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René DESCARTES LA VITA Descartes nacque a La Haye, non molto lontano da Parigi, nel 1596, dal padre Joachim, avvocato e membro del parlamento di Rennes,

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1 René DESCARTES LA VITA Descartes nacque a La Haye, non molto lontano da Parigi, nel 1596, dal padre Joachim, avvocato e membro del parlamento di Rennes, e da Jeanne Brochard. Studiò dal 1604 al 1612 al “Collegio Reale Enrico il Grande”, gestito sin dal 1604 dai Gesuiti a La Fleche (circa 250 km a sud est di Parigi), scuola istituita da Enrico IV come istituto d’eccellenza, dove saranno convogliate le migliori energie intellettuali dei giovani del tempo.

2 A “La Fleche” In seguito, nella prima parte del Discorso sul metodo sottoporrà a critica l’impostazione degli studi dai Gesuiti: “Sono stato allevato nello studio delle lettere fin dalla fanciullezza, e poiché mi si faceva credere che con esse si poteva conseguire una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile nella vita, avevo un estremo desiderio di apprendere. Ma non appena ebbi concluso questo intero corso di studi, al termine del quale si è di solito annoverati tra i dotti, cambiai completamente opinione: mi trovavo infatti in un tale groviglio di dubbi e di errori da avere l'impressione di non aver ricavato alcun profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non scoprire sempre più la mia ignoranza» (Discorso sul metodo, I).

3 I viaggi La sete di conoscenza e di esperienza che la scuola non aveva completamente soddisfatto lo spinge a viaggiare. Nel 1618 si arruola nelle armate del principe di Nassau, che partecipava alla guerra dei Trent’anni, nelle quali, in quanto nobile, godeva di ampia libertà. Grazie a ciò egli può attraversare l’Europa e al contempo approfondire gli studi di matematica e di fisica. Un notevole impulso ad essi lo dà la conoscenza del medico olandese Isacco Beekman, con il quale stringe una fraterna amicizia intellettuale, cementata dai comuni interessi fisico-matematici Dal 1620 al 1629 continua i suoi viaggi (nel 1622 lascia l’esercito): “in tutti i nove anni seguenti (al 1620, n.d.r.) non feci altro che vagare qua e là per il mondo, cercando di essere spettatore piuttosto che attore in tutte le commedie che vi si rappresentavano”.

4 In Olanda Nel si stabilisce in Olanda e decide di vivere dei proventi dei suoi possedimenti terrieri, senza svolgere alcuna professione particolare, per dedicarsi completamente ai suoi studi. L’Olanda a quel tempo era la terra della libertà e della tolleranza filosofica e religiosa dove, lontano dagli impegni della società, poteva attendere serenamente ai propri interessi. Sin dal 1619 Cartesio aveva intuito i tratti fondamentali del suo metodo filosofico inteso a connettere tutte le scienze in una sola disciplina guidata da regole che le permettano di fondare con certezza le sue acquisizioni, ma solo dal 1628 egli cominciò a mettere per iscritto in modo sistematico i risultati delle sue ricerche, componendo le REGULAE AD DIRECTIONEM INGENII che verranno pubblicate postume nel 1701.

5 “Il trattato sul mondo” e il “Discorso sul metodo”
Nel 1633, dopo aver iniziato un trattatello di metafisica che costituirà la base delle successive MEDITAZIONI, porta a termine il TRATTATO SUL MONDO, ma evita di pubblicarlo dopo aver ricevuto la notizia della condanna ecclesiale di Galilei a causa della sua accettazione del copernicanesimo, opinione che anch’egli aveva accolto favorevolmente nel suo scritto. Prudentemente decide di scomporre il suo trattato emendandolo delle parti più “rischiose” e di pubblicarne tre parti nel 1637 LA DIOTTRICA, LE METEORE e LA GEOMETRIA, fatte precedere da una prefazione che avrà un grande ed autonomo successo: IL DISCORSO SUL METODO

6 Dalle “Meditazioni” alla morte
Nel dopo averlo concluso e sottoposto al giudizio di M. Marsenne, un coltissimo filosofo gesuita cui era rimasto legato sin dai tempi di La Fleche - pubblica il trattato di metafisica iniziato più di un decennio prima con il titolo MEDITATIONES DE PRIMA PHILOSOPHIA (in qua Dei existentia et animae immortalitas demonstrantur). Nel 1647 l’opera sarà pubblicata in francese. Del 1644 è un’altra e più completa rielaborazione filosofica del “Trattato sul mondo”, che egli pubblica con il titolo di PRINCIPIA PHILOSOPHIAE e che ha la struttura e l’intento didattico di un manuale scolastico. Nel 1649, su invito della regina Cristina che vuole essere adeguatamente istruita nella filosofia, si reca in Svezia, dove a causa di una polmonite si ammalerà e morirà nel Del 1649 è l’ultima opera pubblicata in vita: LE PASSIONI DELL’ANIMA.

