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VARIABILI ORGANIZZATIVE

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Presentazione sul tema: "VARIABILI ORGANIZZATIVE"— Transcript della presentazione:

1 VARIABILI ORGANIZZATIVE
VARIABILI DEL COMPITO Sistemi tecnologici 4 tipologie di compiti: compiti operativi: competenza professionale derivante da esperienza, modesto investimento affettivo compiti tecnico-specialistici: presuppongono forte formazione specialistica, contribuiscono a definire l’identità individuale compiti gestionali: di rilevanza crescente nelle organizzazioni, implicano capacità previsionali e progettuali e capacità di tollerare turbolenze nell’ambiente esterno e interno,forte investimento della persona nel lavoro compiti manageriali: deputati all’individuazione degli obiettivi da raggiungere e delle relative strategie, richiedono capacità di diagnosi, costante collegamento con l’ambiente esterno, determinazione, flessibilità, capacità di convogliare le energie verso obiettivi realistici e flessibili Obiettivi dell’organizzazione: di marketing (mercato) di innovazione di produttività di responsabilità sociale di profitto Struttura dell’organizzazione, per livelli di complessità, formalizzazione, centralizzazione: per funzioni divisionale o per prodotto matriciale Ambiente e organizzazione del lavoro Sistemi normativi e retributivi Culture dell’organizzazione (Schein 1980): artefatti: ambiente fisico e sociale, tecnologia, linguaggio scritto e parlato, comportamenti manifesti; riti, miti, simboli valori: convinzioni e opzioni fondamentali su ciò che è giusto e preferibile assunti di base (impliciti, invisibili, inconsapevoli): rapporto con l’ambiente fisico e socioculturale, concezioni realtà e verità, tempo e spazio, natura dell’uomo, valore e significato dell’attività lavorativa, stili di convivenza interumana VARIABILI SOGGETTIVE INDIVIDUALI Tipologie di culture (Enriquez 1970): autoritaria: identificazione, ammirazione, subordinazione burocratica: osservanza della norma, complessità, formalizzazione tecnocratica: efficienza e efficacia, successo, iniziativa, capacità di rinnovarsi cooperativa: partecipazione e consenso Non una, ma più culture (sottoculture): rafforzative, ortogonali o “contro” (controculture) rispetto alla cultura dominante (Martin e Siehl 1983) mappe cognitive costituite da 4 forme di conoscenza culturale: lessicale, direttiva (pratiche), delle formule (giudizi), assiomatica (Sackmann 1992) Abilità fisiche psicomotorie cognitive (abilità cognitiva generale): abilità verbale / quantitativa / percettiva / di visualizzazione spaziale / deduttiva / creativa / memoria Dimensioni della personalità tratti sociali motivi concezioni personali adattamento emotivo dinamiche della personalità Motivazione al lavoro 1. Approccio bisogni-motivi-valori Orientamento centrato sulla soddisfazione dei bisogni: a) Teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow (fisiologici, sicurezza, appartenenza, stima, autorealizzazione) e sequenziale di Alderfer (di sopravvivenza, di relazione, di crescita) / b) Teoria bifattoriale di Herzberg (fattori igienici/fattori motivanti) / c) Teoria della motivazione al successo (autorealizzazione), all’affiliazione e al potere di McClelland Orientamento centrato sulla giustizia ed equità: Teoria dell’equità di Adams (confronto tra rapporto input/outcome proprio e altrui) 2. Approccio della scelta cognitiva (famiglia teorie aspettativa x valore) Approccio classico cognitivo-interazionale di Atkinsons: bisogno di avere successo, bisogno di evitare il fallimento, probabilità percepita di successo, valore di incentivo del successo Approccio cognitivo episodico (della contingenza): a) Teoria dell’aspettativa di Vroom: Forza (impegno) = risultati possibili del lavoro (obiettivi) x valenza dei risultati x strumentalità della prestazione