, preparato da lungo tempo, ma verificatasi all’improvviso proprio nel Dopo inutili tentativi di mediazione quella rottura si trasformò in definitiva, tanto da durare fino ai nostri giorni. Leone, in verità, morì poco prima dell’atto finale di quell’evento.
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Anche nell’Italia meridionale Leone ebbe degli scontri.
Convinto che solo con una potenza statale autonoma si poteva garantire l’indipendenza della Chiesa, cercò di ampliare verso sud lo Stato Pontificio. Benevento lo riconobbe signore (1051); l’imperatore Enrico III cedette la città ed altri territori alla Chiesa Romana dietro la rinunzia di alcuni diritti in Germania.
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Questo ampliamento, però, lo portò presto in conflitto con i Bizantini, ma anche con i nuovi vicini, i bellicosi Normanni. Dal 1016, infatti, le schiere Normanne si erano stabilite nel sud della penisola vincendo i Saraceni e i Greci, avevano fondato le contee di Aversa e delle Puglie. L’imperatore li aveva riconosciuti come vassalli dell’impero.
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Quando l’esercito papale si spinse verso sud venne sconfitto e distrutto nel giugno del presso Civitate nelle Puglie. Il papa stesso era caduto in mano ai vincitori, che lo trattennero per nove mesi a Benevento quasi come un prigioniero. Alla fine fu rimesso in libertà e morì poco dopo il rientro a Roma il 19 aprile 1054.
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Leone IX uno dei papi più illustri del Medioevo e venerato come santo.
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Motivi della divisione con la Chiesa d’Oriente
Due mondi ormai lontani. Europa divisa in due alla fine dell’Impero Romano. E invasione Barbariche. Serie di scismi (Fozio 867). Legami tra le due chiese sempre instabili. Tensioni (Patriarca Michele Cerulario: chiusura delle chiese e monasteri latini in oriente; accuse sul pane azzimo; insulti sul celibato eccclesiastico; processione dello Spirito Santo). Umberto da Silva Candida inviato per una pacificazione per una pacificazione. Proibizione della Messa: scomunica reciproca. 1054 1204: IV crociata. Saccheggio di Costantinopoli.
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La questione veniva affrontata da Umberto, nominato arcivescovo di Sicilia e cardinale di Silva Candida, con molta decisione e senza incertezze e si concluse il 16 luglio 1054 con la deposizione sull’altare della Basilica di S.Sofia a Costantinopoli della bolla papale in cui il patriarca costantinopolitano veniva scomunicato. Questi a sua volta scomunicò il vescovo di Roma.
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Lo scontro con il patriarca di Costantinopoli, Michele Cerulario, che si definiva “patriarca ecumenico” e si poneva in concorrenza con quello di Roma, era apparentemente centrato su questioni liturgiche (l’uso del pane azzimo nella messa) e dottrinali (la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio), ma in realtà verteva sul diritto di Roma ad affermare il proprio primato su tutte le altre sedi.
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I papi seguenti a Leone IX
A Leone IX succedette, nominato dall’imperatore, il suo cancelliere, Gebardo vescovo di Eichstätt, che prese il nome di Vittore II ( ). 1056 muore l’imperatore Enrico III. Suo figlio, Enrico IV, ha solo 5 anni. L’abilità diplomatica del papa Vittore II ( ) riesce ad ottenere che la reggenza sia data all’imperatrice Agnese.
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Poco dopo muore anche Vittore II (1057), fu eletto canonicamente Federico di Lorena, abate di Montecassino, Stefano IX ( ) senza che la famiglia imperiale venisse coinvolta in alcun modo. Ildebrando inviato in Germania a chiedere l’approvazione imperiale. Continuò con zelo la riforma ecclesiastica intrapresa dai suoi predecessori (chiamando a far parte del governo della Chiesa uno dei suoi più convinti promotori, l’eremita Pietro Damiani di Fonte Avellana, ponendolo a capo del collegio cardinalizio). Il suo pontificato, però, durò meno di otto mesi.
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Ildebrando è assente da Roma.
In modo tumultuoso viene eletto il candidato romano dei conti di Tuscolo con il sostegno del popolo (Benedetto X). Si tornava all’antico. Questo era in contrasto con le precise norme poste da Stefano IX secondo le quali non si doveva procedere ad alcuna elezione prima del ritorno di Ildebrando dalla sua missione in Germania. A Pier Damiani, in qualità di cardinale-vescovo di Ostia, spettava la consacrazione del neo-eletto. Egli si rifiutò di farlo. Tutti i cardinali riformatori disapprovarono l’elezione, considerando l’eletto (Benedetto X) un antipapa usurpatore.
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Qualche mese dopo, a Siena (24/1/1059), (costretti i cardinali a riparare a Siena, città del dominio di Matilde di Canossa, a causa della ostilità dei conti di Tuscolo e di Benedetto X) presente Ildebrando rientrato dalla Germania, i cardinali riformatori elessero papa il vescovo di Firenze, Gerardo di Borgogna (Niccolò II).
