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PubblicatoNorma De martino Modificato 10 anni fa
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Dall’Amor cortese all’Amore petrarchesco. Lo Stilnovo
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La poesia d’amore come sistema
Nella storia della letteratura europea si fissarono successivamente tre sistemi (o convenzioni) di poesia d'amore, ciascuno dei quali prevede una specifica situazione dei rapporti sociali, una concezione del mondo (ideologia) e una peculiare espressione poetica (forma). A tali sistemi corrispondono: a. l'amore cortese; b. l'amore petrarchesco; c. l'amore romantico. Tutt'e tre produssero un modello letterario e un modello di comportamento.
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L’amore cortese in Italia - continuità
In Italia, nel XIII secolo, i poeti in lingua volgare accolsero la convenzione dell'amore cortese, apportandovi tuttavia innovazioni e adattamenti. Un elemento di continuità è costituito dalla finzione letteraria, per cui un tema (l'amore) e un oggetto privilegiato di raffigurazione (la donna) sono astratti dalle situazioni reali. I testi ci introducono (e questa caratteristica perdurò anche nel modello petrarchesco) in un universo dominato dalle donne, visto attraverso gli occhi di uomini che amano e adorano: la finzione compensa una realtà del tutto diversa, in cui il mondo era dell'uomo, e violentemente tale.
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La donna come pretesto Nelle dottrine d'amore confluì la coscienza di un gruppo sociale. La donna fu, come dai trovatori, eletta a «segno» rappresentativo di ogni bellezza, bene e piacere, fu considerata una forza capace di provocare, attraverso Amore, ogni sorta di effetti, positivi o negativi: parlando del suo rapporto con la donna, l'uomo perciò parla, allusivamente, del suo rapporto con la totalità dell'esperienza vissuta.
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Letteratura cortese in Italia discontinuità
Le peculiarità della cultura urbana e le vicende storiche del Duecento determinarono, all'interno della concezione dell'amore cortese, alcune modificazioni, dovute a: - l'azione svolta dalla Chiesa che recuperava il controllo sull'elaborazione intellettuale; - la nuova sistemazione del sapere proposta dai centri universitari; - la dinamica delle forze sociali, quale si manifestò nelle città a regime comunale.
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I soggetti sociali L'appropriazione dell'amore cortese fu un aspetto di quella crescita della cultura laica in volgare che ebbe i suoi soggetti storici nei ceti urbani di maggior prestigio (corte di Federico II, Bologna, Toscana). La convergenza tra la storia dei gruppi sociali e delle loro istituzioni da un lato, e, dall'altro, l'elaborazione di un linguaggio poetico e di forme letterarie è evidente se consideriamo un periodo di tempo abbastanza lungo (dall'inizio del Duecento all'inizio del Trecento).
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La nuova cultura aristocratica
La nuova cultura doveva scalzare il primato della tradizione clericale in lingua latina e differenziarsi dall'ideologia signorile; non era tuttavia la cultura di « tutti » e doveva quindi proporre valori che non potessero essere accolti indiscriminatamente, ma fondassero una nuova « aristocrazia » (dell'intelligenza, del sapere, del merito personale). A tutte queste esigenze obbediscono le teorie d'amore.
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I precedenti – Andrea Cappellano (XIIsec)
Noi uomini tutti da uno fummo dirivati e uno nascimento avemmo secondo natura: non bellezza, non ornamento di corpo, non ricchezza, ma sola fu prodezza di costumi quella che prima li uomini per nobiltà conoscere fece e nelle generazioni indusse differenza. Ma molti sono che da essi primi nobili traendo sementivo nascimento, piegando d'altra parte tralignano divegnendo bastardi: e se tale proposta converti, non è falsa. Adunque, sola prodezza degna è di corona d'amore. Noi uomini abbiamo avuto un unico progenitore (Adamo) e siamo nati allo stesso modo, nè la bellezza, nè gli ornamenti, nè la ricchezza, ma la virtù morale distinse gli uomini e la loro discendenza. Ma molti sono coloro che, pur traendo origine da nobili antenati, si rendono indegni di appartenere all'aristocrazia perchè mancano di virtù; così al contrario, uomini di umile origine diventano nobili per la loro virtù.
