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La svolta di Salerno Le forze del CLN
Le conseguenze della svolta togliattiana Il centralismo democratico Il PCI, la DC e le origini dell` “anomalia” italiana
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Le forze del CLN: moderati e cattolici
Le forze del CLN erano unite nella lotta contro nazifascisti ed esercito tedesco di occupazione e condividevano il principio che l'apporto italiano alla lotta di liberazione avrebbe restituito dignità e onore al Paese. Erano divise però sulle prospettive della lotta e sul profilo economico, sociale e politico dell'Italia del dopoguerra. Per i moderati la lotta partigiana era guerra patriottica volta a ricostituire liberi istituti rappresentativi in un quadro democratico: nella tradizione liberale si voleva porre l’accento sulla ripresa piuttosto che sulla rottura con l'Italia prefascista. La DC dava una chiave di lettura di riconciliazione con la Chiesa nell’ambito dei Patti Lateranensi che i liberali avversavano.
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Azionisti, comunisti e socialisti
Gli azionisti che, dopo i comunisti dettero l'apporto più rilevante alla lotta partigiana, accentuavano il tema della rottura drastica e del rinnovamento civile del Paese. In questa prospettiva, l'epurazione doveva essere lo strumento di questo radicale rinnovamento. Comunisti e socialisti perseguivano un disegno di lotta che puntava alla rivoluzione ed all'egemonia del proletariato nel quadro del disegno internazionalista guidato dall'URSS. In questo contesto, veniva rinnovato il patto di unità d'azione fra socialisti e comunisti.
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Una situazione di stallo
Il rigetto da parte del re di abdicare e l'avversione dell'amministrazione militare alleata a ogni mutamento dei vertici crearono una situazione di stallo: le istituzioni erano deboli e delegittimate, mentre le forze antifasciste erano guardate con sospetto soprattutto dagli Inglesi che, in questa fase, avevano maggior peso politico nella realtà italiana. La situazione di stallo nelle relazioni fra CLN, monarchia e Badoglio durò fino alla fine del marzo 1944: il governo, completamente soggetto alla volontà inglese, aveva ottenuto lo status di cobelligerante (ottobre 1943), mentre le divisioni interne al CLN si accentuavano per quel che concerneva le relazioni con il re e Badoglio. L'attentato di via Rasella a Roma (23 marzo 1944) ad opera del Gruppo di azione partigiana (GAP) e l'assassinio di 335 civili da parte dei Tedeschi per rappresaglia (Fosse Ardeatine) scatenò ulteriori tensioni.
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Il riconoscimento sovietico del governo Badoglio
La svolta venne da due eventi. Il primo fu il riconoscimento del governo Badoglio da parte sovietica. Per il governo italiano ciò significava uscire dallo stato di isolamento cui era costretto dagli inglesi. Per Stalin dare forza alla presenza sovietica in Italia, rompendo l’esclusivismo alleato. Il riconoscimento metteva in grado Togliatti, capo del PCI, di tornare in patria e preparare la sua azione volta a dare un ruolo decisivo al partito comunista.
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La svolta di Salerno Il secondo fu la svolta imposta da Togliatti al partito, così detta di Salerno dal luogo del discorso pronunciato da Togliatti subito dopo il ritorno in patria. I contenuti della svolta furono i seguenti: collaborazione delle forze antifasciste con le istituzioni grazie al rimpasto del governo Badoglio rinvio della questione istituzionale alle decisioni dell'Assemblea costituente dopo la fine del conflitto. La svolta si conciliava con le posizioni assunte dalle forze moderate all’interno del CLN e convergeva con gli interessi degli alleati che puntavano sul Re e Badoglio, firmatari dell'armistizio.
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Il lodo De Nicola La svolta faceva del partito comunista l'asse fondamentale a sinistra di sostegno del governo. Infatti, obbligò socialisti e azionisti a seguirne la scelta, pur imponendo che, alla liberazione di Roma e al ritorno del governo a Roma, il re, pur senza abdicare, cedesse i poteri al figlio Umberto designato come luogotenente (lodo De Nicola, aprile 1944). L'azione di Togliatti dava all'URSS un peso politico in Italia ove la forza militare anglo-americana era esclusiva.
