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1 LOfferta Microeconomia Classica. 2 LOfferta F Nasce dal comportamento di ogni produttore e, quindi, dal comportamento di molti produttori (offerta aggregata)

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1 1 LOfferta Microeconomia Classica

2 2 LOfferta F Nasce dal comportamento di ogni produttore e, quindi, dal comportamento di molti produttori (offerta aggregata)

3 3 LOfferta F È la quantità di un bene che limprenditore / venditore offre sul mercato F Lofferta dipende, al solito, da molti fattori: –Prezzo –Condizioni di mercato u Costo dei fattori produttivi (relazione inversa) u Tecnologia (relazione diretta) u Eventi casuali (es. in agricoltura le condizioni climatiche influenzano lofferta) –Gusti del produttore –----

4 4 LOfferta F Per spiegare il comportamento del produttore la Microeconomia ha utilizzato la Teoria della Produzione

5 5 La teoria classica della Produzione F I beni non esistono in natura: bisogna produrli F Produrre significa essenzialmente trasformare alcuni beni e servizi in altri beni e servizi F In economia il fenomeno della trasformazione va inteso come trasformazione con aumento di Valore e non in senso fisico o merceologico

6 6 Il Valore F Si crea Valore quando si: –trasforma una tavola in un armadio (trasformazione in senso tecnico) –conserva il grano in un silos (trasformazione nel tempo) –vende al consumatore un bene acquistato allingrosso (trasformazione nel modo) –trasporta il caffè dal Brasile allItalia (trasformazione nello spazio)

7 7 Il Valore F Alla base di queste trasformazioni vi è una caratteristica comune: la creazione di Valore F Da sempre il concetto di Valore è stato al centro dei ragionamenti economici e … politici F Ad esempio abbiamo definito Valore Aggiunto (PIL) la somma dei redditi individuali (lavoro = salari/stipendi) + ammortamenti + profitti

8 8 Il Valore (aggiunto) F Un problema (di politica economica) è allora: –Come dividere tale Valore fra redditi individuali e profitti ? F A seconda delle risposte si sono avuti capitalismo e comunismo F E scusate se è (stato) poco

9 9 Il Valore (di mercato) F Il Valore di Mercato è definito invece come il prezzo al quale un bene può essere venduto F Ovviamente il prezzo non è quello che vuole il produttore ma quello che si può ottenere dal Mercato

10 10 Il Valore (per il cliente) F Oggigiorno, labbiamo visto, con Valore si intende il Prezzo che il cliente finale (customer) è disposto a pagare per ottenere dallazienda Satisfaction tramite Prodotti o, più in generale, Relazioni F Purtroppo oggi, in questa età di consumismo, il prezzo non lo definisce il Mercato (comera fino a poco tempo fa: Mass Production) ma il cliente, il singolo cliente (Mass Customization)

11 11 Il Valore (per il cliente) F Approfondirete questi aspetti durante tutto il vs. corso di laurea mentre noi abbiamo trattato questo particolare aspetto esaminando il I° Principio del Lean Thinking

12 12 Definizioni F La contabilità nazionale suddivide la produzione in: –Settore dei beni e servizi destinati alla vendita (hanno un prezzo) u primario (agricoltura, silvicoltura e pesca; a volte unito alle industrie estrattive) < 10% del PIL u secondario (industria) – 30% del PIL u terziario (servizi) > 60% del PIL

13 13 Definizioni –Settore dei servizi non destinati alla vendita: u amministrazioni pubbliche (servizi sanitari, istruzione, ordine pubblico; non hanno un prezzo di mercato e gli utenti pagano tributi specifici o tasse) u istituzioni private senza fini di lucro F Come vedete manca un settore importantissimo: servizi per i consumatori pagati tramite la pubblicità (es. Google, Facebook, Mediaset, …)

14 14 I Fattori Produttivi F Ogni processo produttivo, che viene attuato per produrre beni (output) di: –consumo –investimento (cioè mezzi di produzione) necessita di risorse materiali, ovvero di Fattori Produttivi: –risorse naturali (terra, materie prime del sottosuolo o foreste, fiumi, laghi, mare) –lavoro (ore di persone) –capitale (strumenti di produzione e beni intermedi)

15 15 Risorse naturali F Le risorse naturali sono appropriabili, possono formare oggetto di proprietà da parte dei soggetti economici, sia pubblici che privati F La risorsa principale è la terra, ma anche le miniere, le foreste, i fiumi, i mari,...

