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PubblicatoGiorgina Cattaneo Modificato 9 anni fa
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DIFESE SECONDARIE Le difese secondarie sono meccanismi intrapsichici più maturi ed evoluti che implicano una labilità dei confini interni tra le diverse istanze psichiche (Es, Io, Super-Io), mentre il confine tra il Sé e il mondo esterno appare mantenuto. Riconducibili alla fase verbale dello sviluppo, sono dunque tipiche di organizzazioni strutturali più mature (nevrotiche), caratterizzate da capacità verbali e di pensiero più evolute, in cui appare integro l’esame di realtà, la separatezza tra Sé e non-Sé e la costanza oggettuale.
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Esse sono classificabili in:
Comportano una trasformazione specifica di pensieri, sentimenti sensazioni, comportamenti al fine di ottenere un maggiore adattamento alla realtà. Esse sono classificabili in: Rimozione Regressione Isolamento Intellettualizzazione Razionalizzazione Moralizzazione Compartimentalizzazione Annullamento Volgersi conto il Sé Spostamento Formazione reattiva Capovolgimento Identificazione acting-out Sessualizzazione sublimazione
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1) RIMOZIONE Rappresenta la difesa principe tra quelle di ordine superiore, così come la scissione è la difesa fondamentale all’interno dei meccanismi primitivi. L’essenza della rimozione è un dimenticare o ignorare motivato: viene espulsa o tenuta lontano dalla coscienza una disposizione interna o una circostanza esterna particolarmente disturbante, relegandola direttamente al livello inconscio. Tale processo è applicabile a un’esperienza nella sua globalità oppure solo alla sua componente affettiva, cognitiva, volitiva.
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In altre parole un’emozione, un’idea, una percezione diventano inaccessibili alla coscienza a causa del loro potere disturbante. Ad esempio: in seguito ad un trauma la rimozione opera un’esclusione selettiva del contenuto psichico destabilizzante, in questo modo il soggetto non è in grado di richiamare volontariamente alla coscienza il ricordo degli eventi terribili e potenzialmente letali esperiti e di mantenere un precario equilibrio psichico. Tuttavia il contenuto rimosso riaffiora alla coscienza sotto forma di improvvisi flash-back involontari (“ritorno del rimosso”).
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Essa viene considerata lo strumento per fronteggiare impulsi disturbanti, irrealizzabili e spaventosi, non sostenibili a livello cosciente dal soggetto. Ad esempio: quando il bambino esperisce il desiderio evolutivamente normale di distruggere uno dei genitori al fine di possedere l’altro, opera una rimozione del contenuto intollerabile relegandolo nell’inconscio. In questo modo viene esclusa la rappresentazione connessa ad una pulsione il cui soddisfacimento sarebbe in contrasto con altre esigenze psichiche (Es vs Super-Io).
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Si possono delineare 3 varianti della rimozione:
La rimozione (così come tutti i meccanismi difensivi di ordine superiore) può essere messa in atto solo se le esperienze precoci hanno consentito al soggetto di raggiungere un senso di totalità e contitnuità del Sé. Se ciò non è accaduto allora il soggetto ricorrerà a meccanismi più primitivi, quali ad es. diniego, proiezione e scissione. Si possono delineare 3 varianti della rimozione: I casi gravi e profondi di traumi non ricordati; I normali processi evolutivi che permettono al bambino di espellere gli impulsi insostenibili; Le dimenticanze tipiche della quotidianità.
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Possiamo dunque considerarla come disposta lungo un continuum:
ad un estremo vi sono i tentativi sani e creativi messi in atto dal soggetto in talune circostanze al fine di evitare o gestire sentimenti intensi e minacciosi (angoscia), all’altro l’estremizzazione e la pervasività di tale modalità difensiva, fa sì che vengano eliminati anche aspetti positivi di vita ed esclusa la possibilità di ricorrere ad altri meccanismi più efficaci, connotandola in senso patologico. Il ricorso preferenziale ed eccessivo a questa particolare difesa, unito ad altre difese che spesso coesistono con essa, è tipico della personalità isterica.