7 Opere postume Dopo la morte saranno pubblicate le seguenti opere:
1650: COMPENDIUM MUSICAE; 1662 e 1664: TRATTATO SULL’UOMO; 1664: TRATTATO SUL MONDO O TRATTATO DELLA LUCE; : LETTERE; 1701: REGULAE AD DIRECTIONEM INGENII e INQUISITIO VERITATIS PER LUMEN NATURALE.

8 Le critiche al sapere tradizionale
Dalla esperienza di La Fleche, Cartesio elabora delle precise critiche al sapere tradizionale da lui ricevuto nel collegio dei Gesuiti: Riguardo allo studio umanistico delle lingue classiche egli afferma che la curiosità per il passato in realtà non fa altro che distogliere l’attenzione dal presente. Inoltre l’elemento favolistico delle letterature classiche allontana dalla realtà. Infine la retorica quale scienza del ben parlare e del persuadere è inutile: colui che sa pensare correttamente convince in virtù della verità del suo pensiero senza bisogno di ulteriori artifici. Riguardo alla logica classica egli afferma che la sillogistica aristotelica è in grado di dedurre con certezza le conseguenze dalle premesse, ma nulla dice circa il modo di individuare la verità delle premesse stesse. Riguardo alla matematica (di cui a La Fleche gli erano stati impartiti solo i primi superficiali rudimenti), egli dice che è l’unica scienza che si salva per la certezza ed evidenza dei suoi ragionamenti. Il fondamento di tutto il sapere va cercato proprio in questa disciplina.

9 La matematica e l’unità della ragione
La matematica, quale architrave dell’edificio del sapere, va unificata. In particolare vanno unificate algebra e geometria, cosa che Cartesio realizzerà con l’elaborazione della geometria analitica. La matematica è disciplina in cui la ragione è esercitata nella maniera più pura e veritiera, dunque va applicata a tutti gli oggetti del sapere. Infatti la ragione è unica e non cambia a seconda degli oggetti cui si applica: “Tutte le diverse scienze non sono altro che la sapienza umana, la quale rimane sempre una e identica per quanto si applichi a differenti oggetti, né riceve da questi maggior distinzione di quanto ne riceva la luce del sole dalla diversità delle cose che illumina” (Regulae, I). Essa consiste nella “facoltà di giudicar bene e distinguere il vero dal falso” (Discorso sul metodo, I), giungendo così ad una verità che non si possa mettere in dubbio.

10 Mathesis universalis Attraverso la matematica si deve dunque costruire una scienza generale delle proposizioni e degli oggetti misurabili, ossia una “mathesis universalis”. Ciò perché la matematica è lo strumento che garantisce la chiarezza e la certezza della conoscenza. Il sapere infatti per giungere a verità deve preliminarmente saggiare le sue possibilità e i suoi limiti, trovando lo strumento migliore, ossia il metodo, la via migliore che conduce a conoscere la realtà. Esso si ottiene distillando la matematica e, una volta ottenuto, può essere applicato a tutti gli oggetti della realtà. Ciò significa che per Cartesio il problema della conoscenza ha un primato assoluto: prima dobbiamo sapere in che modo possiamo conoscere le cose e poi possiamo capire la loro natura, ovvero il loro essere. Ciò inaugura la preminenza della gnoseologia sull’ontologia che diverrà il tratto caratteristico di tutta la filosofia moderna.

