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Semantica e comunicazione
“La nozione di semantica introduce al campo della lingua nel suo impiego e in atto; della lingua consideriamo questa volta la sua funzione di mediatrice fra l’uomo e l’uomo, l’uomo e il mondo, fra la mente e le cose, cioè la funzione di trasmettere informazioni, comunicare esperienze, imporre adesioni, suscitare risposte, implorare, costringere: in breve, quella di organizzare l’intera vita degli uomini. Si tratta della lingua come mezzo di descrizione e di ragionamento. Solo il funzionamento semantico della lingua consente l’integrazione nella società e l’adeguamento al mondo, quindi l’organizzazione del pensiero e lo sviluppo della coscienza”. (p )
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Il problema del significato
La nozione di significato è una delle più complesse e controverse Tre aspetti sotto i quali è stato pensato sono: - il significato come relazione tra linguaggio e mondo (approccio filosofico-linguistico) - il significato come relazione interna al linguaggio, che comporta un modello componenzialista (prospettiva strutturalista) Il significato come prototipo (prospettiva psicologico-cognitiva)
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Semantica referenziale o vero-condizionale
Sorge all’inizio del Novecento in ambito filosofico e si sviluppa nell’area di ricerca di indirizzo analitico, nel contesto della cosiddetta ‘svolta linguistica’. Tre fattori caratterizzano questa prospettiva: Forte attenzione per gli aspetti logici del linguaggio Focalizzazione sui rapporti tra linguaggio e mondo (referenzialismo) Una netta separazione tra semantica e processi psicologici del pensiero (antipsicologismo).
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Relazione lingua-mondo
Diretta, senza alcuna mediazione tra la lingua e la realtà extralinguistica (modalità sviluppata sia nella teoria del significato di Russell, sia in quelle più recenti di Quine e di Kripke) Indiretta, attraverso la mediazione di nozioni che collegano la prima al secondo (modalità sviluppata a partire da Frege)
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Senso e riferimento (Frege)
Il segno (Zeichen), che per Frege può avere diversi formati (dal singolo termine alla espressione composta, all’enunciato), fa riferimento agli oggetti extra linguistici e agli stati di cose passando attraverso la mediazione di un’entità, il senso (Sinn), nozione che indica la maniera attraverso cui il riferimento stesso (Bedeutung) è dato. Senso e riferimento sono nozioni formali e oggettive e vanno tenute distinte da una terza nozione, di ordine psicologico, la rappresentazione (Vorstellung) (immagine soggettiva, basata su impressioni sensibili e ricordi).
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Modello di Frege Rappresentazione Senso Vorstellung Sinn Riferimento
Bedeutung Segno Zeichen
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La semantica di impostazione strutturalista
La semantica è vista come una dimensione autonoma rispetto ad ogni dimensione esterna al sistema (antireferenzialismo) La semantica si distingue anche dalla dimensione introspettivo-psicologica che aveva caratterizzato l’impostazione pre-strutturalista del problema (antipsicologismo) Il significato di un termine non ha come contropartita un oggetto extralinguistico o un’entità psicologica, ma tutti gli altri termini del sistema, dai quali si differenzia
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Semantica cognitiva Lo studio del significato appare inscindibile dallo studio dei processi mentali attraverso i quali i contenuti semantici vengono costruiti Recupero del rapporto tra semantica e comprensione La semantica non è assunta come dimensione autonoma dai processi di conoscenza Necessità di definire il rapporto tra significato e concetto
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Semantica del prototipo
