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La teoria relativistica dell’elettrone
Salice Terme –
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L’equazione di Schrödinger: una strada per capirne la struttura
Pisa –
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La forma più generale dell’equazione è
nella quale H è l’hamiltoniano, somma degli operatori per l’energia cinetica, T, e potenziale, V; dove, mentre V è una funzione delle coordinate spazio-temporali, T è l’operatore differenziale
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Alla prima pagina di testo effettivo di un vecchio ma vigoroso
trattato di teoria quantistica dei campi (S.S. Schweber, H.A. Bethe, F. de Hoffman, Mesons and Fields, Row, Peterson & Co., Evanston/New York, 1956), si legge che l’equazione per una particella libera, si può ottenere dalla rimpiazzando
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Osservato che la cosa è banalmente vera, ci si domanda che
cosa c’è sotto. La questione è opportunamente discussa per il caso mono-dimensionale, cioè per l’equazione Si fa propria l’ipotesi di de Broglie che “alle particelle siano associate delle onde”, e che le proprietà ondulatorie siano legate a quelle corpuscolari dalle relazioni
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L’equazione d’onda sarà un’equazione alle derivate parziali,
alla quale chiediamo di avere soluzioni monocromatiche, per esempio della forma: Si mostra allora che - deve figurarvi una derivazione del primo ordine rispetto al tempo e del secondo ordine rispetto alla coordinata spaziale che a coefficiente della prima deve figurare un fattore i che devono figurarvi m e h nella forma prevista In conclusione, che l’equazione deve proprio avere quella forma, o, che è dire la stessa cosa, che essa si può proprio ottenere rimpiazzando E e p con gli operatori differenziali di cui sopra.
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L’equazione di Klein-Gordon
L’equazione di Schrödinger, in quanto basata sulla non è relativistica. D’altra parte ora sappiamo che la ricetta di Schweber, Bethe, de Hoffman, è legittima. Utilizziamola partendo dalla relazione relativistica
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Otteniamo subito l’equazione, detta di Klein-Gordon,
o, in notazione più compatta, L’equazione presenta alcune difficoltà interpretative.
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Nel caso dell’equazione di Schrödinger,
rappresenta la densità di probabilità di trovare la particella. La probabilità di trovarla nel volume dV all’istante t è data dalla La probabilità deve conservarsi. Se definiamo la corrente di probabilità come segue dall’equazione di S. che vale l’equazione di continuità
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Nel caso dell’equazione di Klein-Gordon, se definiamo analogamente
segue dall’equazione stessa che vale l’equazione di continuità ma con una densità di probabilità data dalla Ma allora la ρ può assunmere anche valori negativi, poiché sia la funzione d’onda sia la sua derivata prima possono essere prescritte arbitrariamente a un dato istante t, essendo l’equazione del secondo ordine.
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Perché un’equazione del prim’ordine? L’equazione di Dirac
Nel 1928 Dirac introdusse un’equazione d’onda relativisrtica che evitava le probabilità negative che emergevano in relazione all’equazione di Klein-Gordon. Allo scopo, bisogna evitare che compaiano derivate prime nell’espressione per ρ. Ma allora non devono comparire derivate temporali di ordine superiore al primo nell’equazione stessa. Ora, secondo i dettami relativistici, ci deve essere perfetta simmetria fra x,y,z, e ct. L’equazione deve quindi essere del prim’ordine anche nelle derivate rispetto alle coordinate spaziali.
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Se non dovesse contenere altro che termini derivati, l’equazione
dovrebbe quindi avere la forma dove le α sono coefficienti numerici e 1/c è introdotto per ragioni dimensionali (che poi la velocità sia proprio c è dettato dalla considerazione che la teoria che si vuol costruire è relativistica). Ma niente vieta che l’equazione possa contenere anche un termine non derivato. Ora, i termini introdotti hanno coefficienti delle dimensioni dell’inverso di una lunghezza. Tali dovranno essere anche quelle del coefficiernte della ψ nel termine non derivato.
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La costante con le dimensioni dell’inverso di una lunghezza si potrà
costruire, al più, con le costanti universali caratteristiche di una teoria quanto-relativistica, e cioè c ed h; e con quello che appare come un dato specifico ed ineliminabile del problema: la massa m dell’elettrone. Si verifica che le dimensioni corrette sono date dal rapporto mc/h. Si approda dunque alla formula: nella quale si è considerata la possibilità di un coefficiente numerico β, sullo stesso piano dei coefficienti α, si è estratto per convenienza un fattore i, e si è usata la costante di Planck razionalizzata invece di quella ordinaria.