rispetto agli obiettivi x aspettativa (credenza soggettiva che un certo livello di impegno porterà alla riuscita della prestazione) / b) Teoria dell’orientamento al futuro di Raynor: situazioni contingenti (motivazione dipende anche dalla posizione di quel compito in un sentiero di progressione verso il raggiungimento di obiettivi individuali) vs non contingenti / c) Teoria dell’attribuzione di Weiner: motivazione funzione di 3 dimensioni di attribuzione causale dei risultati ottenuti/ottenibili: interna/esterna, stabile/instabile, controllabile/non controllabile) / d) Approccio della dinamica dell’azione di Atkinsons e Birch: la forza di una tendenza motivazionale può incrementare o decrescere nel tempo in funzione della natura del compito e dell’intensità della tendenza 3. Approccio dell’autoregolazione a) Modello del goal setting di Locke: gli obiettivi costituiscono la base della motivazione e dirigono il comportamento, a condizione che: l’individuo sia consapevole dell’obiettivo e sappia cosa fare per raggiungerlo e che accetti l’obiettivo come qualcosa per cui vale la pena di impegnarsi (→ MBO) b) Teorie dell’apprendimento sociale di Kanfer e Bandura: automonitoraggio + autovalutazione + reazione del sé + autoefficacia percepita Analisi della realtà Processi percettivi possono essere distinti in 5 stadi (Lord): attenzione (filtri) / organizzazione dell’informazione (schemi, categorie – sia individuali che organizzative) / interpretazione (rischi proiezione + cultura organizzativa) / richiamo / giudizio Distorsioni e “assolutismo fenomenico” correggibili tramite: formazione psicosociale: lavoro sul grado di accettazione di sé, confronto con interpretazioni altrui nella situazione di piccolo gruppo, disamina critica di prototipi e sterotipi organizzativi cultura organizzativa tesa a favorire l’argomentazione di opinioni e valutazioni frequentazione di gruppi sociali e professionali diversi da quello di appartenenza clima organizzativo supportivo Presa di decisione Modello razional-economico suddivide processo in 5 stadi: determinazione degli obiettivi / monitoraggio dell’ambiente / prospettazione di alternative / scelta dell’azione / valutazione dell’azione e eventuali correttivi Fattori di distorsione: intolleranza dell’ansia (irrisolutezza ossessiva / risolutezza precipitosa), difesa dell’immagine personale (scalata irrazionale dell’impegno), avversione alle perdite, euristica della disponibilità e altre Anche qui: formazione psicosociale e cultura organizzativa costituiscono correttivi Problemi e opportunità del pensiero creativo Soddisfazione lavorativa 3 componenti (Locke): valori personali connessi al lavoro / importanza dei medesimi / percezione della vita lavorativa e di sé Fonti di insoddisfazione: contenuto, natura del compito / ambiente sociale organizzativo e dinamica dei ruoli (ambiguità di ruolo, eccessivo carico o deprezzamento del ruolo, conflitto di ruolo) / differenze individuali Sodisfazione / Insoddisfazione impattano su: equilibrio psico-fisico, assenteismo e turnover, sentimento di appartenenza all’organizzazione, performance (in modo non lineare e meccanico)

2 VARIABILI DEL RUOLO POTERE = CAPACITA’ DI INFLUENZARE LE CONDOTTE DEGLI ALTRI E DI RESISTERE ALLE INFLUENZE INDESIDERATE MESSE IN ATTO NEI PROPRI CONFRONTI (McMurray) Fonti e tipi di potere (French, Raven): potere di posizione potere di competenza potere del carisma potere di coercizione potere di riconoscimento Nelle organizzazioni il potere trae origine dalla / si sostanzia nella capacità di gestire eventi critici per l’organizzazione stessa, attraverso: controllo delle risorse controllo dell’informazione controllo sulle decisioni strategiche LEADERSHIP = USO DI UN’INFLUENZA NON COERCITIVA PER DIRIGERE E COORDINARE LE ATTIVITA’ DEI MEMBRI DI UN GRUPPO ORGANIZZATO VERSO IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DEL