16 16 Risorse naturali F Caratteristiche: –Sono limitate; qualcuna si può migliorare (la terra) ma altre non sono riproducibili (risorse minerarie) –Non devono essere prodotte, in quanto esistono in natura, per cui non ci sono costi di produzione (ma costi per lutilizzazione o per lo sfruttamento o per lestrazione)

17 17 Il Lavoro F Il lavoro è lo sforzo fisico e mentale delluomo necessario per produrre beni e servizi è cioè lenergia fisica o intellettuale dellindividuo F Le risorse naturali ed il lavoro sono considerati fattori originari o risorse primarie della produzione, a differenza del terzo fattore, il capitale, che è una risorsa prodotta dalluomo

18 18 Il Lavoro F Il lavoro può essere considerato dallindividuo: –penoso e faticoso –gratificante F In ogni caso è sottoposto al vincolo dellesecuzione (ma ha riflessi economici retribuzione) F Secondo voi è più conveniente per lazienda che il lavoro dei suoi dipendenti sia penoso e faticoso o gratificante?

19 19 Il Lavoro F Dal punto di vista strettamente economico il lavoro viene (dovrebbe essere) valutato in base alla capacità produttiva, cioè in base allefficienza economica F Ma, essendo strettamente legato allindividuo come persona, il lavoro va valutato anche dal punto di vista sociale, della dignità e della libertà individuale (I° articolo della Costituzione)

20 20 Il Lavoro F Lofferta globale di lavoro dipende quindi da: –numerosità della popolazione –composizione per età della popolazione –sviluppo socio-economico (salario, prolungamento degli studi, disponibilità individuale al lavoro, cultura, …)

21 21 Il capitale F Il capitale (o beni capitale) è linsieme di beni prodotti dalluomo utilizzati come fattori produttivi (il denaro non è capitale come fattore di produzione, anche se è necessario per disporre di beni capitale) F Per capitale quale fattore produttivo si intende: –Il capitale fisso u privato: capannoni, attrezzature, macchinari, computer, ecc u pubblico (o sociale) quale: strade, ponti, ospedali, scuole, ecc).

22 22 Il capitale –Il Capitale circolante che è dato dalle scorte (di materie prime, di semilavorati, di prodotti finiti) –Le scorte sono considerate capitale in quanto rendono efficiente il processo produttivo impedendone le interruzioni (oggi è un concetto da superare secondo i principi del Lean Thinking) –Nella contabilità nazionale, non a caso, nella voce investimenti sono conteggiate le variazioni delle scorte

23 23 Il capitale F Il capitale che si logora è compensato da un deprezzamento, generalmente annuale, definito ammortamento o quota di ammortamento (le scorte non si ammortizzano eventualmente si svalutano) F Il nuovo capitale prodotto è linvestimento lordo F Se dal lordo sottraiamo man mano lammortamento si ha linvestimento netto

24 24 Lorganizzazione del processo produttivo F I fattori produttivi devono essere combinati, organizzati F Lorganizzazione necessita di una capacità imprenditoriale (considerata un ulteriore fattore produttivo) per realizzare un processo produttivo: –efficace (capace di creare beni economici desiderabili dai clienti) –efficiente sia dal punto di vista tecnico che economico (minor utilizzazione di risorse a parità di efficacia)

25 25 Lorganizzazione del processo produttivo F LImpresa, dal punto di vista economico, è il Processo ovvero linsieme di attività messo in atto dallimprenditore per produrre F LAzienda è invece la struttura fisica dellImpresa ovvero linsieme dei fattori produttivi e la loro organizzazione, utilizzati dallimprenditore per realizzare lImpresa

26 26 La dimensione F Unazienda può essere di piccole, medie o grandi dimensioni F In Italia, come nel resto dEuropa, la realtà prevalente è costituita da aziende di medio- piccole dimensioni (PMI)

27 27 Le PMI F La dimensione di una impresa può essere definita in base a diversi parametri: tipologia dimpresa (industriale, di servizio) numero dei dipendenti capitale investito capitale investito/numero dipendenti volume daffari quota di mercato ecc.