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2) REGRESSIONE Rappresenta una difesa ad un angoscia attuale mediante il ricorso a tecniche di gratificazione appartenenti ad un precedente stadio di sviluppo. Essa si manifesta nel ritorno a forme di pensiero, comportamenti, relazioni oggettuali tipicamente infantili riconducibili a fasi precedenti dello sviluppo psichico. Ad esempio: quando un bambino già grande è stanco o affamato può ricadere in comportamenti che solitamente metteva in atto a un’età minore, agendo ciò che comunemente viene denominato “fare i capricci” .
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Freud distingue 3 varianti di regressione:
Topica: fa riferimento all’organizzazione topica dell’apparato psichico, tipica dei sogni in cui l’energia regredisce fino al sistema percettivo e viene “scaricata” sotto forma di immagini sensoriali mentre l’azione è inibita. Temporale: fa riferimento al ritorno dell’attività psichica a fasi già raggiunte e superate dello sviluppo evolutivo. Formale: fa riferimento al ritorno a modi espressivi e comportamentali meno differenziati, complessi e stutturati, tipici del processo pimario.
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Il ricorso pervasivo a tale difesa è tipico della personalità infantile (o dipendente) e ipocondriaca incapaci di affrontare autonomamente le sfide dell’esistenza. In quest’ottica il soggetto può reagire alle tensioni della crescita e del cambiamento ammalandosi fisicamente e quindi usando il ruolo di malato per affrontare gli aspetti problematici della vita. Tale particolare variante della regressione è detta somatizzazione e comporta una menomazione fisica legata ad una tensione emotiva.
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3) ISOLAMENTO Tale meccanismo è tipico delle nevrosi ossessive e consiste nell’isolare un pensiero: dalla carica affettiva che gli è connessa; oppure dal contesto significativo in cui è inserito. L’aspetto affettivo di un’esperienza o di un’idea viene separato dalla dimensione cognitiva. Quindi a differenza della dissociazione, l’esperienza non è totalmente esclusa dalla coscienza, ma solamente il suo correlato emotivo.
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Viene considerato a più primitiva delle “difese intellettuali”: intellettualizzazione, razionalizzazione, moralizzazione, compartimentalizzazione. Esse possono essere viste come delle varianti più evolute basate sull’isolamento in quanto hanno il comune il fatto di relegare nell’inconscio l’aspetto emotivo-affettivo di una situazione, idea o evento. Il ricorso pervasivo a tale difesa è tipico della personalità ossessiva che opera una sopravvalutazione del pensiero ed una conseguente sottovalutazione del sentimento.
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Nelle nevrosi ossessive infatti un’esperienza traumatica viene spogliata del suo affetto, mentre le sue associazioni sono represse o interrotte, essa resta come isolata e non viene riprodotta nel corso dell’attività cognitiva. Nel corso della terapia esso si può configurare come un particolare tipo di resistenza poiché lacera i nessi associativi, isolando rappresentazione e affetto le associazioni del pz appaiono prive di senso.
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4) INTELLETTUALIZZAZIONE
Rappresenta una versione di ordine superiore dell’isolamento dell’affetto dall’intelletto. Si configura come la tendenza a formulare in termini teorici i propri conflitti interni al fine di padroneggiarli meglio. Il soggetto dunque preferisce ricorrere all’astrazione e alla concettualizzazione invece di affrontare gli affetti, assumendo una posizione difensivamente cognitiva ed antiemotiva.
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La differenza sostanziale tra isolamento e intellettualizzazione è che il soggetto che utilizza il primo riferisce di non provare alcun sentimento, mentre chi utilizza la seconda parla in maniera anaffettiva dei propri sentimenti. Il ricorso a tale difesa presuppone una notevole forza dell’Io poiché il soggetto nonostante viva una situazione carica di significato emotivo, riesce a continuare a pensare razionalmente agli aspetti affettivi della stessa. Se in taluni momenti di vita essa può rappresentare un’importante fonte per padroneggiare le pulsioni (es. adolescenza), il ricorso eccessivo ad essa come unica modalità per affrontare la vita può privare il soggetto di importanti fonti di gratificazione (es. sesso, umorismo, arte).
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5) RAZIONALIZZAZIONE Consiste nel cercare di dare una spiegazione coerente sul piano logico di un sentimento, azione, comportamento o sintomo, di cui non si vuole indagare la vera motivazione. Spesso infatti le persone rifiutano di ammettere le reali motivazioni che le spingono ad agire, preferendo invece circondare le proprie decisioni da una serie di “buone ragioni”.
