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PubblicatoCarlota Colli Modificato 11 anni fa
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Il sostegno alla famiglia nel percorso di presa in carico Federica Aleotti, Alessandra Mizzi
La presente presentazione, ultima della giornata, è l’esito del lavoro di entrambe le psicologhe che effettuano attività di sostegno alla famiglia sul territorio della provincia di Reggio Emilia, la Dott.ssa Mizzi e la sottoscritta. “Dagli ambulatori per le demenze ai Centri per le demenze: nuove prospettive nei percorsi della rete per anziani in Emilia-Romagna” Reggio Emilia,
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FEDERICA: Caregiving is stressfull: Antony-Bergstone et al., 1988; Friss & Whitlatch, 1991; Wright et al., 1993; Kiecolt-Glaser et al., 1991; Schulz et al., 1995; Caregivers are more likely to be depressed: Gallagher et al., 1989; Baumgarten et al., 1992; Rosenthal et al., 1993; Murray et al., 1997; De Vugt et al., Behavioral problems cause stress and burden: Brodaty et al., 1993; Absher & Cummings, 1994; Lawlor, 1995; Cohen et al., 1997; Donaldson et al., 1998; Numerosi studi hanno messo in evidenza la necessità di un intervento di supporto psicologico ai familiari primary caregivers di un paziente affetto da sindrome demenziale. Questi studi, nel valorizzarne il ruolo terapeutico, ne segnalano anche la tendenza allo sviluppo di sintomi psicopatologici correlati ad un consumo di farmaci, specie psicotropi, significativamente superiore a quello della popolazione generale
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Sostegno psicologico NON come aiuto generico a rendere più sopportabile un'esperienza drammatica MA come atto clinico mediante una partecipazione dei professionisti, a vario titolo coinvolti, alle scelte di caregiving. Alla luce di queste considerazioni, si potrebbe correre il rischio di vedere il sostegno psicologico come un aiuto, tanto doveroso quanto generico, a rendere più sopportabile un'esperienza drammatica, anche al fine di procrastinare il più possibile il ricovero, spesso inevitabile, del paziente L'esplorazione, la comprensione e la gestione delle problematiche psicologiche implica una partecipazione dei professionisti, a vario titolo coinvolti, alle scelte di caregiving,
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FATTORI SUSCETTIBILI DI INTERVENTO: • tendenza ad assumere un ruolo salvifico, • tendenza a sviluppare sensi di colpa • difficoltà ad autorizzarsi sentimenti, emozioni e spazi personali di realizzazione e gratificazione • interferenza con l'atteggiamento e le capacità di cura a causa di conflitti precedenti che si riacutizzano con la malattia Vediamo dunque alcune di queste problematiche: se questa malattia crea certamente il contesto nel quale si possono sviluppare gravi sofferenze psichiche a carico dei caregivers, nella nostra esperienza, oltre che nelle conferme di letteratura, abbiamo visto come, che ciò accada, dipenda dal variabile intrecciarsi di fattori diversi che si collocano sul piano sia personale che sociale, alcuni dei quali appaiono suscettibili di un intervento: tendenza ad assumere un ruolo salvifico, a sviluppare sensi di colpa, difficoltà ad autorizzarsi sentimenti, emozioni e spazi personali di realizzazione e gratificazione, interferenza con l'atteggiamento e le capacità di cura di quanto di conflittuale nelle caratteristiche del legame qual era prima della malattia, può essere ridestato dalla malattia
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FINALITÀ DELL’INTERVENTO PSICOLOGICO AI CAREGIVER: 1) Aiutare nella comprensione ed accettazione della malattia 2) Consentire alla famiglia di valutare in modo realistico le proprie risorse per scelte assistenziali dimensionate 3) Offrire uno spazio di riflessione su ciò che la malattia attiva in termini emotivi ed affettivi in modo da rintracciare, in quella che rimane un’esperienza drammatica, un’opportunità di crescita personale. Perciò le finalità dell’intervento psicologico ai caregivers sono le seguenti: 1) Aiutare nella comprensione ed accettazione della malattia 2) consentire alla famiglia di valutare in modo realistico le proprie risorse per compiere scelte assistenziali dimensionate 3) offrire uno spazio di riflessione su ciò che la malattia attiva in termini emotivi ed affettivi in modo da rintracciare in quella che rimane un’esperienza drammatica un’opportunità di crescita personale.