28 28 Per lISTAT F Il parametro di riferimento per lISTAT è (era) il numero dei dipendenti: fino a 10 dip. impresa artigiana 11 - 99 dip. piccola impresa 100 - 499 dip. media impresa 500 e oltre grande impresa

29 29 Per la UE (Raccomandazione 06/05/2003 in vigore da 1/1/2005) F Oggi si prendono in esame i parametri sotto riportati Impresa MICRO PICCOLA MEDIA GRANDE Dipendenti <10 <50 <250 250 Fatturato <2 milioni <10 milioni <40 milioni 40 milioni Tot.bilancio <2 milioni <10 milioni <27 milioni 27 milioni Almeno uno dei due parametri deve essere soddisfatto

30 30 Le PMI nella UE Rappresentano più del 99% (compreso le micro aziende) del totale delle imprese Occupano circa il 70% degli addetti Generano oltre il 55% del PIL In Italia il rapporto è ancora più spostato verso le PMI

31 31 Negli USA Le PMI rappresentano il 92% del totale delle imprese Occupano circa il 59% degli addetti Generano circa il 50% del PIL

32 32

33 33 Forma giuridica delle imprese F Dal punto di vista giuridico le imprese possono essere: –Individuali –Collettive (società) –Cooperative: Produzione di beni e servizi a scopo mutualistico, offerti ai soci a prezzi più bassi in quanto non esiste il profitto di impresa

34 34 Società collettive

35 35 Le grandi imprese F Molte grandi imprese sono S.p.A., caratterizzate da una molteplicità di soci (azionisti) F Alcune sono quotate nelle Borse valori, dove vengono scambiati i titoli azionari

36 36 Le grandi imprese F Lesistenza dellimpresa in genere, cioè di una produzione organizzata e gestita, ma soprattutto della grande impresa, è (dovrebbe essere) importante perché presenta dei vantaggi in termini di efficienza (sottolineati da Ronald Coase, premio Nobel nel 1991)

37 37 I vantaggi di una grande impresa 1. Produzione su vasta scala 2. Maggiore potere contrattuale, che consente di: Freperire più facilmente le risorse finanziarie (prestiti obbligazionari o credito bancario) Ftrattare con maggior forza i prezzi di acquisto dei beni intermedi di cui ha bisogno Finfluire sui prezzi di vendita dei suoi prodotti (tutto sommato per il consumatore questo è un aspetto negativo)

38 38 Organizzazione funzionale 3. La gestione ed il controllo del processo produttivo, possono essere ripartiti in vari settori e uffici (funzioni specializzate): direzione, acquisti, vendite, gestione del personale, marketing, pubbliche relazioni, studi e ricerche, pianificazione, finanza e contabilità (classico schema industriale smithian-tayloristico)

39 39 Approfondimento del concetto di Produzione su vasta scala: Learning curves, economie di scala ed economie di scopo

40 40 u All'aumentare dei volumi prodotti il costo diminuisce per tre effetti: Apprendimento Apprendimento Scala Scala Scopo Scopo u La strategia è in tal caso molto semplice: produrre e vendere più (molto di più) dei concorrenti Apprendimento/Scala/Scopo

41 41 Apprendimento/Scala/Scopo Un indicatore operativo è la quota (Share) di mercato: unazienda è leader quando vende il doppio del principale concorrente ed insieme coprono i due terzi del mercato

42 42 Economie F Apprendimento (learning curves) - si hanno economie con la cumulata delle quantità prodotte F Scala - si hanno economie quando aumentano i volumi prodotti nellunità di tempo F Scopo – si hanno economie quando si verificano sinergie fra le quantità di più prodotti

43 43 Learning Curves F Si è quantizzato quanto affermato teoricamente dallo Smith F Già dal tempo della seconda guerra mondiale (nella produzione di aerei militari) ci si è posto il problema di conoscere meglio e di studiare il fenomeno dellapprendimento: il tempo di realizzazione di una attività diminuisce con il numero delle volte che viene ripetuta

44 44 Experience Curve F Nel 1960 sono stati fatti degli studi empirici (BCG – Boston Consulting Group) che hanno mostrato come in tutte le realtà aziendali i costi diminuiscono con il volume cumulato di produzione F La diminuzione può andare dal 10% al 30% ogni volta che il volume cumulato raddoppia

45 45 Experience Curve

46 46 Economia di scala F Economia di scala: allaumentare nellunità di tempo del volume di produzione il costo unitario diminuisce F Diseconomia di scala: allaumentare del volume di produzione nellunità di tempo il costo unitario aumenta F Allaumentare della produzione si ha quindi prima una fase di economia e poi di diseconomia di scala F È la base della teoria dellOfferta

47 47 Economia di scala F Aumentando i volumi di produzione nellunità di tempo si hanno, fino a certi volumi che dipendono dal particolare tipo di produzione, minori costi di: –acquisti (sconti) –personale (specializzazione e apprendimento) –possibilità di utilizzare macchine di maggiori dimensioni con regola dei 6/10 (il costo totale di produzione aumenta con rapporto fra le capacità produttive elevato a 6/10) C tot.1 = C tot.0 x (V 1 /V 0 ) 6/10