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Le conseguenze della svolta togliattiana
La svolta togliattiana ebbe anche valenze di lungo periodo nella storia del PCI della sinistra di classe italiana e della stessa natura del sistema politico. Il PCI restava, nelle dichiarazioni, un partito rivoluzionario, ma facendo propria la tesi della democrazia progressiva, metteva sullo sfondo la prospettiva rivoluzionaria. Nei fatti, il partito si trasformava, affidando la propria forza al radicamento nella società civile e divenendo un partito di massa e non più di élite rivoluzionaria. Liquidava le ipotesi, alimentate dal vento del nord, di spazzare via il governo costituito. Spezzava la continuità fra sinistra e anticlericalismo, dialogando con le forze cattoliche. Faceva del PCI un partito di classe che si apriva al ceto medio.
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Il centralismo democratico
La natura non democratica dell'organizzazione del PCI non veniva messa in discussione: il centralismo democratico, meccanismo per cooptazione da parte della dirigenza, rimase vigente fino agli anni ‘80. Il dissenso rispetto alla linea ufficiale del partito non era concesso: la regola era l'unanimismo e l'ossequio. Togliatti gettò le basi per fare del partito una forza protagonista della storia politica e sociale italiana. Mantenne ferma la continuità con la tradizione comunista e la collocazione internazionale del partito su posizioni filosovietiche. Tali posizioni, secondo alcuni storici, nel contesto della divisione internazionale della guerra fredda, avrebbero “sterilizzato” all'opposizione una grossa percentuale del consenso popolare, concorrendo ad indebolire le istituzioni e carente la Nazione, ricostruita su basi democratiche, sotto il profilo dei valori condivisi.
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DC il partito cardine del sistema
Sul versante moderato, nonostante le aspettative dei laici di tornare ad avere un ruolo centrale nel sistema politico, il partito d'ispirazione cattolica assunse un ruolo dominante. Ciò fu determinato da tre fattori. I Patti Lateranensi avevano tolto di mezzo l’ostacolo per un partito cattolico a divenire protagonista della vita politica del paese. Le organizzazioni cattoliche avevano potuto operare e svilupparsi nell' Italia fascista. Pur mantenendo una linea forzatamente apolitica, avevano creato una capillare trama organizzativa che sarà sfruttata sia per formare un ceto dirigente politico che per gettare le basi del futuro partito: ciò non era stato concesso a nessuna altra forza politica durante il regime. Il disegno di De Gasperi era di fare della DC il partito unitario dei cattolici. Ciò permise di superare il pluralismo delle forze politiche d'ispirazione cattolica profilatosi nel 1943 e di fare della DC un partito capace di gettare le premesse della riconciliazione nazionale. L’ imprimatur dalla Santa Sede alla DC e l'accreditamento presso gli USA ottenuto da De Gasperi, concorse a fare della DC il partito cardine del sistema, garante della sua collocazione internazionale per tutta la stagione della guerra fredda.
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Il PCI, la DC e le origini dell` “anomalia” italiana
Tutti questi sviluppi erano ancora in nuce nel 1944, ma avevano avuto dalla svolta di Salerno il loro fondamentale abbrivio. Secondo una parte della storiografia, da allora sia per i partiti costituenti la futura maggioranza sia dell'opposizione si venne affermando l'assunto che le forze maggiori del sistema politico italiano avrebbero avuto il loro referente e, sotto un certo profilo, anche la fonte della legittimazione in autorità sopranazionali o extranazionali: la Santa Sede per la DC e l'URSS per il PCI. Queste caratteristiche, inserite nel quadro di un'Europa distrutta e divisa secondo la logica spartitoria delle superpotenze, avrebbero reso il caso italiano ancor più complesso di quello degli altri stati dell'Europa occidentale. Ciò emerse chiaramente quando la fine della guerra fredda non assestò il colpo definitivo solo a quel partito, il PCI, che fino alla soglia della caduta del muro di Berlino non aveva preso nettamente le distanze dall'URSS ma a tutto il sistema dei partiti.
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