Studio dei processi di categorizzazione in cui il confine tra dimensione linguistica e non linguistica appare molto problematico Modello di Eleonor Rosch (1978): il modo in cui la lingua dà forma strutturale al mondo attraverso il lessico non è arbitrario, ma dipende in parte da come il mondo stesso si presenta strutturato e in parte dai bisogni comunicativi dei parlanti: organizzazione verticale delle categorie (livello sovraordinato, livello di base e livello sovraordinato): organizzazione orizzontale, interna cioè alla singola categoria (questione del prototipo); Teoria estesa del prototipo (anni Novanta): il prototipo non è più inteso come oggetto o classe di oggetti ma come costrutto mentale (concetto), caratterizzato da un insieme di proprietà astratte: l’accento è posto sulle qualità salienti di una categoria anziché sulle entità o oggetti che la rappresentano (effetti prototipici). Il linguaggio viene qui rappresentato come una rete che si proietta su un continuum non differenziato, ma all’interno del quale si danno salienze (percettive o culturali) sulla cui base operare giudizi di somiglianza (Manetti 2011:117)
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Pensiero e linguaggio Categorie di pensiero e categorie di lingua (1958) Benveniste discute la convinzione diffusa che pensare e parlare siano attività essenzialmente distinte, tenute insieme solo dalla necessità pratica del comunicare. Tesi di Benveniste: il contenuto del pensiero prende forma solo quando viene enunciato. Riceve forma dalla lingua e nella lingua, matrice di ogni espressione possibile. La forma linguistica è la condizione di trasmissibilità del pensiero, ma anche e soprattutto la sua condizione di realizzazione. Noi cogliamo il pensiero solo quando è già conforme agli schemi della lingua. A rigore, il pensiero non è una materia alla quale la lingua fornirebbe una forma, perché in nessun istante questo contenente può essere immaginato vuoto del suo contenuto, né il contenuto sganciato dal suo contenente (pp ) (cfr. saggio sulla natura del segno).
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Metodo Il problema qui posto ha una storia bimillenaria.
Per poterlo discutere occorre scendere nel concreto di una situazione storica e scandagliare le categorie di un pensiero e di una lingua specifici. Le categorie aristoteliche offrono l’inventario dei concetti che organizzano l’esperienza, la totalità dei predicati che si possono affermare dell’essere.
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Analisi delle categorie aristoteliche
Aristotele (categorie di pensiero) Sostanza (ousia) Quanto (poson) Quale (poion) Relazione (pros ti) Dove (pou) Quando (poté) Fare (poiein) Subire (paskhein) Giacere (keisthai) posizione Avere (ekhein) stato Benveniste (categorie di lingua) Sostantivo Aggettivo di quantità Aggettivo di qualità Aggettivo comparativo Avverbio di luogo Avverbio di tempo Diatesi attiva Diatesi passiva Diatesi media es. “è sdraiato”, “è seduto” Perfetto greco es. “è calzato”, “è armato”
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Con la tavola delle categorie Aristotele intendeva passare in rassegna tutti i possibili predicati della proposizione, a condizione che ogni termine fosse un significante a sé […]. Inconsciamente il filosofo ha adottato il criterio empirico di un’espressione distinta per ciascun predicato. È arrivato dunque a ritrovare, senza volerlo le distinzioni fra le principali classi di forme che la lingua manifesta. Aristotele pensava di definire gli attributi degli oggetti, ed enuncia invece entità linguistiche: è la lingua che, grazie alle proprie categorie, permette di riconoscerli e di specificarli. Ciò che si può dire delimita e organizza ciò che si può pensare. La lingua fornisce la configurazione fondamentale delle proprietà che la mente riconosce alle cose. La tavola dei predicati istruisce, innanzitutto, sulla struttura delle classi di una lingua specifica. La proposta di Aristotele di un quadro di condizioni generali e permanenti si risolve invece nella proiezione concettuale dello stato di una determinata lingua. (p. 82)
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Trapezio semiotico (Stoici, cfr. A. Ancillotti)
Pensiero linguisticamente non formato Dicibile/ Campo noetico Segno linguistico Realtà esterna espressione
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Due opposte illusioni Che la lingua sia solo uno strumento di espressione del pensiero Che in quanto insieme ordinato, la lingua contenga in sé una logica intrinseca alla mente, cioè esterna e anteriore alla lingua. La mente va intesa come virtualità non come schema, come dinamismo più che come struttura. Nessuna lingua specifica può di per sé favorire o impedire l’attività mentale. Lo sviluppo del pensiero è legato più alle condizioni culturali della società che a una lingua specifica (cfr. Ascoli, 1872). Ma la possibilità del pensiero è legata alla facoltà di linguaggio […] pensare vuol dire elaborare i segni della lingua.