48 48 Diseconomia di scala F Oltre certe dimensioni prevale però la diseconomia di scala che è legata ai costi della complessità (li vedrete) ovvero ai costi in più per realizzare attività a non valore per il cliente (costi di controllo, costi di attesa, …)

49 49 Economia di scopo F È la diminuzione dei costi unitari legati alle economie ottenibili non dalla maggior produzione nellunità di tempo o dalla produzione cumulata di un singolo prodotto ma dalla sinergia fra più prodotti (costi di distribuzione, di marketing,..)

50 50 u Una posizione dominante legata ai precedenti tre aspetti si raggiunge, generalmente in tempi lunghi, tramite abilità imprenditoriale e forti investimenti (ad esempio in macchinari automatici e di grosse dimensioni) Leadership

51 51 u Per raggiungere una posizione dominante in tempi brevi si può acquisire o fondersi con i principali concorrenti (Merger & Acquisition) u Si vedano ad esempio le recenti fusioni fra banche italiane, lacquisizione di Chrysler da parte di Fiat, … Merger & Acquisition

52 52 u Dipendono dalla variabilità del mercato: i lunghi tempi per ammortizzare gli elevati investimenti specialmente in grosse macchine sono incompatibili con la rapida obsolescenza tecnologica e/o commerciale riflettendosi quindi in problemi di cash flow e presentano forti barriere alluscita i lunghi tempi per ammortizzare gli elevati investimenti specialmente in grosse macchine sono incompatibili con la rapida obsolescenza tecnologica e/o commerciale riflettendosi quindi in problemi di cash flow e presentano forti barriere alluscita aziende con prodotti meglio focalizzati sulle esigenze dei clienti possono essere più efficaci aziende con prodotti meglio focalizzati sulle esigenze dei clienti possono essere più efficaci I limiti

53 53 I limiti F Il limite più importante è che la ricerca spasmodica di aumentare la dimensione per ridurre i costi tende a far perdere di vista il Valore per il cliente che non è influenzato solo dal costo F Tale aspetto è invece centrale nel Lean Thinking dove le grosse macchine sono definite in senso spregiativo F Tale aspetto è invece centrale nel Lean Thinking dove le grosse macchine sono definite in senso spregiativo

54 54 Scala e PMI F Ovviamente i bassi costi per effetto di dimensione non possono essere lelemento strategico di successo per le PMI e, quindi, per la maggior parte delle aziende italiane (e non solo)

55 55 Oggi F Da notare: –Vantaggi in termini di efficienza delle grandi imprese organizzate per funzioni Nobel per lEconomia del 1991 –Solo dopo pochi anni (1996) tutti questi aspetti, come detto, sono fortemente messi in dubbio dal Lean Thinking –Oggi (era di Internet) ancora di più F Da notare che per la Microeconomia classica lEconomia di Scala è la base per dedurre lOfferta (lo vedremo)

56 56 Localizzazione F Le imprese possono essere: –nazionali: lattività produttiva si svolge in un solo paese –internazionali: una parte della produzione avviene allestero, ma la direzione resta nel paese dorigine –multinazionali: imprese internazionali con la produzione dislocata in molte nazioni –transnazionali: imprese multinazionali che hanno dislocato anche la direzione

57 57 Altre forme di Impresa F Holding detta anche società capogruppo o società madre: è quella impresa che possiede almeno il 50,1% delle azioni di altre società e ciò le dà diritto di controllarle –Le società controllate possono appartenere allo stesso o a rami produttivi diversi F Trust: è una forma di coalizione di imprese che giuridicamente restano autonome e distinte, ma sotto ununica direzione

58 58 Altre forme di Impresa F Cartello: è un accordo tra imprese operanti in uno stesso settore produttivo –Le imprese non sono integrate fra di loro e non sono sotto la stessa direzione –Lo scopo dellaccordo è quello di ridurre la concorrenza fra di loro mediante la fissazione dei prezzi di vendita dei prodotti e la spartizione dei mercati –Il cartello più conosciuto è lOPEC

59 59 Cartelli e trust F I cartelli ed i trust sono coalizioni di imprese che formano un monopolio e la loro presenza ostacola lentrata nel settore di altre imprese F Per evitare ciò in molti paesi esiste una legislazione antitrust

