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PubblicatoGianluigi Tosi Modificato 9 anni fa
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E forse, la cosa più grave nel corso di un’esistenza è l’assenza di crisi, il restare alla superficie delle cose, il non andare mai in profondo, e dunque, anche un po’ a fondo.
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La crisi, in verità, è occasione di intelligenza e di verità
La crisi, in verità, è occasione di intelligenza e di verità. Essa ci obbliga a passare dalle risposte alle domande, a formulare nuove domande per impostare nuove risposte.
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Ci chiede di uscire dalla tirannia delle abitudini, dalla ripetitività del percorrere sempre lo stesso sentiero più breve al punto che è il sentiero che porta noi e non noi che decidiamo la strada.
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Cambiare strada per raggiungere lo stesso posto può richiedere un tempo più lungo ma anche riservare sorprese, aprire nuovi orizzonti, consentire di vedere cose che altrimenti non vedremmo mai.
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Una crisi deve essere gestita, addomesticata, assunta: spesso essa ci riconduce all’essenziale da cui ci eravamo allontanati.
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La scoperta poi delle proprie carenze e lacune ci aiuta a entrare nella nostra verità personale, che sempre coincide con la nostra unicità; che è, al tempo stesso, la nostra povertà e la nostra inestimabile ricchezza.
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- Non temere la propria molteplicità.
Noi non siamo a una sola dimensione: occorre credere alla propria molteplicità e uscire dallo sguardo unidimensionale su di sé.
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Per questo abbiamo bisogno di specchi, cioè di strumenti e persone che riflettendo un’immagine di noi ci portino a riflettere su di noi.
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Ed è importante, una vera grazia, incontrare uno sguardo che, amandoci, ci sveli la nostra bellezza, che è sempre «bellezza agli occhi di qualcuno».
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Questo sguardo ci dice che l’unico nostro compito, in cui nessuno può sostituirsi a noi, è quello di diventare noi stessi. Imitare altri, o diventare cloni di altri non farebbe la nostra felicità, ma ci sprofonderebbe nell’infelicità.
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- Uscire dall’indecisione.
Simile sguardo può aiutare il giovane a uscire dall’indecisione. Le patologie dell’indecisione sono anzitutto l’astensione dalla scelta, restando nell’illusione dell’indefinito delle possibilità, e scoprendo poi troppo tardi che in realtà una scelta la si è fatta, ma di morte: la scelta di non scegliere.
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Quindi l’attivismo, ovvero il passare da una scelta all’altra, il moltiplicare cose e situazioni per perdere il meno possibile. Anche in questa azione si rifiuta illusoriamente la perdita connessa alla scelta.
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Infine il volontarismo, che ha il limite dell’azione fatta per dovere, eludendo il proprio desiderio profondo.
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Ma la legge, il dovere non ha la capacità di unificare, raccogliere e orientare tutte le energie di una persona, che dunque resterà frustrata e infelice.
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- Non restare prigionieri del ruolo.
Terribile è il restare prigionieri del ruolo, quasi che il ruolo che si riveste eserciti una funzione di protezione.
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Chi si rifugia nel ruolo, nella posizione di potere o semplicemente nella funzione che svolge, si impedisce di accedere al proprio sé, si preclude la via della crescita umana, chiudendosi in posizioni di potere o comunque in una parvenza di sé.
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Rifugiarsi nel ruolo è come indossare una maschera, nascondendo se stessi a sé e agli altri e chiudendosi al dispiegarsi della propria umanità.
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- Osare la solidarietà e l’amore.
La capacità di condividere, di non fare riserve di sé, di trovare la propria realizzazione personale e la propria gioia nel donare è il vertice di ogni cammino formativo ed è il culmine della maturità umana.
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Maturità che ha sempre a che fare con la capacità adulta di amare e con la capacità di lavorare efficacemente, il che significa anche la capacità di soffrire.
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La crescita umano- spirituale della persona raggiunge il suo fine nella capacità di amare. Nel diventare uomini e donne di passione, che conoscono la passione e la sofferenza dell’amore.
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Per giungere a questo fine è essenziale la fiducia
Per giungere a questo fine è essenziale la fiducia. La fiducia è la matrice della vita ed è la forza che consente alla persona di non farsi vincere dalla paura, anzi, dalle tante paure che possono abitarla.
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Questa fiducia consentirà anche lo svilupparsi di una relazione con il tempo equilibrata e non patologica: assumere serenamente il proprio passato senza restarne ostaggio, senza continuare a vivere sotto la sua ombra lunga; aderire all’oggi, al presente senza nutrire sterili fughe in avanti o regressioni all’indietro, proiettarsi verso il futuro senza paure, ma anche senza evasioni e fughe in avanti.
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Signore misericordioso e compassionevole, autore e perfezionatore della fede, ma anche della nostra umanità.
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