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ATTIVITÀ DELLO PSICOLOGO (1) Attività di promozione culturale rispetto la malattia e le sue caratteristiche • Progettazione e docenza a corsi di formazione/informazione per familiari e/o operatori • Collaborazione con l’Ass. di volontariato dei familiari locale (AIMA), nonché con i vari Enti preposti alla realizzazione del Progetto demenze per la programmazione di iniziative di sensibilizzazione (convegni, cicli di incontri informativi, serate promozionali circa l’avvio di attività specifiche…) Una per tutte una per tutte ricordiamo la produzione, assieme ad Aima e col patrocinio della RER del film “Tempo Vero di Daniele Segre”)
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ATTIVITÀ DELLO PSICOLOGO (2) Attività di facilitazione la presa in carico da parte dei Servizi e/o di accompagnamento alla richiesta di aiuto assistenziale dei familiari Integrazione con il Servizio Sociale per la sensibilizzazione/analisi dei casi più complessi anche relativamente all’utilizzo delle risorse del territorio Sia delle attività di promozione culturale agli aspetti della malattia che di quelle volte alla facilitazione della presa in carico da parte dei servizi oggi, per ragioni di brevità, non entriamo nel merito, passiamo invece a delineare…volta
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ATTIVITÀ DELLO PSICOLOGO (3) Attività più di pertinenza al ruolo professionale: • Affiancamento alla normale attività diagnostica • Somministrazione al caregiver del Neuro- Psychiatric Inventory – UCLA (Cummings, 1994) • Colloqui c/o i Nuclei Speciali demenze • Colloqui di sostegno psicologico • Conduzione gruppi di sostegno Affiancamento alla normale attività diagnostica espletata dai professionisti medici per migliorare l’attenzione agli elementi di disagio del contesto familiare, per sostenere il momento della comunicazione diagnostica, per sottolineare l’importanza degli interventi psico-sociali accanto a quelli farmacologici. Somministrazione al caregiver del Neuro-Psychiatric Inventory per la valutazione dei disturbi comportamentali, occasione ritenuta importante anche per cogliere quegli elementi di stress che potrebbero meritare un’attenzione specifica. Colloqui presso i NSD, quelli di sostegno psicologico effettuati presso i Centri diagnostici distrettuali e Conduzione gruppi di sostegno.
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Questionario di valutazione dei servizi
CENTRO DISTRETTUALE PER I DISTURBI COGNITIVI DI REGGIO EMILIA (sede di Albinea) Prima di approfondire i ns. dati di attività, vorremmo brevemente mostrare i risultati dell’ elaborazione di un questionario sul grado di soddisfazione riferita dai caregivers rispetto il Centro distrettuale per i disturbi cognitivi di RE. L’ elaborazione dei dati è stata possibile grazie al lavoro di uno dei tirocinanti psicologi frequentanti il ns. Centro, il dott. Miselli.
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Dati relativi ai primi 6 mesi di introduzione del questionario
184 questionari restituiti: 65 Compilati in prima visita (35,3%) 119 Compilati in visite successive (64,7%) Sono stati restituiti 184 questionari di cui 65 compilati in occasione di una prima visita al Centro e 119 compilati in occasione in occasione delle visite successive, dette anche di controllo.
