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Diritto amministrativo a.a. 2006/2007
Manuale di riferimento: E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2007 Il sito Ricevimento: giovedì, ore 11 e 30 – 12 e 30 Il coordinamento tra la segreteria e gli studenti sarà gestito dalla dott.ssa Francesca Mattassoglio cell
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SPL Diritto di accesso
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Trasformazione del diritto di accesso
Introdotto a livello normativo dalla l. 142/1990 e poi regolato in generale dalla l. 241/1990, nel corso degli anni il diritto di accesso è stato profondamente modificato dal legislatore capo V l. 241/1990 è stato interamente riscritto dalla l. 15/2005 (ad eccezione dell’art. 23) I c.d. LEP Il d.p.r. 184/2006 L'esame è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l'eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità (art. 7, d.p.r. 184/2006). l'amministrazione deve comunicare ai soggetti controinteressati individuati la richiesta di accesso Essi possono presentare motivata opposizione alla richiesta entro il termine di dieci giorni, decorso il quale l'amministrazione provvede sulla richiesta. ove l'amministrazione riscontri la loro esistenza in base al contenuto del documento richiesto, essa non può dar seguito alla richiesta di accesso informale, ma deve chiedere di presentare domanda scritta, al fine di avviare apposito procedimento amministrativo
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Trasformazione del diritto di accesso
frammentazione della struttura unitaria del diritto di accesso in una pluralità di tipologie di « diritti di accesso »: diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi diritti di accesso relativi ad alcune specifiche materie (alle informazioni ambientali, agli archivi di Stato e a quelli storici degli enti pubblici) diritti di accesso nei confronti delle autorità indipendenti.
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Diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi
diritto di accesso extraprocedimentale esercitato dal titolare dei dati personali volto a ottenerne la comunicazione in forma intelligibile: regolato dal d.lgs. 196/2003 (codice della privacy) art. 19, d.lg. n. 196/2003, fa salva la disciplina del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali “dato personale” e “documento” si intrecciano: le informazioni relative ai soggetti dell’ordinamento giuridico (i dati personali, appunto) sono istituzionalmente trattate dagli enti pubblici sotto forma di documenti amministrativi
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segue natura di diritto soggettivo
art. 7 codice privacy = diritto di venire a conoscenza: del fatto che un ente pubblico detenga o meno dati personali; da dove provengano; perché e come vengano trattati; a quali soggetti potrebbero eventualmente essere comunicati. limitazione a questo diritto: accesso alle informazioni trattate “per esclusive finalità inerenti alla politica monetaria e valutaria, al sistema dei pagamenti, al controllo degli intermediari e dei mercati creditizi e finanziari, nonché alla tutela della loro stabilità” (art. 8, co. 2, lett. d, d.lgs. n. 196/2003). esercizio di questo diritto di accesso: “richiesta rivolta senza formalità” all’amministrazione che deve fornire “idoneo riscontro senza ritardo” (in forma orale, mediante trascrizione, esibizione o produzione di copia, nonché per via telematica natura di diritto soggettivo
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Diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi
2. diritto di accesso extraprocedimentale volto alla conoscenza di documenti contenenti dati personali di titolarità di un soggetto diverso dal richiedente: regolato dal capo V, l. 241/1990 (applicabile a tutti gli enti pubblici italiani): riservatezza come limite all’accesso art. 24, c. 7, l. 241/1990: «Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici» potere amministrativo natura di interesse legittimo, nonostante: sia definito “diritto” sia ricondotto ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» la l. 80/2005 abbia riconosciuto in materia la giurisdizione esclusiva amministrativa: per intreccio con diritti soggettivi (soprattutto dei controinteressati per riservatezza) per necessità di notifica ai controinteressati
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Diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi
3. diritto di accesso extraprocedimentale volto alla conoscenza di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari di titolarità di un soggetto diverso dal richiedente: regolato dal capo V, l. 241/1990 art. 24, c. 7, l. 241/1990: «Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile» potere amministrativo comunicazione al titolare dei dati sensibili e giudiziari della sussistenza di una domanda di accesso a quei dati riservati, affinché egli possa partecipare al relativo procedimento natura di interesse legittimo
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Diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi
4. diritto di accesso extraprocedimentale volto alla conoscenza di documenti contenenti “dati supersensibili” (salute e vita sessuale) di titolarità di un soggetto diverso dal richiedente: regolato dal capo V, l. 241/1990 e dall’art. 60, codice privacy accesso è consentito «se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile» potere amministrativo per una «valutazione ampiamente discrezionale» comunicazione al titolare dei dati sensibili e giudiziari della sussistenza di una domanda di accesso a quei dati riservati, affinché egli possa partecipare al relativo procedimento natura di interesse legittimo
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Diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi
5. diritto di accesso extraprocedimentale volto alla conoscenza di documenti contenenti “dati superipersensibili” di titolarità di un soggetto diverso dal richiedente: art. 24, comma 1, lett. d, l. 241/1990, prevede che, quanto ai procedimenti selettivi, sono sottratti alla visione i «documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi» nessuna eccezione = come segreto di Stato (sic!) Non … è un diritto evidente “svista” del legislatore è necessaria interpretazione giurisprudenziale che attribuisca a «nei procedimenti» (selettivi) il significato di “durante le procedure” (selettive) per far vale questo divieto solo durante lo svolgimento del procedimento selettivo
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Diritti di accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi
6. diritto di accesso endoprocedimentale: potere di differimento (artt. 24, comma 4, e 25, comma 3, l. 241/1990): ambito privilegiato di applicazione è durante il procedimento art. 41, comma 2, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, consente diritto di accesso partecipativo «in via telematica» natura di interesse legittimo: l’ad. plenaria
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La questione è ritenuta inutile al fine di stabilire il regime sostanziale e processuale del diritto di accesso Il diritto di accesso non sarebbe volto a «fornire utilità finali», ma ad «offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi)». Stesso carattere strumentale avrebbero l’interesse alla riservatezza dei terzi e la «tutela del segreto» : «la strumentalità dell’azione correlata» volta ad «assicurare, al tempo stesso, la tutela dell’interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati».
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Conseguenze (Occhiena) a) il processo in materia di accesso ha natura impugnatoria; b) il termine di trenta giorni previsto dall’art. 25, 4° comma, l. 241/90, per esercitare l’actio ad exhibendum ha natura decadenziale: ciò in considerazione delle esigenze «di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati» c) la mancata impugnazione del diniego nel termine decadenziale impedisce al cittadino di reiterare l’istanza e di ricorrere contro il successivo diniego, trattandosi di atto meramente confermativo del primo; d) la richiesta può essere reiterata con pretesa di ottenere «riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell’originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all’accesso»: se l’istante introduce elementi di novità, il replicato rifiuto (tacito o espresso) di esibire gli atti richiesti non ribadirebbe un contenuto decisorio già adottato, producendo dunque una nuova e diversa vicenda giuridicain capo all’istante, cui deve riconoscersi il diritto di azione giurisdizionale.
