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IL CONCETTO DI BENE E DI MALE NELLE GRANDI TRADIZIONI RELIGIOSE

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Presentazione sul tema: "IL CONCETTO DI BENE E DI MALE NELLE GRANDI TRADIZIONI RELIGIOSE"— Transcript della presentazione:

1 IL CONCETTO DI BENE E DI MALE NELLE GRANDI TRADIZIONI RELIGIOSE
EBRAISMO a cura di Anthea Amorelli e Sara Calci CRISTIANESIMO a cura di Jessica Pittaluga e Francesca Scotto ISLAM a cura di Alex Giannattasio, Alessio Luciano, Nicola Pellissone INDUISMO a cura di Anita Franzè e Gloriana Massa BUDDISMO a cura di Alessandro Bonifacino e Luca Novaro

2 L’ebraismo L’ebraismo presenta, in ambito etico, una concezione dualistica in cui vengono distinte le vie del Bene dalle vie del Male. A partire da questa dottrina l’Ebraismo sviluppa sia l’idea della creazione, quale creatio ex nihilo (creazione dal nulla) sia l’idea di uno sviluppo lineare e non ciclico della storia. Il filosofo Hans Jonas si chiede, tramite il saggio “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”, come l’evento dello sterminio degli ebrei interroghi la nostra coscienza religiosa, il nostro concetto di Dio. Che senso conservano, di fronte a una rivelazione così evidente della potenza del Male nella società e nella storia, parole come fede in Dio, giustizia o misericordia, e soprattutto speranza? Jonas confronta l’evento di Auschwitz con il celebre di Lisbona, che aveva turbato Voltaire, Rousseau, Kant:ciò che avvenne ad Auschwitz rappresenta l’esistenza stessa del Male.

3 MA COS'E' IL BENE? E COS'E' IL MALE?
La tradizione ebraica afferma la netta distinzione fra il bene e il male. Anche se l'uomo può sentire in se stesso un'aspirazione al bene e alla giustizia, egli ne ignora il contenuto. Questo contenuto è definito da Dio, esso è esposto nella Toràh, depositata della parola divina, guida eterna per l'uomo nella sua ricerca morale. Le tavole della legge sono di PIETRA, simbolo d'ETERNITA', perchè, per l'ebraismo la legge morale non cambia. Il Monte Sinai si trova in un DESERTO, che significa luogo fuori da ogni civiltà. La legge è la stessa per tutti, in tutti i LUOGHI. In effetti l'ebraismo rifiuta ogni morale che deriverebbe da una costrizione puramente umana. Essa sarebbe necessariamente imperfetta dipendente da un tempo e da un luogo determinati..

4 L'UOMO E' DOTATO DI LIBERO ARBITRIO
Infatti ha la libertà di scegliere fra BENE e MALE, così come la Toràh li definisce. L'uomo è libero egli è totalmente RESPONSABILE DEI SUOI ATTI. e dovrà renderne conto al Creatore. Così come è impossibile "trasgredire le leggi della natura senza subirne le conseguenze relative", è ugualmente impossibile " trasgredire le leggi della morale senza essere puniti". La sanzione è, in entrambi i casi, inevitabile. Questa idea è uno dei fondamenti dell'esigenza di giustizia. L'universo infatti poggia su tre cose: LA VERITA' LA GIUSTIZIA LAPACE .

