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Laboratorio specialistico L. 328/2000 : I Piani di Zona

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Presentazione sul tema: "Laboratorio specialistico L. 328/2000 : I Piani di Zona"— Transcript della presentazione:

1 Laboratorio specialistico L. 328/2000 : I Piani di Zona
Laboratorio specialistico L. 328/2000 : I Piani di Zona. Contributo prof. Daniela Teagno Lezione 11 maggio 2009 Testi di riferimento: Rei D., Sociologia e welfare, Gruppo Editoriale Esselibri, Napoli, II edizione, 2008 Ferrera M. , Le politiche sociali, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2006 Battistella A., De Ambrogio U., Ranci Ortigosa E., Il Piano di zona. Costruzione, gestione, valutazione, Carocci Faber, Roma, 2004 (3^ ristampa 2007) Maggian R., Il sistema integrato dell’assistenza. Guida alla L.328/2000, Carocci, Roma, 2ª ristampa maggio 2002

2 L’analisi delle politiche pubbliche/sociali
L’analisi delle politiche pubbliche è lo studio del come, perché e con quali effetti i diversi sistemi politici (in particolare i governi) perseguono certi corsi di azione per risolvere problemi di rilevanza collettiva. L’analisi delle politiche sociali è allora lo studio di un sotto-insieme di corsi di azioni, volti a risolvere problemi e a raggiungere obiettivi di natura “sociale”, che cioè hanno a che fare, in senso lato, col benessere (welfare) dei cittadini.

3 Le politiche sociali sono un tipo di politica pubblica e si distinguono per:
contenuto: sono politiche relative a previdenza, sanità, assistenza, cioè riguardano direttamente il comparto della protezione sociale. A cui sono connesse le politiche del lavoro, quelle fiscali, per la casa, l’istruzione, la formazione, l’ambiente… funzione: sono politiche a “carattere distributivo”, cioè forniscono ai destinatari benefici, attraverso un ventaglio di prestazioni (dai trasferimenti di ordine monetario, ai beni in natura e servizi), per accrescere il loro benessere.

4 Il welfare state si tratta di un sistema sociale (connesso al processo di modernizzazione) basato sulla assunzione da parte di uno stato politico di responsabilità primarie per il benessere sociale e individuale di ogni cittadino, attraverso la legislazione e l’attivazione di specifiche politiche sociali realizzate tramite uffici e agenzie governative, ossia da istituzioni pubbliche. Negli stati nazionali europei, quando spariscono le forme tradizionali di aiuto (quelle informali, della carità) e premono nuove domande di protezione, collegate alle mutate condizione di lavoro e di relazioni sociali, il luogo tipico e istituzionale della politica sociale nel XX secolo è il welfare state. Il tradizionale stato di diritto è fondato sulle libertà individuali e sulle istituzioni di democrazia rappresentativa, lo stato sociale offre qualcosa in più ai suoi cittadini, ovvero si impegna a fornire tutela e protezione contro rischi e bisogni che costituiscono <sfide> per le condizioni di vita degli individui.

5 Il welfare in Italia Il modello di welfare italiano può essere definito in vari modi: da un punto di vista costituzionale è LAVORISTA (artt. 1, 4 Cost.), SOLIDARISTA (art.2 Cost.) e OCCUPAZIONALE (art. 38 Cost.). Meglio sarebbe dire “OCCUPAZIONALE MISTO A TRATTI DI UNIVERSALSMO”, perché il S.S.N. dal 1978 garantisce pari prestazioni sanitarie a tutti i cittadini; in base alle caratteristiche tipiche del welfare dell’Europa mediterranea, è FAMILISTA (Ferrera); da un punto di vista politico PARTICOLARISTA e CLIENTELARE (Paci, Ascoli).

6 Entrate/uscite per la protezione sociale (%)
2/32 previdenza sanità assistenza Stato 21,9 55,8 74,7 Regioni/enti locali ---- 39.4 18,3 Enti previdenziali 1,7 6,8 Imprese 51,9 2,2 Lavoratori dipendenti 14,2 Lavoratori autonomi 8,4 Famiglie 0,5 0,2 Uscite: + 2/3 Previdenza il 25% Sanità il 7% Assistenza (di cui il 5,2% per prestazioni in denaro) Sul totale spesa: 74% trasferimenti; 26% beni e servizi Rei, 2008 (dati 2003)

7 La doppia distorsione del welfare state italiano
distorsione funzionale distorsione distributiva Vecchiaia e superstiti Altri rischi Garantiti ++++ +++ Semigarantiti ++ + Non garantiti - L’Italia spende circa un quarto del PIL per la protezione sociale, come gli altri paesi europei. La sua peculiarità sta nella composizione interna della sua spesa: l’iperprotezione sia del rischio vecchiaia e superstiti (distorsione funzionale) sia di alcune categorie occupazionali, alimentando la giustapposizione tra inclusi ed esclusi, insiders e outsiders.