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La tutela: in generale Tutela in caso di diniego espresso o tacito (dopo 30 gg. dalla richiesta) oppure in caso di differimento: ricorso al TAR + Cons. Stato l’istante può fare richiesta di riesame (ma è ricorso) a: difensore civico (se diritto di accesso è svolto nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali; se un ente non l’ha istituito, competenza è del difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore) CADA (se diritto di accesso è svolto nei confronti degli atti delle amministrazioni dello Stato)
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La tutela “speciale” Se diniego riguarda accesso ai dati personali da parte del titolare: ricorso al Garante della privacy o al giudice ordinario (art. 145, co. 1, d.lg. n. 196/2003 alternatività del ricorso al Garante rispetto al ricorso giurisdizionale Ricorso al Garante: Garante ha ampi poteri di cognizione e di condanna, che si spingono anche alla fase dell’ottemperanza (art. 150) Garante deve chiedere il parere, obbligatorio e non vincolante, della CADA (art. 25, co. 4, l. proc.). Ricorso al giudice ordinario (composizione monocratica): se contro provvedimento del Garante = entro 30 gg. dalla comunicazione potere dell’a.g.o.: accogliere o rigettare la domanda, in tutto o in parte prescrivere le misure necessarie condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni, anche in deroga all’art. 4 della legge abolitrice
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Spunti problematici il “doppio binario”: tutela giurisdizionale (giurisdizione esclusiva giudice amministrativo) e tutela giustiziale il “doppio giudice” (ordinario e amministrativo) a seconda della tipologia di accesso l’“alternatività imperfetta”: vale per il richiedente e non per il controinteressato, che può avvalersi soltanto del rimedio giurisdizionale il riesame dei difensori civici e della Cada: un’ipotesi di ricorso gerarchico improprio a fronte della possibilità per le parti di stare personalmente in giudizio e della complessità dei procedimenti di riesame, a quali fini la previsione della tutela giustiziale?
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La tutela giustiziale sulla richiesta di riesame = pronuncia di difensore civico o CADA entro 30 giorni in caso di inerzia: silenzio-rigetto in caso di accoglimento per illegittimità diniego o differimento: difensore civico o CADA informano il richiedente e lo comunicano all’ente pubblico se ente pubblico non emana provvedimento confermativo motivato entro 30 gg. dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o CADA, l’accesso è consentito se accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, CADA deve acquisire il parere del Garante per la protezione dei dati personali: che deve pronunciarsi entro 10 giorni dalla richiesta, altrimenti parere si intende reso
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Riflessioni sui procedimenti di riesame
Se l’amministrazione non “dà seguito” silenzio assenso/devolutivo? Manca una forma immediata di tutela il parere obbligatorio e non vincolante del Garante in ipotesi di ricorso alla Cada per diniego o differimento dell’accesso per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi: dieci giorni per decidere in caso di inerzia: silenzio devolutivo (il parere «si intende reso»: art. 25, comma. 4) seppure non previsto, deve ritenersi che questo parere debba essere richiesto anche nel caso di procedimenti di riesame svolti dal difensore civico
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Disciplina processuale: quadro normativo
L’art. 25, l. 241/1990, ovvero l’introduzione di un rito speciale ed autonomo La l. 205/2000 (modifica all’art. 21, l. Tar): l’introduzione di un rito incidentale La considerazione della posizione del terzo Istituto del riesame da parte del difensore civico Rito incidentale Possibilità per il ricorrente di stare in giudizio personalmente e l’amm. rappresentata da proprio dipendente con qualifica di dirigente e autorizzato dal rappresentante legale dell’entei Va ricordato che il passaggio da una situazione in cui l’amministrazione era tendenzialmente informata al principio della segretezza a quella attuale, emblematicamente sintetizzabile ricordando la disciplina di cui all’art. 15, d.p.r. 3/1957, modificato dall’art. 28, l.241/1990, e ispirata al criterio della trasparenza, ha prepotentemente fatto emergere le “ragioni” di riservatezza del soggetto cui si riferiscono i dati, posseduti dall’amministrazione, in linea di massima conoscibili da terzi proprio in forza dell’esercizio del diritto d’accesso. Nel 1990 il legislatore si occupò del problema in modo in fondo parziale e, comunque, in “via riflessa”, nell’ambito cioè della disciplina dell’accesso, alla cui operatività si introduceva un’eccezione giustificata dalla esistenza di esigenze di riservatezza. Soltanto successivamente, nel 1996, la legge dettò una normativa chiaramente finalizzata alla tutela della riservatezza, senza peraltro preoccuparsi di operare (quanto meno in modo sufficientemente ampio) i necessari collegamenti con la disciplina dell’accesso, valore spesso confliggente con la riservatezza. In sostanza, e con peculiare riferimento a tali dati, due “diritti” (o, meglio, due situazioni giuridiche attive) si contrappongono, esprimendo la pretesa a comportamenti opposti dell’amministrazione in relazione allo stesso dato, senza che, almeno apparentemente, l’ordinamento manifesti una chiara preferenza a favore di uno di essi in caso di conflitto.chiave di lettura
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La tutela giurisdizionale
Oggi giurisdizione esclusiva del g.a. ricorso al TAR nel termine di 30 gg. da: diniego espresso o tacito ricevimento esito procedimento davanti al difensore civico o CADA (è ricorso contro queste decisioni o contro diniego originario?) le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore l’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente.
