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Università degli Studi di Bologna
Papillomavirus Umani Università degli Studi di Bologna Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale Sezione di Microbiologia
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Papillomavirus Umani Classificazione Struttura del capside
Organizzazione del genoma Interazione virus-cellula infezione trasformazione (oncogenesi) Patologie associate all’infezione Diagnosi Terapia
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Caratteristiche del virus
Famiglia: Papillomaviridae Genere: Papillomavirus Genoma: dsDNA, circolare, bp Capside: icosaedrico, diametro nm Specie-specifici Tropismo tissutale: cellule epiteliali Virus oncogeni Il genere Papillomavirus è stato di recente (the 7th ICTV report) inserito come unico genere della famiglia Papillomaviridae. Oggi non esiste quindi più la famiglia Papovaviridae che comprendeva i due generi Papillomavirus e Poliomavirus. Sappiamo che i papillomavirus sono costituiti da un genoma a DNA a doppia catena, circolare di 8000 bp circa racchiuso in un capside abbastanza piccolo (52-55 nm) formato dal ripetersi di due sole proteine strutturali: la L1 e la L2. I Papillomavirus sono ampiamente diffusi in natura ed infettano l'uomo e gli animali; sono stati identificati papillomavirus bovini, canini, del coniglio, dell'alce, del cervo, ecc. Anche se i papillomavirus umani ed animali hanno un'organizzazione genomica simile, sono altamente specie-specifici Hanno uno specifico tropismo per le cellule epiteliali squamose, tuttavia i diversi genotipi dimostrano una specificità nei riguardi della localizzazione anatomica degli epiteli che infettano e del tipo di lesioni che producono nel sito di infezione. I Papillomavirus sono molto importanti nella patologia umana perché implicati nella patogenesi di molti tumori (processi proliferativi cellulari) benigni e maligni della regione anogenitale ed anche alcuni tumori cutanei e del tratto respiratorio nell’uomo.
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Caratteristiche del capside
72 capsomeri 60 esavalenti - 12 pentavalenti 2 proteine strutturali: L1 proteina capsidica maggiore peso molecolare di 55 kd rappresenta l’80% delle proteine capsidiche L2 proteina capsidica minore peso molecolare di 70 kd rappresenta il restante 20% delle proteine capsidiche capside icosaedrico composto da 72 capsomeri (60 esavalenti e 12 pentavalenti) che misura nm di diametro. Il capside é costituito da due proteine strutturali: la proteina capsidica maggiore (L1) ha un peso molecolare di 55 kd e rappresenta l’80% delle proteine virali, la proteina capsidica minore (L2) ha un peso molecolare di 70 kd e rappresenta il restante 20% delle proteine virali.
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Organizzazione del genoma
Long control region (LCR) E6 trasformazione (p53-pRb) Regione codificante proteine tardive (L = Late) E7 P97 Regione codificante proteine precoci (E = Early) L2 E1 proteine replicazione capsidiche proteina tardiva, legame citocheratine episomica Il genoma virale è costituito da 3 regioni, una regione codificante le proteine precoci (E), una regione codificante le proteine tardive (L) ed una regione di controllo, chiamata long control region (LCR), non codificante, che regola la trascrizione e la replicazione del genoma virale ed è a sua volta sotto il controllo di geni virali e cellulari. Tutti i PV (animali e umani) hanno le ORF (open reading frames) localizzate su una sola catena del DNA e quindi una sola catena funziona da stampo per la trascrizione. La regione LCR é un segmento di circa 1Kb che comprende l’origine della replicazione virale; non codifica per delle proteine ma contiene siti di legame per molti repressori ed attivatori trascrizionali virali e per diversi fattori cellulari. Tutte le regioni LCR studiate hanno mostrato di contenere sequenze regolatorie che hanno specificità di tessuto o di tipo cellulare. La regione LCR regola quindi la trascrizione delle regioni precoci e tardive e controlla la produzione delle proteine virali e delle particelle infettanti. E4 L1 E2 E5 regolazione trasformazione della trascrizione e replicazione DNA
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Organizzazione del genoma e proteine virus indotte