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I precedenti – Guittone d’Arezzo
Non ver lignaggio fa sangue, ma core, ni vero pregio poder, ma vertute; e sì grazia ed amore appo scïente. Di cui sol pregio è gente, nullo o parvo è pregio in ben de fore, ma ne le interïore ch'è donde muove lui ch'è pregio o onta: le più fiate desmonta a valere a pregio e a salute bealtà d'omo, lignaggio riccore. Non la nascita (sangue) ma l'animo (core) determinano la nobiltà, e non la potenza o la ricchezza (poder) ma la virtù determinano il pregio (sinonimo di "valore"), ed egualmente il favore e l'amore presso il savio (sciente). In colui in cui solo pregio è nobile (gente), di solito non vi sono pregi o ve ne sono piccoli (parvo) nei beni esteriori. Cioè: chi di nobile non ha che l'animo, di solito non ha beni esteriori, ma ha solo quei beni interiori che provocano virtù o vergogna, mentre invece il più delle volte (le più fiate) i beni esteriori, come la bellezza (beltà), la nascita e la ricchezza (lignaggio e riccore) scadono (desmonta) in valore pregio e salute.
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I precedenti - Guido delle Colonne
Ancor...freddura: anche se l'acqua in virtù del fuoco perde la sua freddezza. non...natura: non muterebbe la sua natura. s'alcun...stasse: se tra l'acqua e il fuoco non si frapponesse un recipiente. averria: accadrebbe. dimora: ritardo. per lo...mezzo: per l'elemento intermedio, il recipiente. dura: resiste. che...ghiaccia: che senza l'amore io ero come acqua fredda e ghiacciata. allumato: acceso. fora: sarei. non fustici...meve: non foste in mezzo tra l'Amore e me, come il recipiente tra l'acqua e il fuoco. che...neve: il quale amore fa nascere il calore della passione dalla neve, da un cuore freddo come la neve. Ancor che l'aigua per lo foco lassi la sua grande freddura, non cangerea natura s'alcun vasello in mezzo non vi stasse, anzi averria senza lunga dimora che lo foco astutasse o che l'aigua seccasse: ma per lo mezzo l'uno e l'autro dura. Cusì, gentil criatura, in me ha mostrato Amore l'ardente suo valore, che senza amore er' aigua fredda e ghiaccia: ma Amor m'ha allumato di fiamma che m'abbraccia, ch'eo fora consumato se voi, donna sovrana, non fustici mezzana infra l'Amore e meve, che fa lo foco nascere di neve.
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I poeti stilnovisti I poeti definiti «stilnovisti» sono quasi tutti fiorentini (tranne Guido Guinizzelli e Cino dei Sighibuldi), e furono attivi tra il 1280 e il 1310. Le notizie che abbiamo riguardo all'estrazione sociale, alla formazione, all'attività professionale e politica, ci consentono di delineare alcuni tratti comuni: l'appartenenza a famiglie socialmente eminenti, impegnate nella lotta per il controllo delle istituzioni di governo della città; una formazione collegata con i nuovi campi conoscitivi aperti dagli studi superiori, con interessi filosofici e talora giuridici; un'intensa partecipazione alla conflittualità politica.
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Nuova classe di governo
Nella classe di governo della città si erano incontrati e scontrati gli interessi dei ceti legati alla proprietà fondiaria e quelli delle varie categorie di mercanti e di artigiani. Era diffusa l'aspirazione alla stabilità, alla realizzazione di un equilibrio, destinato a rivelarsi presto illusorio, all'interno dei ceti economicamente e politicamente rilevanti. I poeti dello stilnovo fanno parte del gruppo dirigente della società urbana: nella tematica amorosa essi espressero, allusivamente, un'ideologia conforme a quel progetto di egemonia culturale e politica nella cui attuazione erano impegnati.
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Una nuova cultura Una cultura che volesse quindi proporsi come propria dello strato superiore della società urbana, doveva essere mediatrice, tendere alla conciliazione: conciliazione tra il prestigio della nobiltà di sangue e i meriti che le famiglie emergenti, di origine non nobile, si attribuivano; conciliazione tra l'importanza assegnata all'amore dalla tradizione cortese e la rinnovata autorità spirituale del cattolicesimo.
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Al cor gentil rempaira sempre amore
La canzone rappresenta il manifesto dello stilnovo. In essa Guido Guinizzelli raccolse motivi di per sé non tutti nuovi (già Andrea Capellano aveva individuato nell'«onestà dei costumi» il fondamento dell'amore), componendoli però in un impianto ragionato e dottrinale; Nell'ambizione di versificare tesi filosofiche, senza rinunciare alla ricchezza metaforica delle immagini, i contemporanei videro una nuova maniera di poetare.
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Al cor gentil rempaira sempre amore
come l'ausello in selva a la verdura; né fe' amor anti che gentil core, né gentil core anti ch'amor, natura: ch'adesso con' fu ‘l sole, sì tosto lo splendore fu lucente, né fu davanti 'l sole; e prende amore in gentilezza loco così propiamente come calore in clarità di foco Amore ha sempre la sua vera sede nel cuore nobile, come l'uccello in selva nel verde; la natura non creò l'amore prima che il cuore nobile, né il cuore nobile prima che l'amore: appena apparve il sole, immediatamente lo splendore fu lucente, e non vi fu prima del sole; e l'amore prende posto nella nobiltà così normalmente e necessariamente come il calore nella chiarezza del fuoco.