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La legittimazione (attiva e passiva)
L’art. 22, l. 241/1990 L’accesso correlato alla partecipazione procedimentale L’ampliamento dello spettro dei legittimati ad esercitare il c.d. diritto d’accesso Interpretazione dell’art. 25, l. 241/1990 La legittimazione passiva Occorre considerare la legittimazione ad esercitare il c.d. dir. accesso perché conseguentemente si ricava la legittimazione processuale spettante a chi si dolga delle determinazioni non satisfattive assunte dall’amministrazione, non si impongono dunque particolari approfondimenti Accesso conoscitivo ma anche accesso partecipativo L’ampliamento della sfera dei legittimati ad agire scaturisce inoltre dal riconoscimento della possibilità di esercitare il diritto di accesso (o, meglio,, di visione) pure in capo ai soggetti che partecipino al procedimento amministrativo ai sensi degli artt. 7 e ss., l. 241/1990, che attribuiscono agli intervenienti la facoltà di prendere alla visione degli atti Si ammette che all’accesso endoproc. Applicabile tutela art. 25 Anche t.u enti locali (cittadini) e d.lgs. 39/1997 l’ampliamento della legittimazione sostanziale (e, cioè, della legittimazione ad esercitare il diritto d’accesso), con il suo effetto di “trascinamento” costituito dalla possibile estensione della legittimazione processuale (ad agire avverso le determinazioni dell’amministrazione) porta in qualche misura a stemperare i contorni soggettivistici dell’azione giurisdizionale, la cui previsione completa il quadro della disciplina dell’istituto in esame, introducendo elementi che paiono ridurre le distanze rispetto ad un modello di giurisdizione di tipo oggettivo o, comunque, ad un sistema in cui è prevalente la funzione di tutelare un interesse pubblico piuttosto che la posizione di uno specifico soggetto L’accenno disvela un importante connotato dell’azione a tutela del diritto di accesso, costituita dal suo carattere “servente” rispetto a situazioni sostanziali assai variegate, aspetto questo che rende difficoltosa la riconduzione ad un unico modello delle svariate ipotesi di impiego dell’azione 25, l. 241/1990, al comma 4, al momento di disciplinare il ricorso dinanzi al Tar, si riferisce infatti al “richiedente”. Non debbono tuttavia essere sottovalutati gli spunti interpretativi emergenti dalla lettura del comma 5 dell’art. 25, cit., ove, svincolandosi da una visuale strettamente incardinata sull’esclusivo riferimento al richiedente, il legislatore statuisce che “contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso Soltanto “nei casi previsti dal comma 4”[che si riferisce al “rifiuto”, espresso o tacito, e al “differimento”, ] la legittimazione va unicamente riconosciuta al richiedente, come precisa il medesimo comma 4, che, come visto, afferma che “il richiedente può presentare ricorso”. Il comma 5, invece, aggiunge alle fattispecie di cui al comma 4 la più generale ipotesi che si verifica allorché l’amministrazione assuma “determinazioni amministrative concernenti il diritto d’accesso”, che ben potrebbero anche essere di accoglimento della richiesta quinidi chi si duole della determinazione di accoglimento LEGITTIMAZIONE PASSIVa ART. 23 l diritto di accesso di cui all’art. 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall’articolo i soggetti da esse contemplati, in quanto competenti ad assumere la determinazione sul diritto di accesso, acquisiscono pure la qualifica di parti resistenti nel giudizio ove sia proposta l’impugnativa di cui all’art. 25, l. 241/1990 soggetto formalmente privato[fOLLIERI], evenienza tutt’altro che sconosciuta nel diritto processuale amministrativo: la specificità del giudizio di cui all’art. 25, l. 241/1990 consiste nel fatto che si tratta di un rito rientrante non già nella giurisdizione esclusiva (come di regola accade allorché il privato assuma il ruolo di parte resistente), bensì, almeno a seguire l’orientamento dell’Adunanza plenaria (v. par. seguente), in quella di legittimità .
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Il giudizio instaurato a seguito del ricorso avverso la determinazione dell’amministrazione sulla richiesta di accesso Procedimento camerale speciale e semplificato I poteri del giudice Il problema del ricorso proposto da soggetto diverso dal richiedente l’accesso L’accostamento alla figura della condanna attraverso la reintegrazione in forma specifica L’art. 25, l. 241/1990 prefigura uno specifico procedimento giurisdizionale per la definizione della controversia instaurata mediante ricorso avverso la determinazione assunta (o il silenzio serbato) dall’amministrazione sulla richiesta della parte Può invece parlarsi di procedimento camerale speciale e semplificato, che si chiude con una decisione da qualificare non già con provvedimento sommario, bensì come sentenza profili di specialità del giudizio attengono al termine di proposizione dell’azione (trenta giorni in luogo di sessanta); alla previsione del rito camerale e di un breve termine –peraltro evidentemente sollecitatorio- di conclusione del giudizio (trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito); alla tipizzazione del potere del giudice in caso di parziale o totale accoglimento del ricorso (ordine di esibizione del documento) ed alla riduzione del termine di proposizione dell’appello (trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado L’art. 25, c. 4, l. 241/1990, con specifico riferimento ai casi di rifiuto, espresso o tacito, e di differimento dell’accesso, consente al richiedente di chiedere nel termine di trenta giorni al difensore civico competente il riesame della determinazione. I termini per impugnare vengono dunque interrotti a seguito della presentazione della richiesta di riesame; finalità deflattiva ove il difensore, in sede di primo (invero atipico) riesame, ritenga illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l’ha disposto, evidentemente al fine di effettuare un ulteriore riesame, questa volta ad opera dell’amministrazione originariamente competente; nel caso in cui questa non emani il “provvedimento confermativo motivato” (apparentemente confermativo, nuovo episodio di esercizio del potere autonomamente impugnabile) entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, “l’accesso è consentito”. L’inerzia dell’amministrazione che, ove serbata sulla richiesta iniziale equivale al rifiuto, viene dunque qui ritenuta equipollente all’accoglimento della richiesta medesima Il termine per impugnare decorre dal ricevimento, da parte del richiedente, dell’esito della sua istanza al difensore 1) primo luogo nulla è detto circa la posizione del controinteressato, originariamente “garantito” nei confronti del rischio di una diffusione di dati a lui pertinenti dal diniego opposto dall’amministrazione; egli potrebbe aver interesse ad impugnare il successivo silenzio accoglimento formatosi a seguito della sollecitazione del difensore. In tal caso pare peraltro dover trovare applicazione la disciplina generale di cui al c. 5, che consentirebbe al terzo di agire “nel termine di trenta giorni”, evidentemente decorrenti non già dalla comunicazione dell’esito dell’istanza al richiedente, ma dalla conoscenza, riferita al terzo, dell’avvenuta formazione del silenzio [1] E’ chiaro che occorre interpretare in senso estensivo la locuzione “determinazioni della pubblica amministrazione” (art. 25, l. 241/1990) al fine di ritenerla ricomprensiva della fattispecie del silenzio assenso. 