8 Cause e conseguenze della distorsione
Le peculiarità italiana si può collegare alla “logica politica” della Prima Repubblica ( ) che ha fatto del welfare state un nuovo sistema di potere, consolidatosi intorno a una vera e propria partitocrazia distributiva, che per catturare il consenso ha utilizzato modalità particolaristico-clientelari. Tra le conseguenze: - i problemi di efficacia/efficienza, nonché di equità, non solo all’interno delle generazioni ma anche tra le diverse generazioni; - il rafforzamento dello status quo e l’ostilità verso il cambiamento istituzionale; - l’impatto più violento, rispetto agli altri paesi europei, della crisi iniziata negli anni Settanta. A partire dal 1992, inizia una nuova fase di “ricalibratura” del welfare state italiano, caratterizzata da importanti riforme in quasi tutti i comparti di spesa. A che cosa è dovuto questo cambiamento di rotta? A due importanti mutamenti del quadro istituzionale: uno di origine interna che ha riguardato gli assetti, i soggetti e gli equilibri politici della prima repubblica (Tangentopoli, Mani pulite delegittimarono il regime di partitocrazia distributiva) traghettando il paese verso la seconda repubblica (prime elezioni con sistema maggioritario nella primavera del 1994=> primo governo Berlusconi), ed uno esterno che sollecitava la transizione verso l’UEM ( a tal fine i vari governi Amato, Ciampi, Dini, Prodi dovettero fare scelte anche impopolari; le stesse parti sociali convennero sulla necessità delle riforme, che permisero all’Italia di essere ammessa nel 1998 a partecipare all’unione economica monetaria europea assieme ad altri 10 paesi membri). -Tangentopoli, Mani Pulite => 2ª Repubblica -Transizione verso l’UEM europea Perché?

9 Verso la riforma dell’assistenza sociale
La riforma dello stato sociale si impose come grande priorità nazionale nel 1996 con il primo governo di centro sinistra della Seconda repubblica, guidato da Romano Prodi e con Livia Turco (DS) a capo del ministero per la solidarietà sociale. Nel 1997 una commissione di esperti, presieduta da Paolo Onofri,ebbe il compito di elaborare una riflessione generale sugli scenari e le opportunità in materia di riforma del welfare state nel suo complesso, che sfociò in una serie di raccomandazioni. Nella legge finanziaria per il 1998 il governo Prodi cercò di inserire molte delle raccomandazioni della commissione Onofri e i principali interventi che seguirono furono: l’ISE/ISEE, l’assegno per i nuclei con almeno 3 figli minori, l’assegno di maternità per le madri sprovviste di altra copertura assicurativa,la sperimentazione del RMI [+sostegno locazione, ministero lavori pubblici] Sempre nel 1998, Prodi presentò un disegno di legge intitolato “Disposizioni per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che giunse in parlamento insieme a tante altre proposte sullo stesso tema, andando a costituire la base per la riforma dell’assistenza sociale approvata due anni dopo. La crisi è già avvertita negli anni Settanta, ma fino agli anni Novanta non viene affrontata con rigore e impegno. La crisi, dovuta a fattori congiunturali (aumento e differenziazione bisogni sociali, emergere di nuovi percorsi di povertà ed esclusione sociale, legati al passaggio ad un’economia post-industriale) e alla crescente consapevolezza della inadeguatezza delle risposte, nonché il mutamento del quadro istituzionale, sollecita il dibattito sulla riforma dell’assistenza, che trova nel dibattito internazionale, già avviato alla fine degli anni Ottanta, un’opportunità di apprendimento istituzionale, in quanto forniva sia nuovi schemi interpretativi sia un quadro di soluzioni alternative.