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Linguistica della lingua e linguistica del discorso
Si tratta di due universi eterogenei, benchè attinenti alla stessa realtà e che danno luogo a due linguistiche diverse: Da un lato c’è la lingua, insieme di segni formali, rilevati da procedure rigorose, dall’altro la manifestazione della lingua nella comunicazione vivente” (I livelli dell’analisi linguistica, pp. 55-6). Con l’abitudine siamo diventati insensibili alla profonda differenza tra il linguaggio come sistema di segni e il linguaggio assunto come esercizio dall’individuo. Nell’appropriarsi del linguaggio l’individuo lo trasforma in istanze del discorso, caratterizzate da un sistema di referenza interna la cui chiave è l’io, e che definiscono l’individuo tramite la particolare costruzione linguistica adottata quando si enuncia come locutore (p. 141). È nel discorso che la lingua si forma e si configura: “nihil est in lingua quod non prius fuerit in oratione”.
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Linguistica interna e linguistica esterna
Mentre la nozione di semiotico copre tutti i fattori della linguistica interna (Saussure), la nozione di enunciazione apre lo spazio dell’analisi a quei fattori che prima erano stati relegati all’esterno del sistema: il soggetto, il referente, il sociale (Manetti, p. 122). Il sistema è chiuso rispetto al mondo, che resta esterno al linguaggio. L’enunciazione fa intervenire invece il locutore che utilizza la lingua e la possibilità del riferimento al mondo (attraverso l’unità della frase che porta con sé l’intento del locutore). Il senso della frase implica sia il riferimento alla situazione del discorso sia l’intento del locutore rispetto all’allocutore
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Teoria della enunciazione
Saggi di riferimento L’apparato formale dell’enunciazione (1970) La natura dei pronomi (1956) Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946) Della soggettività nel linguaggio (1958) Il linguaggio e l’esperienza umana (1965)
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Cos’è l’enunciazione? Meccanismo di attualizzazione della lingua per produrre un determinato atto di parole: “è la messa in funzionamento della lingua attraverso di un atto individuale di utilizzazione” (p. 120); atto con cui un soggetto prende in carico la lingua al fine di istaurare un rapporto di comunicazione (mediazione tra uomo e uomo e tra uomo e mondo) L’enunciazione in quanto “atto stesso di produrre un enunciato” va distinta dal suo prodotto, cioè l’enunciato o parole (L’apparato formale dell’enunciazione, p. 120) È il livello del discorso, che si definisce appunto come “enunciazione che presuppone un parlante e un destinatario, e l’intenzione del primo di inflluenzare in qualche modo il secondo” (Le relazioni di tempo nel verbo francese”), oppure “a un tempo portatore di un messaggio e strumento di azione” (Note sulla funzione del linguaggio nella scoperta freudiana, 1956). Lo studio della enunciazione mette in evidenza che emittente e ricevente e la loro reciproca posizione sono compresi nei significati degli enunciati.
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Enunciazione: langue o parole?
La teoria della enunciazione non è una teoria della parole, benchè si fondi sulla distinzione tra entità virtuali del sistema e loro realizzazioni concrete, bensì un ampliamento della linguistica della langue, in quanto studio sistematico degli aspetti deittici (nel senso di Benveniste, come elementi che si riferiscono all’atto stesso del dire): quali unità della lingua comportano tali aspetti, e con quale valore? Quali combinazioni tra queste ed altre unità sono ammesse e quali escluse? Come appaiono in certi tipi di testi e non in altri, e perché?
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La mappa della enunciazione
Quadro formale entro cui l’enunciazione si realizza: Atto di appropriazione della lingua da parte di un locutore Situazione di intersoggettività propria della enunciazione Riferimento, che solo l’enunciazione rende possibile Cfr. L’apparato formale dell’enunciazione (1970), p
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L’apparato formale dell’enunciazione
Ci deve essere un soggetto che usa determinate forme linguistiche, in un momento unico e in uno spazio determinato (nell’atto dell’enunciazione). Tali forme costituiscono una sottoclasse interna alla langue. La loro referenza è variabile e viene fissata solo sulla base del soggetto locutore che li assume e li enuncia e della situazione in cui vengono enunciati.