5 IL BENE E IL MALE NELLA FILOSOFIA PRE-CRISTIANA E NEL CRISTIANESIMO
CONCETTI FONDAMENTALI

6 Il male Nelle primitive espressioni religiose, il male è identificato con una o più divinità ostili che si contrappongono a quelle benefiche. Il bene ed il male derivano da forze superiori a quelle umane. Il pensiero filosofico greco delle origini definisce fin dall’inizio quelle che saranno le principali interpretazioni del male (visto ormai come entità astratta): Il male ed il bene sono forze opposte che spesso lottano l’una contro l’altra producendo gli eventi (concezione dualistica). Spesso questa concezione individua il male nella materia e nella corporeità (orfismo, Timeo platonico). Il male è quindi ineliminabile dalla realtà. Il male è tale solo in apparenza perché ciò che avviene risponde ad un ordine superiore, armonico e razionale (Eraclito, stoicismo, cristianesimo) Il male è un concetto relativo all’uomo (e quindi può essere identificato con il dolore e la sofferenza) e non ha un significato metafisico poiché deriva dalle azioni umane o dalle conseguenze prodotte dalla casualità degli eventi sugli uomini (sofisti, Epicuro)

7 Il tema del Male lo si ritrova in tutta la mitologia primitiva ed arcaica ed ha attraversato i secoli, interessando società, culture, spesso estremamente differenti e che, ancor oggi, risulta di estrema attualità suscitando numerose discussioni che sempre più oltrepassano le mura accademiche.  Nel corso del tempo si sono succeduti vari filosofi che si sono dedicati a questo problema fino ad arrivare a Tommaso:

8 Socrate (da Platone): involontarietà del male
A partire dall’Apologia Platone riporta in diversi dialoghi la tesi socratica dell’involontarietà del male. L’origine del male è quindi l’ignoranza del vero bene, anche se quest’ultimo resta compreso nell’orizzonte umano e sociale, senza garanzie di ordine religioso o metafisico Platone Nel Timeo Platone attribuisce la malvagità umana alla mancanza di educazione e agli influssi negativi del corpo sull’anima. Il male nasce quindi dalla scarsa conoscenza del bene (che assume una precisa connotazione metafisica e la più elevata collocazione gerarchica nel mondo delle idee) e dall’imperfezione della materia (il corpo). Nella Repubblica Platone dichiara che l’origine del male non può essere Dio, cioè un principio buono, perché sarebbe illogico che dal bene discendesse il male. Nel Timeo il problema viene risolto attribuendo alla materia un’essenza caotica ed imperfetta che solo parzialmente può venire ricondotta all’ordine dall’opera del divino artefice. Il male, inteso come imperfezione, è quindi un principio originario e ingenerato, come il demiurgo e il mondo delle idee

9 Stoici Nello stoicismo il male concorre, come ogni altra cosa, a realizzare il bene del Tutto. Visto nel quadro metafisico universale il male è quindi tale solo in apparenza ed è una pretesa assurda l’idea di poterlo separare dal bene complessivo che si realizza nel cosmo, anche perché gli uomini non possono cambiare il corso del destino. Plotino Anche negli scritti di Plotino, come nei testi degli stoici, viene esplicitamente detto che il male è necessario all’ordine del mondo e quindi alla sua perfezione. In alcuni passi si avverte il riferimento al mito platonico del demiurgo che identifica il male con la materia caotica e il bene con l’intelligenza ordinatrice, entrambi come principi originari necessari all’esistenza dell’universo (soluzione dualista). In altri passi Plotino intuisce invece la possibilità che il male non esista ontologicamente e che tutto ciò che chiamiamo male (dalla malattia, alla bruttezza, alla povertà) sia in realtà "privazione di bene" (soluzione monista).

10 Agostino Nell’ambito della filosofia cristiana, Agostino, con la sua rigorosa indagine logica e psicologica, si chiede da dove ha origine il male (dal momento che tutto ha origine da un Dio buono) e che cosa spinge l’uomo in alcuni casi a desiderarlo volontariamente. Egli riprende la soluzione di Plotino negando entità metafisica al male e definendolo privazione di bene, ma sottolineando anche che nessuna sostanza (neppure la materia), può essere totalmente priva di bene, perché la totale privazione di bene (cioè il male assoluto) equivarrebbe ad una totale assenza di esistenza. Inoltre distingue il male in3categorie,dopo aver abbandonato la dottrina manichea: MALE ONTOLOGICO (creaturalità) :l’essere ed il bene sono proporzionali. MALE MORALE (il peccato): non dipende da Dio in quanto conseguenza di libertà di scelta di ogni individuo MALE FISICO (il dolore e la morte) :Dio non è responsabile in quanto è la conseguenza del peccato.