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Elezione insolita, ad opera di 5 cardinali vescovi riuniti fuori Roma, senza l’intervento del clero e del popolo romano. Si chiese l’approvazione all’imperatrice Agnese, ma è controverso se il consenso sia arrivato o no prima della elezione. I cardinali procedettero pure alla deposizione di Benedetto X. Nel gennaio 1059 il nuovo papa, Niccolò II, poté fare il suo ingresso a Roma, accompagnato dalle truppe toscane di Goffredo di Lorena (fratello del defunto Stefano IX), dal cancelliere imperiale e dai vescovi cardinali e da altri riformisti. Benedetto X fuggì dalla città.
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Era soprattutto urgente, dopo gli ultimi avvenimenti, una nuova regolamentazione dell’elezione papale. Bisognava salvaguardarla dalle invadenze della nobiltà romana ed eliminare quanto più possibile l’influsso dei laici. Nel medesimo tempo si doveva giustificare a posteriori l’inconsueta elezione di Nicolò II. Queste preoccupazioni diedero luogo al decreto dell’aprile 1059 emanato da un sinodo lateranense.
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Excursus sui Cardinali
Il collegio dei Cardinali, che in questo tempo acquista una notevole importanza, si era venuto formando dal presbiterio del vescovo di Roma, al quale originariamente appartenevano tutti i presbiteri urbani. Dal VI sec. tale presbiterio comprendeva solo i presbiteri o gli arcipreti delle 25 chiese titolari (in pratica le chiese più antiche della città), col nome di presbiteri cardinales (da cardo = cardine, ovvero ogni chierico legato stabilmente ad una determinata chiesa).
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Tra i cardinali vennero ammessi anche i diaconi delle circoscrizioni in cui era divisa la città e i diaconi palatini. Dopo il 732 a tale collegio si aggiunsero anche i vescovi delle sette diocesi suburbicarie. Il loro compito era soprattutto quello di collaborare con il papa nelle celebrazioni liturgiche romane.
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Dal pontificato di Leone IX incominciarono ad avere un ruolo e una responsabilità diversa e più ampia che immise nel collegio i suoi collaboratori non romani, i quali, condividendo con lui sentimenti e aspirazioni riformiste, lo servirono con competenza e passione come consiglieri e legati, assumendo crescente coscienza di una comune responsabilità nei confronti del papato. Nel 1058, a Siena, cinque cardinali vescovi eleggeranno il papa, Niccolò II. L’importanza dei cardinali crebbe moltissimo quando nel 1059 fu riservato a loro in modo esclusivo il diritto dell’elezione del papa.
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Il decreto papale “In nomine Domini” (13 aprile 1059)
Emanato in un sinodo lateranense, il decreto stabilivano le regole per l’elezione del pontefice. l’elezione spettava ai soli cardinali (con un particolare diritto di proposizione per i cardinali vescovi). Al clero rimanente (ai non cardinali) e al popolo di Roma restava l’approvazione della nomina (solo formale o giuridicamente efficace?). Possibile l’elezione anche fuori Roma qualora vi fossero difficoltà che compromettono la libertà degli elettori).
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la definizione del momento in cui l’eletto è papa a tutti gli effetti (il papa eletto possiede immediatamente tutti i poteri della carica (era una novità). il ruolo del collegio dei cardinali durante la sede vacante. Sono i cardinali vescovi ad avere la responsabilità della chiesa romana: in qualsiasi luogo essi e poi il papa eletto si stabiliscano, là è la Chiesa di Roma. All’imperatore e ai suoi successori, doveva esser riservato il “dovuto onore e riverenza”. Era questa una frase ambigua: si trattava del diritto di approvazione, ma non si sa del candidato o dell’eletto. Si diceva, però, che tale diritto doveva essere esplicitamente concesso dal papa ad ogni nuovo imperatore.
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Con il decreto l’elezione veniva di fatto sottratta al potere laicale e si ponevano le premesse perché fossero evitati sia i problemi legati alla sempre incontrollabile situazione romana, sia quelli derivanti dall’intervento di forze estranee. Nelle successive elezioni pontificie, per oltre un secolo, il decreto in realtà non venne mai applicato del tutto. Ma il principio secondo cui l’atto più significativo spettava ai cardinali vescovi restava acquisito, cosicché ogni volta che si verificava una doppia elezione il candidato riconosciuto come legittimo fu sempre quello eletto dalla maggioranza dei cardinali vescovi. La libertà della chiesa aveva ricevuto, almeno sulla carta, un fondamentale riconoscimento. La sede apostolica regolava di nuovo in modo autonomo la nomina del papa. Il cambiamento rispetto alla prassi di nomina esercitata senza contrasti da Enrico III era notevole
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Nello stesso sinodo si emanarono anche decreti per l’attuazione della riforma ecclesiastica:
Al clero concubinario (nicolaiti) fu comminata la scomunica e ai laici fu proibito di assistere alla loro messa; Il clero fu esortato a riprendere la forma della vita apostolica (vita comune); Si vietava di ricevere una chiesa da mano laica sia gratis che dietro esborso di denaro (primo divieto della investitura laicale) Nuova condanna della simonia.
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