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Forme a referenza variabile
gli indici di persona: forme linguistiche che rimandano sempre a individui che fanno parte della situazione di enunciazione e non a concetti fissi (La natura dei pronomi) Gli indici di ostensione: dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo Forme della temporalità, a partire dal presente come espressione del tempo coestensivo alla situazione di enunciazione (il presente linguistico è sui-referenziale): l’unico tempo inerente al linguaggio e per natura implicito (Il linguaggio e l’esperienza umana, 1965) Forme della illocutività: verbi performativi, la cui forza specifica si realizza solo se un determinato soggetto li pronuncia alla prima persona singolare (cfr. Della soggettività nel linguaggio, 1958) Verbi, modi ed espressioni di atteggiamento proposizionale (modalità), la cui problematica emerge dalla considerazione che il soggetto ha la possibiltà di marcare il proprio enunciato in vari modi per indicare il proprio atteggiamento nei confronti del contenuto (cfr. Della soggettività nel linguaggio).
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Cornice figurativa L’enunciazione è caratterizzata dalla accentuazione della relazione discorsiva con il partner. Come forma di discorso, l’enunciazione pone due figure, ugulmente necessarie, una l’origine, l’altra l’esito della enunciazione. È la struttura del dialogo. (L’apparato formale della enunciazione, p. 124) Malinowski ha evidenziato in questa dimensione la comunione fàtica, come fenomeno psicosociale del funzionamento linguistico: “Ogni enunciazione è un atto volto direttamente a collegare l’ascoltatore al locutore, attraverso una qualche forma di sentimento, sociale o di altra natura. Ancora una volta, il linguaggio, in questa funzione, appare non come uno strumento per pensare, ma come un modo di agire”(cit. p. 126). La comunione fatica è una forma convenzionale di enunciazione ripiegata su di sé, gratificata della propria attività, senza implicazioni di oggetto, di finalità, di messaggio, pura enunciazione.
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1. I pronomi Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946)
La natura dei pronomi (1956) La soggettività nel linguaggio (1958) L’apparato formale dell’enunciazione (1970) Definizione di pronomi: “classe di “individui linguistici”, forme che rinviano sempre e solo a “individui”, si tratti di persone, di tempi o di spazi, in opposizione ai termini nominali, che rinviano sempre e solamente a dei concetti” (L’apparato formale dell’enunciazione, p. 122) Hanno la funzione di mettere in rapporto costante e necessario il locutore con la propria enunciazione. La loro caratteristica è quella di rimandare sempre a delle entità individuali variamente facenti parte della situazione di enunciazione (e dunque a delle entità mobili e diverse da situazione a situazione). Per stabilire qual è il loro riferimento bisogna osservare qual è il soggetto che li enuncia (Manetti, p. 124).
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“L’enunciato contenente io appartiene a quel tipo o livello di linguaggio che Morris chiama pragmatico e che include, con i segni, coloro che se ne servono” (La natura dei pronomi, p ) Il pronome io non ha una referenza fissa, oggettiva e costante, ma ne assume una ogni volta differente in ciascuna delle situazioni di discorso in cui un individuo si designa come io: “Io significa ‘la persona che enuncia l’attuale istanza di discorso contenente io’” (p. 139) L’unica realtà alla quale i pronomi personali di prima e seconda persona fanno riferimento è la realtà del discorso: essi appartengono alla situazione del discorso o al “processo di enunciazione linguistica”. La deissi è contemporanea alla situazione di discorso. Influenza di Bühler (Sprachtheorie, 1934), che aveva attribuito grande importanza alla funzione deittica, articolata nella triplice referenza: io/qui/ora