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Il passo successivo è l’intuizione da parte di Dirac che la la
funzione d’onda possa (debba) avere più componenti. Nella La ψ deve allora essere pensata come una matrice colonna. Le α e la ß saranno allora matrici quadrate. Se, per fare un esempio, la ψ avesse due componenti, ß ψ si costruirebbe effettuando il prodotto
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Interpretazione probabilistica
Vogliamo ora introdurre la densità di probabilità e la densità di corrente associate al’equazione. Poiché vogliamo restare il più vicino possibile alla forma consueta per la prima, poniamo dove i distingue le componenti della funzione d’onda, N ne indica il numero; l’asterisco indica la complessa coniugazione e la croce la coniugazione hermitiana. Nell’ultima espressione ψ denota la matrice colonna delle componenti; la sua coniugata hermitiana è la matrice riga delle complesse coniugate delle componenti. La densità di probabilità è così sempre definita positiva.
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La forma generale di questa equazione si può ottenere moltiplicando
l’equazione a sinistra per la coniugata hermitiana della funzione d’onda , la coniugata hermitiana dell’equazione a destra per la funzione d’onda stessa e sommando membro a membro. Se si vuole avere un’equazione della forma si deve richiedere Se d’altra parte si vuole ottenere un termine in forma di divergenza di un vettore si deve anche avere ossia tutte le matrici devono essere hermitiane
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Con questa scelta la forma della densità di corrente è
univocamente individuata come: Sarà forse opportuno sottolineare che, per ogni valore di k, ciò che figura a secondo membro è il prodotto fra la matrice riga delle complesse coniugate delle componenti e la matrice colonna che risulta dalla moltiplicazione della matrice α per quel valore di k per la matrice colonna della funzione d’onda, dunque un numero, il valore della componente k del vettore densità di corrente.
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Formulazione hamiltoniana
L’equazione può essere posta in forma hamiltoniana. Moltiplicando membro a membro per icħ, essa può essere infatti riscritta come o ancora come con
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La necessità di rispettare la relazione relativistica fra energia e impulso
Ci si domanderà a questo punto dove sia finito il requisito che un’equazione d’onda relativistica deve rispecchiare la relazione La risposta è che deve ancora – e può – essere imposto: semplicemente richiedendo che la funzione d’onda ψ soddisfi all’equazione di K.-G. A questo scopo, si moltiplichi l’equazione per
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Si ottiene così un’equazione del secondo ordine che deve essere
soddisfatta dalla funzione d’onda. Si verifica che essa si riduce a quella di Klein-Gordon se le matrici α e β soddisfano alle condizioni: dove a secondo membro si sottindente una matrice identità. In conclusione, le matrici devono anticommutare fra loro ed avere quadrato unità.
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Aspetti formali Sulla base delle proprietà stabilite per le matrici α e β si possono raggiungere le seguenti conclusioni: le matrici hanno traccia nulla devono essere di dimensionalità pari Le matrici dove soddisfano a tutte le condizioni.
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Si può rendere più simmetrico il ruolo delle derivate temporale
e spaziali nella moltiplicandola a sinistra membro a membro per β; si ottiene la che assume una forma più simmetrica se si pone:
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Si noti che mentre la resta hermitiana, le altre matrici γ sono anti-hermitiane: Le γ soddisfano alle regole di commutazione: In termini delle matrici γ l’equazione si scrive ora:
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O ancora, moltiplicando membro a membro per ħ, sottintendendo
(convenzione di Einstein) la sommatoria sull’indice μ ripetuto) e scrivendo o anche, ponendo
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Ritorniamo alla Moltiplicando la seconda a sinistra per β, e ricordando che β è a quadrato unità, otteniamo La si riscrive
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avendo introdotto l’“aggiunta” della funzione d’onda, definita dalla
D’altra parte, ricordando che è a quadrato unità anche possiamo scrivere e quindi scrivere globalmente
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L’invarianza di Lorentz
L’equazione di Dirac è stata introdotta in conformità al dettame relativistico per il quale ci deve essere perfetta simmetria fra x,y,z, e ct. Da qui la scelta che l’equazione fosse del prim’ordine nelle derivate rispetto a tutte le coordinate. Questa condizione è necessaria ma non appare immediatamente sufficiente a garantirne l’invarianza di Lorentz. Di più, si tratta di stabilire quali siano le regole di trasformazione per quantità come la quadri-corrente e per la stessa funzione d’onda e la sua aggiunta.