LCR E7 E1 E5 L2 E6 E2 L1 E4 7906 L1 Proteina capsidica maggiore (attacco alle cellule) L2 Proteina capsidica minore E1 Replicazione DNA virale, stato episomico del DNA E2 Replicazione DNA virale, controllo trascrizione E4 Legame citocheratine, assemblaggio E5 Trasformazione cellulare (lega recettori EGF, PDGF) E6 Trasformazione cellulare (lega p53) E7 Trasformazione cellulare (lega pRb) A valle della regione LCR si trova la regione codificante per le proteine precoci (circa 4.5 Kb) che consiste di 8 ORF chiamate E1, E2, E3, E4, E5, E6, E7 ed E8. Le ORF E1 ed E2 codificano per proteine regolatorie che legano il DNA (attivatori e repressori) coinvolte direttamente nella regolazione della trascrizione virale e nella replicazione del DNA. Le proteine codificate da E2 in realtà hanno un ruolo ausiliario nella replicazione del DNA virale in quanto, legandosi alle proteine codificate da E1, sembrano rafforzare l’affinità di legame di tali proteine con l’origine replicativa del DNA. Inoltre nei Papillomavirus ad alto rischio i prodotti della regione E2, se intatta, possono reprimere l’espressione degli oncogeni E6 ed E7. La ORF E4 codifica per una proteina che sembra essere molto importante nella maturazione del virus. È espressa nelle fasi tardive dell’infezione (proteina tardiva) durante l’assemblaggio del virione. Non sembra avere proprietà trasformanti ma si trova associata alle membrane cellulari e si accumula nel citoplasma. Nei cheratinociti umani sembra intaccare l’integrità del citoscheletro cellulare (coilocitosi) favorendo la fuoriuscita delle particelle virali neoformate. La ORF E5 codifica per una oncoproteina che interagisce con recettori cellulari di membrana (EGF o PDGF) che possono stimolare la proliferazione delle cellule infettate da HPV. Ha attività trasformante in sistemi sperimentali (l’attività trasformante di E5 è dimostrata in BPV). Le ORF E6 ed E7 codificano per oncoproteine importanti nella replicazione virale e soprattutto nella immortalizzazione e trasformazione delle cellule. Entrambe possono interagire con proteine regolatorie del ciclo cellulare, p53 e pRB rispettivamente, innescando in certi casi una proliferazione cellulare incontrollata e favorendo la carcinogenesi. Il ruolo delle proteine E6 ed E7 nel normale ciclo infettivo virale sembra essere quello di fornire un ambiente cellulare adatto per la replicazione del DNA virale. Infatti le proteine E1 ed E2 possono iniziare la replicazione virale ma tale replicazione dipende strettamente da fattori cellulari prodotti solo nella fase S del ciclo cellulare e la replicazione del DNA della progenie (vegetativo) avviene nelle cellule quiescenti differenziate dove il ciclo cellulare non avviene più. Quindi le proteine E6 ed E7 intervengono legando delle proteine cellulari (p53 e pRB) che normalmente bloccano il ciclo cellulare in fase G1 permettendo così il passaggio in fase S e quindi la replicazione virale. Le ORF E3 ed E8 codificano per proteine dalla funzione sconosciuta nei papillomavirus umani. La regione codificante per le proteine tardive (circa 2.5 Kb) contiene due ORF diverse dette L1 ed L2 che codificano per le proteine capsidiche. L’ORF L1 codifica per la proteina capsidica virale maggiore che é altamente conservata nei diversi PV di diverse specie. È responsabile dell’attacco del virus alle cellule suscettibili ed inoltre media la risposta umorale e cellulomediata all’infezione. L’ORF L2 codifica per la proteina capsidica minore che é meno conservata nei diversi HPV. La sua funzione non é chiara ma sembra che l’espressione della L2 insieme all’L1 aumenti l’efficienza di assemblaggio del capside. La trascrizione delle ORF L1 ed L2 avviene nel momento dell’assemblaggio dei virioni completi. I diversi geni virali esprimono una serie di proteine con diverse funzioni: Tra le proteine tardive troviamo le proteine L1 e L2 che costituiscono il capside virale, e la proteina L1 media inoltre l’attacco del virus alle cellule. Tra le proteine precoci ricordiamo le proteine E1 ed E2 che sono importanti nel controllo della replicazione virale ed inoltre (specialmente la E2) controllano la trascrizione di alcuni geni virali. La proteina E4 si lega alle citocheratine e quindi si pensa che abbia un coinvolgimento nella distruzione del citoscheletro cellulare della cellula ospite. Le oncoproteine E5, E6 ed E7 hanno un’attività trasformante. Le proteine E6 ed E7 hanno un ruolo molto importante nell’oncogenesi virale e per questo sono state molto studiate. Le interazioni maggiormente studiate sono quella tra la oncoproteina E6 e la p53 mediata dalla proteina EAP e tra l’oncoproteina E7 e la proteina pRb. Tali interazioni portano ad alterazioni nel ciclo mitotico cellulare, favorendo la proliferazione continua della cellula ospite.