11 La quaestio disputata de Malo di san Tommaso.
Lo studio sul peccato svolto da san Tommaso segue quelle strutture fondamentali dell'insegnamento propri della scolastica. Tali forme d'insegnamento erano la lectio, che consisteva nel commento di un testo, e la disputatio, che consisteva nell'esaminare un determinato problema, basandosi sulle considerazioni tratte da tutti quegli argomenti che si potevano addurre a favore o contro. Tali considerazioni venivano raccolte sotto forma o di Commentari o di Questioni. Le quaestiones disputatae sono sicuramente le più diffuse e conosciute, presentandosi come il risultato delle disputationes ordinariae che professori tenevano durante i loro corsi sui più importanti problemi filosofici e teologici. Tra le quaestiones disputatae, le più famose sono sicuramente quella di san Tommaso d'Aquino. Prendiamo in esame la terza questione, della Quaestio disputata de Malo riguardante proprio il problema del peccato e le sue suddivisioni.

12 si trova in una condizione adatta per ricevere la "mozione del primo motore", si ricaverà un atto che non è perfetto. Con questo, san Tommaso afferma: "Ciò che vi è di azione si riconduce al primo motore come alla propria causa; ciò che invece vi è di difettoso non si riconduce al primo motore come alla propria causa, poiché un tale difetto consegue nell'azione per il fatto che l'agente si allontana dall'ordine del primo motore". Per questo bisogna sostenere che l'azione del peccato proviene da Dio, ma non proviene da Dio lo stesso peccato. immediatamente la forma, in quanto necessita di un agente corporeo. Quindi, la materia corporea obbedisce sia all'angelo buono, che a quello cattivo per quanto riguarda il movimento locale, ma per quanto riguarda la forma, la materia corporea non obbedisce a tali angeli, che non possono dare alcuna forma alla materia. Da ciò si ricava che "niente vieta che tutto ciò che accade per movimento locale della materia corporea accada ad opera dei demoni, se non sono impediti da Dio". Che si divide in: peccato di debolezza e di malizia.

13 Dal punto di vista cristiano, ma anche di tutte le religioni monoteiste, la materia è creata da Dio e di conseguenza non potrebbe essere male o origine del Male. Tale tesi, tuttavia, venne confutata da alcuni movimenti come ad esempio i Catari, per i quali, riprendendo e rielaborando il pensiero manicheo, la materia era espressione del Male. Dal punto di vista cristiano, successivamente, tale dualismo fu superato considerando il Male come una deficienza d’essere, che può toccare alle creature in quanto sono imperfette per essenza. Il Male, come negazione del Bene, lo ritroviamo in Leibniz, ma anche in Hegel. Per Kant il Male è legato alla facoltà di desiderare dell’uomo. Ho citato brevemente e, volutamente in maniera lacunosa, alcune posizioni filosofico-teologiche, che hanno attraversato la storia. Ma, il problema del Male, si propone, drammaticamente, nell’età contemporanea, all’indomani della tragedia di Auschwitz. Con l’Olocausto, il Male raggiunge la sua massima espressione scientifica, viene standardizzato, fornito di un background storico-filosofico. La tragedia nazista diventa quindi un motivo di profonda riflessione sulla condizione dell’uomo e sul Male, riflessione, stiamo attenti, che deve essere appannaggio di tutta l’umanità. Nessuno può sottrarsi a una tale riflessione. Questa discussione ha investito e continua ad investire sia il pensiero laico che quello religioso, e in particolare gli uomini del Libro.

14 I punti nodali della discussione possono essere così riassunti: - se esiste Dio (e Dio per tutte le religioni monoteistiche è espressione di onnipotenza e di infinita bontà) perché esiste il Male e la sofferenza? - se Dio non esiste il Male è connaturato all’uomo, alla sua biologia?