10 Legge 8 novembre 2000, n. 328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali* Essa consta di: Principi e finalità (artt. 1-5) Assetto istituzionale/organizzativo (artt. 6-13) Particolari interventi di integrazione e sostegno sociale (artt ) Pianificazione (artt ) Quadro degli interventi, servizi e trasferimenti economici (artt.22-26) Norme finali (artt ) *(art. 128 dlgs 112/98) Il ddl governativo n. 4931/1998 fu assegnato alla XII commissione (affari sociali) della camera dei deputati, composta da 46 rappresentati di vari gruppi parlamentari, la quale dopo l’esame preliminare istituì un comitato ristretto (9 deputati) per l’elaborazione di un testo unificato

11 Il D.Lgs. 112/98 Ai sensi del decreto legislativo n.112/98, per "servizi sociali“ – art. 128, comma 2 – si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia. => Si passa cioè da un concetto negativo e statico come l’assistenzialismo ad una lettura positiva dell’assistenza erogatrice di servizi sociali in senso lato, e soprattutto come processo dinamico ed evolutivo.

12 di interventi e servizi sociali
Le finalità del sistema integrato di interventi e servizi sociali => Prevenire, eliminare, ridurre le condizioni di disabilità, bisogno, disagio individuale e familiare, derivanti dalle seguenti cause (problematiche multidimensionali): A. inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali, condizioni di non autonomia => Promuovere interventi per garantire: B. la qualità della vita/benessere, C. pari opportunità, non discriminazione, diritti di cittadinanza nonché D. il diritto di scelta dei cittadini E. la partecipazione attiva dei cittadini e delle organizzazione degli interessi e la solidarietà sociale

13 A. assistenza F. Copertura finanziaria E. solidarietà e partecipazione
D. libertà di scelta C. diritto e eguaglianza a B. benessere A. assistenza Slide N. Negri

14 Condizioni dell’erogazione degli interventi e fornitura dei servizi
Copertura finanziaria e patrimoniale (328,art.1, comma 3) Gli interventi si avvalgono delle risorse assegnate dal Fondo nazionale per le politiche sociali (l’art. 4 comma 2 potenzia l’istituto introdotto con Legge 499/97, art. 59; l’entità del finanziamento è deciso dalla finanziaria), nonché degli autonomi stanziamenti delle Regioni e degli Enti Locali. La copertura finanziaria è un vincolo (328,art.22 comma 2) Le prestazioni sociali sono erogabili nei “limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale”.

15 I soggetti attuatori …a cui la legge quadro assegna il compito di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali: soggetti pubblici*: Stato, Conferenza Stato-regioni, Enti pubblici nazionali (Istat, Cnr, Inps, Inpdap, Inail, Istituto superiore di sanità, Irccs), Regioni, Province, Comuni, altri Enti Locali (Ipab, Asl/Aso, Aziende speciali e le istituzioni, Comunità montane, Consorzi fra enti locali, Unioni di comuni, Istituti autonomi per le case popolari) soggetti economici del mercato (imprese, liberi professionisti, società, cooperative) organismi del terzo settore (associazioni, fondazioni, onlus, coop. sociali, enti di patronato, organizzazioni di volontariato, enti religiosi riconosciuti) famiglie (nuclei familiari e singoli individui) *Enti locali, regioni e stato concorrono - si è detto - al finanziamento del sistema secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci. Rimane in realtà la tradizionale separatezza fra risorse che finanziano i trasferimenti monetari assistenziali (erogati dal centro) e risorse locali che sostengono soprattutto la produzione di servizi. Vedi welfare mix.

16 I destinatari degli interventi
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di universalità. Sono destinatari degli interventi: Le famiglie Le singole persone La comunità I destinatari sono distinti, in relazione alla cittadinanza, in: Cittadini italiani Cittadini appartenenti all’UE Stranieri

17 I destinatari con priorità
La presenza di vincoli di bilancio implica la gerarchizzazione dei beneficiari => Accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni i soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali. Qualora sia richiesta la verifica della condizione economica del richiedente per accedere ai servizi disciplinati dalla 328, l’accertamento viene effettuato – art secondo le disposizioni previste dal DLgs 109/1998 (Ise).

18 L. 328: le prestazioni (1) Capo III – disposizioni per la realizzazione di particolari interventi di integrazione e sostegno sociale (artt ): Progetti individuali per le persone disabili Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari (politiche di conciliazione lavoro-famiglia, servizi per la prima infanzia, assegni di cura, affidamento, servizi di tregua, prestiti d’onore, agevolazioni fiscali e tariffarie comunali) Titoli per l’acquisto di servizi sociali Innovativa appare la tipologia relativa alle responsabilità familiari.