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Interazione della proteina E6 di HPV con p53
bassi livelli (passaggio in fase S e accumulo mutazioni) alti livelli E6 HPV alto rischio (degradazione ubiquitino-dipendente della p53) arresto del ciclo in G1 Infezione virale Danneggiamento DNA Stress cellulare G1 S G2 M L’ORF E6 degli HPV ad alto rischio codifica per una proteina di 150 aminoacidi che ha una struttura molto simile alla proteina E1B degli Adenovirus e all’antigene T grande di SV40. La proteina E6 sembra alterare la crescita cellulare attraverso i suoi effetti sulla proteina p53. La p53 “wild-type” é una proteina nucleare che regola negativamente la crescita cellulare cioè arresta il ciclo cellulare in G1 impedendone il passaggio nella fase S di sintesi del DNA. Questo é un meccanismo di controllo della crescita cellulare che consente alla cellula di riparare gli eventuali danni a livello del DNA prima di passare nella fase di sintesi del DNA e quindi permette alla cellula di mantenere l’integrità genomica. La proteina E6 degli HPV ad alto rischio si lega alla p53 innescando una degradazione ubiquitino-dipendente, mediata da una proteina E6-AP, della proteina stessa (per quanto riguarda Ad E1B e l’antigene T grande di SV40 il meccanismo é differente, legano la p53 in maniera permanente inattivandola ma non la degradano) e quindi facendo progredire la cellula in fase S e consentendo l’accumulo di mutazioni genetiche.
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Interazione della proteina E7 di HPV con pRB
E2F-1 pRB + E7 pRB complesso inattivo repressione della trascrizione E2F-1 attivazione della trascrizione G1 E2F-1 e passaggio in fase S L’ORF E7 degli HPV ad alto rischio codifica per una fosfoproteina nucleare di circa 90 aminoacidi che é strutturalmente e funzionalmente simile alla proteina E1A degli Adenovirus e all’antigene T grande di SV40. Regioni conservate di E7, E1A e antigene T grande legano il prodotto del gene del retinoblastoma (RB), la proteina pRB (p105), e le proteine correlate p107 e p130. Nelle cellule normali la forma ipofosforilata di pRB, come anche di p107 e p130, forma complessi con fattori della trascrizione della famiglia E2F. Questi complessi regolano negativamente la crescita cellulare reprimendo la trascrizione dei geni dipendenti dai fattori EF2 (geni che codificano per proteine implicate nella sintesi del DNA quali la timidinchinasi, la diidrofolatoreduttasi, la DNA polimerasi alfa e protooncogeni quali c-myc e n-myc). La proteina E7 altera tale meccanismo di controllo cellulare legandosi a pRB e alle proteine correlate, impedendo il legame di pRB con E2F e quindi stimolando la trascrizione dei geni dipendenti dai fattori E2F cioè favorendo il passaggio alla fase S del ciclo cellulare. ppRB M S ppRB inattiva inattiva G2
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Infezione e trasformazione
Inibizione trascrizione di E6/E7 Integrazione LCR E6/E7 E1/E2 E4 E5 L1 L2 Fattori cellulari Trasformazione e immortalizzazione Replicazione DNA Caduta delle cellule epiteliali che contengono il virus Infezione Strato basale Replicazione accelerata di DNA virale in cellule più differenziate Strato corneo Assemblaggio virale Episoma DNA virale nel nucleo della cellula infetta come episoma I papillomavirus infettano le cellule basali dell’epitelio in quanto sono le uniche cellule epiteliali in grado di dividersi, e quindi in grado di permettere la persistenza del virus, ma in tali cellule possono esprimere solo i geni precoci. L’espressione dei geni tardivi, la sintesi di proteine capsidiche, la sintesi del DNA della progenie virale e l’assemblaggio dei virioni é riscontrabile solo nelle cellule epiteliali differenziate delle lesioni papillomatose. Il tropismo di tali virus per i cheratinociti non sembra dovuto a recettori cellulari specifici (sembra che il recettore per i PV sia un recettore di superficie cellulare altamente espresso e conservato su molti tipi cellulari) ma probabilmente dipende dall’interazione tra fattori cellulari ed elementi della regione regolatoria (LCR) del genoma virale. Quindi i papillomavirus possono avere due tipi di replicazione: il primo tipo si verifica nelle cellule basali dell’epitelio (strato basale e spinoso). In queste cellule il DNA virale viene mantenuto in forma di plasmide multicopia stabile cioè si replica contemporaneamente al DNA cellulare e viene trasmesso alle cellule figlie ad ogni divisione cellulare. Questo tipo di replicazione assicura l’instaurarsi di un infezione persistente nelle cellule staminali dell’epidermide. Il secondo tipo di replicazione avviene nelle cellule più differenziate dell’epitelio (strato granuloso) a livello della lesione. In tali cellule non si osserva più la sintesi del DNA cellulare ma si ha un grande aumento della replicazione del DNA virale cioè si formano i DNA che verranno poi racchiusi nei capsidi della progenie virale. Solo nelle cellule dell’epitelio differenziate terminalmente avviene l’assemblaggio delle particelle virali complete (strato granuloso e corneo) e il rilascio delle stesse (strato corneo). Vediamo ora schematicamente che cosa succede quando un papillomavirus infetta i tessuti dell’ospite. Quando un