GRUPPO (Jago) RUOLO (LAVORATIVO) = INSIEME DEI COMPORTAMENTI TIPICI CHE CARATTERIZZANO LA POSIZIONE DI UNA PERSONA NEI CONTESTI DI LAVORO O più specificatamente: = INSIEME DELLE ASPETTATTIVE CHE LO STESSO SOGGETTO TITOLARE DEL DEL RUOLO E GLI ALTRI SOGGETTI CHE CON LUI/LEI INTERAGISCONO NELL’AMBIENTE LAVORATIVO (COLLEGHI, SUPERIORI, CLIENTI, FORNITORI = “ROLE SET”) HANNO NEI CONFRONTI DI CHI OCCUPA UNA SPECIFICA POSIZIONE ORGANIZZATIVA (Jackson, Schuler)  Le relazioni, all’interno dei contesti organizzativi, non si configurano mai come semplici relazioni tra individui, ma come relazioni tra ruoli Aspetti comuni a tutti i ruoli sociali: un ruolo esiste solo in relazione ad altri ruoli  il concetto di ruolo rinvia alla relazione tra due o più persone ogni ruolo è delimitato da confini  presidio del territorio contro invasioni altrui, invasioni dell’altrui territorio  il rapporto tra ruoli non è mai statico ogni ruolo è contraddistinto da vincoli, sia di origine esterna (es norme, dati di realtà sfavorevoli), sia di origine interna (caratteristiche di personalità, limiti individuali) ogni ruolo si gioca intorno a tre poli: potere, risorse e vincoli (esterni e interni) ogni ruolo ingloba una dimensione prescritta e una soggettiva (interpretazione individuale del ruolo) ogni ruolo si muove tra la dimensione della prescrittività e quella della discrezionalità ogni ruolo soggiace ad un duplice sistema di valutazione: da parte degli altri e da parte del soggetto stesso Aspetti specifici dei ruoli lavorativi: ogni ruolo ha una dimensione funzionale, poiché si svolge all’interno di una delle funzioni in cui si articola l’organizzazione (es produzione, mktg, amministr, ecc) ogni ruolo ha una dimensione gerarchica, corrispondente al grado che esso occupa nella scala gerarchica dell’organizzazione ogni ruolo può essere più o meno centrale o periferico 1. TEORIE UNIVERSALISTE a) Studio dei tratti (assunto: leader si nasce) Intelligenza Personalità Abilità b) Studio dei comportamenti (assunto: esiste uno stile di leadership migliore in assoluto) Hersey, Blanchard – Università dell’Ohio: fattori “considerazione” e “struttura d’iniziazione” ≈ Università del Michigan: fattori “orientamento al dipendente” e “orientamento alla produzione” (ritenuti due dimensioni indipendenti, contrariamente a Bales: orientamento alle relazioni <---> al compito) Blake e Mouton: “griglia manageriale” degli stili INIZIAZIONE / OR. ALLA PRODUZIONE CONSIDERAZIONE / OR. AL DIPENDENTE 1.1 Stile “esaurito” o povero o laissez faire 1.9 Stile “circolo ricreativo” o “del gruppo di amici” 9.9 Stile “squadra” 9.1 Stile “compito” 5.5 Stile “metà strada” 2. TEORIE DELLA CONTIGENZA (dalla fine degli anni 50) a) Modello della contingenza di Fiedler Prima fase: Fiedler distingue tra leader con bassa o alta ASO (misura di similarità assunta) ritenendo che tale misura indichi l’orientamento al compito (bassa ASO) piuttosto che alla relazione (alta ASO) Seconda fase: Fiedler postula che l’efficienza del leader nel gestire un gruppo di lavoro sia “contingente”, ovvero sia la risultante dell’interazione tra il punteggio ASO del leader e il grado di favorevolezza della situazione in cui si trova ad agire, che a sua volta è funzione (correlazione positiva) di: - accettazione del leader da parte del gruppo; - strutturazione del compito; - posizione di potere del leader b) Teoria del raggiungimento degli obiettivi (Evans inizialmente, poi sviluppata da House e Mitchell) Teoria che rispetto a quella di Fiedler presuppone una maggiore flessibilità del leader nell’adottare comportamenti diversificati e si regge su 2 assunti: 1) il leader è tanto più accettato dai collaboratori quanto più questi lo percepiscono come fonte immediata di soddisfazione o come strumentale al raggiungimento di una soddisfazione futura; 2) il leader è particolarmente motivante