60 60 Teoria classica dellOfferta

61 61 Teoria dellOfferta o della Produzione F La Funzione classica della produzione studia la relazione tra gli input immessi nel processo produttivo e loutput ottenuto, dato un certo livello di conoscenze tecniche F Dal punto di vista teorico agli economisti classici interessava studiare come limpresa stabilisca la quantità di output da produrre e quindi la costruzione della curva di Offerta (che mette in relazione prezzo e quantità prodotta)

62 62 La teoria classica della produzione F Obiettivo dellimpresa: massimizzazione del profitto (anche questa oggi è unaffermazione sostanzialmente messa in discussione in quanto si dovrebbe tendere a massimizzare il Cash Flow Netto) –Profitto: differenza tra ricavi (vendite) e costi –Cash Flow Netto: soldi che rimangono in mano allazienda alla fine di un prestabilito periodo di tempo (ad esempio un anno = esercizio)

63 63 Ad esempio quale preferireste fra le due successive aziende ?

64 64 Apriamo la tabella

65 65 Qual è migliore ? F Ovviamente Cash Company, malgrado un utile minore, ha soldi da dare (dividendi) ai proprietari F Earning Company è una gallina dalle uova doro che però si mangia le uova per sopravvivere! F Voi quale preferireste ?

66 66 La teoria classica della produzione F Come i consumatori, anche le imprese devono prendere delle decisioni: cosa, quanto e come produrre F Le scelte dellimpresa devono essere razionali, cioè devono massimizzare i ricavi e minimizzare i costi (ovviamente su questo ci sarebbe da discutere anche da un punto di vista … etico)

67 67 La teoria della produzione F Limpresa deve quindi pianificare il livello di produzione e scegliere la combinazione di fattori produttivi, in base a determinati vincoli da rispettare: vincoli tecnici (tecnologia disponibile) e vincoli di mercato (domanda e prezzo)

68 68 Funzione della Produzione F Cominciamo con la Funzione di Produzione, o Prodotto Totale, cioè la relazione tra la quantità di output ottenibile e la quantità necessaria di input (fattori produttivi) per ottenerla: Q = f(x i ) F Indica la capacità produttiva dellimpresa F Ogni funzione di produzione esprime una tecnica produttiva

69 69 Funzione della Produzione F La funzione di produzione si può analizzare facendo variare tutti i fattori produttivi (terra, lavoro, capitale) (F. di produzione aggregata) o un solo fattore produttivo (F. di produzione disaggregata) F Al solito gli economisti classici prendono in esame solo un input alla volta (ad esempio il lavoro), a parità degli altri fattori produttivi (ceteris paribus)

70 70 Gli Isoquanti F In analogia con le curve di isoutilità nella Domanda si può intanto determinare quale sia lottimo della combinazione fra lavoro (L) e capitale (K) a parità di costo (isoquanti di produzione): Q = f(K, L, gli altri x i essendo costanti) = Cost. F Ad esempio nella figura successiva (piano K, L) la combinazione ottimale, dato un certo Costo Totale, è data al solito dal punto di tangenza fra isoquanto e retta del costo

71 71 K L Costo Totale K1K1 L1L1

72 72 Gli Isoquanti F È chiaro che allaumentare del Costo Totale il punto di tangenza si sposta verso destra e verso altre combinazioni L / K

73 73 Economie di scala F La produzione o prodotto totale aumenta allaumentare di un solo fattore analizzato (ceteris paribus) F Tale aumento non è però lineare in quanto: –in una prima fase è più che proporzionale (vedete: economie di scala con rendimenti crescenti) –in una seconda fase è meno che proporzionale (diseconomie di scala e rendimenti decrescenti)

74 2 1 3 4 5 Fattore 0 Prodotto Totale 1000 2000 3000 4000

75 75 La Produttività F La produttività è il rapporto fra quantità di prodotto ottenuto e quantità di risorsa utilizzata F Ad esempio: –Produttività del lavoro = output ottenuto/quantità di lavoro utilizzata –Produttività del capitale = output ottenuto/quantità di capitale utilizzata

76 76 La Produttività F Ovviamente la produttività può essere misurata tramite la moneta F Questo ci permette di aggregare i dati per produzioni diverse F Ad esempio: –Produttività del lavoro = valore della produzione ottenuta/costi del lavoro utilizzato –Produttività del capitale = valore della produzione ottenuta/costi del capitale utilizzato