15 Partiamo da questa seconda ipotesi
Partiamo da questa seconda ipotesi. Se il Male è connaturato all’uomo, fa parte della sua biologia, poco o praticamente nulla possiamo fare, perché questo è l’uomo, la sua condizione e, sinché ci sarà l’uomo, il Male sarà una condizione inevitabile, che segna il ciclo biologico dell’uomo. Consideriamo, invece la prima ipotesi. Dio esiste, Dio è onnipotente, Dio è infinita bontà. Questo è il concetto di Dio per gli uomini del Libro. Ma allora perché esiste il Male, come lo giustifichiamo?

16 Un certo pensiero teologico sostiene che Dio è inconoscibile e i suoi piani non possono essere svelati. Tale concezione tuttavia stride, direi in maniera importante, con la visione che di Dio ci ha tramandato la Bibbia: un Dio generoso, qualche volta un giudice severo, ma sempre infinitamente buono. Quindi non può essere un Dio inconoscibile e, se così fosse, non avrebbe molto senso discuterne. Lui è là e noi siamo qua, separati dall’infinito. Due parallele che corrono senza mai incontrarsi. E ancora. Se Dio è bontà infinita e onnipotenza e non interviene sul Male e sulla sofferenza dell’uomo, avevano sicuramente ragione gli epicurei quando affermavano che se è onnipotente allora è maligno, oppure non è onnipotente. Una tale visione, una simile prospettiva, non solo ingrigisce, incupisce ma, a mio avviso, svuota di ogni speranza, di ogni slancio l’uomo. Gli toglie quella progettualità per la quale ciascuno di noi, e l’intera collettività umana ha bisogno per percorrere la sua storia individuale e collettiva, come un sottile "fil rouge" dalla creazione ad oggi.

17 Ma allora come risolvere questa antinomia Dio-Male
Ma allora come risolvere questa antinomia Dio-Male? Un contributo estremamente interessante è quello di Hans Jonas, ebreo, filosofo e storico delle religioni, nel suo libro "Il concetto di Dio dopo Auschwitz". La tragedia di Auschwitz, come ho detto precedentemente, è stata e speriamo continui ad essere motivo di profonde riflessioni per tutti, ma in particolare nel pensiero ebraico è stato anche motivo di profonde spaccature. Si vedano ad esempio le posizioni di Richard Rubinstein, per il quale Dio non è intervenuto nella tragedie del popolo ebreo. Ritornando a Jonas, egli nel suo libro riprende e sviluppa il concetto di "tzimtzum" (= contrazione) di Isac Luria ( ). L’infinita bontà di Dio consiste nel fatto che "sceglie di contrarsi", di abdicare alla sua potenza. Questo fare spazio è il grande dono di Dio all’uomo. Ma nel momento in cui Dio sceglie di annichilire se stesso, ecco spuntar fuori il concetto di responsabilità. Ed ecco il male, "conditio sine qua non" poter scegliere, ed ecco pienamente rispettata la libertà dell’uomo. Solo in questo modo si può spiegare perché Dio non possa incidere nella storia dell’uomo. Se infatti lo facesse non potrebbe essere un uomo libero, sarebbe incapace di scegliere tra il bene e il male.

18 In tal senso è altresì interessante quanto sottolineato da Martin Buber, ebreo e filosofo austriaco, allorquando afferma che "non è infatti il mestiere di Dio di scegliere o di rifiutare". Non è infatti Lui a scegliere ma siamo noi a scegliere un progetto, un’etica di vita e di responsabilità. Una visione del genere, a mio avviso, bene riesce a conciliare una visione religiosa con una visione laica della vita. Il fare è proprio dell’uomo, il suo relazionarsi con se stesso, con i suoi simili e tutti gli esseri, universo compreso. Qual è allora la prospettiva del singolo, la sua battaglia per un mondo migliore? Verosimilmente è utopistico pensare di creare un mondo senza sofferenza e senza il Male, come pure sarebbe deresponsabilizzante e fatalista pensarlo in una visione escatologica. L’alternativa forse è la costruzione di una rete di uomini, dotati di alto senso dell’etica capaci di indirizzare, intercettare altri uomini per edificare un mondo quantomeno migliore, più ricco in pace e più povero di sofferenza.