19 L. 328: le prestazioni (2) Gli interventi di livello essenziale (art.22, com. 2) riguardano il campo del: Contrasto alla povertà economica (22.2,a; 23*) Tutela e cura dei minori/famiglie/donne (art.22c,d,e) Sostegno e cura handicap/vecchiaia (art.22.2 f,g) Lotta contro le dipendenze (art.22.2,h) Informazione/consulenza per fruizione servizi e promozione auto-aiuto (art.22.2,i) Per ogni ambito territoriale (di zona), tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, sono previste come “necessarie” le seguenti attività: servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione/consulenza, pronto intervento per emergenze personali e familiari, assistenza domiciliare, strutture protette residenziali e semiresidenziali (per soggetti con fragilità sociali), centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario. *L’art. 23 prevede espressamente l’estensione del RMI, come misura generale di contrasto alla povertà, a cui ricondurre anche gli altri interventi di sostegno al reddito, quali gli assegni e le pensioni sociali. Si prevede anche (art. 24) una delega al Governo per il riordino degli assegni e delle indennità derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo.

20 Integrazione fra settori di policies
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali richiede inoltre: di integrare gli interventi e le prestazioni socio-assistenziali con politiche nel campo (art.3 comma 2a; art. 6, comma 3b; art 8 comma 3b; art. 18 comma 6): •sanitario •dell’istruzione •della formazione professionale •del lavoro

21 Assetto dei poteri istituzionali
Schema multilivello sviluppato in un assetto a 4 termini tre decentrati, di cui due relativamente forti: il comune a diretto contatto con la popolazione da servire la regione quale snodo di decisione politica e organizzativa del sistema territoriale; uno ausiliario la provincia svolge funzioni di supporto ai comuni; uno nazionale lo stato è un regolatore di ultima istanza, garante dell’omogeneità dei diritti sociali sul territorio nazionale. si rafforza la tendenza a un welfare “municipale”: le ps sono ridefinite come un prerequisito di sviluppo locale (costruzione capitale sociale, rete integrata, cambiamenti intenzionali e attesi) La 328 rafforza la tendenza a un welfare municipale, che assegna al comune la posizione di centro amministrativo della rete dei servizi e regista delle azioni dei diversi attori.

22 I livelli e gli strumenti della programmazione
Posta l’esigenza di integrazione degli interventi e delle politiche nonché la presenza di vincoli di bilancio Enti Locali, Regioni e Stato devono: adottare il metodo della programmazione degli interventi e delle risorse (328, art.3 comma 1). Pianificazione e programmazione vengono di solito usati come sinonimi: indicano un processo attraverso cui un soggetto, sulla base dei propri valori, formula una scala di priorità degli obiettivi da raggiungere in un determinato periodo di tempo, specifica le modalità con le quali intende raggiungere gli obiettivi, precisando gli strumenti e le risorse (umane e finanziarie) necessarie. L’output del processo programmatorio è costituito da documenti variamenti denominati: PIANI (obiettivi ultimi, a lungo e medio termine), PROGRAMMI (obiettivi a medio e breve termine, attuativi del piano), PROGETTI (valenza più operativa, all’interno di un piano/programma che fa da cornice di riferimento) Comune Piano di zona Provincia (Piano sociale provinciale) Regione Piano sociale regionale Stato Piano sociale nazionale

23 Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali
A livello statale è stato approvato, per ora, solo il Piano nazionale , che individua quali obiettivi di priorità sociale: 1. Valorizzare e sostenere le responsabilità familiari 1.1. Promuovere e sostenere la libera assunzione di responsabilità 1.2. Sostenere e valorizzare le capacità genitoriali 1.3. Sostenere le pari opportunità e la condivisone delle responsabilità tra uomini e donne 1.4. Promuovere una visione positiva della persona anziana 2. Rafforzare i diritti dei minori 2.1 Consolidare e qualificare le risposte per l’infanzia e l’adolescenza 3. Potenziare gli interventi a contrasto della povertà 4. Sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in particolare gli anziani e le disabilità gravi) 5. Altri obiettivi di particolare rilevanza sociale.