papillomavirus infetta le cellule basali dell’epitelio una particolare combinazione di fattori cellulari interagisce con l’LCR dando avvio alla trascrizione dei geni E6 ed E7, in seguito si ha la trascrizione di E1 ed E2 che dà l’avvio alla replicazione del DNA virale. I prodotti del gene E2 agendo sulla LCR inibiscono la trascrizione di E6 ed E7 e limitano dunque la produzione delle proteine correlate. Nel frattempo, in seguito alla replicazione del DNA ed in concomitanza ad un differenziamento cellulare dallo strato basale agli strati superiori, si ha la trascrizione di E4, E5, L1 e L2 con produzione di particelle virali complete. Questo è quello che accade durante una infezione produttiva, ma talora può accadere che interruzioni nella regione E2, dovuti per esempio ad una integrazione del genoma virale in quello cellulare (molti HPV ad alto rischio oncogeno si integrano), causino un blocco dell’inibizione della trascrizione di E6 ed E7. Ciò porta a produzione continua delle proteine E6 ed E7 che sostengono l’immortalizzazione della cellula infettata e bloccano il programma di differenziamento cellulare. La trasformazione cellulare è, per fortuna, però appannaggio solo di certi genotipi di papillomavirus ed inoltre l’integrazione non sembra essere indispensabile per la carcinogenesi (in molti tumori cutanei l’HPV non è integrato). Cheratinocito basale normale
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Espressione dei geni di HPV
La replicazione del DNA degli HPV avviene mediante due diversi meccanismi che dipendono dallo stato di differenziamento della cellula ospite: 1﴿ Replicazione plasmidica: avviene nelle cellule dello strato basale dell’epitelio. Il DNA virale è mantenuto in alcune copie sotto forma di un plasmide stabile che esprime solo geni precoci e si riproduce mediamente una volta per ciclo cellulare; inoltre, il DNA è equamente distribuito alle cellule figlie, assicurando la persistenza dell’infezione latente nelle cellule progenitrici dell’epitelio. 2﴿ Replicazione vegetativa: si verifica nelle cellule epiteliali differenziate di un papilloma. In particolare, nelle cellule che sono sospinte negli strati superiori dell’epitelio la sintesi del DNA cellulare non avviene, mentre si osserva un’intensa replicazione del DNA virale con l’attivazione dell’espressione dei geni tardivi e la formazione della progenie virale completa. Questa è presente solo negli strati più superficiali dell’epitelio ed è espulsa nell’ambiente esterno quando le cellule epiteliali si desquamano, di conseguenza il virus è trasmesso principalmente attraverso contatto diretto. L’intervallo di tempo tra l’infezione e il rilascio delle particelle virali è variabile ma è almeno di 4-6 settimane (per HPV16 è di 3-4 mesi). Vediamo ora schematicamente che cosa succede quando un papillomavirus infetta i tessuti dell’ospite Quando un papillomavirus infetta le cellule basali dell’epitelio una particolare combinazione di fattori cellulari interagisce con l’LCR dando avvio alla trascrizione dei geni E6 ed E7, in seguito si ha la trascrizione di E1 ed E2 che dà l’avvio alla replicazione del DNA virale. I prodotti del gene E2 agendo sulla LCR inibiscono la trascrizione di E6 ed E7 e limitano dunque la produzione delle proteine correlate. Nel frattempo, in seguito alla replicazione del DNA ed in concomitanza ad un differenziamento cellulare dallo strato basale agli strati superiori, si ha la trascrizione di E4, E5, L1 e L2 con produzione di particelle virali complete. Replicazione plasmidica: nelle cellule basali Replicazione vegetativa: nelle cellule differenziate
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Papillomavirus Umani (HPV): classificazione
Sono stati identificati più di 150 genotipi di HPV (35 genitali) [denominati HPV+numero] Un nuovo isolato per essere classificato come nuovo genotipo di HPV deve avere una omologia inferiore al 90% nella sequenza nucleotidica della regione L1 rispetto alla sequenza corrispondente del genoma dei tipi conosciuti Un sottotipo è classificato come tale quando l’omologia è compresa tra 90% e 100% (tra 98% e 100% si parla di variante) DIVERSI GENOTIPI SONO ASSOCIATI A DIVERSE PATOLOGIE Esistono molti tipi e sottotipi di Papillomavirus che infettano una determinata specie. Tali gruppi non vengono classificati in sierotipi in base alle caratteristiche antigeniche, in quanto le proteine capsidiche di questi virus sono antigenicamente simili, ma vengono suddivisi in genotipi in base alle omologie e alle differenze di determinate regioni del genoma virale. Secondo un recente criterio, un nuovo isolato per essere classificato come nuovo genotipo di Papillomavirus non deve avere una omologia superiore al 90% nella sequenza della regione L1, un sottotipo è classificato come tale quando l'omologia è tra il 90 ed il 100% e parliamo di varianti quando l'omologia è tra il 98 ed il 100%. I diversi genotipi dimostrano una specificità nei riguardi della localizzazione anatomica degli epiteli che infettano e del tipo di lesioni che producono nel sito di infezione. Fino ad oggi sono stati identificati più di 150 genotipi di papillomavirus umani (35 della regione genitale). I diversi genotipi vengono denominati con dei numeri.