19 Il Bene Il bene è un valore, un’idea, o meglio un ideale che deve orientare l’agire umano. Deve. Perché l’essere umano non compie volentieri o senza sforzo il bene, in quanto spesso è guidato da falsi valori, derivanti dagli istinti più abbietti: egoismo, sopraffazione, mancanza di rispetto. Ma un’azione non diretta dal bene abbassa l’uomo al di sotto della sua dignità razionale, ad un livello inferiore a quello delle bestie. Se volgersi al bene implica uno sforzo, lo sforzo cioè di diventare uomini allontanandoci da ciò che ci accomuna agli animali, il bene è allora più un ideale che un qualcosa che si possa possedere pienamente. Questo almeno è il limite dell’uomo. Non di Dio che è Bontà assoluta, il Bene stesso. Già da queste definizioni emerge l’insufficienza di una morale umanistica, fondata cioè solo su valori umani, immanente, ristretta cioè al nostro orizzonte terreno. Ma il limite stesso dell’uomo rimanda ad un illimitato, proprio come l’imperfetto cerca il perfetto. La morale dell’uomo desidera cioè una fondazione trascendente, superiore cioè al suo orizzonte terreno: una fondazione divina. Il bene è quindi un valore assoluto legato alla volontà di Dio, di conseguenza meno discutibile del male. .

20 IL BENE E IL MALE NELL’ISLAM

21 La scuola teologica asharita, seguita dalla quasi totalità dei
musulmani, basandosi su alcuni hadith di Maometto (sentenze con cui il profeta giustifica alcuni princìpi o precetti), afferma:”bene e male non esistono nelle cose, ma perché sono stati comandati dal comandamento di Dio”. E’ Allah che ha scelto cosa debba essere il “bene” e cosa il “male”, il che significa che avrebbe anche potuto scegliere diversamente. In questo modo il principio di non contraddizione (il bene non è il male,e il male non è il bene) non è applicabile alla natura di Dio. Una posizione del genere deriva dal fatto che l’Islam pone l’onnipotenza di Allah al di sopra di tutto, anche del bene e del male; perciò Dio non può essere originariamente buono, perché in tal caso verrebbe “costretto” dalla propria bontà ad agire in un certo modo,e questo rappresenterebbe un limite alla sua onnipotenza.

22 Ne deriva che Allah, se vuole, può anche contraddirsi. Può agire come
vuole, anche andando contro la legge che egli stesso ha dettato, perché è onnipotente. La diretta conseguenza della assolutezza di Allah che prescinde dal bene e dal male è la negazione delle cause seconde, significa che l’uomo non è il vero autore delle sue azioni, ma è Allah che crea direttamente tutte le azioni che gli uomini compiono. In pratica ogni movimento, ogni gesto avviene per volontà di Allah. Se così non fosse, egli sarebbe limitato dal fatto che l’uomo è creatore delle proprie azioni. Il Cristianesimo afferma che se tutto ciò che accade non necessariamente è voluto da Dio, sicuramente tutto ciò che accade è permesso da Lui: questo significa che mentre la Causa prima rimane Dio (perché permette), le cause seconde siamo sempre noi, veri autori delle nostre azioni.

23 I musulmani credono sì,nel peccato originale, ma ne limitano le conseguenze ai soli Adamo ed Eva; ora, la dottrina cattolica ci dice che la sofferenza e la morte sono entrate nella vita dell’uomo a causa del peccato originale che ha determinato una insanabile separazione da Dio, il quale non le aveva create, volendo che l’uomo vivesse felice già su questa Terra. L’Islam, invece, sostenendo che gli effetti del peccato originale hanno colpito solo Adamo ed Eva, ma non i loro discendenti, afferma che Dio ha creato la morte: Allah ha voluto sin dal principio che l’uomo potesse soffrire. Da qui la prospettiva islamica della morte come valore: se Allah ha creato la morte, allora dev’essere per forza una cosa bella, anche se a noi fa paura.