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Confronto prima visita/presa in carico
Questo grafico riassume le percentuali di soddisfazione espressa dai caregivers rispetto a diverse voci di soddisfazione (sull’asse delle ascisse). Va detto subito che circa il 70% dei caregivers dichiara di essere totalmente soddisfatto del Centro diagnostico distrettuale di RE (ultima colonna a destra), tanto da consigliarlo anche ad altri ( la percentuale sale al 90% penultima colonna). Pur in un quadro di così alta soddisfazione da parte dell’utenza, vale la pena soffermarci su alcune voci che possono offrire spunti di riflessione per migliorare ulteriormente la presa in carico. Se si presta attenzione alla 5^ colonna del grafico che esprime il livello di soddisfazione rispetto alle visite e agli interventi, si nota che la soddisfazione si abbassa dalle prime visite a quelle di controllo: è ragionevole pensare che la lunghezza e la complessità delle prime visite induca alte aspettative nei caregivers in termini di guarigione/miglioramento/efficacia dei farmaci… aspettative che poi, per le caratteristiche stesse della malattia, oltre che per la maggior rapidità delle visite di controllo che si avvalgono di strumenti di valutazione più celeri, vengono verosimilmente disattese inducendo sentimenti di scoraggiamento, delusione, rimprovero, sensi di colpa, ecc Lo stesso andamento si osserva per le voci espresse nella 6^-8^ e 12^ colonna, ovvero si abbassa il grado di soddisfazione rispetto all’attenzione data al paziente, alle informazioni e alla comunicazione, e all’attenzione data ai familiari dalla prima visita alle visite di controllo; ciò può essere indotto dal fatto che i familiari colgono i cambiamenti del malato in anticipo rispetto agli strumenti utilizzati dal Centro e riferiscono tali cambiamenti a componenti di carattere e di personalità che gli strumenti non si propongono di rilevare. Nella 10^ colonna l’elemento della puntualità è un dato oggettivo: mentre la scansione organizzativa delle prime visite è prevedibile con anticipo i controlli possono risentire di una minor puntualità determinata dalla maggiore o minore complessità delle situazioni che si presentano all’osservazione degli specialisti in quella determinata giornata.
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Attività dello psicologo non esclusivamente basata sul setting classico, ovvero contratto cliente motivato MA molteplici “occasioni” di ascolto e comprensione dei contenuti emotivi dei caregiver Da queste considerazioni partono le giustificazioni di un lavoro che, pur non basandosi esclusivamente sul classico setting che vede un contratto tra un cliente consapevole del proprio bisogno e motivato a elaborare contenuti emotivi, vuole creare occasioni di ascolto e comprensione di questi stessi contenuti emotivi, per cui i dati che vediamo ora si riferiscono agli ultimi 4 anni di lavoro ( ) e non comprendono tutte quelle attività di informazione, di sensibilizzazione e di raccordo con la rete dei servizi a cui si è fatto cenno all’inizio della relazione; le seguenti attività comprendono situazioni in cui l’intervento dello psicologo psicologico è strutturato come prassi ed altre più proprie al setting classico di lavoro. Nello specifico…(volta)
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Attività in cui lo psicologo interviene in base ad una prassi di lavoro concordata • Affiancamento all’attività diagnostica • Somministrazione NPI-Ucla • Colloqui presso i Nuclei Speciali demenze Per quanto riguarda il primo punto, ovvero l’affiancamento all’attività diagnostica, si è potuto notare come la presenza dello psicologo durante la prima visita al Centro demenze diminuisca nei familiari quel senso di eccezionalità (e quindi di preoccupazione) che la proposta di un colloquio di sostegno psicologico spesso induce. La compresenza di diversi professionisti potrebbe essere una modalità efficace anche per promuovere un cambiamento culturale di approccio alla malattia che peraltro può realizzarsi indipendentemente dal trovarsi tutti nello stesso ambulatorio. Indipendentemente dalla prassi adottata è da dedicare sempre uno spazio di ascolto e di comunicazione ai vissuti relativi al percorso diagnostico e alle rappresentazioni della malattia. Si tratta di un momento di fondamentale importanza per permettere ai familiari di rendersi più consapevoli sia della malattia sia di quanto accadrà loro in futuro al fine di dimensionare le aspettative ad obiettivi realistici. Si tratta di un momento importante anche per verificare il livello di insight del malato, far emergere i punti di forza sui quali la famiglia può contare, aprire la possibilità ad ulteriori incontri, aiutarla a formulare o ad accettare un aiuto.