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Foco d'amore in gentil cor s'aprende
come vertute in petra preziosa, che da la stella valor no i discende anti che ‘l sol la faccia gentil cosa; poi che n'ha tratto fòre per sua forza lo sol ciò che li è vile, stella li dà valore: così lo cor ch'è fatto da natura asletto, pur, gentile, donna a guisa di stella lo 'nnamora. Il fuoco d'amore s'accende in cuore nobile come la virtù in pietra preziosa, nella quale non scende valore dalla stella prima che il sole non l'abbia resa (purificandola coi suoi raggi) cosa nobile; dopo che il sole con la sua forza ne ha tratto fuori ciò che vi è di vile, la stella le conferisce valore: così la donna, agendo come la stella, innamora il cuore che è stato fatto dalla natura eletto, puro, nobile.
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Amor per tal ragion sta 'n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero: splendeli al su' diletto, clar, sottile; no li stari' altra guisa, tant' è fero. Così prava natura recontra amor come fa l'aigua il foco caldo, per la freddura. Amore in gentil cor prende rivera per suo consimel loco com' adamàs del ferro in la minera. L'amore sta nel cuore nobile per la stessa ragione per cui il fuoco sta in cima alla torcia: vi splende a suo piacere (senza poter essere dominato), chiaro, sottile: non vi starebbe in altra guisa, tanto è indomabile (il fuoco tende sempre per natura verso l'alto). La natura ignobile è contraria ad amore come l'acqua, per la sua freddezza, è contraria al fuoco caldo. Amore prende dimora nel cuore nobile come in luogo a sé affine, come il diamante nel minerale di ferro (si credeva che il diamante, come la calamita, avesse la proprietà di attirare il ferro).
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Il sole colpisce continuamente il fango: questo rimane vile, e il sole non perde il calore; dice un superbo: «sono nobile per schiatta»; paragono lui al fango, e la nobiltà vera al sole: poiché non si deve credere (non deve uomo dar fede) che vi sia nobiltà fuori del cuore in dignità ricevuta quale erede, se (l'erede) non ha cuore nobile disposto al vero valore: così l'acqua si lascia attraversare dal raggio, mentre il cielo trattiene in sé le stelle e la luce. La nobiltà in colui che non è adatto a riceverla trapassa senza trovarvi dimora; si ferma invece in chi è disposto ad accoglierla. Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno: vile reman, né 'l sol perde calore; dis' omo alter: «Gentil per sclatta torno»; lui semblo al fango, al sol gentil valore: ché non dé dar om fé che gentilezza sia fòr di coraggio in degnità d'ere' sed a vertute non ha gentil core, com' aigua porta raggio e 'l ciel riten le stelle e lo splendore.
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Splende 'n la 'ntelligenzia del cielo
Splende all'intelligenza angelica motrice del cielo Dio creatore più che ai nostri occhi il sole; ella intuisce (cioè, vede spiritualmente, senza mediazioni) il proprio creatore di là dal cielo e prende ad obbedire a Lui, imprimendo il moto rotatorio al cielo; e come immediatamente segue compimento (esecuzione) perfetto (della volontà) del giusto Dio (da parte dell'intelligenza angelica), così, per la verità, la bella donna, dal momento in cui splende agli occhi del suo nobile amante, dovrebbe dargli volontà di non discostarsi mai dall'obbedirla. Splende 'n la 'ntelligenzia del cielo Deo criator più che ['n] nostr' occhi 'l sole: ella intende suo fattor oltra 'l cielo, e 'l ciel volgiando, a Lui obedir tole; e con' segue, al primero, del giusto Deo beato compimento, così dar dovria, al vero, la bella donna, poi che ['n] gli occhi splende del suo gentil, talento che mai di lei obedir non si disprende.
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Signora, quando l'anima mia sarà davanti a lui, Dio mi dirà: «Che presunzione avesti? Attraversasti il cielo e giungesti fino a Me e desti Me come termine di paragone per un vago amore: a Me appartengono le lodi e alla regina (Maria) del nobile regno, per intervento della quale resta sconfitto ogni peccato». Gli potrò dire: «(la donna) ebbe aspetto d’angelo che appartenesse al tuo regno; non fu mia colpa, se posi in lei amore». Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?», dando l'alma mia a lui davanti. « Lo ciel passasti e 'nfin a Me venisti e desti in vano amor Me per semblanti: ch'a Me conven le laude e a la reina del regname degno, per cui cessa onne fraude ». Dir Li porò: «Tenne d'angel sembianza che fosse del Tuo regno; non me fu fallo, s'in lei posi amanza».
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