24 Piano sociale regionale
La modifica del titolo V della Costituzione ad opera della legge costituzionale 3/2001 ha fatto ricadere nell'ambito di competenza esclusiva delle Regioni la materia dell'assistenza; in capo allo Stato resta comunque la responsabilità di “determinare i livelli essenziali delle prestazioni atte a garantire l'affermazione e tutela dei diritti civili e sociali dei cittadini su tutto il territorio nazionale” (Costituzione, art.117, comma 2, lettera m). Le Regioni hanno seguito percorsi di programmazione diversi ed eterogenei: alcune hanno predisposto un piano sociale regionale, altre hanno scelto di realizzare piani socio-sanitari, altre ancora hanno emanato leggi per la costruzione del sistema integrato di servizi e interventi sociali. Solamente il Piemonte, l’Emilia Romagna e la Puglia hanno emanato una legge per l’attuazione della legge 328/2000. Avevano invece approvato Piani sociali regionali, prima della legge 328/2000, la Basilicata, la Provincia di Bolzano, il Lazio, le Marche e l’Umbria. Dopo tale legge sono stati l’Abruzzo, la Liguria, la Lombardia, la Toscana, la Provincia di Trento e la Valle d’Aosta.

25 … in Piemonte Il Piemonte ha emanato la L.R. n.1 del 8/1/2004 per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali, non ancora il Piano Sociale Regionale (PSR). La scelta operata dalla Regione Piemonte è stata quella di far precedere la costruzione del PSR dalla predisposizione dei PdZ nei diversi ambiti territoriali, intendendo così promuovere un percorso di programmazione che valorizzasse un’elaborazione dal basso (bottom up) e che facesse emergere le specificità e le peculiarità locali. A tal fine la Giunta regionale con propria delibera (n del 3 agosto 2004) ha approvato le linee guida per la predisposizione dei PdZ, definendo attori, ruoli e funzioni, contenuti, strumenti, modalità di concertazione e modelli di iter formativi. L’approvazione del piano socio-sanitario regionale (PSSR) risale al 24 ottobre 2007. Hanno definito le linee guida per il Piano di zona la Campania, l’Emilia Romagna, la Sicilia, il Piemonte e la Valle d’Aosta => In Piemonte il periodo coincide con la prima triennalità di adozione dei PdZ

26 come articolazioni territoriali di quelli regionali
Gli obiettivi dei PdZ come articolazioni territoriali di quelli regionali Valorizzare il ruolo della famiglia quale prima aggregazione a livello sociale Valorizzare e sostenere le responsabilità familiari e le capacità genitoriali Rafforzare i diritti dei minori assicurandone l’esigibilità anche tramite l’attivazione di servizi ed iniziative all’interno di una progettazione di più ampie politiche del territorio Sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in particolare gli anziani e le disabilità gravi) Potenziare gli interventi a contrasto di ogni forma di povertà Assumere una logica sperimentale in cui metodologia, percorsi, strategie, risorse disponibili vengono valutati, selezionati e ridefiniti al fine di migliorare continuamente la risposta ai bisogni della popolazione.

27 Piani di Zona: investitura dei Comuni quali
primi attori istituzionali delle politiche sociali L’art. 17 della L.R. 1/04 piemontese - richiamando l'art. 19 della 328/ definisce il PdZ come “lo strumento fondamentale e obbligatorio per la definizione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali del territorio di competenza” dei comuni singoli od associati. È tradizione regionale favorire con incentivi l’esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali che di norma si delineano come coincidenti con i distretti sanitari. Nelle linee guida il PdZ viene definito come “lo strumento attraverso il quale i Comuni, secondo gli assetti territoriali adottati per la gestione dei servizi sociali, con il concorso di tutti i soggetti attiva nella progettazione, disegnano il sistema integrato di interventi e servizi sociali, con riferimento agli obiettivi strategici, agli strumenti realizzativi e alle risorse da attivare”.

28 I contenuti dei Piani di Zona
Sono, come declinati nelle Linee guida piemontesi: la rilevazione dei bisogni e delle risorse locali; le strategie e priorità di intervento locali; gli obiettivi gestionali rispetto alle priorità definite; i progetti, i programmi e le modalità organizzative; le modalità di integrazione fra gli attori del sistema; le risorse finanziarie, strutturali e professionali; il sistema informativo utilizzato; la definizione del sistema di valutazione del piano, dei servizi e degli interventi; i metodi e gli strumenti di comunicazione sociale; la formazione di base e permanente.

29 Gli attori dei Piani di Zona
Come previsto nelle Linee guida piemontesi : i Comuni: “sono i titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale” e “provvedono, d'intesa con tutti gli attori della programmazione locale, all'attivazione, predisposizione e realizzazione del PdZ”; sono i Sindaci che forniscono le indicazioni politico strategiche generali, definiscono le priorità di intervento e le risorse, verificano i risultati; l'Azienda Sanitaria Locale: “partecipa alla definizione dei PdZ per gli aspetti relativi alla tutela della salute del territorio e della popolazione di riferimento e, in particolare, per l'integrazione dei servizi a carattere socio-sanitario” (che si attua nel distretto); la Provincia; le IPAB e le aziende pubbliche di servizi alla persona; il Terzo Settore.