11 Le regole del metodo (Regulae ad directionem ingenii; Discorso sul metodo)
Dunque, prima di stabilire che il mondo è fatto in un certo modo, devo individuare un metodo che mi garantisca che ciò che dico è vero, che il mio sapere è CERTO. Vi sono quattro criteri fondamentali per arrivare a conclusioni certe: L’EVIDENZA. Non devo accettare come vera nessuna idea che non sia evidente. Per essere evidenti, le idee devono essere CHIARE e DISTINTE. Sono chiare le idee che si impongono immediatamente alla nostra mente con forza e vivacità Sono distinte le idee che non che non possono essere confuse con altre idee. Ma che cosa sono le idee? Idea è qualsiasi rappresentazione, cioè qualsiasi contenuto che mi rappresento con il mio pensiero, sia esso relativo ad oggetti sensibili (p. es. un tavolo, quando è pensato da una persona, nella sua testa è l’idea di un tavolo), sia esso di oggetti intellegibili (per es. l’idea di un triangolo, o di una retta). La verità dunque è una caratteristica delle idee: le idee evidenti, quindi chiare e distinte, sono vere. Non si tratta quindi di stabilire quanto un’idea sia adeguata alla cosa rappresentata, secondo il modello aristotelico, ma di valutare esclusivamente la qualità della rappresentazione: abbiamo qui una nozione mentalistica e soggettiva della verità, e non realistica e oggettiva.

12 Le regole del metodo (2) 2) Analisi: per giungere all’evidenza, bisogna scomporre il problema nei suoi elementi semplici (per es. se io devo capire come è fatto un oggetto complesso, come un computer, devo innanzitutto capire il funzionamento delle sue singole parti, l’hard disk, la tastiera, il mouse, lo schermo, le parti elettriche, il chip etc.) Solo degli elementi semplici è infatti possibile farsi idee chiare (Discorso,2).

13 Le regole del metodo (3) 3) LA SINTESI. E’ necessario poi ricomporre gli elementi cosi ottenuti nel loro ordine conducendo i propri pensieri “cominciando dagli oggetti più semplici e facili a conoscersi, per salire poco a poco, come per gradi, fino alle conoscenze più complesse, supponendo che vi sia un ordine anche tra gli oggetti che non procedono naturalmente gli uni dagli altri” (Regulae, 6; Discorso, 2). Insomma la sintesi insegna a trovare un nesso, un collegamento razionale e deduttivo tra molteplici oggetti sparsi, e a ricostruire con quelli una totalità coerente.

14 Le regole del metodo (4) 4) L’enumerazione. Si tratta di “fare dappertutto enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla” (Regulae, 7, Discorso,2). Bisogna che nessuna parte dell’oggetto in questione, che abbiamo scomposto nelle sue parti e ricostruito razionalmente, sia tralasciata, che nessun aspetto di un dato problema sia rimasto nell’ombra.

15 Il rigore matematico ovunque
Queste regole hanno come modello le dimostrazioni matematiche che riconducono le tesi da dimostrare agli assiomi semplici, per poi, da questi, giungere a delucidare il teorema complesso, secondo una catena di ragionamenti evidenti; vanno estese a tutti i tipi di ricerca, all’interno di tutti gli ambiti del sapere.

16 Il fondamento dell’evidenza (Meditationes de prima philosophia)
Il principio dell’evidenza, che costituisce il fondamento delle regole, va però ulteriormente fondato dal punto di vista filosofico, in modo che la costruzione di tutte le scienze, che su di esso si regge, possa essere salda. Che cosa rende un’idea evidente, cioè chiara e distinta? Perché noi possiamo affidarci all’evidenza delle nostre idee per costruire il nostro sapere?

17 Il dubbio metodico Per capire la radice dell’evidenza dobbiamo sottoporre ad una sorta di prova del fuoco tutte le nostre idee al fine di trovare qualcosa che abbia assoluta certezza. Questa prova è il dubbio: dobbiamo provare a dubitare di tutto per vedere se veramente si può dubitare su tutto o se invece di qualcosa non è assolutamente possibile dubitare. Questo qualcosa, se trovato sarà fondamento di ogni ulteriore evidenza e certezza.

18 Il dubbio sui sensi e sulle verità matematiche
Innanzitutto è più che noto che i sensi possono ingannare producendo rappresentazioni di cose in realtà inesistenti (allucinazioni, abbagli, errori, sogni, etc.). Tuttavia possiamo anche ipotizzare che una sorta di Genio maligno ci porti a ritenere assolutamente vere conclusioni matematiche che in realtà non lo sono. Potremmo pensare che qualcuno di estremamente potente, ci induca a ritenere che 2+2=4 mentre il risultato giusto sarebbe 5.