77 77 La Produttività Produttività marginale: è la produzione aggiuntiva che si ottiene con una unità aggiuntiva di risorsa ( P/ Q): è prima crescente per poi decrescere (noi ingegneri siamo abilitati ad utilizzare anche le derivate!) F Ovviamente in tal caso anche la produttività media è crescente/decrescente come la marginale, ma sfasata in ritardo (non insisto sullanalisi matematica)

78 78 La Produttività F Naturalmente, aumentando tutti gli input il prodotto totale aumenterebbe, anche in tal caso con rendimenti crescenti e decrescenti F Ad esempio investendo di più (aumento del fattore capitale) la produttività del lavoro aumenterebbe a tutti i livelli F In questo caso si produrrebbe a scala più ampia

79 79 La Produttività F La produttività può aumentare anche per effetto del progresso tecnico attraverso innovazione: –di prodotto quando si riduce luso delle risorse migliorando il progetto dei prodotti esistenti o introducendone di nuovi –di processo sia tecnologica [ad esempio tramite ICT (Information and Communication Technologies] sia organizzativa (ad esempio tramite Lean Thinking)

80 80 Analisi dei costi F Limpresa deve tenere sotto controllo i costi, in quanto i ricavi dipendono dai clienti e dalle condizioni di mercato (domanda e prezzi) F Tra costi totali e quantità prodotta esiste una relazione diretta, almeno nel modello microeconomico classico

81 81 I costi F Il CT è linsieme dei costi che limpresa deve sostenere per produrre la quantità di beni e servizi programmata F Esso comprende: –I costi variabili: quelli che variano al variare dei fattori della produzione utilizzati (materie prime, salari, ecc.) –I costi fissi: quelli che limpresa sostiene indipendentemente dalla quantità prodotta (investimenti, canoni daffitto, interessi sui debiti, ecc.)

82 82 I costi F In ottica del modello di microeconomia classica i costi variabili sono quelli associati al fattore che facciamo variare (generalmente il lavoro) mentre i fissi sono quelli che non variano (ceteris paribus) F Qual è landamento dei costi variabili ? F Si ottiene banalmente invertendo il grafico della curva di produzione e moltiplicando il fattore variabile per il suo costo unitario

83 2000 1000 30004000 5000 Costo Variabile 0 Q = Prodotto Totale 1 x Cu 2 x Cu 3 x Cu 4 x Cu

84 84 Il Costo Totale F Si ottiene sommando al precedente una quota fissa (costi dei ceteris paribus) qualunque sia Q ovvero la quantità prodotta F Da cui il Ct = C fisso +C variabile F Vedrete come questi aspetti sono ripresi da una tipologia classica di Costing definita Direct Costing F Oggi nella realtà si dovrebbe utilizzare il Value Steam (Lean) Costing

85 Costo Totale 0 Q Costo Fisso Costo Variabile

86 86 Costo marginale Ormai abbiamo imparato cosa vuol dire marginale e, quindi, il costo marginale è la variazione del costo totale per una variazione di quantità prodotta = Ct / Q (le derivate anche parziali - Ct / Q - sono ammesse!) F Se ad esempio il Ct per produrre dieci maglioni fosse 1.000 mentre per produrne undici fosse di 1.050 il costo marginale sarebbe di 50 /pezzo

87 87 Costo medio F Il costo medio è invece dato da Ct / Q F Nel caso dei maglioni sarebbe di 1.050/11 = 95,45 (mentre sarebbe di 100 = 1000/10 per 10 maglioni) F Mentre nel costo marginale, essendo una variazione, non cè la componente fissa in quello medio la stessa è ben presente

88 88 Costi marginali e medi F Qual è il loro andamento? F Lo si deduce dallandamento della curva dei Costi totali (curva ad S) F È un andamento di tipo parabolico F Con tutta lAnalisi Matematica che fate il perché vedetevelo da voi!

89 Costi Marginale e Medio 0 Q Costo Medio Costo Marginale

90 90 Forma F Entrambi i costi sono concavi verso lalto F Il costo marginale ha una concavità più pronunciata (non avendo la componente fissa è più sensibile alla variazione di produttività) ed incrocia il costo medio nel suo punto di minimo F Il perché è banale: utilizzando le derivate lo si deduce dal minimo della funzione del costo medio, ma lo si capisce anche con un po di ragionamento

91 91 LOfferta F Con in mano il Modello del Costo Marginale affrontiamo il problema di quanto il nostro mitico Produttore razionale produrrebbe F Ipotizzando un prezzo di mercato P esogeno (che non dipende da lui) per massimizzare il profitto produrrebbe quella quantità in cui il costo marginale (ramo crescente) è uguale a P