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L’universalità di queste forme induce a pensare che il problema dei pronomi sia insieme un problema di linguaggio e un problema di lingua, o meglio, che sia un problema di lingua solo in quanto è innanzitutto un problema di linguaggio (p. 138) L’importanza della loro funzione è direttamente proporzionale alla natura del problema che aiutano a risolvere, quello cioè della comunicazione intersoggettiva. Il linguaggio lo ha risolto creando una serie di “segni vuoti”, non referenziali rispetto alla realtà, sempre disponibili e che diventano “pieni” non appena il parlante li assume in una istanza qualsiasi del discorso […] il loro compito è quello di fornire lo strumento di quella che potremmo chiamare conversione del linguaggio in discorso (p. 141). Precisazione: le forme deittiche sono prive di referenza, cioè “vuote” a livello di langue, ma acquisiscono una referenza piena a livello di realizzazione nella situazione del discorso (Manetti, L’enunciazione, 2008, p. 11). Importante è comunque il fatto che la referenza dei pronomi è variabile in rapporto a ogni diversa situazione del discorso mentre quella degli altri segni non lo è. Dunque i pronomi, quanto al formato del loro significato, sono uguali a tutti gli altri segni, mentre quanto alla referenza si comportano in modo specifico (Manetti, Sull’enunciazione, p. 12)
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Correlazione di personalità
Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946) La grammatica araba mette in luce interessanti opposizioni tra le tre persone: La prima persona è al-mutakallimu = colui che parla La seconda è al-muhatabu = colui che ascolta La terza è al-ya’ibu = colui che è assente (dalla situazione di discorso definita dalle prime due persone) Persona designa soltanto le due entità io-tu che delimitano la situazione di intersoggettività comunicativa. La terza persona è una non-persona, l’assente della grammatica araba. In molte lingue la terza persona presenta un demarcatore zero o il puro tema, mentre le prime due presentano desinenze specifiche per le rispettive persone. Nell’inglese moderno è invece la terza persona ad essere marcata (-s) rispetto alle prime due. La correlazione di personalità oppone dunque le persone io-tu alla non-persona egli. Nelle prime due persone sono implicati sia una persona che un discorso su questa persona […] nella terza persona invece si enuncia un predicato ma soltanto al di fuori dell’io-tu (p ).
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Correlazione di soggettività
Entrambi interni all’atto del discorso, io e tu manifestano la categoria di persona ma di essi solo uno alla volta assume il linguaggio come soggetto, designandosi come io. La polarità delle persone è la condizione fondamentale del linguaggio, la soggettività si determina attraverso lo status linguistico della persona (p. 113) La correlazione di soggettività oppone la persona soggettiva io alla persona non soggettiva tu. Termini complementari e reversibili ma non simmetrici (p. 113). Io e tu si inscrivono in uno spazio che non è solo linguistico ma prima di tutto pragmatico, perché si definiscono a partire dall’atto cui essi stessi danno realizzazione.
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Correlazioni di personalità e di soggettività
– + Soggettività – + Tu Egli Io
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Comunicazione linguistica e soggettività
“È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce in quanto soggetto, perché solo il linguaggio fonda nella realtà […] il concetto dell’ego” (112). Solo nel linguaggio, e prima ancora nella lingua, trova realizzazione la soggettività. Nella lingua la soggettività è contenuta in modo virtuale, perché le espressioni che servono a costruirla vi sono depositate e aspettano che un locutore le faccia proprie in un atto concreto di enunciazione. Domanda: è solo nelle lingue che si può trovare l’espressione formale della soggettività o anche in altri sistemi linguistici? Risposta: solo nelle lingue perché solo qui si trovano espressioni a referenza variabile come il pronome io. Ma la coscienza di sé avviene solo per contrasto e in relazione a un tu e questo tipo di opposizione non ha equivalenti fuori della lingua. Claudine Normand (1986) mette in evidenza però che la nozione di soggettività in Benveniste va assunta con molta cautela, perché spesso somma in sé tre nozioni distinte: grammaticale, psicologica e filosofica. Secondo molti interpreti è stata data eccessiva attenzione alla nozione di soggettività in Benveniste (contesto degli anni settanta: intrecci tra psicoanalisi, linguistica e marxismo). Inoltre Benveniste smitizza la nozione filosofica di soggettività come coscienza di sé irriducibile agli altri: l’analisi della soggettività è qui al contempo un’analisi della alterità con forti sfumature pragmatiche.