quando riesce a convincere i collaboratori che la loro soddisfazione dipende dal raggiungimento di risultati brillanti (ovvero quando riesce ad integrare gli obiettivi personali dei collaboratori con gli obiettivi organizzativi) e che di questo cammino egli si farà carico (guida, chiarificazioni, ricompense adeguate). La teoria identifica i comportamenti tipici dei leader al riguardo, e indica quale comportamento risulterà più efficace in funzione delle caratteristiche sia della situazione che dei collaboratori: a) Comportamento strumentale: “orientamento al compito”, efficace quando i collaboratori hanno difficoltà ad impegnarsi b) Comportamento supportivo: include l’attenzione al benessere, alla relazione, efficace nel caso di compiti noiosi c) Comportamento partecipativo: anch’esso include l’attenzione alla relazione, efficace nel caso di collaboratori abili e con alte aspettative e nel caso di compiti destrutturati d) Comportamento orientato ai risultati: sfidante, elevate aspettative rispetto ai collaboratori e continua proposta di incentivi, efficace con collaboratori con forte desiderio di autorealizzazione Favorevolezza della situazione - + BASSA ASO ALTA ASO c) Modello della contingenza di Vroom e Yetton (modello normativo) Protezione qualità della decisione quando... Protezione dell’accettazione della decisione quando... Leader manca di informazioni Collab in conflitto tra loro Situazione è destrutturata Accettazione è necessaria Rochiesta l’imparzialità del leader Accettazione è vitale A I x A II C I C II G II d) Leadership situazionale (Hersey e Blanchard, modello normativo) 4 stili di leadership in funzione delle solite due dimensioni (qui chiamate comportamento direttivo e comportamento supportivo), la loro efficacia è funzione del livello di maturità dei collaboratori: S1, prescrittivo, “Telling” (comp. direttivo + / comp. supportivo –)  Collaboratori M1 (poche capacità, riluttanza, insicurezza) S2 , addestramento, “Selling” (comp. direttivo + / comp. supportivo +)  Collaboratori M2 (poche capacità ma disponibili) S3 , coinvolgimento, “Participating” (comp. direttivo - / comp. supportivo +)  Collaboratori M3 (buone capacità ma disponibilità variabile) S4 , delega, “Delegating” (comp. direttivo - / comp. supportivo -)  Collaboratori M4 (buone capacità/competenze e disponibilità/sicurezza)

3 a) Teorie dell’attribuzione (fine anni ’70) Gli antecedenti:
3. SVILUPPI PIU’ RECENTI a) Teorie dell’attribuzione (fine anni ’70) Gli antecedenti: Heider, 1958: l’attribuzione degli eventi a fonti causali è fondamentale per la nostra comprensione dell’ambiente sociale  quando classifichiamo un comportamento lo facciamo in relazione al perché riteniamo si sia verificato  descriviamo un comportamento di una persona in base a ciò che inferiamo sui suoi desideri, motivazioni e intenzioni, sulla sua consapevolizza riguardo a ciò che sta facendo , sulla sua abilità a farlo e sulle costrizioni situazionali nelle quali sta agendo Weiner 1971: l’esito di un comportamento, proprio o altrui, può essere cognitivamente attribuito a 4 fattori di base (abilità, impegno, difficoltà del compito, fortuna), a loro volta raggruppabili in 2 dimensioni generali (interno/esterno, stabile/instabile) Kelley 1967: il processo di attribuzione avviene in base ad una specie di analisi mentale della varianza, in cui registriamo le covariazioni dei fattori che valutiamo intervengano e i loro effetti visibili (comportamento). Nelle situazioni in cui abbiamo a disposizione poche informazioni ci basiamo sulla cosiddetta “psicologia ingenua dell’azione”, ovvero sulle teorie implicite che possiedamo, e tendiamo a fare un’attribuzione interna. Quando invece abbiamo a disposizione maggiori informazioni sulla persona che agisce e sulla situazione, e sulle relazioni tra le due, usiamo queste informazioni per fare un’attribuzione più “fina”, in