24 rende inescusabile l'ateismo.
Nel passo coranico viene descritto il grande patto della "pre-eternità" (mithaq) stipulato da Dio con la stirpe di Adamo, che impegna tutti gli uomini e ciascun uomo a riconoscere Iddio, rinunziando ad ogni idolatria e a rendergli un culto di sincera adorazione. Ciò significa che nel cuore dell'uomo, nell'interiorità della coscienza c'è una predisposizione naturale a riconoscere Dio, una sorta di "religione naturale" (fitra) che orienta l'essere umano verso il suo Creatore e rende inescusabile l'ateismo. Le conseguenze di questa dottrina, che capovolge la concezione cristiana sostenente la fragilità della natura umana ferita dalla colpa originale, si riflettono sulla vita sociale, infatti, se gli uomini hanno aderito - nel momento metastorico del grande patto - al monoteismo assoluto, allora fin dalla nascita essi sono tutti musulmani.

25 particolarmente condannato. Sono i genitori che trasmettono credenze
C’è una solidarietà originale nel bene, dal quale, però, è grave dissociarsi, perciò se tutti nascono musulmani ne consegue che allontanarsi dall’Islam è particolarmente condannato. Sono i genitori che trasmettono credenze ingannevoli, educando nell’errore figli altrimenti segnati dalla verità. Da tale dottrina scaturisce la suddivisione della società in quattro grandi categorie: i musulmani, i dhimmi (protetti), i kafir (politeisti e atei), i murtadd (rinnegati), con diritti via via limitati e, inoltre, che il matrimonio è permesso fra coniugi di religioni diverse solo nel caso in cui il marito sia musulmano. Questo sostiene la Saharìa, fonte della legislazione statale in varie nazioni, con conseguenze assai pesanti per chi non condivide la fede islamica.

26 Induismo Il concetto di Bene
“ L’induismo non è né una filosofia né una religione, ma una via di conoscenza, una via di realizzazione, di risveglio ”

27 Che cos’è il Bene? Il Bene corrisponde alla conoscenza suprema, che oltrepassa il divenire delle cose e quindi arriva alla liberazione e alla beatitudine Atman-Brahman

28 Atman - Brahman Atman: parola che originariamente indica il respiro e presto venne a indicare la parte essenziale della personalità umana Brahman: parola della speculazione sacerdotale, che proprio nella fortuna della parola rivela la sua importanza è l'identità fra ciò che è infinitamente grande e ciò che è infinitamente piccolo, fra il principio dell'universo, che a questo dà vita e fornisce la base, e il proprio sé, che è quello cui si giunge dopo aver spogliato la propria individualità di tutto quanto di transeunte, provvisorio, accidentale è legato a essa.

29 Rapporto Atman-Brahman - Vita
L’ Atman-Brahman ha come essenza la conoscenza e di fronte la possibilità di conoscere ogni cosa perde valore e non si è più interessati alle difficoltà della vita. Essa è quindi il suo opposto, essendo costituita da dolore, angoscia, turbamento, conoscenza del particolare, azione e fruizione incessanti.

30 Rapporto dell’individuo con l’Atman-Brahman
Ciò che tiene lontano l’ individuo dall’ Atman-Brahman è il karman, ossia l’ azione e la forza immanente delle cose, che agisce automaticamente costringendo l’Assoluto,essenza di puro spirito, in forme individuali che obliterano la coscienza dell’unità universale e originaria.

31 Concezione del Male Il Male non è legato all’esistenza di un Diavolo, credenza questa che sminuisce l’onnipotenza e la perfezione di Dio. La reale causa del Male sono l’ignoranza ed il libero arbitrio.