92 92 Perché F Se infatti producesse meno rinuncerebbe al guadagno ottenibile da tutte quelle quantità il cui costo aggiuntivo (marginale) è inferiore al prezzo F Se producesse di più produrrebbe delle quantità che hanno un costo aggiuntivo superiore al prezzo e, quindi, venderebbe in perdita

93 93 Perché F Per voi matematici: F Utile = Rt - Ct = P x Q – Cv (Q) - Cf F Max utile quando: –dUtile/dQ = 0 ovvero –P = dCv/dQ = Cmar. (ramo crescente)

94 Prezzi e Costo Marginale 0 Q Ramo crescente del Costo Marginale P1 P2 Pn

95 95 LOfferta F La curva di Offerta del singolo produttore coincide dunque con il ramo crescente della curva del costo marginale (a partire dal suo punto di minimo, il produttore infatti fra minimo del costo marginale e minimo del costo unitario produrrebbe si in perdita ma con la minima perdita)

96 96 LOfferta aggregata F Per i classici lofferta aggregata o offerta di mercato, essendo una somma, ha lo stesso tipo di andamento F Come detto alla luce della teoria della Complessità la cosa non è però così lineare e ovvia

97 97 LOfferta F Anche per lofferta si possono fare le solite considerazioni sullelasticità, sulle variazioni con le altre condizioni di mercato, …

98 98 Il Mercato

99 99 Forme di mercato 1. Concorrenza perfetta F Ipotesi: –Omogeneità del bene (stesse caratteristiche per tutti i produttori) –Pluralità di compratori e venditori tale che ciascun compratore e venditore non può influire sul prezzo del bene

100 100 Forme di mercato 1. Concorrenza imperfetta F Assume diverse forme: –Monopolio: un solo venditore, che stabilisce il prezzo, e molti compratori. Es: in una città cè una sola società (magari pubblica) che fornisce la risorsa idrica –Oligopolio: pochi venditori. Essendo molto debole la concorrenza fra di loro (magari si possono mettere daccordo), riescono a stabilire il prezzo. Es. le assicurazioni

101 101 Forme di mercato –Concorrenza monopolistica: molti venditori dello stesso bene, ma ciascun bene ha delle caratteristiche particolari che ne fa un piccolo monopolio. Ciascun venditore può fissare il prezzo. Es: la ceramica –Monopsonio: un solo acquirente con molti fornitori che hanno quel solo ed unico acquirente (ad esempio alcuni fornitori delle grandi aziende)

102 102 Limiti del mercato F Il mercato può fare molto, ma cosa vuol dire ottimo? F Ovviamente ci possono e/o devono essere dei Limiti (problema di Politica Economica)

103 103 Limiti del mercato F I limiti del mercato possono nascere quando non cè concorrenza perfetta e quindi quando esistono: –Concorrenza imperfetta: un acquirente o un venditore hanno la capacità di influire sul prezzo. Es. il costo del lavoro sindacalizzato; unimpresa oligopolistica; un trust di aziende –Monopolio: un solo venditore che fissa il prezzo. Caso estremo di concorrenza imperfetta

104 104 Limiti del mercato F Oppure quando sono importanti gli effetti esterni (o esternalità): –positivi (es. beni pubblici- un parco, la salute pubblica, la sicurezza ) –negativi (inquinamento) F Oppure quando cè una eccessiva diseguaglianza del reddito fra categorie sociali o territoriali o settoriali

105 105 Il Mercato F Di seguito approfondiremo la concorrenza perfetta come caso teorico limite a cui tendere F Nella realtà la concorrenza perfetta non esiste F La cosa che esiste è che oggi il cliente può utilizzare il suo reddito fra beni assolutamente diversi (un nuovo televisore o un bel viaggio?)

106 106 Il Mercato F Come si dice oggi le aziende devono concorrere con tutti (e non solo con i produttori di beni simili) per acquisire quote del portafoglio (reddito) dei clienti

107 107 Concorrenza perfetta F Un mercato di concorrenza perfetta è caratterizzato da: 1.Omogeneità dei prodotti: i prodotti presentano le stesse caratteristiche. Es. unimpresa agricola offre prodotti identici a quelli delle altre imprese (grano, mele, ecc..). 2.Un numero elevatissimo di imprese di piccole dimensioni, tali che ognuna di esse con il proprio comportamento non influenza le altre, né influenza il prezzo di mercato. Lincapacità di influenzare il prezzo è una caratteristica esclusiva della concorrenza perfetta