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Associazione tra lesioni cutanee e genotipi di HPV
Verruche comuni, piane, plantari e palmari Verruche in epiderm. verruciforme Carcinomi cutanei in Carcinomi cutanei 1, 2, 3, 4, 7, 10, 26-29, 41, 48, 49, 75, 76, 77 5, 8, 9, 12, 14, 15, 17, 19, 20, 46, 47 5, 8, 14, 17, 20, 47 16, 18, 33, 34, 35, 41 Come abbiamo già detto i papillomavirus sono epiteliotropi quindi possono infettare gli epiteli sia della cute che delle mucose. A livello della cute gli HPV possono causare affezioni assolutamente benigne come le verruche comuni, piane, plantari o palmari nella popolazione normale o lesioni polimorfiche disseminate in pazienti con Epidermodisplasia Verruciforme ma anche affezioni con le caratteristiche della malignità come i carcinomi cutanei.
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Associazione tra lesioni mucose e genotipi di HPV
VIE RESPIRATORIE: Papillomi Ca. laringo-bronchiali 6, 11 6, 11, 16, 18, 31 16 16, 18, 31, 33, 39, 40, 59, 68 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 67, 68, 71, 74 16, 18 13, 32 CONGIUNTIVA: Papillomi CAVITA’ ORALE: Iperplasia epiteliale focale Ca. oro-faringei TRATTO GENITALE: Condilomi acuminati Condilomi piani Papulosi bowenoide Ca. vulvari, penieni, anali Ca. cervice uterina Anche a livello delle mucose i papillomavirus possono causare lesioni benigne come i papillomi a livello delle vie respiratorie, della cavità orale e della congiuntiva e i condilomi acuminati e piani a livello dei genitali, mentre abbiamo anche forme maligne come i carcinomi delle vie respiratorie e i carcinomi a livello del tratto genitale, tra cui i più studiati sono stati quelli della cervice uterina. Come potete osservare c’e una certa associazione tra genotipo virale, epiteli infettatti e tipo di lesione anche se tale associazione non è assoluta. Gli HPV 6 e 11 si ritrovano prevalentemente nei condilomi acuminati ma anche nei papillomi laringei, gli HPV 16 e 18 sono associati ai carcinomi della cervice ma anche a carcinomi cutanei e laringei.
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Trasmissione HPV cutanei per contatto diretto o con superfici contaminate, autoinoculazione HPV mucosi regione anogenitale sessuale (fomiti, perinatale o in utero) app. respiratorio perinatale o in utero (oro-genitale) congiuntiva (perinatale o in utero) Esistono modalità di trasmissione differenti a seconda della regione anatomica interessata dall'infezione da HPV. La trasmissione dei tipi cutanei avviene mediante contatto diretto o con oggetti contaminati. La trasmissione dei tipi mucosi che interessano la regione ano-genitale, avviene tramite contatto sessuale. Recenti osservazioni indicano che l'infezione da HPV che interessano il tratto aereo-digestivo (responsabili di papillomi laringei nei bambini) può anche essere trasmessa per via verticale dalla madre infetta al neonato mediante il passaggio per il canale del parto o anche per via intrauterina (attraverso il liquido amniotico).
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Prevalenza delle infezioni genitali da HPV
Infezione a trasmissione sessuale più frequente nell’uomo (50% della popolazione attiva sessualmente è stata infettata da HPV) Correlata al numero e alla frequenza dei partner Correlata all’età (massima tra i 15 e i 25 anni) Correlata allo stato immunitario (maggiore in pazienti HIV positivi, in donne in gravidanza) Correlata alle abitudini di vita (fumo, alimentazione, contraccettivi orali) Le infezioni da papillomavirus del tratto anogenitale hanno una notevole importanza nella patologia umana in quanto si sono dimostrate le infezioni a trasmissione sessuale più frequenti nella specie umana (50% della popolazione attiva sessualmente è stata infettata da un HPV). La prevalenza dell'infezione da HPV genitali varia in funzione dell'età, dello stato immunitario, delle abitudini di vita e dei comportamenti sessuali della popolazione.
