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DIMENSIONAMENTO DI ELEMENTI DI MACCHINE
Il dimensionamento degli elementi di macchine può essere svolto in base a tre diversi criteri: 1. Cautelarsi dalla rottura (dimensionamento a RESISTENZA); 2. Cautelarsi dal danneggiamento superficiale (dimensionamento ad USURA); 3. Fornire all’elemento una rigidezza accettabile (dimensionamento a RIGIDEZZA). DIMENSIONAMENTO A ROTTURA Si deve innanzitutto stabilire quali azioni possono provocare la rottura. Le diverse azioni si possono classificare nel seguente modo: - Forze applicate staticamente a temperatura ambiente in ambiente non corrosivo. - Forze applicate staticamente a temperature elevate in ambiente non corrosivo. Fenomeni di scorrimento viscoso (creep). - Fatica a temperatura ambiente ed in ambiente non corrosivo (fatigue). - Fatica ad alta temperatura, in ambiente non corrosivo (high temperature fatigue). - Forze applicate staticamente a temperatura ambiente in mezzo corrosivo. Fenomeni di corrosione sotto sforzo (stress corrosion). - Forze che si ripetono ciclicamente, in mezzo corrosivo (stress corrosion fatigue). Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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- Forze statiche a temperatura ambiente, in ambiente non corrosivo, in presenza di difetti o fessure nel pezzo. La presenza di difetti può portare a rotture disastrose di tipo sia duttile sia fragile. Lo studio di tali sollecitazioni viene eseguito per mezzo della Meccanica della Frattura (fracture mechanics). - Forze che si ripetono ciclicamente a temperatura ambiente, in ambiente non corrosivo, in presenza di difetti o fessure nel pezzo. La fessura si propoga o la rottura si verifica a causa di sollecitazioni di fatica. Si usa ancora la Meccanica della Frattura (fracture mechanics). - Deformazioni statiche, in mezzo non corrosivo dovute a variazioni di temperatura (thermal stresses). - Deformazioni ripetute ciclicamente, in mezzo non corrosivo dovute a variazioni di temperatura (thermal fatigue). - Accumulo ciclico di deformazioni a causa di forze applicate e/o variazioni termiche (mechanical o thermal ratcheting). I meccanismi che possono provocare la rottura sono molteplici e sono associati alle diverse condizioni di funzionamento tipiche dei vari elementi di macchine. Si ipotizza un rischio di rottura per ogni condizione operativa tipica (COT). Ogni elemento di macchina può avere più condizioni operative tipiche e ad ogni condizione operativa si associa un danno. In presenza di più condizioni operative tipiche, il danno totale può essere maggiore della somma dei danni associati al verificarsi delle singoli condizioni (fenomeno del sinergismo). Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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La rottura si verifica se il danno diventa maggiore di un danno ammissibile. Non si verifica rottura se accade che: Il danno ammissibile viene definito come una frazione del danno limite: Il coefficiente di sicurezza (c.s.) indica in che misura il funzionamento della macchina si discosta dal limite di rottura. Il coefficiente di sicurezza viene anche chiamato coefficiente di ignoranza poiché non sempre si sa con esattezza come determinare l’entità del danno. Il coefficiente di ignoranza è tanto più grande quanto maggiore è l’incertezza su come calcolare il danno globale ed il danno limite. Invece del parametro DANNO, si possono usare parametri legati alle azioni agenti su un dato elemento. Ad esempio, in corrispondenza di forze agenti su un elemento ci si riferisce alla tensione massima srif, cioè quella agente nella zona più sollecitata ed il criterio di dimensionamento diviene: Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Se l’azione sull’elemento è dovuta a deformazioni applicate all’elemento, si deve verificare che la deformazione risultante Defrif sia minore di un valore ammissibile: È pratica comune esprimere ricondursi ai valore delle tensioni, una volta calcolati i valori delle deformazioni. Definito il modulo di elasticità normale E (o modulo di Young) si possono ricavare i valori delle tensioni di riferimento, ammissibile e di rottura: ovviamente, accade pure che: Combinando le varie relazioni scritte, si giunge alla classica espressione usata nel dimensionamento a resistenza: Si noti che gli stati di tensione sono di solito pluriassiali. Per tale motivo, si indicano i valori di riferimento con la notazione di “valori ideali”, perché la verifica di resistenza viene compiuta utilizzando trattando la sollecitazione pluriassiale come se fosse “idealmente” monoassiale. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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In caso di sollecitazioni di fatica si considerano come valori di riferimento la tensione (o la deformazione) massima nel ciclo e la differenza tra le tensioni (o le deformazioni) massima e minima nel ciclo. I limiti di rottura dipendono dal numero di cicli (vita utile richiesta), dal tipo di sollecitazione (trazione-compressione, flessione alternata, ecc.) e da un parametro che caratterizza la tensione (tensione media, rapporto tra le tensioni massima e minima). Se ci sono cricche o fessure, si definisce un fattore di intensificazione degli sforzi e si usa la teoria della meccanica della frattura elastica. Il fattore di intensità degli sforzi K viene calcolato come: ove: Y è un coefficiente dipendente dalla forma dell’elemento di macchina e della fessura nonché dalla zona in cui è presente la fessura; s è la tensione che si avrebbe all’apice della fessura se la fessura non fosse presente; a è una dimensione tipica della fessura. Il criterio di dimensionamento sarà quindi: ove Kc è un valore limite per il quale la frattura non si propaga in modo instabile. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Nel caso in cui si debba progettare un pezzo a fatica e siano presenti cricche o fessure, il criterio di dimensionamento è il seguente: ove DK è un valore limite per il quale la velocità massima di propagazione del difetto è ancora accettabile. Per operare il dimensionamento a rottura si deve determinare in quale zona della macchina si ha la massima tensione o deformazione. Si deve esaminare il tipo di azione applicata e la sua pericolosità, come anche la geometria dell’elemento. Se le azioni sono delle forze, si devono stabilire quali forze vengono trasmesse ad un dato elemento di macchina dagli elementi ad esso adiacenti; inoltre si devono determinare le reazioni vincolari. Queste operazioni sono compiute in base a considerazioni di equilibrio. Si applicano le Equazioni Cardinali della Statica e della Dinamica. Moto uniforme .. Moto non uniforme Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Nel caso di strutture iperstatiche, le equazioni cardinali non sono sufficienti e si devono perciò utilizzare delle condizioni di congruenza. Si formula quindi un problema elastico per la cui risoluzione vi sono vari strumenti: il metodo degli elementi finiti, il metodo delle forze, il metodo degli spostamenti. Si noti che la scelta del metodo non influenza la soluzione del problema elastico ottenuta poiché quando la soluzione esiste è comunque unica (teorema di unicità dell’equilibrio elastico). Una volta che sono state determinate le forze scambiate e le reazioni vincolari si può determinare lo stato interno del sistema in termini di tensioni e deformazioni. Nella pratica progettuale si possono trovare svariati tipi di strutture. Trave di Saint Venant, è una struttura con una dimensione molto maggiore delle altre due. Lastra e piastra, sono strutture con una dimensione molto più piccola delle altre due. La struttura si può considerare come un “mantello” avente un certo spessore. In strutture siffatte, si ha uno stato piano di tensione: se z è la coordinata in direzione dello spessore lo stato piano di tensione è quello per cui si risulta sz=txz=tyz=0. La struttura viene chiamata “lastra” se i carichi agiscono nel piano xy. Se invece i carichi agiscono normalmente al piano xy la struttura viene chiamata “piastra”. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Guscio, è ancora una struttura sottile ma la superficie (“mantello”) è curva e le forze possono agire sia nel piano xy, sia perpendicolarmente ad esso. La struttura viene considerata un modello solido quando non esistono delle dimensioni prevalenti rispetto alle altre. Si possono introdurre delle semplificazioni nella geometria, nei carichi e nei vincoli (p.e. simmetria, emisimmetria, assialsimmetria). Per strutture di tipo trave, lastra, piastra e guscio esiste una vasta raccolta di formulazioni e soluzioni analitiche. (cfr. Roark-Joung, “Formulas for stress-strain”, Mc Graw-Hill, New York, 1975). Se non esiste una soluzione analitica si può comunque trovare una soluzione numerica utilizzando il metodo degli elementi finiti. Se nella struttura ci sono degli intagli si determina la tensione massima della struttura senza intagli e si moltiplica il valore ottenuto per un fattore di forma KT chiamato fattore di intensificazione degli sforzi (stress concentration factor) o anche fattore di intaglio. Il fattore di forma KT dipende dalla forma dell’intaglio (cfr. Patterson, “Stress concentration design factors”, Wiley, New York, 1974). Ad esempio, per le travi è molto semplice risalire ai valori maggiorati di tensione, perché una volta che si conoscono le caratteristiche della sollecitazione in una data sezione si può immediatamente determinare il corrispondente stato tensionale. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Se lo stato di tensione è pluriassiale si usa come tensione di riferimento la tensione “ideale” che dipende da che criterio di rottura viene adottato. I criteri di rottura più largamente utilizzati sono: Criterio di Tresca, che si basa sulla massima tensione di taglio; Criterio di Von Mises, che si basa sulla massima energia di distorsione. I due criteri sono sostanzialmente equivalenti. Il criterio di Von Mises è più utilizzato per calcoli strutturali compiuti su elaboratori elettronici. Nel caso di sollecitazioni pluriassiali dovute a carichi di fatica, non c’è attualmente concordanza sul modo in cui determinare la tensione “ideale” (srif). Vi sono due diversi approcci: 1. La tensione ideale viene calcolata come per il caso statico in base alla componente alternata della tensione di fatica, valutando quindi l’effetto della tensione media. 2. Ogni componente di tensione è vista come un contributo Di al DANNO globale: ove: i indica il contributo isimo: Smaxi ed Srotti sono le componenti di tensioni massima e limite corrispondenti alla isima sollecitazione; Ni è il numero di cicli durante i quali è attivo il contributo isimo; Ni è il numero di cicli per cui il contributo isimo provocherebbe da solo la rottura. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Può anche accadere che l’elemento di macchina sia soggetto a deformazioni provocate da variazioni di temperatura, quando la temperatura delle condizioni di esercizio è diversa dalla temperatura delle condizioni di montaggio. In tal caso, si deve fare in modo che il corpo sia libero di deformarsi senza che intervengano delle sollecitazioni addizionali: in sostanza non ci devono essere tensioni termiche. l B c B Si consideri una mensola di lunghezza l e sezione A, con modulo di elasticità E. Se l’estremo B è libero, la trave non è soggetta a sollecitazioni termiche in corrispondenza di una variazione di temperatura DT. Se invece c’è una molla di rigidezza c si può determinare la forza assiale di reazione F scambiata tra la trave e la molla. Si deve avere che: Si ricava il valore della forza F: Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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La forza F si può riscrivere come: La forza F è di trazione se DT<0, di compressione se DT>0. Se c=0, la forza di reazione esercitata dalla molla è nulla. Se c , si ottiene la forza di reazione In questo caso si dice che il vincolo è infinitamente rigido e la forza F non dipende né dalla rigidezza della molla né dalla lunghezza della trave. Si calcola quindi la tensione termica agente sulla trave: Si definisce il parametro b che fornisce informazioni sull’effetto del vincolo. In particolare succede che b vale 0 se c=0, oppure vale 1 se c Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Si scrive l’espressione finale della tensione termica nel caso monodimensionale: che è di compressione o di trazione a seconda che il DT sia positivo o negativo. Poiché il parametro b varia tra 0 (estremo libero) ed 1 (vincolo ideale, infinitamente rigido) si osserva che le tensioni termiche saranno presenti solo se il vincolo ha una qualche rigidezza. La massima tensione termica si ha per b=1 e vale: La soluzione del problema elastico se ci sono anche sollecitazioni termiche deve ancora una volta rispettare tre tipi di condizioni: 1. Equilibrio; 2. Congruenza; 3. Legame costitutivo sforzi-deformazioni. Le equazioni costitutive contengono i termini relativi alle sollecitazioni termiche. Nel caso di un materiale omogeneo ed isotropo, i legami costitutivi sono modificati nel seguente modo: Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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dove: a è il coefficiente di dilatazione termica, assunto uguale in tutte e tre le direzioni x,y,z per l’isotropia del materiale; E e G sono i moduli elastici normale e tangenziale, con G=E/2(1-n), mentre n è il coefficiente di Poisson. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Si nota che solo le deformazioni ex,ey, ez lungo le direzioni principali dipendono dalla temperatura e sono somma di due contributi: un contributo dovuto alle sollecitazioni meccaniche (indicato con il pedice m) ed un contributo dovuto alle sollecitazioni termiche (indicato con il pedice T). In un cubetto isotropo non vi è quindi alcuna variazione di forma dovuta alla temperatura. Le relazioni costitutive scritte sopra consentono di calcolare le tensioni termiche in corrispondenza di ogni possibile condizione di vincolo. Nel caso di vincolo perfetto monodimensionale, il vincolo agisce lungo la sola direzione x (trave considerata in precedenza) e pertanto si ha che: ex=0, sy= sz= 0. Dalla prima delle relazioni costitutive si ricava che: espressione identica a quella ricavata in precedenza nel caso che la molla fosse infinitamente rigida (b=1). Nel caso di vincolo perfetto bidimensionale, il vincolo agisce lungo le direzioni x ed y (lastra incastrata lungo un bordo) e pertanto si ha che: ex= ey=0, sz=0. Dalle prime due relazioni costitutive si ricava che: Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Si nota che questa condizione è più pericolosa di quella che si trovava per il caso di vincolo monodimensionale. Infatti, per il caso dell’acciaio, il modulo di Poisson n è 0.3 e il denominatore è di conseguenza 0.7. La corrispondente tensione termica è perciò il 40% maggiore della tensione termica dovuta alla presenza di un vincolo monodimensionale. Una situazione ancora più critica si verifica nel caso di vincolo perfetto tridimensionale. Il vincolo agisce lungo le tre direzioni x, y e z (modello solido incastrato in corrispondenza di alcune sue porzioni) e pertanto si ha che: ex= ey= ez=0. Dalle relazioni costitutive si ricava che: Tale valore di tensione è addirittura 2.5 volte maggiore di quella corrispondente al caso monodimensionale. Le espressioni delle tensioni termiche ricavate per il caso di una variazione uniforme di temperatura, si generalizzano per vincoli monodimensionali, bidimensionali e tridimensionali. Si scrive che la generica (isima lungo x,y,z) componente di tensione vale: Il parametro b fornisce informazioni sul tipo di vincoli agenti sulla struttura e varia tra 0 (assenza di vincoli) ed 1 (vincolo infinitamente rigido, ideale). Il parametro g dipende dai gradi di libertà che il vincolo sottrae alla struttura e vale 1, 1/(1-n) o 1/(1-2n) se il vincolo è monodimensionale, bidimensionale o tridimensionale. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Se la variazione di temperatura è disuniforme, ci possono essere tensioni termiche anche se la struttura non è vincolata iperstaticamente. Una struttura complessa viene suddivisa in tanti cubetti elementari. Ogni cubetto avrà una differente variazione dimensionale. In particolare, un cubetto di piccolo volume tende a contrarre un cubetto adiacente di volume maggiore; analogamente un cubetto di maggiore volume tende ad espandere un cubetto adiacente di minore volume. Le differenti variazioni di volume producono delle tensioni termiche che devono essere tenute in conto per effettuare il dimensionamento dell’elemento di macchina. Dalla discussione sopra riportata, si evince che nel caso di variazioni non uniformi di temperatura, le sollecitazioni termiche insorgono per effetto dei vincoli interni. L’espressione della tensione termica è simile a quella ricavata per il caso di sollecitazioni uniformi. La tensione termica dipende dalla variazione di temperatura DT tra punto e punto della struttura, e dai soliti parametri b e g, relativi al tipo e all’effetto dei vincoli. L’espressione della generica componente (lungo x,y,z) di tensione è: Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Classificazione delle azioni gravanti sugli elementi di macchine Le varie azioni possono essere più o meno “pericolose” per l’eventuale rottura di un elemento di macchina. Per questo motivo, le azioni vengono suddivise in varie categorie o classi e a ciascuna categoria corrisponde uno specifico valore di deformazione e tensione ammissibile. Azioni di tipo 1 Se la mensola soggetta al carico assiale P ha una sezione costante A, in ogni sezione della trave agisce una tensione costante pari a: P Le condizioni di snervamento o rottura saranno raggiunte nel momento in cui la tensione s diventa uguale ai corrispondenti valori limite sS e sR. La tensione ammissibile sarà scelta in modo da non avere né snervamento e né rottura, definendo degli opportuni coefficienti di sicurezza hS ed hR. In sostanza ci si cautela contemporaneamente dallo snervamento e dalla rottura. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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La tensione ammissibile samm1 rimane costante poiché viene ricavata in base a condizioni di equilibrio. Azioni di tipo 2 Se la mensola a sezione rettangolare in figura è soggetta al momento flettente Mz la tensione sx non sarà più costante ma varierà lungo l’asse y con la seguente legge: x Mz b B h In corrispondenza dei punti A e B, cioè per y=h/2, si avranno le tensioni massime e minime, pari a: z A y Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Se la tensione massima sm è pari alla tensione di snervamento sS, si snervano le fibre disposte ad y=h/2, cioè sul bordo della sezione trasversale della trave, mentre le fibre interne rimangono in campo elastico. In questo caso non tutta la trave cede perché solo alcune fibre solo snervate. La condizione di pericolosità corrisponderà allo snervamento di tutte le fibre e si verificherà se il valore del momento applicato è tale da snervare tutte le fibre. Il diagramma della tensione sarà del tipo mostrato nella figura sottostante: -sS +sS Applicando un momento pari ad Mp, si nota che metà sezione è snervata da un valore di tensione negativo pari a – sS, mentre l’altra metà è snervata da un valore di tensione pari a sS. e s Nel caso in cui si abbia un materiale perfettamente elasto-plastico che non presenti incrudimento la trave si deforma fino ad arrivare a rottura nel momento in cui è caricata con il momento Mp. Al fissato livello di tensione sS la deformazione continua ad aumentare fino a che non si ha il cedimento della struttura. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Si può quindi dire che il momento Mp è il carico massimo sopportabile, prima che si verifichi la condizione di cerniera plastica che corrisponde ad aumentare i gradi di libertà della struttura rendendola labile. x P M=PL Può accadere che non tutte le sezioni della trave siano in condizione di cerniera plastica. Ad esempio se la mensola di lunghezza L è caricata con una forza verticale P, il momento massimo si avrà in corrispondenza dell’incastro e sarà pari ad PL. I momenti di cerniera plastica Mp sono di legati al valore del momento di snervamento Ms da un parametro l . Si noti che il momento di snervamento ha un significato ben diverso dal momento di cerniera plastica. Infatti, il momento di snervamento è il momento per il quale solo alcune delle fibre della sezione resistente sono snervate, mentre il momento di cerniera plastica è il momento per cui tutte le fibre della sezione resistente sono snervate. È quindi evidente che il momento di cerniera plastica sarà più grande del momento di snervamento. Si scrive che: ove il parametro l è maggiore di 1 ed i suoi valori sono tabellati per sezioni di varia geometria (p.e. 1.1 per sezione a doppio T, 1.5 per sezione rettangolare, etc). Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Le azioni di tipo due diventano quindi pericolose nel momento in cui si raggiunge la condizione di cerniera plastica. Si scrive quindi che: ove hP è il coefficiente di sicurezza a cerniera plastica. Se hP è uguale al coefficiente di sicurezza a snervamento si può scrivere che: Si conclude quindi che le azioni di tipo due sono meno pericolose delle azioni di tipo 1. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Azioni di tipo 4 Queste azioni sono causate da deformazioni applicate ripetutamente. Un tipico esempio è quello di “fatica termica” ove gli elementi di macchina sono fatti funzionare e vengono arrestati in corrispondenza di temperature variabili, p.e. si passa ripetutamente da una condizione “a freddo” ad una condizione “a caldo” e così via. Se il corpo non è “sufficientemente libero”, ossia non vi sono gradi di libertà in corrispondenza delle deformazioni indotte dalle variazioni di temperatura, insorgeranno delle tensioni termiche che varieranno nel tempo. Nello schema in figura sono rappresentati i cicli termici di un elemento di macchina il cui funzionamento avviene in corrispondenza di temperature diverse dalla temperatura Tm di montaggio. Si vogliono determinare le condizioni tipiche di un siffatto elemento di macchina. Tm Tempo Temperatura L’analisi viene condotta considerando un modello elasto-plastico senza incrudimento. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Si possono verificare tre diverse condizioni tipiche in funzione del valore di Tm. Si noti che la temperatura Tm è considerata negativa in maniera che le conseguenti deformazioni termiche ea siano positive (ea = -a.DT). Condizione 1 : ea = -a. Tm < eS La deformazione ea provocata dalla sollecitazione termica è inferiore alla deformazione corrispondente allo snervamento. e s O A P eA= -a. Tm eR Il punto di funzionamento P si muoverà sempre sul tratto 0A, passando dalla condizione tipica O alla condizione tipica A e viceversa. Il materiale rimarrà sempre in campo elastico, resistendo indefinitamente. Condizione 2 : ea = -a. Tm > 2eS La deformazione massima ea provocata dalla sollecitazione termica è maggiore del doppio della deformazione corrispondente allo snervamento. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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s O A ea= eB= -a. Tm B C D E ss -ss eS 2eS eR Il primo ciclo comincia imponendo la deformazione termica ea. Il materiale lavora inizialmente in campo elastico e poi va in campo plastico, una volta che si raggiunge il limite di snervamento, raggiungendo la condizione operativa del punto B per cui la deformazione è pari a ea e la tensione è pari alla tensione di snervamento sS. Segue poi una fase di scarico progressivo in cui la deformazione viene ridotta. Il materiale segue il tratto BC parallelo al tratto OA che corrispondeva al campo elastico. La tensione si riduce progressivamente, invertendosi di segno, finché non raggiunge il valore –sS pari allo snervamento in compressione, in corrispondenza del punto C. La tensione non cambia più di valore e si giunge al punto D per cui si ha deformazione nulla. Il primo ciclo di lavoro si conclude nel punto D. Il materiale segue poi il tratto DE che corrisponde ad un nuovo aumento della deformazione fino a che non si giunge al punto E per cui la deformazione è pari a 2eS. Si segue poi il tratto EB per raggiungere il valore imposto di deformazione ea e si completa il secondo ciclo riducendo progressivamente la deformazione (tratto BC) e lavorando infine in regime di plasticità in compressione (tratto CD). Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Nei cicli successivi al primo, la condizione operativa del materiale si muove lungo il parallelogramma DEBC. In sostanza, il materiale passa ciclicamente dalle deformazioni plastiche in trazione alle deformazioni plastiche in compressione. In ogni singolo ciclo viene dissipato un lavoro per unità di volume pari all’area del parallelogramma DEBC: ove eB è pari alla deformazione termica applicata ea, mentre eS e sS sono rispettivamente la deformazione e la tensione corrispondenti al punto di snervamento. Il materiale compie dei cicli di isteresi ed in ogni ciclo si dissipa un lavoro per unità di volume pari ad LC. Il lavoro dissipato provoca un aumento della temperatura e un accumulo di danneggiamento. Questa condizione di funzionamento è molto pericolosa perché il materiale si rompe dopo un basso numero di cicli (low cicle fatigue). Il numero di cicli a cui il materiale si rompe è strettamente legato al valore di Lc e la rottura per fatica termica si verifica di solito a 104 cicli. Un caso di rottura per fatica termica è quello di un filo di ferro piegato ripetutamente. Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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Condizione 3 : eS < ea = -a. Tm < 2eS La deformazione massima ea provocata dalla sollecitazione termica è compresa tra la deformazione di snervamento ed il doppio della deformazione di snervamento. e s O B eF = ea= -a. Tm G F ss eS 2eS eR Nel primo ciclo il materiale percorre dapprima il tratto elastico OB e poi si deforma plasticamente nel tratto BF, fino ad arrivare nel punto F corrispondente alla sollecitazione termica applicata. La deformazione viene poi progressivamente ridotta ed il punto di funzionamento del materiale si sposta lungo il tratto FG, parallelo al tratto elastico OB. Ad un certo punto la tensione diviene negativa ma il materiale non si deforma plasticamente in compressione perché non si raggiunge il valore -sS. Il primo ciclo si conclude nel punto G. Nei cicli successivi al primo il punto di funzionamento si sposta sul tratto GF ed il materiale rimane nel campo elastico, perché durante la fase di scarico non si raggiunge la tensione di snervamento in compressione. Il materiale si deforma plasticamente solo nel primo ciclo di lavoro e non si ha ciclo di isteresi. Questa condizione di funzionamento appare più sicura di quella che presentava cicli di isteresi ed infatti la rottura interviene dopo un più elevato numero di cicli. Il tipico intervallo in cui varia il numero di cicli di rottura è Consorzio NET.T.UN.O Politecnico di Bari, A.A
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