19 La risoluzione del dubbio: il cogito
Se il Genio maligno mi inganna, egli, per farlo, deve rivolgersi a me e in particolare al mio pensiero. Il mio pensiero pensa qualche cosa e il Genio deve convincerlo a pensare qualcos’altro. Dunque, anche nella peggiore delle ipotesi, non può esservi dubbio che per dubitare devo pensare (dubito quindi penso) e che per pensare devo esistere in quanto essere pensante (penso dunque sono: cogito ergo sum). IL PENSIERO (cogito) è ciò che rimane dopo aver dubitato di ogni cosa, e dal pensiero io posso dedurre logicamente e senza incertezza la mia esistenza come essere pensante.

20 Evidenza primaria Il Cogito è la prima verità indubitabile: su tutto posso ingannarmi, eccetto che sul fatto di esistere, perché per essere ingannato devo pensare, e se penso allora esisto. Analogamente a quanto aveva fatto Agostino nella confutazione del dubbio scettico, Cartesio giunge a ritenere che la certezza del pensare viene riconfermata dallo stesso dubbio che io posso esercitare su questa certezza, e quindi risulta essere assolutamente ferma e irremovibile.

21 Il cogito e la realtà Ora, dopo aver raggiunto l’evidenza indubitabile del cogito, mi devo chiedere: “E tutte le altre idee?”. Le idee che ho della realtà che mi circonda, del mondo, del mio stesso corpo? Come giustificarne l’evidenza? Per fare ciò devo in certo modo uscire dalla gabbia del pensiero, per andare verso il reale, mantenendo però come base di ogni evidenza la mia capacità di ragionare.

22 Le idee Vi sono tre tipi di idee
1) Avventizie: idee di qualcosa al di fuori di me, che sembra provenire dall’esterno; 2) Fattizie: fantasticherie sicuramente prodotte da me; 3) Innate: che provengono dalla mia natura (per es. idee di enti geometrici).

23 Chi ha prodotto le idee? Sicuramente le idee fattizie sono state prodotte da me. Le idee avventizie e le innate anch’esse possono essere state prodotte da me. Infatti la causa deve essere maggiore o uguale all’effetto che produce e in queste idee non vi è nulla di più perfetto e veritiero di quanto non sia io stesso. Dunque io posso esserne la causa.

24 L’idea che non posso aver prodotto
Tra le idee innate ve n’è una che non posso aver prodotto. E’ l’idea di un ente perfettissimo, senza difetti, onnipotente e onnisciente, cioè l’idea di Dio. Non essendo io né onnipotente, né onnisciente, né perfettissimo, e dunque non potendo io esserne la causa, da dove posso aver tratto questa idea?

25 Dal cogito a Dio “Così rimaneva solo che fosse stata posta in me da una natura veramente più perfetta di quella che io fossi, anzi avente in sé tutte le perfezioni di cui potevo avere qualche idea, cioè, per dirla in una parola, che fosse Dio” (Discorso, IV).

26 Dio deve esistere Questo ente perfettissimo, origine di ogni cosa, deve esistere, infatti se io fossi causa di me stesso, mi sarei dato tutte le perfezioni delle quali c’è in me un’idea, ma tali perfezioni non possiedo; se viceversa, fossi causato da una causa meno perfetta di Dio, non si spiegherebbe la presenza in me di quelle stesse perfezioni; inoltre: il concetto di un ente perfettissimo presuppone da parte sua il possesso della perfezione dell’esistenza, ergo Dio esiste (cfr. Anselmo d’Aosta).

27 Dio non inganna L’identità di un Dio siffatto, esclude a priori la possibilità che egli possa ingannare (a differenza del genio maligno). Dunque quando io ho delle cose un’idea evidente, le cose stanno realmente così. Ecco dimostrata e fondata la realtà non solo del cogito, ma di tutto il mondo esterno che io, attraverso il cogito, mi rappresento mediante idee.

28 L’errore La possibilità di sbagliare e di ingannarsi deriva dall’interferenza delle passioni nel processo conoscitivo, cioè dagli atteggiamenti sbagliati che queste inducono ad assumere, facendo perdere di vista quel rigore metodico che altrimenti condurrebbe infallibilmente alla verità. Così siamo portati a considerare chiare e distinte, cioè evidenti e vere, idee che non lo sono affatto.