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Ci limitiamo a menzionare le cose più importanti:
le matrici dovranno restare inalterate -la funzione d’onda trasformata, ψ’, dovrà ottenersi dalla ψ in termini di una trasformazione lineare: ψ’=S ψ -allora la matrice di trasformazione S deve soddisfare alla condizione dove la Λ è la matrice della trasformazione di Lorentz
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Quanto all’aggiunta della funzione d’onda, sotto trasforrmazioni
ortocrone si trasforma secondo la Si verifica allora che le componenti della quadri-corrente si trasformano come quelle di un quadri-vettore (uno pseudo- vettore sotto inversione del segno del tempo).
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Soluzioni piane Come l’equazione di Klein-Gordon, anche quella di Dirac ammette soluzioni in termini di onde piane della forma: o, nel linguaggio delle componenti Esse sono autofunzioni degli operatori associati all’energia e all’impulso.
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Sostituendole, insieme con la forma esplicita delle matrici α e β,
nell’equazione di Dirac si ottiene un sistema lineare omogeneo di quattro equazioni con incognite le componenti della funzione d’onda u, che ha soluzione solo se il determinante è uguale a zero. Ora, il determinante vale e il suo annullamento esprime correttamente la relazione tra E e p. Si ottengono soluzioni esplicite per ogni impulso p scegliendo un segno per l’energia. Scegliamo il segno positivo:
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Sia una tale soluzione . Ricordando l’hamiltoniana o ne sarà un’autosoluzione: Scriviamo dove le due componenti hanno a loro volta due componenti.
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Si verifica che obbediscono alle equazioni seguenti: Dalla seconda otteniamo Si verifica che la prima equazione è allora soddisfatta identicamente. Ci sono dunque due soluzioni linearmente indipendenti per ogni impulso p. Possiamo sceglierle ponendo altermativamente
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Una forma esplicita per le due soluzioni è la
(è omessa la normalizzazione, determinata dalla condizione u*u=1) Nel limite non relativistico la seconda coppia di componenti è piccola dell’ordine v/c rispetto alla prima.
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Lo spin Un operatore arbitrario F è una costante del moto se commuta
con l’hamiltoniana, cioè se: Il momento angolare orbitale non commuta con l’hamiltoniana
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Con l’hamiltoniana di Dirac commuta invece la somma
il cui secondo termine è l’operatore di spin nel caso di uno “spin ½”. L’equazione di Dirac non è la più generale ’equazione d’onda relativistica: essa descrive (relativisticamente) particelle di spin spin ½. Vogliamo vedere le cose più in dettaglio, soprattutto in relazione al fatto che, per la descrizione di una particella di spin 1/2, sembra bastare una funzione d’onda a due componenti.
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Vediamo perché. La determinazione della componente dello spin
di una particella di spin ½ lungo una qualsiasi direzione dà come risultato o +1/2 o –1/2. Denotati come gli stati corrispondenti, lo stato generico di una particella di spin ½ è sempre espresso nella forma dove le c sono numeri complessi il cui modulo quadro esprime la probabilità di trovare la particella con l’una o l’altra orierntazione dello spin; essi saranno in generale funzioni delle coordinate, e si identificheranno con le due componenti della funzione d’onda.
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Interazioni con un campo elettromagnetico
Il problema che ci siamo posti è meglio affrontato considerando la particella in interazione con un campo elettromagnetico, cosa che, evidentemente, è di per sé interessante. Come introdurre una tale interazione? La prescrizione è di sostituire nell’hamiltoniana della particella libera l’impulso secondo la dove le A sono le componenti del quadri-potenziale e si è attribuita la carica e alla particella.
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La sostituzione è quanto si deve fare per introdurre l’interazione
elettromagnetica nelle equazioni classiche del moto di una particella carica. Il principio di Hamilton porta infatti allora a equazioni di Eulero-Lagrange che descrivono una particella di carica e soggetta a una forza di Lorentz (K. Moriyasu, An Elementary Primer for Gauge Theory, World Scientific, 1983, p. 15 segg.). Quantisticamente, all’hamiltoniana libera si aggiunge ora un termine d’interazione Le matrici cα appaiono qui il corrispettivo delle componenti della velocità nell’espressione classica del termine d’interazione
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La corrispondenza è d’altra parte conforme alla scrittura della probabilità di corrente come Con che diventa ora
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... l’equazione di Dirac informa hamiltoniana diventa ora:
Utilizzando la forma esplicita introdotta per le matrici α e β, e ponendo si ottiene
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L’evoluzione temporale delle soluzioni piane è retta dal fattore
Nel limite non relativistico domina il termine di massa; si potrà scrivere allora dove ora φ e χ sono funzioni del tempo lentamente variabili. Effettuando la derivazione nel termine si approda all’equazione:
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in effetti un sistema di due equazioni differenziali accoppiate.