2) tutela che può essere assicurata al privato allorché si formi il silenzio accoglimento (come tale non impugnabile) e, ciò nonostante, l’amministrazione persista nel suo atteggiamento reticente, rifiutandosi (implicitamente o in modo espresso) di consentire l’accesso in ordine al quale il richiedente dispone ora del titolo giuridico che ne fonda la pretesa Pur se si tratta di interpretazione indubbiamente non del tutto al riparo da qualche forzatura, si potrebbe allora immaginare di ammettere l’esperimento del ricorso di cui all’art. 25, l. 241/1990: il soggetto che, invocando la formazione del silenzio assenso, si rivolga all’amministrazione, presenta in sostanza una nuova richiesta e, a fronte del diniego o del silenzio (fattispecie che potrebbero essere ricomprese nel novero di quelle “determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso” cui fa cenno il c. 5 dell’art. 25, l. 241/1990), può proporre azione giurisdizionale dinanzi al giudice dell’accesso, il quale, valutandone il carattere elusivo dell’effetto già integrato, ha la possibilità di ribadire l’ordine di ostensione con sentenza, pronuncia necessaria per consentire al richiedente di accedere alla tutela offerta dal ricorso per l’ottemperanza in caso di persistente inerzia o di reiterato rifiuto Poteri del giudice: in caso di totale o parziale accoglimento del ricorso, il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti: parrebbe dunque trattarsi di una decisione non avente carattere costitutivo, ma contenente un ordine specifico diverso dal richiedente (v. supra, par. 5) che si dolga della determinazione che accoglie la istanza di accesso. In tal caso il giudice che accolga il ricorso non può evidentemente ordinare l’ostensione dell’atto . La tutela è assicurata semplicemente utilizzando il generale potere di annullamento, in questo caso avente ad oggetto la determinazione dell’amministrazione, cui è collegato il consueto effetto conformativo 2) Non deve stupire la previsione di un potere avente ad oggetto un ordine in relazione ad un caso di tutela di interessi legittimi, atteso che ciò avviene anche nell’ipotesi di ricorso avverso il silenzio; la peculiarità dell’azione di cui all’art. 25, l. 241/1990 consiste nel fatto che la legge individua espressamente il contenuto specifico dell’ordine medesimo: si tratta di un ordine ad un facere specifico che suggerisce l’accostamento –ma non l’identificazione- della decisione in esame alla figura della condanna attraverso la reintegrazione in forma specifica, in quanto mira a garantire il bene della vita avuto di mira dal ricorrente ”. 3) Siffatto accostamento pare suggestivo in ordine alla più generale questione della tutela degli interessi procedimentali (anche di quelli diversi dagli interessi connessi all’accesso partecipativo), nel senso che suggerisce per essi la previsione di forme di azione giurisdizionali che mirino ad assicurare al loro portatore il conseguimento dell’utilità specifica protetta (nel caso:la conoscenza dei documenti), evitando di ricorrere alla sollecitazione dell’esercizio di poteri giurisdizionali che sono allo stesso tempo eccessivi, se considerati alla luce delle esigenze dell’amministrazione, e insufficienti per la garanzia della realizzazione di quello specifico interesse partecipativo Ottemperanza: si perché ora sentenza non passata in giudicato Straordinario: giur in senso negativo (Cons. Stato, sez. III, n. 32/98 perché sussiste apposito procedimento dinanzi9 al ga Az cautelare: carattere accelerato con specifico riferimento al richiedente, un danno grave e irreparabile potrebbe derivare non già dalla mancata ostensione del documento, ma da altro comportamento dell’amministrazione, rispetto al quale l’immediata conoscenza ricavabile dall’accesso si presenti per il privato utile, o addirittura essenziale. L’ordinamento prevede all’uopo altri istituti a tutela di questo bene finale della vita, che tra l’altro permettono pure l’acquisizione in giudizio dei documenti: si pensi in particolare alle misure cautelari e alla possibilità per il giudice di disporre l’acquisizione istruttoria di documenti. Quanto poi alla tematica dei mezzi di prova, essa è strettamente intrecciata a quella della natura del giudizio: chi individua una ipotesi di giurisdizione esclusiva opina nel senso che il giudice possa disporre di tutti i mezzi di prova previsti per i relativi giudizi, mentre, seguendo la costruzione proposta dall’Adunanza plenaria, n. 16/1999 si deve ritenere che i mezzi consentiti siano l'esibizione di atti e documenti, la richiesta di chiarimenti e la verificazione; può comunque essere disposta la consulenza tecnica. Circa infine le pretese risarcitorie, la relativa azione potrebbe sicuramente essere proposta, ma in sede diversa –e, cioè, in un giudizio ordinario e non accelerato, anche in ragione della maggior complessità delle questioni da risolvere (21 bis:Tar Puglia-Lecce, sez. I, 19 aprile 2002 n )- dal ricorso ex art. 25, l. 241/1990 che verte esclusivamente sulla legittimità della determinazione dell’amministrazione e sulla fondatezza della pretesa del richiedente. Si noti peraltro che la domanda sembrerebbe ammissibile soltanto ove abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento danni per equivalente, in quanto, a tacere dei problemi connessi all’eventuale decadenza dei termini, la pretesa che il giudice disponga il risarcimento in forma specifica corrisponde, come visto, alla richiesta dell’ordine di esibizione che costituisce l’oggetto del rito speciale ex art. 25, l. 241/1990.
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Il giudizio incidentale ex art. 21, l. Tar
L’autonomia tra ricorso giurisdizionale e diritto d’accesso I profili di specialità del rito modalità di presentazione della domanda facoltatività attrazione di competenza in capo al giudice del processo pendente L’autonomia tra ricorso giurisdizionale (e, in particolare, fase istruttoria processuale) e diritto di accesso è dimostrabile considerando che il secondo non è esclusivamente preordinato alla tutela giurisdizionale delle situazioni protette dall’ordinamento mediante azione giurisdizionale, risultando, ad esempio, strettamente connesso al principio di imparzialità dell’amministrazione Superata la diversa opinione, o, meglio, quel suo corollario che individua nella pendenza del giudizio un fatto preclusivo all’esercizio dell’accesso Legge supera qualsiasi residuo dubbio circa la possibilità di esperire il diritto di accesso in presenza di un processo Il rito, che si configura come incidentale rispetto a quello ordinario, si caratterizza innanzi tutto per la modalità di presentazione della domanda (istanza e non già ricorso), per la sua facoltatività e per l’attrazione di competenza in capo al giudice del processo pendente. Al fine di cogliere compiutamente i caratteri dell’azione, occorre ulteriormente indagare all’interno di un ambito problematico delimitato da altri riferimenti testuali, sempre ricavabili dall’art. 21, l. Tar, che prevede la notifica dell’istanza con cui si instaura il giudizio incidentale (v. parr. seguenti) e definisce come istruttorio l’atto che conclude il giudizio incidentale. Esso esibisce notevoli differenze rispetto alle altre ordinanze istruttorie (v. in part. c. 6, art. 21, l. Tar), atteso che non ha come presupposto una istanza processuale di parte, ma una richiesta amministrativa seguita da diniego o inerzia, è adottato in camera di consiglio e non deve fissare la “data della successiva udienza di trattazione del ricorso”.