particolare basandoci su tre elementi: specificità (quanto il comportamento osservato è specifico rispetto a quella situazione); coerenza (quanto l’elemento a cui attribuiamo il ruolo di causa produce quello stesso comportamento in situazioni e/o tempi diversi); consenso (quanto tutti reagiscono in modo simile a quello osservato all’elemento cui attribuiamo il ruolo di causa) Il leader come agente causale Teoria proposta da Calder e Pfeffer (1977): sostiene che il leader esiste solo in quanto gli altri lo giudicano tale, ovvero che la leadership è un processo dipendente dalle attribuzioni fatte dal gruppo più che dalle azioni del leader. Le attribuzioni vengono fatte sulla base di teorie implicite, secondo le quali la leadership produce determinati effetti e non altri: se tali effetti vengono osservati e se possono venire attribuiti a qualità personali del leader, l’osservatore dichiarerà che quell’individuo ha dimostrato capacità di leadership. La salienza del leader è tra i fattori che aumentano la possibilità che egli possa essere percepito come la causa più plausibile della performance (euristica della disponibilità). Inoltre entrano in gioco schemi cognitivi che facilitano la raccolta di informazioni ma allo stesso tempo influenzano la percezione. Il leader come elaboratore di informazioni Teoria proposta da Mitchell e Wood (1979): sostiene che il leader modula il proprio comportamento in funzione dei processi di attribuzione causale (del tipo di quelli descritti da Kelley) che egli mette in atto osservando e valutando le performance dei suoi collaboratori STABILE INSTABILE INTERNO ABILITA’ IMPEGNO ESTERNO DIFFICOLTÀ COMPITO FORTUNA b) Teoria delle risorse cognitive da un lato (nuovo campo d’indagine sviluppato di Fiedler) sottolinea che i comportamenti del leader sono influenzati dalla quantità di “stress interpersonale”: situazioni di basso stress interpersonale favoriscono l’adozione di comportamenti basati sull’intelligenza, quindi potenzialmente innovativi; al contrario, situazioni di alto stress interpersonale favoriscono l’adozione di comportamenti basati sull’esperienza, quindi tendenzialmente ripetitivi ( teoria della facilitazione sociale, Zajonc 1965) dall’altro lato (Blades1986) dimostra che un leader riconosciuto dal gruppo come abile e preparato ottiene migliori risultati se adotta un comportamento direttivo e assertivo, mentre un leader riconosciuto come meno abile/competente ottiene i risultati migliori se adotta uno stile partecipativo c) Leadership carismatica L’approccio sposta l’attenzione dal comportamento del leader agli effetti ottenuti nei collaboratori. Boarl e Bryson (1988) definiscono “carismatica” quella leadership che riesce a creare nei collaboratori un “mondo” o schema interpretativo della realtà nuovo e differente, che sia per loro cognitivamente ed emozionalmente “reale” la validità fenomenologica delle situazioni per le persone dipende da quanto esse sono percepite come intrinsecamente valide (corrispondenza tra sentimenti e comportamenti, principale effetto raggiunto dai “leader carismatici visionari”), ed estrinsecamente valide (corrispondenza tra comportamenti e risultati, principale effetto raggiunto dai “leader carismatici prodotti dalla crisi”) d) Teorie trasformazionali (Bass, Burns) LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE carisma considerazione individualizzata stimolazione intellettuale LEADERSHIP TRANSAZIONALE ricompensa contingente gestione per eccezioni Il modello trascende le due solite dimensioni di orientamento al compito / alla relazione rispetto ai modelli della contingenza, riconosce certamente l’importanza dei dati situazionali ma ritiene lo stesso leader un fattore dinamico in grado di modificare la situazione VS “questa è la visione” “questo è il modo di fare le cose”


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