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Lesioni ano-genitali da HPV
Condilomi acuminati e piani a livello dei genitali maschili (pene, scroto) e femminili (cervice uterina, vagina, vulva) e in regione perianale [HPV 6, 11, 16, 18, ecc.] Carcinomi cervicali, vulvari, anali e del pene (e lesioni intraepiteliali squamose [SIL] che li precedono) [HPV 16, 18, 31, 33, 39, 45, 52, 58, ecc.] Alcuni tipi di HPV sono gli agenti eziologici dei condilomi acuminati e piani che si riscontrano frequentemente a livello dei genitali maschili e femminili e nella regione perianale. Nell’uomo i condilomi si ritrovano a livello del pene, in regione perianale e solo raramente a livello dello scroto; nella donna interessano la vagina, la vulva, la regione perianale e naturalmente la cervice uterina. I maggiori responsabili delle lesioni condilomatose sono gli HPV6 e 11. Di particolare importanza è il ruolo che gli HPV mucosi assumono nella patogenesi delle neoplasie del tratto genitale femminile e, in misura minore, anche maschile.
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Infezione da HPV e SIL Periodo di incubazione da 3 settimane a 8 mesi
L’infezione da HPV in genere decorre senza provocare lesioni (latente o subclinica) e si risolve (immunità cellulomediata) L’infezione da HPV può tuttavia causare l’insorgenza di SIL (lesioni intraepiteliali squamose) il 57% regredisce spontaneamente il 32% persiste l’11% si svilupperà come carcinoma in situ Il virus dell’HPV è altamente infettivo ed ha un periodo di incubazione compreso tra 3 settimane e 8 mesi. Nella maggior parte dei soggetti, lo sviluppo delle verruche genitali avviene a 2-3 mesi circa di distanza dall’infezione. La regressione spontanea ha luogo entro 3 mesi nel 10-30% dei pazienti. Per quanto riguarda l’infezione a livello della cervice uterina, nella maggior parte dei casi l'infezione è subclinica, non provoca cioè lesioni, e si risolve spontaneamente. L’infezione può tuttavia causare lesioni intraepiteliali squamose di basso grado (LSIL) che nella maggior parte dei casi regrediscono spontaneamente. Tuttavia circa un 30% persiste e progredisce a HSIL e una parte di queste (11%) progrediscono fino a carcinoma in situ. E’ impossibile però prevedere quali lesioni regrediranno e quali persisteranno. Tuttavia vi sono alcuni genotipi di HPV associati con frequenza maggiore all’ evoluzione neoplastica delle lesioni della cervice e della regione genitale in genere. Si possono constatare diversi andamenti nell’infezione da HPV in tale regione: - completa risoluzione dell’infezione con eliminazione del virus; - persistenza del virus con lieve o nessuna anormalità citologica; - anormalità citologiche transitorie che vengono in seguito completamente risolte; - anormalità citologiche persistenti; - anormalità citologiche che possono progredire a carcinoma “in situ” o a carcinoma invasivo. Fortunatamente la regressione spontanea è l’evento più frequente e la progressione a carcinoma il meno frequente. Andamento impossibile da prevedere
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HPV genitali e rischio oncogeno
HPV alto rischio: HPV 16, 18, 31, 33, , 39, 45, 51, 52, , 58, 59, 68… HPV basso rischio: HPV 6, 11, 26, 42, 43, , 53, 54, 55, 62, 66… In base a questa associazione gli HPV genitali vengono comunemente divisi in HPV ad alto e basso rischio oncogeno. Tra i genotipi ad alto rischio oncogeno ricordiamo soprattutto gli HPV 16, 18, 31, 33, 45, che da soli rappresentano più dell’ 85% degli HPV riscontrati nei carcinomi della cervice. Tra i genotipi a basso rischio ricordiamo HPV 6, 11.
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HPV e carcinoma della cervice
Il carcinoma della cervice è la seconda causa di morte per tumore tra le donne (dopo il carcinoma della mammella) nuovi casi di carcinoma della cervice uterina ogni anno nel mondo Prevalenza del 97%-99.7% di DNA di HPV nei carcinomi della cervice (in PCR) Il 53% dei carcinomi della cervice correlati ad HPV sono associati al 16, il 15% al 18, il 9% al 45, il 6% al 31 e il 3% al 33 (IARC, 2000) Il carcinoma della cervice uterina rappresenta la forma tumorale più frequente nella donna dopo il carcinoma della mammella. Nel mondo circa nuovi casi di carcinoma della cervice uterina vengono diagnosticati ogni anno. La prevalenza di DNA di HPV ad alto rischio oncogeno nel carcinoma della cervice, studiata in PCR, si aggira attorno al 97-99%. In più del 50% dei casi l’HPV riscontrato è stato il 16.