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NPI Per quanto riguarda la somministrazione dello strumento NPI crediamo che la proposta del test da parte di psicologi offra l’opportunità non solo di monitorare l’efficacia dei farmaci antipsicotici atipici ma anche di conoscere meglio le dinamiche familiari correlate alla malattia, soprattutto la particolare interpretazione dei sintomi del malato da parte della famiglia. L’obbligo di controllo periodico, mediante piano terapeutico dei suddetti farmaci, induce un più frequente contatto con i caregivers, anche con quelli che spontaneamente non avrebbero richiesto un aiuto psicologico. Si apre quindi un’opportunità per rivedere determinate assunzioni e prendere atto di eventuali difficoltà in un momento assai critico: quello in cui le manifestazioni comportamentali del soggetto rendono ancora più difficile il dialogo, l’empatia, l’accettazione. Si apre allo psicologo la possibilità di aiuto alle famiglie a partire dal loro punto di vista che può essere gradualmente “guidato” su percorsi meno impervi e più proficui. Attraverso l’espressione delle difficoltà e dei sentimenti anche negativi si possono fornire in maniera più efficace elementi di comprensione della malattia, suggerimenti circa le strategie comportamentali più adeguate, indicazioni circa le possibilità farmacologiche, ecc. Lo psicologo può svolgere, in quel momento, anche un’importante opera di raccordo con il mondo dei Servizi (tramite l’Assistente Sociale) e con quello del Volontariato.
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Attualmente sul territorio provinciale sono presenti 4 Nuclei Speciali demenze: 1 c/o Pensionato San Giuseppe a 4 Castella (2000), 1 c/o CP Villa Erica (RETE) (2001), 1 c/o CP Villa Minozzo (2004), 1 c/o CP Buris Lodigiani di Luzzara (2005).
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Documento Aziendale “Nuclei Speciali a carattere residenziale per persone affette da demenza. L’esperienza di Reggio Emilia, Tra gli obiettivi dei NSD è previsto… …lo sviluppo degli aspetti educativi/assistenziali e di sostegno rivolti a familiari e operatori relativamente alla gestione del malato che possano facilitarne il rientro al domicilio o nei punti della rete più idonei onde permettere un continuum terapeutico efficace e nello staff è incluso… …lo psicologo con compiti di valutazione sostegno e/o consulenza agli operatori, ai familiari e con compiti di valutazione clinica dei pazienti
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Colloqui presso NSD Il progetto del ricovero a tempo determinato del paziente con disturbi del comportamento intende anche incidere sull’assistenza dei malati supportando i famigliari migliorandone la qualità della vita e facilitando il processo di accettazione della malattia. In base all’esperienza reggiana sono previsiti almeno tre colloqui strutturati: all’ingresso, a un mese dal ricovero del paziente e prima della dimissione. Il lavoro svolto in questi anni ci fa sostenere l’efficacia di questo approccio che permette di offrire ai familiari degli elementi di comprensione della situazione clinica comportamentale del malato e valutare le proprie risorse in modo più realistico. L’obiettivo non è quello che tornino a casa ma è quello che la famiglia possa scegliere la soluzione più compatibile.
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ricerca condotta nel NSD di 4 Castella su un campione di caregivers (29 soggetti) Risultati: ad un mese: i caregiver dimostrano una scarsa soddisfazione circa i risultati raggiunti malgrado il sensibile miglioramento del quadro comportamentale. Dopo il primo mese: cambiamento significativo sia nella valutazione realistica del miglioramento del malato, sia nelle prospettive per il futuro. A sostegno di ciò riferiamo di una ricerca condotta su un campione di caregivers (29 soggetti) che ha evidenziato come, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati, ad un mese di permanenza in struttura del malato, i caregiver dimostravano una scarsa soddisfazione circa i risultati raggiunti malgrado spesso si fosse verificato un sensibile miglioramento del quadro comportamentale rispetto al quale si mostravano increduli. La comprensione di ciò come legata sia alla paura per il futuro a causa dell’esperienza drammatica vissuta a casa prima del ricovero, sia alla percezione di personale incapacità a sostenere l’assistenza al domicilio ci ha portato a dare sempre più attenzione sia all’accoglienza dei sentimenti dei familiari, sia al passaggio di strumenti di comprensione di ciò che rende efficace una strategia assistenziale. Si verifica puntualmente, successivamente al primo mese, un cambiamento significativo sia nella valutazione realistica del miglioramento del malato, sia nelle prospettive per il futuro.