32 IL BUDDHISMO

33 Il Buddhismo è la disciplina spirituale sorta dall'esperienza mistica vissuta dal personaggio storico di Siddhārtha Gautama e che si compendia nei suoi insegnamenti, fondati sulle «Quattro Nobili Verità». Con Buddhismo si indica anche l'insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali che hanno in comune il richiamo agli insegnamenti di Siddhārtha Gautama in quanto Buddha; La storia del Buddhismo riporta il suo sviluppo a partire dal VI secolo a.C. soprattutto nell'Asia orientale (India, Tibet, Cina, Corea, Giappone, Indocina), e, dal XX secolo anche in Europa e Stati Uniti.

34 Prima di intraprendere la sua ricerca spirituale, egli viveva nell'agio presso il palazzo del padre. Poco prima di compiere trent’ anni il principe uscì dal palazzo e in quattro occasioni diverse vide un neonato, un malato, un vecchio, e un funerale. Queste esperienze del tutto nuove per lui lo fecero riflettere sulla vita cominciando a elaborare quello che sarà il cardine del pensiero buddista: risolvere le quattro "sofferenze" fondamentali della vita: nascita, malattia, vecchiaia, morte.

35 Siddhārtha Gautama, detto Shakyamuni (il saggio della tribù Shakya), visse nell'India del Nord circa tra il 563 a.C. ed il 483 a.C. (studi recenti, successivi agli anni Novanta, propongono come date di nascita e morte del Buddha gli anni 480 a.C. e 400 a.C.). Egli era detto Buddha, ovvero «colui che è risvegliato». Il Buddha nacque durante il viaggio che doveva portare la regina Maya, moglie del nobile guerriero Suddhodana, a partorire il primo figlio nella casa paterna. Ma la tradizione vuole che la giovane non raggiunse mai la casa e partorisse in un boschetto (a Lumbini nel sud del Nepal), mettendo al mondo colui che sarebbe diventato il Buddha.

36 All'origine ed a fondamento del Buddhismo troviamo le Quattro Nobili Verità (ariya-sacca). Si narra che il Buddha, meditando sotto l'albero della bodhi, le comprese nel momento del proprio risveglio spirituale.

37 Le religioni in linea di massima dispongono criteri morali a mo' di guidare i credenti verso il bene, ed allontanargli dal male. Cioè che la gente si crede che le azioni possono venir giudicate in quanto buone o male. E credono che è possibile delimitarle chiaramente le une dalle altre. Il Cristianesimo tiene i Dieci Commandamenti in quanto basi delle buone e cattive azioni, ma, nella pratica, le società cristiane hanno sviluppato sistemi etici e linee di condotta per insegnare alla gente quel che è buono e quel che è male. Non è esagerato dire che uno degli oggettivi del Cristianesimo è l'eliminare il male della superficie del globo e lasciarvi solo il bene. Tuttavia, da un punto di vista buddhista, questo è sì un esercizio sterile. I buddhisti credono che la realtà o Dharma è aldilà dei concetti di bene e di male, cio" che contiene altrettanto dell'uno e dell'altro senza separazione; in uno stato pre-concettuale. Tentare di eliminare la metà della realtà pare; per definizione, irrealizzabile.

38 Ben più ancora, lo sforzo cosciente di eliminare la metà della realtà è pure precisamente una specie di affermazione Il Buddhismo non dice che non c'è moralità; afferma però l'importanza centrale della morale e della condotta etica in ogni ambito della vita. Il suo approccio della condotta morale, però, è molto diversa degli insegnamenti della società cristiana. Anche se crede il Buddhismo nell'azione giusta, insiste che l'azione giusta non è la stessa cosa del nostro concetto dell'azione giusta; che l'azione morale non coincide sempre con le nostre nozioni preconcette della moralità. Ragione sta che il Buddhismo crede che solo questo posto qui e questo momento adesso sono reali e che il resto, passato ed avvenire, non hanno esistenza reale.