30 Gli strumenti di piano Le Linee guida individuano:
la Conferenza di Piano: vi partecipano “tutti gli attori pubblici e privati, istituzionale e non, che abbiano una competenza sulla progettazione, attivazione ed erogazione di prestazioni e servizi sul territorio” e ad essa competono funzioni consultive e decisorie; prevista dal D.lgs 267/2000, è convocata dall'ente gestore “quale atto di informazione, partecipazione e coordinamento…”; i Tavoli di concertazione: “sono la sede in cui si attua la programmazione partecipata e l'elaborazione progettuale ed effettiva dei piani di zona” e possono essere articolati in gruppi tematici; l'Accordo di Programma: “è l'atto finale in cui si formalizzano le decisioni assunte nel processo di programmazione del PdZ la cui stipula avvia la fase attuativa”.

31 Gli organismi dei Piani di Zona
Le indicazioni metodologiche fornite dalle Linee guida individuano due organismi da attivare per favorire un rapporto sinergico fra le responsabilità politico-strategiche e le competenze tecnico-gestionali: il Tavolo di coordinamento politico istituzionale: è l'organismo politico, formato dai Sindaci dei Comuni del territorio o da una loro rappresentanza, determina e verifica tutto l'iter procedurale del PdZ; l'Ufficio di Piano: è l'organismo tecnico a cui compete la rilevazione del contesto e dei bisogni, l'attivazione dei tavoli di concertazione per la definizione dei programmi e delle azioni per singole aree e la stesura definitiva del documento di Piano, previa verifica ed approvazione da parte del Tavolo di coordinamento politico istituzionale.

32 Iter formativo del Piano di Zona
Avvio iter istituzionale con delibera del Comitato/Assemblea dei Sindaci, che istituisce tavolo politico e ufficio di piano convocazione della Conferenza di piano Sindaci dei comuni attivazione della Conferenza di piano Attori competenti coinvolti 4. rilevazione contesto e bisogno Ufficio di Piano 5. definizione priorità/obiettivi strategici e individuazione risorse Tavolo politico 6. Tavoli di concertazione per definizione azioni Ufficio di Piano + soggetti interessati 7. Verifica azioni concertate rispetto priorità/obiettivi 8. Stesura documento 9. Approvazione tramite accordo di programma Attori che investono risorse

33 Il primo ciclo di programmazione
dei Piani di Zona in Piemonte Sono 58 (più il comune capoluogo) i soggetti gestori delle funzioni socio-assistenziali in Piemonte (anno 2005). A ogni ente gestore afferisce un PdZ; fanno eccezione alcuni casi ‘sovrazonali’, nel senso che enti gestori diversi hanno prodotto un unico piano. Sono tre i piani sovrazonali piemontesi: uno tra i distretti dell’alta provincia di Novara, uno tra i distretti della provincia del Verbano-Cusio-Ossola e uno tra i distretti della provincia di Cuneo. Nei PdZ esaminati si sono potute rilevare più di due mila interventi/attività, classificati secondo le modalità di mantenimento, potenziamento, innovazione. Le analisi proposte sui contenuti dei documenti analizzati sono state condotte nell’ambito dei lavori svolti dal Dipartimento di Scienze Sociali in collaborazione con la Regione Piemonte per la costruzione del PSR, e con la Provincia di Torino in base all’Intesa per la realizzazione dell’Osservatorio provinciale.

34 I PdZ come strumenti per la programmazione locale
I documenti di piano contengono la descrizione delle diverse attività che ogni “zona” intende predisporre per realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali a livello territoriale. Area del mantenimento: attività per mantenere in vita servizi e/o modalità di lavoro professionale già presenti sul territorio Area del potenziamento: attività per migliorare/ampliare servizi e/o modalità di lavoro professionale già presenti sul territorio Area dell’innovazione: attività per realizzare servizi e/o modalità di lavoro professionale non ancora presenti sul territorio, e dunque di nuova istituzione.

35 Soggetti responsabili degli interventi di potenziamento/innovazione
L’Asl è coinvolta nel 45% degli interventi Il settore nonprofit è coinvolto nel 49% degli interventi In ogni caso, i PdZ si sono presentati come una nuova opportunità di programmazione delle politiche e dei servizi sociali che ha visto coinvolti nella realizzazione delle azioni un numero rilevante di attori.


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