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Attività in cui lo psicologo interviene come da setting classico • Colloqui di sostegno • Conduzione gruppi di sostegno
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Invio: Fattori riferiti al paziente: Presenza di disturbi comportamentali Giovane età Fattori riferiti al caregiver: essere moglie convivente Livello di benessere: scadente stato di salute e/o probl. finanziari Basso numero di persone conviventi bassa frequenza di contatti sociali Difficoltà di comunicazione con gli altri membri della famiglia Difficoltà di rapporto col malato precedenti la malattia Alta percezione di stress Basso livello di gratificazione derivante dal rapporto col pz Difficoltà di comprensione della malattia scarsa compliance nella somministr. della terapia farmacologia Strategie di coping immature o inadeguate Presenza di sentimenti di ostilità e criticismo Rigidità nella struttura di personalità la segnalazione allo psicologo di familiari a rischio di disagio psicologico avviene anche mediante la compilazione, da parte degli altri professionisti presenti al Centro, di un modulo nel quale vengono riportati, anche in base alla letteratura più recente, i principali fattori di rischio.
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Colloqui di sostegno A partire dall’accettazione dell’utilizzo di questo spazio come di uno spazio di “sfogo” per la stanchezza, l’esasperazione, la ripetitività dei comportamenti del malato è stato possibile passare a: - alla comprensione della malattia e rilettura dei comportamenti del malato come sintomi di malattia e non solo conseguenze delle caratteristiche di personalità precedenti - al confronto sulle strategie assistenziali adottate: ricerca di quelle più funzionali e supporto al cambiamento della propria modalità di interazione col malato - alla legittimazione a provvedere a spazi personali che consentano il recupero di energie e a considerare i propri limiti stabilendo delle priorità - all’ accettazione dell’uso delle risorse territoriali Notare come nel tempo i colloqui successivi al primo aumentino in percentuale rispetto ai primi.
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Gruppi di sostegno attivi in provincia di RE: 2 presso RSA di Albinea 1 presso locali della 4^ Circ. Comune di RE 1 presso CP Gualtieri 1 presso CD di Novellara 1 a Correggio 1 a Montecchio Dal 1998 ad oggi in provincia sono attivi 7 gruppi di sostegno condotti da psicologi, quasi tutti nati dalla collaborazione AIMA/AUSL/COMUNI. Vedono la partecipazione di circa 100 familiari di pazienti affetti da demenza. Ovviamente la presenza dei familiari si distribuisce in modo casuale essendo in media presenti agli incontri 6-8 persone circa.
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Finalità gruppi: aumentare l’accettazione della malattia e diminuire l’ansia e la depressione nei caregiver Obiettivi gruppi: 1) Permettere l’espressione dei sentimenti e delle emozioni legati ai compiti di assistenza. 2) Favorire il confronto con altri familiari sulle difficoltà incontrate, gli inevitabili errori. 3) Consentire e facilitare la legittimazione di decisioni realistiche e dimensionate alle risorse personali. 4) Facilitare lo scambio di esperienze per consentire il passaggio di strategie più adeguate 5) Chiarire gli aspetti più sconosciuti e misteriosi della malattia.
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Ricerca gruppi Obiettivi : - valutare l’efficacia dei gruppi di sostegno - ricerca delle eventuali differenze tra coloro che partecipano e coloro che non partecipano Strumenti utilizzati Intervista semi-strutturata Il Caregiver Burden Inventory (CBI), Novak e Gest, 1989 Il Coping Orientation to Problems Experienced (COPE), Carver, Scheier e Weintraub 1989 L’Attachment Style Questionnaire(ASQ) Feeney, Noller e Hanharan, Center for Epidemiologic Studies Depression Scale (CES-D), Radloff, 1977