29 Idee di materia e di pensiero
Tra le idee avventizie, la più evidente è quella di un qualcosa di materiale (il mio, gli altrui corpi, e tutto ciò che è sensibile nelle tre dimensioni geometriche della lunghezza, larghezza e profondità). Questa è la res extensa ed ha la caratteristica fondamentale di essere divisibile e misurabile. Essa va ad aggiungersi a quella già trovata con il cogito, la res cogitans, o pensiero, la cui caratteristica principale e di non essere né divisibile, né misurabile.

30 Sostanze Res cogitans e res extensa sono idee che si riferiscono a sostanze. Per Cartesio il termine sostanza ha un duplice significato: Sostanza in senso forte è ciò che per esistere ha bisogno solo di se stesso, cioè qualcosa di assolutamente autonomo che dà a se stesso l’essere e l’esistenza, in una parola Dio Sostanza in senso debole è ciò che per esistere non ha bisogno di altro che di Dio e del suo atto creatore. Dunque Dio è sostanza suprema mentre RC e RE sono sostanze in senso derivato.

31 Dualismo Res cogitans e res extensa sono sostanze definite in modo tale che non vi può essere confusione né addirittura relazione fra esse. Infatti le caratteristiche dell’una escludono quelle dell’altra. L’unico mondo sarebbe dunque costituito dall’accostamento di due tipi di essere diversi e alternativi: la materia e il pensiero, dove c’è l’una non c’è l’altro e viceversa. Questa spiegazione rende difficile comprendere in che modo le due sostanze possano influenzarsi tra loro, come avviene, per esempio, quando una condizione del nostro corpo determina, almeno in parte, l’andamento dei nostri pensieri.

32 Morale Una volta elaborato il nuovo metodo, è necessario per Cartesio rifondare su tali basi il sapere umano. Ma questa è un’opera non da poco che richiede tempo, studio e applicazione. Il sapere è anche però il punto di partenza per ogni azione: io agisco in quanto SO che cosa fare. La scienza dell’agire è la morale. Dunque anche la morale attende una ridefinizione dal metodo matematico e dall’opera di ricostruzione del sapere cui il metodo ha dato avvio.

33 Volontà e intelletto “La nostra volontà, infatti, per sé, non è portata a seguire o a fuggire cosa alcuna se non in quanto l’intelletto gliela presenta buona o cattiva; e dunque basta giudicar bene per bene fare, e giudicare il meglio che si può per fare anche in tutto il proprio meglio, ossia per acquistare tutte le virtù e insieme tutti gli altri possibili beni” (Discorso, III).

34 Nel frattempo… Come regolarsi nel periodo che intercorre tra l’abbandono del vecchio sapere (quello della tradizione aristotelico-scolastica) e la costruzione del nuovo (quello fondato sul metodo dell’evidenza matematica)? Cartesio per rispondere utilizza la metafora di un inquilino che deve completamente rinnovare la propria casa:

35 Casa vecchia e casa nuova
“Prima di por mano alla ricostruzione della casa che abitiamo, non basta abbatterla e provvedere ai materiali e all’architetto, o farci noi stessi architetti e averne anche disegnato accuratamente il progetto; occorre, anzitutto, provvedersi di un altro alloggio, dove sia possibile abitare comodamente finché durano i lavori” (Discorso, III).

36 Morale provvisoria Di questa considerazione Cartesio trae la necessità di elaborare una morale provvisoria che permetta di comportarsi nella maniera migliore, mentre si attende ad una più ampia e rigorosa rifondazione dl pensiero e dunque anche di quel pensiero che guida, come fa l’intelletto, la volontà e l’azione che ne scaturisce.

37 TRE MASSIME (ossia tre criteri personali per regolarsi nei nostri comportamenti)
La morale provvisoria si specifica in 3 massime fondamentali: 1) obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese e ai precetti della religione in cui si è stati allevati, seguendo per il resto le opinioni più moderate. Infatti queste ultime a) sono quasi sempre le più comode b) sono quasi sempre le migliori c) nel caso siano sbagliate, sono sempre le meno lontane dall’estremo giusto (qui vi sono echi della morale aristotelica della virtù come giusto mezzo) Ogni eccesso nei comportamenti inoltre è tale da limitare la nostra libertà.