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La razionalizzazione entra in gioco in 2 differenti situazioni:
quando non riusciamo ad ottenere qualcosa che vogliamo, allora retrospettivamente razionalizziamo che l’oggetto non era poi così desiderabile né importante (razionalizzazione dell’uva acerba). Ad esempio: Se non ci si può permettere una casa si razionalizza dicendo che sarebbe stata comunque troppo grande per le nostre esigenze; quando accade un episodio spiacevole e lo giustifichiamo come non grave di ciò che è in realtà (razionalizzazione del limone). In caso di fallimento di un esame, si può razionalizzare dicendo l’esperienza è stata importante per aiutarci ad affrontare al meglio il prossimo appello.
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6) MORALIZZAZIONE Rappresenta il tentativo di apporre giustificazioni socialmente accettabili dal punto di vista etico di sentimenti, pensieri e comportamenti, postulando che sia doveroso sentire, pensare o comportarsi in quel modo. Attraverso la moralizzazione il soggetto pone un desiderio nella sfera di ciò che è giustificato o moralmente obbligatorio.
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Se dunque la razionalizzazione si configura come il tentativo di apporre basi cognitivamente accettabili al proprio operato, la moralizzazione fa altrettanto ma dal punto di vista morale. Ad esempio: Di fronte ad una delusione chi adotta la razionalizzazione tenderà a sottolineare che l’esperienza è stata comunque una fonte di apprendimento, chi utilizza la moralizzazione insisterà nel dire che gli ha forgiato il carattere La differenza dunque consiste nel fatto che la prima traduce in un linguaggio ragionevole un desiderio già presente, mentre la seconda lo rende moralmente doveroso.
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Ad esempio: Un’attrice che ricorre continuamente alla chirurgia estetica difficilmente tenderà a ricondurlo al suo senso di vanità, quanto piuttosto ad un “dovere” che la sua professione le impone. La razionalizzazione può essere considerata una variante evoluta della scissione e deriva da un Super-Io severo, generalmente rigido e primitivo. Entrambe infatti sono modi per fronteggiare l’ambivalenza: la prima opera in assenza di un Sé integrato, mentre la seconda opera quando il Sé è in grado di esperire sentimenti contrastanti e attraverso il ricorso alla legge morale risolve l’ambivalenza.
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Il ricorso eccessivo a tale difesa è tipico dell’organizzazione del carattere che gli analisti chiamano masochismo morale e di alcune persone ossessive.
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7) COMPARTIMENTALIZZAZIONE
Con tale termine si indica quando il soggetto abbraccia 2 o più idee, atteggiamenti, comportamenti in antitesi tra loro senza coglierne la contraddizione intrinseca. La sua funzione quindi è quella di permettere la coesistenza di due condizioni contrastanti senza che il soggetto esperisca a livello cosciente confusione, senso di colpa, vergogna o angoscia. Mentre l’isolamento implica una spaccatura tra livello emotivo e cognitivo, la compartimentalizzazione implica una spaccatura tra dimensioni cognitive incompatibili, ognuna delle quali è come se fosse rinchiusa in un compartimento stagno a sé stante che ne impedisce il contatto con le altre.
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Potremmo riassumere il comportamento del soggetto che ricorre insistentemente a tale difesa col motto “predica bene e razzola male”. Il soggetto professa apertamente detreminati valori e stili comportamentali per poi agire condotte del tutto contrarie ad essi. Ad esempio: Una persona che si dichiara contro il pregiudizio ma poi si diverte con battute razziste, oppure un soggetto che sottolinea il valore dell’amicizia ma non esita a calpestarla in vista del proprio tornaconto personale senza provare alcun tipo di risentimento.
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Il soggetto non prova alcun senso di colpa né vergogna ad agire comportamenti discrepanti rispetto a quanto afferma. Se messo di fronte all’incompatibilità di attività o idee discrepanti tenderà ad eliminare le contraddizioni attraverso il ricorso alla razionalizzazione.
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8) ANNULLAMENTO Attraverso tale meccanismo il soggetto tende a far in modo che qualcosa non sia avvenuto, mettendo in atto forme di pensiero e di comportamento di segno opposto tese a “neutralizzare” gli effetti di una precedente condotta. In questo modo il soggetto tende a negare la realtà di un avvenimento anteriore già accaduto, mettendo in atto una sorta di comportamento magico al fine di annullare o attenuarne le conseguenze.