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Cofattori della progressione tumorale
Fattori genetici ( anormalità di struttura o numeriche dei cromosomi, riarrangiamenti o sovraespressione di oncogeni cellulari) Antigeni HLA (associazione HLA-cl.IID con carcinoma della cervice) Immunodepressione (infezione da HIV) Coinfezioni con altri virus o microrganismi (HSV-2, Clamidia) Numero dei parti Fumo Contraccettivi orali Fattori ormonali Dieta (assenza di carotenoidi, vitamina C) L’infezione da parte di un HPV a ad alto rischio non è sufficiente per innescare la progressione da LSIL ad HSIL e lo sviluppo del carcinoma della cervice o di altri tumori associati ad HPV, ma sono necessari altri fattori dell’ospite e cofattori ambientali che favoriscono tale progressione tumorale. Sembrano essere necessarie mutazioni genetiche nelle cellule infettate da HPV per indurre una degenerazione neoplastica. E’ stata osservata inoltre una certa associazione di certi alleli o aplotipi degli antigeni leucocitari (loci HLA-D) con il cancro invasivo della cervice. Abbiamo già visto che l’immunosoppressione è un importante fattore di rischio di infezione da HPV, tuttavia è meno chiara l’associazione tra immunosoppressione e rischio di progressione da SIL a carcinoma invasivo. Sembra essere rilevante anche l’associazione dei carcinomi della cervice con altre infezioni sessualmente trasmesse quali l’infezione da HSV-2 e da Clamidia. Anche un elevato numero dei parti sembra essere associato al rischio di progressione in HSIL e in carcinoma. Inoltre sono state studiate le associazioni tra carcinomi della cervice e cofattori quali il fumo, l’assunzione di contraccettivi orali, fattori ormonali e la dieta (carotenoidi , vitamina C, retinoidi, ecc. riducono il rischio di progressione neoplastica ?).
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Presenza di HPV-DNA in Carcinomi
Abbiamo visto che più del 99% dei carcinomi della cervice sono positivi in PCR per HPV ad alto rischio. Bisogna ricordare però che l’HPV è associato a molte altre forme tumorali. Per quanto riguarda la prevalenza di infezione da HPV nei carcinomi di altre regioni, abbiamo che a livello dei tumori della zona anale e perianale circa il 70% e’ positivo per gli HPV, a livello dei tumori di vulva , vagina e pene circa abbiamo positivo il 50%, a livello dell’ oro-faringe circa il 20% e circa il 30% a livello della cute. Walboomers et al., J.Pathol., 1999; zur Hausen, Proc.Assoc.Am.Physicians, 1999; Picconi et al., J.Med.Virol., 2000.
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Diagnosi di Infezione Gli HPV non possono essere coltivati in vitro
ciclo replicativo dipendente da eventi che regolano la maturazione dei cheratinociti. Difficile indurre la differenziazione dei cheratinociti in vitro. La diagnosi sierologica è poco affidabile proteine capsidiche antigenicamente simili nei diversi genotipi di HPV. proteine capsidiche non sempre espresse in tutte le lesioni (solo in infezioni produttive). I papillomavirus umani non possono essere coltivati in vitro poiché il loro ciclo replicativo é strettamente dipendente da eventi che regolano la maturazione dei cheratinociti e poiché non è possibile indurre la differenziazione di tali cellule in vitro. Inoltre è discussa l'affidabilità dei saggi sierologici per identificare infezioni (in atto o pregresse) da HPV, in quanto le proteine capsidiche dei diversi HPV sono antigenicamente simili e non vengono sempre espresse in tutte le lesioni.
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Diagnosi di infezione Metodi Indiretti
Evidenziano lesioni clinicamente apparenti [infezioni cliniche] o modificazioni cellulari e di tessuto indotte dal virus [infezioni subcliniche]. Non evidenziano le infezioni latenti (non produttive). Indagine clinica e colposcopica Indagine microscopica di strisci cellulari (Pap-test) Indagine microscopica di preparati istologici La diagnosi di infezione da HPV nel tratto ano-genitale é ancora oggi principalmente affidata ai metodi indiretti tradizionali, che evidenziano o lesioni apparenti, senza identificare le subcliniche o latenti, quali l'indagine clinica e colposcopica, o evidenziano modificazioni cellulari o di tessuto, indotte dal virus quali l’esame microscopico di strisci cellulari (Pap-test) e di preparati istologici.