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Possibili usi della terza persona
Forme di cortesia: Lei (italiano), Sie (tedesco), elevano l’interlocutore al di sopra della condizione di persona e del rapporto tra pari. Forme di disprezzo, che annientano l’individuo come persona, non rivolgendosi “personalmente” a lui. Ma anche indice di rappresentazione obiettiva, non personale: “la non-persona è l’unico genere di enunciazione possibile per le istanze del discorso che non rinviano a se stesse, ma predicano il processo di persone o cose fuori dalla istanza stessa, eventualmente dotate di una referenza oggettiva” (p. 142)
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Le forme plurali I pronomi io e tu non sottostanno ai normali procedimenti di pluralizzazione nominale: “nei pronomi personali il passaggio dal singolare al plurale non implica una semplice pluralizzazione […] “noi” non è una moltiplicazione di oggetti identici ma una giunzione tra l’”io” e il “non-io”. Tale giunzione forma una totalità nuova e tutta particolare in cui i componenti non si equivalgono: in “noi” è sempre “io” che predomina, in quanto vi è “noi” solo a partire da “io” […]. La presenza dell’”io” è costitutiva del “noi” (p. 135). Alcune lingue poi distinguono due forme del “noi”: una inclusiva, l’altra esclusiva. Nelle lingue europee: forma “maiestatica” del noi: “io dilatato” oppure “di modestia”.
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Noi inclusivo o esclusivo
“ “Noi” può significare sia “me+voi” sia anche “me+loro”. Sono le forme inclusive ed esclusive a differenziare il plurale del pronome e del verbo di prima persona in gran parte delle lingue amerinde, australiane, in papuano, in maleopolinesiano, in dravidico, in tibetano”, ecc. “ Qui il fatto essenziale è che la distinzione tra una forma inclusiva e una forma esclusiva si modella in realtà sulla relazione tra la prima e la seconda singolare e la prima e la terza singolare.” “Nel “noi” inclusivo è il “tu” a essere messo in rilievo, mentre nel “noi” esclusivo, opposto a tu, voi, risalta l’io. Le due correlazioni che organizzano il sistema delle persone al singolare si manifestano così nella duplice espressione del noi”(p. 136)
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Noi come amplificazione
“Nelle lingue indoeuropee, “noi” non è un “io” quantificato o moltiplicato, ma un “io” dilatato al di là della persona in senso stretto, accresciuto e con contorni vaghi. Ne risultano […] due usi opposti, non contraddittori. Il “noi” amplia l’”io” rendendolo una persona più solida, più solenne e meno definita – è il “noi” maiestatico; il “noi” attenua l’affermazione troppo decisa di “io” in un’espressione più larga e diffusa: è il “noi dell’autore e dell’oratore” (p. 137). In generale la pluralizzazione del noi è un fatto di illimitatezza, non di moltiplicazione: la distinzione abituale tra singolare e plurale è una distinzione tra persona ristretta e persona dilatata.
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2. Indici di ostensione Aggettivi dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo (deittici < deiknymi) Equivalgono a un gesto che designa l’oggetto nel momento in cui viene prodotta l’enunciazione; Sono organizzati in modo da riprodurre la correlazione di soggettività (questo/codesto: io/tu) e di personalità (questo/quello: tu,io/egli); Il loro significato è recuperabile solo a partire dalla situazione di enunciazione. Lo stesso vale per gli avverbi di spazio (qui/là: io/egli), e di tempo (ora/allora)
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Deissi “Collocazione e identificazione di persone, oggetti, eventi, processi e attività di cui si parla e a cui si fa riferimento, in relazione al contesto spazio-temporale creato e mantenuto dall’atto di enunciazione e dalla partecipazione in esso, tipicamente, di un singolo parlante e di almeno un destinatario […].Vi è molto nella struttura delle lingue che può essere spiegato solo assumendo che esse si siano sviluppate per la comunicazione nelle interazioni faccia a faccia” (Lyons, Semantics, 1977, vol. II: ) Rilevanza della deissi nella Sprachtheorie di Karl Bühler (1934) (io, qui, ora): la deissi appare determinata dalla posizione del locutore nella situazione comunicativa; il campo deittico coincide con il campo percettivo del locutore
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