38 TRE MASSIME (2) 2) Mantenere un atteggiamento fermo, risoluto e costante, una volta che si sia presa una decisione, scegliendo, nell’impossibilità di individuare il vero (perché le circostanze richiedono comunque che una decisione sia presa e non c’è tempo per riflettere e ricercare ulteriormente), il probabile. Dal momento che la decisione è stata presa, bisogna considerare il probabile come se fosse certissimo e verissimo, non ritornando sulla propria decisione, poiché la cosa peggiore e più dannosa è ondeggiare di qua e di là.

39 TRE MASSIME (3) 3) “Vincere sempre se stessi piuttosto che la fortuna”, infatti nulla, all’infuori dei nostri pensieri, è realmente in nostro potere: per convincersi di ciò vi è bisogno di “un lungo esercizio” e di una “ripetuta meditazione”, ma questa è la strada che meglio può condurre ad una condizione di felicità. (Qui sono esplicitamente menzionati i filosofi stoici da cui Cartesio ha attinto questa impostazione).

40 Fisica La res extensa è ciò che costituisce tutto il mondo fisico ed è oggetto delle scienze fisiche. Essa riempie di sé il mondo (non esiste il vuoto, ciò che appare vuoto è riempito di materia più sottile) è corporea è infinitamente divisibile possiede un movimento che Dio gli ha impresso nel momento in cui l’ha creata.

41 leggi matematiche e razionali (meccanicismo).
Estensione, divisibilità, movimento sono i princìpi che spiegano tutti i fenomeni fisici e le loro leggi razionali basate sulla nozione di causa-effetto Così Cartesio vede l’universo come un enorme meccanismo, una macchina che funziona perché è governata da leggi matematiche e razionali (meccanicismo).

42 Le leggi fisiche Le leggi che regolano i fenomeni fisici stabiliscono la redistribuzione del movimento che Dio originariamente ha impresso alla res extensa e quindi la disposizione delle parti di materia e il loro ordine reciproco. Esempio di tali leggi sono il principio di inerzia (un corpo rimane in stato di quiete o moto fino a che non interviene un altro corpo a modificarlo) e la legge di conservazione del movimento (la quantità di moto si trasferisce da corpo a corpo rimanendo complessivamente costante).

43 L’uomo e il suo corpo Anche le funzioni vitali umane si spiegano in base alle medesime leggi fisico-meccaniche che regolano la res extensa in generale Ciò pone Cartesio in contrasto con la tradizione aristotelica, secondo la quale un’anima (vegetativa e sensitiva) presiede alle funzioni dei corpi viventi. Per Cartesio invece non esiste nessuna anima che svolga questo ruolo, ma l’anima è SOLO l’anima razionale che Dio ha insufflato nel corpo umano, Ma che rimane ontologicamente differente e distinta da quest’ultimo.

44 Come funziona il meccanismo-corpo umano?
Perno del suo funzionamento è la circolazione del sangue. Il cuore ne è il centro propulsivo. Esso possiede un originario calore interno che produce una serie di effetti al cui termine vi è la appunto la dinamica della circolazione che da vita e movimento a tutti gli organi e le membra corporee.

45 Cuore e sangue Con il suo calore il cuore scalda il sangue rarefacendolo cioè rendendolo meno denso fino a trasformarlo quasi in una sorta di vapore sanguigno. Il calore del sangue rarefatto a sua volta dilata il cuore e fa in modo che il sangue stesso si riversi in un condotto che lo conduce al polmone, dove per mezzo dell’aria inspirata il liquido sanguigno viene nuovamente raffreddato e condensato e di qui si irradia in tutto il corpo. Altro sangue freddo e denso giungerà quindi al cuore per rinnovare il ciclo.

46 Nutrimento Il cuore manda il suo calore anche all’apparato digerente. Il calore scioglie i cibi e fa in modo che le loro virtù nutritive possano essere acquisite dal sangue che poi le distribuisce a tutti gli altri organi (Discorso, V).

47 Spiriti animali Il sangue genera al suo interno gli “spiriti animali”, delle parti più sottili di esso, che sono “come un vento sottilissimo o piuttosto come una fiamma purissima e molto viva” che sale dal cuore al cervello e, attraverso fori sottilissimi, penetra nel cervello, e che infine dal cervello, attraverso i nervi, si dirama in tutte le membra del corpo, mettendole in moto.