Se nella seconda trascuriamo la debole dipendenza temporale e consideriamo una debole energia d’interazione eΦφ, otteniamo
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Sostituendo nella prima equazione otteniamo la
Sfruttando l’identità ricordando che , che il prodotto π x π non si annulla perché va considerata l’azione di e di su φ e che l’equazione prende la forma:
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nella quale si riconosce l’equazione di Pauli per l’elettrone.
L’equazione di Dirac costituisce dunque un’estensione relativistica della trattazione standard delle particelle di spin ½. In quest’ultima gli stati sono descritti in termini di “spinori” - funzioni d’onda a due componenti - che bastano a render conto dei due gradi di libertà di spin di tali particelle. La trattazione relativistica deve invece far uso di spinori a quattro componenti. Per il caso di un debole campo magnetico uniforme l’equazione può essere posta nella forma
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dove L è il momento orbitale e
lo spin. A un momento angolare L=ħ corrisponde in generale un valore del momento magnetico di (si dice allora che il rapporto giromagnetico g vale 1). Il valore di g per il momento magnetico intrinseco – quello legato allo spin – per l’elettrone deve valere 2 per rendere conto dell’effetto Zeeman. Il risultato è correttamente ottenuto dalla teoria di Dirac, come si controlla sull’ultima formula, nella quale a L è sommato 2S.
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Il problema delle energie negative
Ritorniamo alle soluzioni piane dell’equazione di Dirac. Sostituendo una tale soluzione della forma nell’equazione di Dirac si ottiene, come si ricordava, un sistema lineare omogeneo di quattro equazioni con incognite le componenti della funzione d’onda u. Come pure si ricordava, si ottengono soluzioni esplicite per ogni impulso p scegliendo un segno per l’energia nella
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Abbiamo discusso le due soluzioni linearmente indipendenti che
si ottengono scegliendo il segno +. Ma accanto a queste ci sono due analoghe soluzioni scegliendo il segno – . Soluzioni ad energia negativa presentano ovvie difficoltà interpre- tative. Potremmo non dar loro troppo peso se non ci fosse una probabilità di transizione finita a stati di energia negativa; in tal caso, una particella ad energia positiva rimarrebbe sempre in un tale stato. Ma la teoria quantistica prevede la possibilià di una tale transizione in presenza di un campo esterno. Nel 1930 Dirac propose una soluzione in termini della sua “hole theory”, secondo la quale gli stati ad energia negativa sarebbero di norma tutti occupati, con uno ed un solo elettrone in ogni stato secondo il principio d’esclusione di Pauli. Lo stesso principio rende impossibile la transizione a stati di energia negativa, a meno che ...
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A meno che uno di essi non sia stato in qualche modo vuotato.
Un tale stato ad energia negativa “apparirebbe come qualcosa avente energia positiva, poiché, per farlo scomparire, vale a dire per riempirlo, dovremmo aggiungere ad esso un elettrone ad energia negativa”. Per ragione analoga, la “hole” dovrebbe avere carica opposta a quella dell’elettrone. Va allora sottolineato che per interpretare la teoria in presenza di interazioni si è forzati a una formulazione a molte particelle nella quale il numero delle particelle non è conservato, cioè a una teoria quantistica di campo. Quando Dirac formulò la sua teoria le particelle cariche per così dire a disposizione erano l’elettrone e il protone, e venne naturale (anche allo stesso Dirac) pensare che la particella di carica più che la teoria associava all’elettrone non fosse altro che il protone.
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Oppenheimer (1930) e Weyl (1931) dimostrarono però che la
particella doveva avere la stessa massa dell’elettrone. Poiché nulla di simile esisteva, nel 1931 Pauli considerò la cosa come una manchevolezza della teoria di Dirac. Ma già nel 1932 Anderson scoprì il posit(r)one. Acquisivano allora piena legittimità i processi di creazione di coppie eletrone-positrone e di annichilazione di una coppia:
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