108 108 Concorrenza perfetta 3. Il non attaccamento da parte degli acquirenti a nessun produttore in particolare. Ciò significa che se limpresa aumentasse anche di poco il prezzo perderebbe tutti i clienti 4. La libertà di entrata e di uscita dal mercato da parte delle imprese. Il loro numero è talmente alto che lentrata o luscita di una impresa non influenza né il comportamento delle altre imprese né il prezzo

109 109 Concorrenza perfetta F Il prezzo di mercato è pertanto un dato per ciascuna impresa e limpresa in concorrenza perfetta, detta impresa price-taker, concorre avendo come variabile competitiva solo il prezzo F Ciascuna impresa cioè non può aumentare il prezzo, perché perderebbe tutti i clienti

110 110 Concorrenza perfetta F Dallaltro, non ha interesse ad abbassare il prezzo, perché è talmente piccola, rispetto alle dimensioni del mercato, che può vendere qualsiasi quantità desideri al prezzo dato e la sua produzione è talmente bassa che non riuscirebbe a soddisfare laumento di domanda F Per limpresa concorrenziale la curva di domanda (dei suoi clienti) è pertanto orizzontale, è cioè perfettamente elastica (e = )

111 111 Lequilibrio di breve termine F In un mercato di libera concorrenza la curva della Domanda e dellOfferta sono quelle che abbiamo già visto F Lunico punto di equilibrio possibile si trova allora nellincrocio fra domanda e offerta in quanto è lunica posizione in cui i singoli sono contenti di fare quello che fanno e non cercano di spostarsi

112 112 D O Q P Q* P*

113 113 Lequilibrio di breve termine F In altre posizioni ci sarebbero delle forze che tenderebbero a spostare i comportamenti dei singoli F Ad esempio se il prezzo fosse superiore a quello di equilibrio la domanda sarebbe inferiore allofferta ed i produttori (tutti) tenderebbero ad cercar di svendere il proprio prodotto pur di non avere rimanenze F Essendo una tendenza generale il prezzo tenderebbe a diminuire

114 114 Equilibrio di breve in libera concorrenza F Il problema è capire se lequilibrio di breve nel medio lungo termine è stabile, instabile o indifferente F La soluzione si ottiene verificando nellintorno del punto di equilibrio lelasticità incrociata (il rapporto) delle due curve F Provate per conto vostro, magari in modo grafico, a vedere cosa succede

115 115 Equilibrio di medio lungo F Nel medio lungo termine se il prezzo di mercato è remunerativo per le singole aziende molte altre imprese tenderanno a entrare nel Settore il che porterebbe a una maggior offerta e, quindi, a uno spostamento verso destra dellOfferta con un diminuzione del prezzo

116 116 D O Q P Q* P* Q1*Q1* P1*P1* O1O1

117 117 Equilibrio di medio lungo F Nel medio lungo termine la concorrenza garantisce quindi: –Prezzi minimi (sia per quanto visto precedentemente sia perché le singole imprese cercheranno di ridurre i costi marginali e medi) –Quantità massime (prezzi minimi), il che potrebbe però portare a delle esternalità negative (ad esempio consumo di risorse facilmente esauribili, aumento dellinquinamento, …)

118 118 Equilibrio di medio lungo F La concorrenza fra fattori garantisce inoltre lequilibrio di pieno impiego degli stessi (soprattutto del Lavoro) F Ma la domanda che ci dobbiamo fare rimane la stessa: tale equilibrio è stabile, instabile od indifferente? F Ovvero in quanto tempo il sistema, spostandosi da un equilibrio, può raggiungerne un altro? F Purtroppo, come diceva J. M. Keynes (uno dei padri della Macroeconomia) …..

119 119 …. nel lungo termine siamo tutti morti! F Infatti, se lequilibrio è instabile basta una piccola variazione che il sistema si allontana dalla sua precedente posizione per andare …. non si sa né verso dove né in quanto tempo F Vedrete meglio questi aspetti di equilibrio sistemico parlando di Macroeconomia, argomenti difficili ma … importantissimi !!!

120 120 Macroeconomia e attuale crisi F Per concludere questa parte riporto un altro aforisma di Keynes che lo riferiva alla crisi del 29 mentre noi … possiamo riferirlo a quella attuale: –Contro la stupidità anche gli Dei sono impotenti –Ci vorrebbe il Signore, ma dovrebbe scendere Lui di persona, non mandare il Figlio … …. non è il momento dei bambini

121 121 Siete giovani, un po di ottimismo che diamine !

122 122


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