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In sintesi decisione del ricorso per tutela diritto di accesso:
TAR decide con sentenza in camera di consiglio entro 30 gg.. dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta se accogli ricorso, nella sentenza ordina all’amministrazione di esibire i documenti richiesti decisione del ricorso nel rito incidentale: ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio
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Spunti di riflessione (1)
la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla luce di Corte cost. n. 204/2004 processo in materia di accesso = rito speciale, camerale, accelerato non è necessaria la presentazione dell'istanza di fissazione di udienza: ma alcuni Tar comunque la richiedono in relazione alla camera di consiglio la decisione: contiene un ordine specifico, che impone all’ente pubblico di esibire il documento che ha negato all’accesso l’actio ad exhibendum ha comunque natura impugnatoria: prima di ordinare l’esibizione degli atti, il giudice deve annullare il provvedimento di diniego che la impedisce (il rapporto tra cittadino e amministrazione è definito da un provvedimento: Travi)
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Spunti di riflessione (2)
la possibilità della difesa processuale “non tecnica”: a) Novità rispetto al testo ex l. 205/2000: attribuita a tutte le parti del giudizio, e non più alla sola parte “ricorrente” riguarda tutti i processi in materia di accesso (e non solo giudizi di cui all’art. 25, comma 5): quindi anche per accesso alle informazioni ambientali, beni culturali, autorità indipendenti… b) questioni problematiche: nel processo vengono in rilievo questioni molto importanti (si pensi ad accesso ai dati sensibili o supersensibili): si può fare a meno della alla difesa tecnica? in tutti i gradi di giudizio o si applica art. 417-bis c.p.c. (che prevede difesa diretta di amministrazioni statali solo per primo grado)?
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La natura del giudizio incidentale ex art. 21, l. Tar
TESI A Il carattere autonomo del giudizio Le conseguenze in tema di impugnazione dell’ordinanza I profili critici In particolare: il problema della notifica ai controinteressati i controinteressati sarebbero tali in ordine non già alla vicenda processuale principale, ma a quella incidentalmente instaurata con l’istanza presentata al Presidente di cui all’art. 21, l. ampliamento della materia del contendere fino a ricomprendere l’accessibilità ad atti del tutto irrilevanti per il processo principale, si smarrirebbe il carattere incidentale del giudizio, risulterebbe incongruente la previsione della sua soluzione a mezzo ordinanza istruttoria Si tratterebbe dunque di una (diversa, rispetto al giudizio autonomo) forma di tutela offerta al diritto di accesso, assicurata a prescindere dalla natura o dalla rilevanza dei documenti oggetto della richiesta di accesso; a seguito del suo fruttuoso esperimento essi –almeno quelli non rilevanti nel giudizio- non sarebbero acquisiti al processo e spetterebbe al ricorrente la scelta circa il loro utilizzo nel processo L’ordinanza con cui il collegio decide sull’istanza, assimilabile in tutto e per tutto alla decisione cui fa cenno l’art. 25, l. Tar, sarebbe di conseguenza autonomamente impugnabile[1] –soprattutto se, nonostante la sua natura interlocutoria in ordine al giudizio pendente, essa contestualmente ledesse la pretesa alla riservatezza dei controinteressati- e soggetta alla disciplina del ricorso per l’ottemperanza. [1] E’ al riguardo configurabile l’obiezione secondo cui, ove l’ordinamento voglia introdurre una forma di impugnazione in relazione alle ordinanze, lo afferma espressamente, come accade nell’ipotesi di ordinanza cautelare; tuttavia non è dubbio, nel caso in esame, il carattere decisorio del provvedimento, carattere che, secondo la giurisprudenza (v. Cons. Stato, ad. plen., n. 1/1978, in Foro it., 1978, III, 1) costituisce il presupposto per la sua impugnabilità. La tesi secondo cui la nuova configurazione del rimedio giurisdizionale come fase incidentale del giudizio principale “non è idonea comunque a mutare la natura e la struttura del rimedio”, ancorché esso sia finalizzato all’acquisizione di elementi utili alla decisione del ricorso nel merito è sostenuta dal Tar Lazio ] Sez. II, ord. n. 1834/2001. Non rileverebbe dunque il fatto che la documentazione possa essere “funzionalizzata” ai fini della decisione di un processo pendente, onde l’impugnativa può essere utilizzata pure per conseguire documentazione ulteriore rispetto a quella “direttamente interferenti con l’oggetto del giudizio principale”. Conseguentemente, l’unica disamina che deve essere operata attiene alla sussistenza di una posizione legittimante dell’istante, a prescindere ad esempio dal difetto di legittimazione ad causam nel ricorso principale. Obiezioni: Rilevanza istruttoria: ordinanza istruttoria Spiegare disciplina notifica ai controinteressati i controinteressati sarebbero tali in ordine non già alla vicenda processuale principale, ma a quella incidentalmente instaurata con l’istanza presentata al Presidente di cui all’art. 21, l. Tar. In tal guisa opinando, tuttavia, non si comprenderebbe la ragione per cui la notifica dell’atto con cui viene esercitata l’azione giurisdizionale debba avvenire nei confronti di tutti i controinteressati e non già di uno di essi[1], salvo accedere ad una interpretazione adeguatrice della disposizione al fine di evitare disparità con la disciplina generale della notifica del ricorso iniziale In ogni caso, attraverso il possibile ingresso in giudizio di soggetti ulteriori rispetto a quello pendente, ovvero in forza dell’ampliamento della materia del contendere fino a ricomprendere l’accessibilità ad atti del tutto irrilevanti per il processo principale, si smarrirebbe il carattere incidentale del giudizio, risulterebbe incongruente la previsione della sua soluzione a mezzo ordinanza istruttoria e occorrerebbe apprestare i necessari correttivi (soprattutto in relazione ai temi della impugnazione e della ottemperanza) ad una disciplina che, invece, di tali questioni si disinteressa totalmente
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Segue: la natura del giudizio incidentale ex art. 21, l. Tar