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Risultati ricerca gruppi: Caregiver che non frequentano i gruppi: hanno congiunti malati più anziani e già anziani al momento dell’esordio della malattia. Sono in maggioranza figli non conviventi col malato e nel gruppo non vi sono coniugi Caregiver che frequentano i gruppi: congiunti più giovani e malati da meno anni, che sono ancora nella fase comportamentale della malattia. Presentano maggiore abitudine e capacità di dare libero sfogo ai propri sentimenti e alle emozioni, hanno buone capacità introspettive. Risultati più significativi: coloro che non partecipano ai gruppi di supporto hanno congiunti malati più anziani e già anziani al momento dell’esordio della malattia. Sono in maggioranza figli non conviventi col malato e nel gruppo non vi sono coniugi. Possiamo ipotizzare che l’essere “figli adulti”, con genitori anziani, possa aiutare ad accettare la situazione. Hanno anche una loro famiglia, e questo può portarli probabilmente a mantenere maggiormente le distanze. Preferiscono utilizzare strumenti pragmatici: agire, cercare soluzioni agli aspetti più prettamente pratici di gestione del malato piuttosto che affrontare gli aspetti emotivi. Coloro che invece partecipano ai gruppi di sostegno, prestano cura a congiunti più giovani e malati da meno anni, che sono ancora nella fase comportamentale della malattia, nella quale è richiesta al caregiver un maggior impegno psico-fisico per affrontare disturbi quali l’aggressività, il wandering una continua vigilanza, tanto da rischiare di annullarsi nell’opera di cura e dimenticarsi della propria vita. La difficoltà è legata anche allo stato psicologico nel quale si vive. Ci si trova davanti una persona che è molto cambiata rispetto a come la si conosceva Si è costretti a rivedere i propri progetti di vita. È emerso che coloro che li frequentano, sono persone che presentano maggiore abitudine e capacità di dare libero sfogo ai propri sentimenti e alle emozioni, hanno buone capacità introspettive. Grazie alla “rete” del gruppo si sentono sostenuti, compresi, confortati, capiti. Affermano di avere imparato a gestire meglio le varie situazioni ed anche le proprie emozioni. Si avvicinano al malato in modo diverso, più comprensivo, più tollerante. In conclusione, la nostra ricerca ha evidenziato che i gruppi di sostegno sono un’opportunità utile per coloro che hanno un familiare malato piuttosto giovane, con un esordio recente della malattia e che hanno necessità di confrontarsi, di trovare un significato alla malattia, di reinterpretare la situazione.
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Conclusioni: Considerazioni critiche (1) Necessità di garantire stabilità e continuità alle figure professionali dedicate per mantenere e migliorare i risultati raggiunti Necessità di dedicare tempo alla discussione sui casi Porre particolare attenzione ai vissuti del paziente Considerazioni critiche Lo sforzo compiuto per aumentare e diversificare le occasioni di ascolto e di confronto dei vissuti dei familiari si è basato sulla presenza sull’intero territorio provinciale di due psicologhe a tempo parziale e sul lavoro, spesso volontario, e sulla passione, di psicologi tirocinanti che hanno contribuito anche alla creazione di strumenti di riflessione del lavoro svolto. E’ ovvio che tale impianto dovrebbe potersi basare su basi più stabili anche in termini di continuità; La mole del lavoro svolto da tutte le figure professionali coinvolte nell’attività rende difficile considerare prioritario, non solo in via di principio, il dedicare tempo alla discussione comune delle situazioni in carico. Ciò rende difficile sia valorizzare la specificità del contributo di ciascuno, sia aumentare la propria efficacia professionale arricchendola di altri strumenti. Gli sforzi compiuti per incontrare i bisogni dei caregiver non debbono far dimenticare il paziente. La malattia durante la vecchiaia porta con sè significati che meritano di essere letti ponendo particolare attenzione ai vissuti interiori. Nella malattia, anche in quella di Alzheimer, vi è una perdita: quando un disturbo interviene c’è sempre qualcosa che si sposta per fargli posto e in tal modo viene perso. E’ possibile nelle fasi precoci, ma anche in quelle più avanzate (approccio conversazionale), parlare di ciò che è stato portato via e di come provare a ritrovarlo. Recenti studi indicano l’approccio conversazionale un insieme di tecniche fertili sia per stimolare la funzione conversativa nei pazienti ritardandone la perdita, sia per indagare l’insight di malattia nei pazienti più gravi. L’approccio conversazionale potrebbe completare le indagini standard convenzionali (test psicometrici e valuazioni diagnostiche) includendo l’uso della parola non più come codice simbolico standardizzato, ma come mezzo per porsi in relazione con l’altro (il sintomo come modalità del soggetto per interagire con il mondo e non perdersi nel vuoto della solitudine).
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Un grazie di cuore A tutti i familiari incontrati, ai colleghi dei Centri diagnostici distrettuali per i disturbi cognitivi e, in particolare, ai colleghi tirocinanti Francesca Conti Diana Di Salvo Giovanni Miselli Pierre
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