39 Ne fuoriesce che l'unico posto dove la condotta possa essere buona o cattiva è qui ed adesso. Così sottolinea il Buddhismo che il bene ed il male hanno un rapporto diretto col momento presente, qui ed adesso.

40 Agire moralmente significa agire correttamente a quel momento preciso
Agire moralmente significa agire correttamente a quel momento preciso. Agire correttamente in questo momento stesso è l'unica vera moralità. Evidentemente, possiamo discutere del bene e del male in quanto concetti astratti, pero quelle astrazioni sono sempre separate della situazione reale cui siamo al confronto qui ed adesso, e sono quindi parziali, e non potranno mai fungere da guida completa per la nostra azione al presente. Eppure da il Buddhismo delle linee direttrici per una condotta buona, nella forma dei precetti buddhisti.

41 Questi precetti però, non sono da concepire come regole rigide che si debbono seguire a pena di peccato, come lo sono, per esempio, i Dieci Commendamenti cristiani. I Precetti buddhisti sono linee di condotta per una condotta corretta.Nelle situazioni reali, però, il nostro comportamento di decide a secondo dello stato del nostro corpo/mente al momento dell'agire, e non a secondo dei Precetti presi isolatamente. Proviamo sinceramente di seguire i precetti, però se infringiamo uno di essi, il Buddhismo ci incita a ritrovare lo stato di equilibrio ed agire correttamente al presente, piuttosto che fare penitenza per la cattiva condotta passata, ch'è passata e non potrà mais venire cambiata.

42 Quel che dice il Buddhismo, è che agiamo moralmente o correttamente o meno, in questo momento non dipende dal nostro concetto o della nostra credenza in ciò che è bene o male, ma dallo stato del nostro corpo e mente al momento presente. E' ovvio che non possiamo dire che la discussione sulla morale non ha nessun valore, ma discutere di morale ed essere morale sono diversi, e l'essere morale non riposa su di una discussione sulla morale, ma sul nostro stato al momento presente.

43 Un' antica quartina buddhista che dice che di fare il bene, non fare il male, è l'insegnamento di tutti i Buddha; che se facciamo il be non fare il male è facile da dire, semplice da capire, ma estremamente difficile da realizzare. ne, la nostra coscienza diverrà chiara (la mente verrà purificata). il non fare il male non è affare di discussione morale, ma di azione morale, qui ed adesso. il "Male" è soltanto "Non fare".Quel che significa con questo, è che è soltanto qui ed adesso che abbiamo la scelta dell'azione, e che qui ed adesso dobbiamo agire correttamente. La scelta dell'azione è intuitiva e non può essere concettualizzata nell'istante. Quando siamo equilibrati, agiamo. Quando non lo siamo, agiamo. Quando agiamo, ci equilibriamo.

44 All'istante di agire, non c'è tempo di riflettere su quel che è "bene" o "male". C'è solo l'azione al momento presente. Quando agiamo correttamente, manteniamo lo stato pacifico dell'equilibrio, e quando agiamo scorrettamente, ci perturbiamo Il Buddhismo è veramente positivistico, nel senso che guarda alla realtà delle cose, non aggiungendovi alcunché.

45 L'idea di peccato è un concetto, un principio che si inserisce all'interno di un panorama morale religioso di un certo tipo; la realtà del dolore invece è qualcosa di esistente al di là delle concettualizzazioni. Il Buddhismo guarda al mondo nella sua nudità, ancor prima delle etichette che vi poniamo sopra, modificandolo, sezionandolo, definendolo: buono/cattivo, giusto/sbagliato. I concetti morali sono successivi alla realtà in quanto tale, la quale è al di là di bene e male. La bontà quindi, nel buddhismo, non è semplicemente una prassi morale, ma una pratica di buona salute interiore personale. La bontà è la mancanza di avversione, è mitezza e quiete.


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