TESI B La valenza istruttoria del giudizio Le conseguenze in tema di notifica, di delibazione del giudice e di impugnabilità autonoma dell’ordinanza CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Ordinanza 22 gennaio 2002 n. 397 funzione servente rispetto al giudizio principale, del quale arricchirebbe il materiale istruttorio. Lo spunto qui accennato, se valorizzato, è in grado di produrre rilevanti conseguenze sul piano sia teorico, sia pratico. Si potrebbe ad esempio ritenere che la notifica dell’istanza vada effettuata nei confronti dei controinteressati del giudizio principale pendente[1] in quanto titolari di un interesse uguale e contrario a quello del richiedente circa l’esibizione degli atti nel processo medesimo. Per altro verso, alla stessa stregua di quanto accade per le istanze istruttorie[2], occorrerebbe asserire che, pure in ordine a quella con cui, in corso di giudizio, si propone l’impugnativa di cui all’art. 25, l. 241/1990, il giudice già a conoscenza degli atti di causa dovrebbe effettuare una delibazione vertente sulla loro rilevanza e, cioè, sulla “indispensabilità” [1] Significativo è che non si parli di controinteressati cui l’atto (in questo caso la determinazione sulla richiesta di accesso) “direttamente di riferisce”, ma di “controinteressati” senza ulteriore specificazione. [2] Esse, per principio generale, debbono essere valutate dal giudice in vista della “rilevanza” della documentazione rispetto alla materia del contendere: su tali aspetti v. A. ABBAMONTE, Introduzione del processo amministrativo, 209. In quanto assimilabile a un’ordinanza istruttoria, essa non sarebbe infatti autonomamente impugnabile, anche in ragione del principio dell’unicità dei gravami . In caso di comportamento elusivo dell’amministrazione, risulterebbe inoltre quantomeno dubbia l’esperibilità del giudizio di ottemperanza. E’ questa la soluzione cui approda Cons. Stato, sez. VI, ord. 22 gennaio 2002, n. 397[1]. Tale pronuncia sottolinea con chiarezza che l’ordinanza istruttoria di cui all’art. 1, c. 1, l. 205/2000 va adottata “sul presupposto della acclarata utilità dei documenti ai fini della decisione, e non già quindi sulla sola base della riscontrata sussistenza delle condizioni di cui alla legge 241/1990”. Proprio in ragione della “stretta inerenza all’istruttoria della fase incidentale conclusasi con l’adozione dell’ordinanza ex art.1, legge n.205/2000”, la pronuncia escludere l’autonoma impugnabilità di siffatta ordinanza, “ferma la possibilità di contestarne la legittimità in uno alla decisione di merito”. La valenza “propriamente (ed esclusivamente) istruttoria” della previsione di cui all’art. 1, comma 1, l. 205/2000, era invero già stata sottolineata dalla medesima sez. VI, con la decisione n del Nel caso di specie il diniego all’accesso relativo ad un documento rilevante in un giudizio pendente era stato impugnato con autonomo ricorso ex art. 25, l. 241/1990. Il Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso, afferma che, “trattandosi di istanza di accesso del tutto strumentale alla azione giurisdizionale esperita dinanzi al Tar”, “la impugnativa per l’accesso avrebbe dovuto essere proposta nell’ambito del predetto giudizio, e non già con autonomo ricorso…”. Rimarcando appunto la differenza tra giudizio incidentale ex art. 1, c. 1, l. 205/2000 e giudizio di cui all’art. 25, l. 241/1990 (che mira a finalità di trasparenza dell’azione amministrativa e ad assicurare all’interessato la conoscenza in sé degli atti amministrativi, a prescindere dal successivo uso che di tale conoscenza egli voglia fare”), la sez. VI conclude che la scelta tra le due vie processuali non può essere rimessa al mero arbitrio del soggetto. Ove questi “intenda acquisire la documentazione che a lui occorre per comprovare la illegittimità di un provvedimento dell’amministrazione, già oggetto di un giudizio pendente” non si può che utilizzare il giudizio incidentale. Come è evidente, la valorizzazione della rilevanza istruttoria del rimedio conduce in tal caso ad un esito forse non del tutto compatibile con la lettera della legge, che si riferisce alla proposizione dell’impugnativa con istanza proposta al presidente nei termini di facoltà.
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TESI C Il nesso con l’istituto dei motivi aggiunti Le conseguenze in tema di parti del processo (in particolare: l’identificazione dei controinteressati) e di delimitazione degli atti (inerire alla prova di fatti allegati nel ricorso proposto, valorizzando il nesso con i motivi aggiunti l’orizzonte si amplia, incontrando l’unico limite costituito dalla “connessione” del documento con “l’oggetto del ricorso” ) . 21, l. Tar si occupa dell’impugnativa di cui all’art. 25, l. 241/1990 “in pendenza di un ricorso” subito appresso la disciplina dei motivi aggiunti[1]. Questo potrebbe essere lo spunto da coltivare, piuttosto che attribuire all’accesso una più angusta valenza istruttoria. Non vi è dubbio, d’altro canto, che l’istituto del diritto di accesso, in linea di massima, consenta di ampliare la conoscenza effettiva dell’episodio di azione amministrativa, anche influenzando indirettamente le scelte relative all’attività istruttoria (non già del giudice, ma) della parte, ovvero la sua linea processuale che può arricchirsi della proposizione di motivi aggiunti di ricorso. Si aggiunga che la cognizione dei fatti raggiunta a seguito della proposizione dell’azione di cui all’art. 21, l. Tar, potrebbe indurre anche il controinteressato a proporre ricorso incidentale, a ulteriore dimostrazione che l’accesso è qui visto in funzione non soltanto di tutela del ricorrente nel giudizio principale, agevolato nella prova di fatti già allegati (v. infra), ma di arricchimento del materiale processuale che potrebbe giovare anche ad altre parti del giudizio. I motivi aggiunti sono proponibili quando ricorrano “le stesse parti” e in relazione ad atti “connessi con l’oggetto del ricorso…”. Conseguenze: debba essere instaurato da una delle parti del processo principale, senza poter dare ingresso ad altri soggetti Controinteressati: quelli del proc principale, e quindi già noticiò compensa l’aggravamento della disciplina rispetto al regime ordinario della notifica determinato dalla necessità (che parrebbe emergere dall’interpretazione letterale della disposizione) di effettuare la notifica a tutti i controinteressati A fifferenza tesi B a delimitazione degli atti in ordine ai quali, ove la richiesta di accesso venga rigettata, si apre la via al giudizio incidentale. Mentre nel caso in cui l’istituto venga “piegato” alle mere esigenze istruttorie i documenti dovrebbero inerire alla prova di fatti allegati nel ricorso proposto[1], valorizzando il nesso con i motivi aggiunti l’orizzonte si amplia, incontrando l’unico limite costituito dalla “connessione” del documento con “l’oggetto del ricorso” (o, meglio, con la lesione dell’interesse per il quale agisce . La posizione del soggetto intenzionato a visionare un documento Istanza istruttoria nel processo pendente se pa non ottempera all’ordine di esibizione eventualmente disposto dal giudice a seguito dell’istanza istruttoria sarà valutato, almeno stando all’orientamento della giurisprudenza, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. La