48 Meccanicismo biologico
Ecco così spiegato in modo esclusivamente meccanicistico il funzionamento e il movimento del corpo. C’è da dire che la teoria della circolazione sanguigna era stata da Cartesio attinta attraverso lo studio delle scoperte del medico inglese Harvey, che aveva spiegato tuttavia in modo più adeguato il funzionamento del muscolo cardiaco e la dinamica delle sistole e delle diastole. L’idea degli “spiriti animali” è chiaramente un residuo di medicina medievale, con una componente “mistica” difficilmente compatibile con la pretesa meccanicistico-matematica di Cartesio.

49 Un corpo e un’animaaaaa…
Accanto o meglio dentro il corpo dell’uomo vi è l’anima, res cogitans e sostanza autonoma dotata di libertà e immortalità. Come sono possibili i rapporti tra i due? (come l’anima per esempio, può ricevere sensazioni? Come può comandare al corpo?). La spiegazione di Cartesio, che non vuole comunque rinunciare alla separazione ontologica di pensiero ed estensione, è fortemente aporetica.

50 Un incontro difficile Anima e corpo si incontrano
- (in modo appunto estremamente problematico, giacche per incontrarsi, l’anima che non ha estensione, dovrebbe essere collocata in un luogo fisico e di lì entrerebbe in contatto – come? – con il corpo) - in un organo situato al centro del cervello e chiamato ghiandola pineale o epifisi.

51 Il contatto tra anima e corpo
Il contatto tra res cogitans e res extensa avviene per mezzo degli spiriti animali. Sono questi che penetrano nel cervello e giungono al suo centro. Essi provengono dalla periferia, entrano nella ghiandola pineale e provocano con il loro movimento la fuoriuscita di altri spiriti che vanno dal centro alla periferia (ciò potrebbe spiegare per es. i riflessi, cioè i processi di azione e reazione meccanica tra stimoli esterni e movimenti del corpo).

52 La formazione delle idee avventizie
Ma ciò che più importa è che gli spiriti nella ghiandola pineale entrano in relazione con l’anima. Tale evento è all’origine della formazione delle idee avventizie (quelle relative ad oggetti al di fuori di noi). Esse si formano grazie al movimento impresso dall’oggetto esterno ali organi di senso, movimento che si trasmette agli spiriti animali, i quali giungono fino al ghiandola pineale a “toccare” l’anima. L’anima avverte tale movimento e raccoglie lo stimolo formando l’idea del corpo esterno origine del movimento stesso.

53 Fallacia delle idee avventizie
Le idee avventizie non sono però garantite nella loro veridicità, anzi. Infatti tra l’aspetto delle cose esterne e le modificazioni da esse prodotte nel corpo tramite la messa in movimento degli spiriti animali non vi è alcuna relazione necessaria. Così la “notizia” che i sensi ci portano relativamente alle cose esterne, non è affatto degna di fiducia (svalutazione della conoscenza sensibile). Solo Dio, che non inganna, fonda la veridicità delle nostre idee e la loro corrispondenza con il mondo.

54 La volontà La ghiandola pineale non riceve solo passivamente i movimenti impressi agli spiriti dagli oggetti esterni. La libera volontà può anche esercitarsi su di essa. In tal modo la volontà può autonomamente generare una contrazione della ghiandola che produce l’irradiarsi degli spiriti in periferia mediante i nervi. (tutto ciò è ovviamente problematico: come può la res cogitans causare un movimento della res extensa, data l’eterogeneità delle due?).

55 Il movimento volontario
La volontà che contrae la ghiandola pineale e mette in moto gli spiriti verso la periferia, cioè verso le membra del corpo, è all’origine dei movimenti volontari.

56 Passioni corporee, morali e psicologiche
Se l’anima viene influenzata da un fattore esterno, come nelle idee avventizie, si determinano le passioni corporee (piacere e dolore). Se viene influenzata dalla liberà volontà, si determinano le passioni razionali o morali (generosità). A metà tra le due vi sono le passioni determinate dal concorso di un oggetto esterno e della volontà, cioè le passioni psicologiche come amore e odio.

57 Un abbozzo di morale definitiva
La morale definitiva è quella in cui la ragione o l’intelletto dominano, muovendo interamente la nostra volontà e determinando i nostri comportamenti a partire da decisioni completamente libere e razionali.


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