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Diagnosi di Infezione da HPV Metodi Molecolari
Evidenziano la presenza del genoma virale in cellule e tessuti e identificano il genotipo virale. Tecniche di ibridazione su acidi nucleici virali (da/su cellule o tessuti) Dot-blot ibridazione Ibridazione in fase liquida e cattura in micropiastra Ibridazione “in situ” Tecniche di amplificazione degli acidi nucleici (PCR) seguite da ibridazione molecolare (da cellule o tessuti) PCR con primer tipo-specifici PCR con primer “di consenso” Il carcinoma della cervice uterina è ormai associato nella sua quasi totalità dei casi (97-99%) alla presenza di HPV ad alto rischio, quindi in questi ultimi anni si sta facendo strada l’idea di utilizzare test per la ricerca e tipizzazione di DNA di HPV come test importante da affiancare al citologico (Pap-test) negli screening per prevenire il carcinoma della cervice uterina. Negli ultimi anni sono quindi state affiancate, a queste tecniche indirette, metodi molecolari di identificazione virale, volti a dimostrare non solo la presenza dei virus nel campione ma anche a identificarne il genotipo. Le tecniche molecolari oggi maggiormente impiegate per la ricerca e la tipizzazione dei diversi genotipi di HPV si dividono in: Tecniche di ibridazione diretta di acidi nucleici virali (direttamente nelle o estratti da cellule e tessuti): Tecniche di amplificazione in PCR di acidi nucleici (estratti dal campione citologico o bioptico) seguite da ibridazione. Queste tecniche possono essere distinte in:
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Utilizzo dei Metodi Molecolari in diagnostica
Screening di popolazione (insieme al Pap-test) Interpretazione di quadri citologici dubbi (ASCUS, AGUS) Follow-up di pazienti conizzate (per controllare le recidive) SIL di basso grado (per stabilire in base al genotipo virale la frequenza dei controlli)
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Terapia Rimozione delle lesioni: conizzazione, laser, crioterapia, elettrocoagulazione Interferone: in lesioni molto estese, in condilomi acuminati ricorrenti o in papillomatosi laringee Acido Retinoico: sembra avere un buon potenziale terapeutico, sopprime l’attività trascrizionale del virus Imiquimod: nuovo farmaco per il trattamento dei condilomi, sembra avere una buona efficacia in quanto stimola le difese immunitarie e la produzione di interferone Non esiste una terapia specifica per l’infezione da HPV. La rimozione chirurgica della lesione o l’ablazione della lesione mediante trattamenti locali quali laser, crioterapia, elettrocoagulazione, conizzazione sono ancora i metodi più usati per trattare verruche, papillomi e lesioni displastiche. Viene impiegato anche l’interferone in lesioni molto estese, in condilomi acuminati ricorrenti o in papillomatosi laringee. L’acido retinoico sembra avere un buon potenziale terapeutico in quanto sopprime l’attività trascrizionale del virus. L’Imiquimod (Aldara) è un nuovo farmaco per il trattamento dei condilomi che sembra avere una buona efficacia in quanto stimola le difese immunitarie e la produzione di interferone.
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Vaccini Vaccini Preventivi
Sono state impiegate particelle virus-like (VLP) costituite da L1. La protezione conferita dai vaccini è tipo-specifica e specie-specifica. Non si conosce la durata della protezione. Tali vaccini non sono efficaci se somministrati dopo il contatto con il virus. Devono essere vaccini polivalenti. Devono essere somministrati prima dell’inizio dell’attività sessuale. trials fase II/III Vaccini profilattici (trials fase II/III): Sono costituiti particelle virus-like (VLP) generate dall’autoassemblaggio della proteina maggiore L1 (o L1+L2, in baculo). I vaccini consistono di VLP di HPV16, 18, 6 e 11 (singolarmente o assieme) addizionate con adiuvanti. Sono stati fatti studi su animali quali coniglio, bue e cane (COPV=canine oral papillomavirus) . Questi studi sono incoraggianti. Gli epitopi conformazionali delle VLP sono critici per l’induzione delle IgG neutralizzanti. La protezione indotta da tali vaccini è tipo specifica e non è estendibile alle altri modelli animali. Bisogna ricordare tuttavia che nessun modello animale è completamente sovrapponibile al modello umano (il più vicino è il COPV che induce papillomi orali) in quanto sono tutti HPV a basso rischio e nessuno infetta le mucose genitali. Dagli studi fatti sembra comunque che le IgG prodotte siano protettive e livello delle mucose genitali. Gli ultimi studi indicano che il vaccino composto da VLP di HPV16 somministrato in donne HPV negative previene l’infezione da HPV16 e lo sviluppo delle lesioni di basso grado. Non è ancora stabilità la durata della protezioine data da tali vaccini. Non si conosce neppure il meccanismo di protezione Tali vaccini non sono efficaci se somministrati dopo il contatto con il virus. Questi vaccini devono quindi essere polivalenti e comprendere i genotipi più importanti e devono essere somministrati prima dell’inizio dell’attività sessuale.
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Vaccini Vaccini Terapeutici
Sono allo studio anche vaccini in grado di stimolare la risposta immunitaria nei confronti delle oncoproteine virali con lo scopo di indurre l’eliminazione dei virus in replicazione o di eradicare tumori indotti dall'HPV. Studi su animali hanno fornito dati sull'efficacia dell'utilizzo di proteine virali (E2, E6 ed E7) come vaccini immunoterapeutici per verruche e tumori associati ai papillomavirus. Vaccini terapeutici: Sono allo studio 2 tipi di vaccini: Un tipo è costituito dall’ antigene E2. Tali vaccini inducono protezione verso le malattie di basso grado ma non i carcinomi. E’ allo studio un vaccino profilattico/terapeutico costituito dalle proteine L1 ed E2. Un altro tipo è costituito dalle oncoproteine E6/E7, dovrebbe proteggere dall’evoluzione neoplastica di certi HPV. Non sembrano avere una grande efficacia.
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