parte che propone l’istanza istruttoria non dispone della sicurezza di poter visionare il documento, ma, sul piano processuale, ha la garanzia che il processo non si concluderà prima dell’acquisizione del documento valutato come rilevante dal giudice, o, quanto meno, prima che il comportamento inottemperante dell’amministrazione sia divenuto processualmente rilevante. Richiesta accesso e a fronte del diniego azione ex 21 la natura istruttoria dell’ordinanza che definisce il giudizio induce a ritenere che, a differenza dell’atto con cui si conclude il giudizio ex art. 25, l. 241/1990[1], essa non abbia come contenuto l’ordine di esibizione del documento al richiedente. Questa, almeno, pare l’unica interpretazione coerente con il carattere istruttorio del provvedimento, che va ritenuto finalizzato all’acquisizione in giudizio di documenti, di conseguenza destinati ad essere visionati in prima battuta dai legali delle parti; essa inoltre rafforza la conclusione sopra prospettata (v. supra, par. 7.3) circa l’identità delle parti del giudizio incidentale rispetto a quello principale. La natura istruttoria dell’ordinanza sembra poi indurre a ritenere che essa non sia autonomamente impugnabile ”. Richiesta accesso e a fronte del diniego 25 l (sempre che facoltativo) , la parte potrà giovarsi dei più incisivi poteri giurisdizionali e della garanzia del doppio grado di giudizio, ma non ha la sicurezza che l’iniziativa possa giovare al processo principale, atteso che la legge non prevede alcuna sospensione del medesimo in attesa della conclusione di quello incidentale
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Sacrificio della tutela dei controinteressati
Un possibile percorso di verifica: la posizione del terzo titolare dell’interesse alla riservatezza Sacrificio della tutela dei controinteressati La tutela dell’accesso come valore insuscettibile di recedere a fronte di esigenze di semplificazione? Il discorso testè condotto non è tuttavia ancora completo: esso lascia infatti in ombra la posizione del terzo, in particolare del soggetto titolare dell’interesse alla riservatezza, le cui esigenze di tutela verrebbero sacrificate a seguito della scelta (sempre ché, come detto, di scelta possa parlarsi) del richiedente l’accesso che opti per il giudizio incidentale ex art. 21, l. Tar. E’ precisamente questo il profilo alla stregua del quale verificare la “tenuta” di qualsivoglia ipotesi ricostruttiva. Al riguardo occorre ancora indugiare sul fatto che, a differenza delle ordinarie istanze istruttorie, l’istanza in esame va notificata ai “controinteressati”. La tesi secondo cui ciò disvelerebbe la volontà del legislatore di consentire ai controinteressati del processo principale non già di proteggere “il riserbo sulle notizie inerenti alla propria persona”, bensì di opporre il loro interesse, di natura precipuamente processuale, che mira a impedire l’acquisizione istruttoria del documento[1] non convince appieno, atteso che un tale interesse ricorre in ogni caso di acquisizione istruttoria, e tuttavia la legge non impone che le relative istanze istruttorie siano notificate ai controinteressati[2]. Il significato di questa previsione non può che essere individuato nella necessità di porre a conoscenza della controversia sull’accesso i soggetti controinteressati rispetto alla medesima. D’altro canto, il diritto d’accesso ben potrebbe essere esperito dal controinteressato del giudizio principale al fine di acquisire elementi utili onde predisporre un ricorso incidentale, e, in questo caso, non è più sostenibile che l’istanza debba essere notificata a tutti i controinteressati del processo principale[3], risultando ad esempio necessaria la notifica al ricorrente, per definizione non controinteressato nel giudizio pendente. .1) Si può ritenere che la piena tutela dei controinteressati (del rapporto processuale relativo all’accesso) debba venire sacrificata sull’altare della semplificazione e dell’economia processuale[2]; confermerebbe il carattere strumentale dell’azione ex art. 21, l. Tar nei confronti del giudizio principale[1]; [1] Opinando in tal senso è più facile accettare la franca natura istruttoria dell’azione e giustificare l’intervento del giudice chiamato a valutare la rilevanza dei documenti, forse ricavando dall’art. 21, c. 7, l. Tar pure l’ulteriore potere di verificare la “necessità” della loro esibizione quando attengano alla posizione di un soggetto estraneo al processo (nell’art. 21, c.7 si tratta di amministrazione diversa da quella intimata, nel caso in esame di terzo titolare dell’interesse alla riservatezza non presente nel giudizio e destinato a non essere neppure intimato). A ulteriore conferma del carattere servente cui si fa cenno nel testo va ancora richiamata la posizione giurisprudenziale secondo cui, ove l’acquisizione riguardi documenti occorrenti per comprovare la illegittimità di un provvedimento dell’amministrazione, già oggetto di un giudizio pendente, non si può che utilizzare il giudizio incidentale (Cons. Stato, sez. VI, 1036/2002, cit.). in senso diametralmente opposto, è ipotizzabile un’interpretazione diversa della norma, in forza della quale, allorché il giudizio incidentale riguardi atti che coinvolgono la riservatezza di soggetti terzi (rispetto al giudizio principale), non si può prescindere dall’applicazione di un regime processuale che assicuri ad essi tutela analoga a quella di cui essi fruirebbero ove fosse esperita l’azione di cui all’art. 25, l. 241/1990 accedendo alla seconda, si riconoscerebbe che la tutela dell’accesso esprime un valore insuscettibile di recedere a fronte di esigenze di semplificazione processuale, dovendosi concludere che i terzi –tra l’altro, di norma, irrimediabilmente pregiudicati dalla esibizione dell’atto - vadano notiziati della proposizione dell’azione che si conclude con ordinanza; essa, avendo natura decisoria, sarebbe suscettibile di autonoma impugnazione e costituirebbe presupposto per l’esperimento del ricorso per l’ottemperanza . Pur nella consapevolezza della complessità del problema, a fronte del conflitto tra esigenze di economia processuale e istanze di difesa della posizione del terzo[1] pare preferibile la seconda alternativa, ancorché essa scardini l’unità dell’istituto e “complichi” notevolmente il processo principale[2] (alcuni di tali problemi sono comunque superabili con alcuni accorgimenti, quali, ad esempio, la conversione del rito da incidentale a principale [1] Essa riflette la tensione tra l’urgenza di non aggravare un processo pendente e la necessità di non esporre la tutela in materia di accesso a variazioni dipendenti dalla circostanza, in fondo del tutto casuale, che l’azione venga proposta da altri nell’alveo di un giudizio già instaurato.
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Uno sguardo di sintesi La natura polivalente del giudizio in materia di accesso L’interesse protetto dall’ordinamento Una conclusione provocatoria La “difficoltà di semplificare” Ancora sulla scarsa considerazione della posizione del terzo (v. però oggi d.p.r. 184/2006) La canalizzazione del dissenso, almeno nei casi in cui l’accesso non sia “piegato” ad esigenze istruttorie Ottemperanza e privato soccombente (Cons. giust. amm reg. Sic., n. 42/2007) Esso può essere utilizzato dai titolari di diritti soggettivi, di interessi legittimi, di altri interessi giuridicamente rilevanti e di interessi partecipativi; è servente rispetto alle esigenze di chi intenda agire in giudizio e di coloro che ricerchino elementi utili ai fini della proposizione di motivi aggiunti di ricorso; può poi essere utilizzato dall’interveniente in un procedimento amministrativo, del quale tutela un’utilità che non costituisce, per così dire, un bene finale della vita, ma rappresenta un valore –la conoscenza- strumentalmente impiegabile nel procedimento in corso. Anzi, più in generale, può osservarsi che è precisamente siffatta conoscenza di una porzione di realtà amministrativa, “spendibile” in una pluralità di situazioni diverse, l’interesse protetto dall’ordinamento. Due ulteriori –e dichiaratamente provocatorie- riflessioni a questo punto si impongono. In primo luogo occorre indugiare sulle conseguenze cagionate, nel nostro sistema, dal riconoscimento di tutela giurisdizionale ad un valore –la conoscenza- appunto strumentale rispetto alla protezione, attuale o futura, di un altro bene della vita coinvolto dall’azione amministrativa. Questo profilo concorre a spiegare la ragione per cui il legislatore abbia preferito introdurre un rito speciale: sarebbe infatti inutile ed eccessivo piegare quello ordinario ad esigenze del tutto diverse. L’attribuzione sul piano sostanziale del diritto di accesso ad un notevole numero di soggetti, tuttavia, determina (forse, di fatto, un abbassamento della soglia di tutela, e, comunque, sul piano della disciplina) la necessità di meccanismi di semplificazione della possibile fase processuale per scongiurare i rischi derivanti dalla sovrapposizione rispetto ad altri episodi di tutela giurisdizionale, attivati per proteggere “beni finali della vita” e coinvolgenti gli stessi documenti. Di qui, per citare due esempi, la previsione della concentrazione della competenza in capo al giudice del processo principale e il riconoscimento della natura istruttoria del provvedimento che decide il giudizio di cui all’art. 21, l. Tar, come tale non impugnabile. Tutto ciò rischia però di pregiudicare anche la posizione di soggetti involontariamente coinvolti dall’azione giurisdizionale, come accade nel caso del terzo titolare dell’interesse alla non diffusione del dato (par. precedente), in ordine al quale il problema della riservatezza costituisce non già un aspetto strumentale rispetto alla protezione di un altro bene della vita, ma bene finale della vita esso stesso. Al riguardo si consideri che, ampliando e alimentando le aspettative dei privati (appunto attraverso il riconoscimento esteso della facoltà di accedere ai documenti amministrativi), si finisce –in modo quasi altrettanto inevitabile- per incidere sulla posizione dei terzi che dall’esercizio di quella facoltà potrebbero essere pregiudicati. Il legislatore continua a dimostrare una certa miopia, trascurando la loro situazione: così come la normativa sul procedimento del 1990 si disinteressò della posizione del terzo titolare dell’interesse alla riservatezza, analoga dimenticanza si registra sul piano processuale (v. par. precedenti), introducendo un regime che, almeno accedendo ad alcune interpretazioni della confusa normativa, può gravemente intaccarne la garanzia di effettiva tutela. La legge non soltanto riconosce in modo molto ampio la titolarità del diritto di accesso e la conseguente legittimazione ad agire, ma sembra favorire in ogni modo l’impiego dell’istituto: sul piano sostanziale, ad esempio, introducendo l’accesso informale; su quello processuale, come visto, delineando un giudizio accelerato, la cui instaurazione non è preclusa dalla previsione dell’istituto del riesame ad opera del difensore civico. Si aggiunga che la l. 205/2000 sacrifica il valore della difesa tecnica[1], atteso che stabilisce la possibilità per il ricorrente di stare in giudizio personalmente e concede all'amministrazione di essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente. Ciò potrebbe essere giudicato come l’ulteriore riprova della centralità dell’istituto, di cui si riconosce la rilevanza anche in ordine ad un maggior controllo della società –o, quanto meno, di molte sue componenti- sull’attività amministrativa. Il rilievo è senz’altro corretto, soprattutto nella misura in cui evidenzia il noto fenomeno per cui l’amministrazione, sotto il pungolo del controllo del privato[2] che si giovi anche del meccanismo dell’accesso, è fatalmente indotta ad agire in modo più accorto ed attento, indirettamente giovando anche all’interesse pubblico. Appena si riprendano i rilievi critici svolti nel precedente paragrafo e si rifletta circa la disciplina positiva che, soprattutto in ordine al terzo, può alimentare interpretazioni che non assicurano una tutela effettiva, si affaccia un’ulteriore considerazione. A tacere del fatto che si conferma vieppiù il principio per cui la semplificazione, anche processuale, che giovi ad un interesse -in questo caso quello del ricorrente- di norma ne pregiudica altri[3], sembra possibile osservare che la disciplina dell’accesso mira a regolamentare parte dei “contatti”[4] tra amministrazione e un privato che, in qualche misura, già manifesta la propria contrarietà in ordine al comportamento complessivo della prima. In tal modo, essa di fatto ha anche la funzione di favorire la dissoluzione –o la canalizzazione- della carica eversiva che alimenta quell’atteggiamento in una sede formalizzata, spesso in un momento precedente alla conclusione del procedimento, o, comunque, al di fuori del giudizio avverso il provvedimento finale. In altri termini, apprestando uno specifico momento procedimentale e un’occasione giurisdizionale autonoma –la cui conclusione, di fatto, è tuttavia spesso non utile per l’impugnazione del provvedimento finale- per esprimere e rivendicare le proprie pretese, si offre un’occasione per sfogare e diminuire il proprio dissenso, magari attraverso l’opera di mediazione del difensore civico. Sul piano sociologico si tratta di un classico esempio di un meccanismo di canalizzazione del dissenso[5]; sul piano giuridico si sarebbe tentati di osservare che uno strumento, generalmente catalogato tra quelli previsti a favore dei privati, risponde soprattutto alle esigenze del potere pubblico.
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