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L’annullamento avviene quindi in 2 tempi:
In un primo tempo accade un evento o il soggetto mette in atto un comportamento che si rivelano avere conseguenze negative per lo stesso; In un secondo tempo cerca retrospettivamente di annullare quanto accaduto durante il primo tempo. Possiamo dunque definire l’annullamento come lo sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, solitamente un senso di colpa o di vergogna, con un atteggiamento o comportamento che magicamente lo cancelli.
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Il soggetto non è consapevole di tale senso di colpa o di vergogna, per tanto non riconosce coscientemente il suo desiderio di espiazione. Vista la sua componente magico-superstiziosa possiamo considerarlo come lo sviluppo naturale del controllo onnipotente. Infatti sono riscontrabili alla base di esso fantasie onnipotenti secondo cui il pensiero equivale all’azione. Ad esempio: Il gioco infantile di evitare superstiziosamente le fessure del marciapiede può essere interpretato come un annullamento dei sentimenti ostili e dei desideri inconsci di morte nei confronti della madre, che sarebbero altrettanto pericolosi di veri e propri attentati alla vita materna.
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I soggetti che provano forti rimorsi per peccati, errori, fallimenti del proprio passato, reali o fantasticati, possono fare dell’annullamento un vero progetto di vita dedicando la loro intera esistenza agli altri nella speranza di “cancellare” quanto commesso. In quest’ottica il loro altruismo caratterologico può essere letto come un atto dal significato inconscio di espiazione. Il ricorso pervasivo di tale difesa è quindi riconducibile alla personalità compulsiva che agisce modalità di azioni coattive che, com’è noto sono riconducibili ad un conflitto intrapsichico tra pulsioni di uguale intensità. La compulsione dunque sarebbe tesa all’annullamento di tale conflitto.
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9) VOLGERSI CONTRO IL SÉ Corrisponde a spostare un affetto o un atteggiamento negativo da un oggetto esterno verso il Sé. Volgere sulla propria persona un sentimento molto negativo, originariamente diretto verso un oggetto da cui si dipende, può servire ad evitare una realtà molto più disturbante e una minaccia per la propria sopravvivenza.
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Infatti se si critica un’autorità la cui benevolenza sembra essenziale per la nostra sicurezza (ad es. un genitore) e se si pensa che l’altro non possa tollerare la critica, ci si sente più sicuri dirigendo all’interno le idee critiche. Così in situazioni che non si ha il potere di cambiare, è emotivamente preferibile svolgere una severa autocritica, piuttosto che attaccare l’oggetto da cui dipende ed esporsi così ad una minaccia di annientamento psichico.
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Ad esempio: Il soggetto può preferire rivolgere contro Sé rimproveri e la colpa di un fallimento lavorativo poiché se criticasse il suo capo si esporrebbe ad una minaccia maggiore. Il soggetto si illude che volgendo contro di Sé atteggiamenti, affetti, percezioni negative ottenga un maggiore controllo sulle situazioni disturbanti e l’amore e considerazione altrui. Tuttavia, un uso automatico e compulsivo di tale difesa tipico delle personalità depressive, porta ad un senso di colpa pervasivo: il soggetto finisce col reagire in ogni circostanza infelice addossandosene la colpa.
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10) SPOSTAMENTO Consiste nel dirigere una pulsione, emozione, preoccupazione o comportamento da un iniziale oggetto verso un altro poiché la direzione originaria provoca ansia. In questo modo il soggetto sposta una rappresentazione originariamente diretta verso una meta ad un’altra meno pericolosa e angosciante, collegata alla prima da un nesso associativo.
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Ad esempio: Una moglie tradita può spostare la sua rabbia e il suo risentimento originariamente diretti verso il patner deviandoli sull’amante, in questo modo il compagno è visto come la vittima della “rovina famiglie” e la relazione è protetta da ulteriori minacce. Secondo Freud lo spostamento e la condensazione sono i 2 meccanismi del processo primario che regola l’inconscio e il sogno. In esso l’indipendenza dell’affetto dalla rappresentazione consente al primo di spostarsi dall’una all’altra, in questo modo il contenuto onirico risulta essere una deformazione di un contenuto maggiormente destabilizzante con cui ha però un qualche nesso associativo-simbolico.
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Questo meccanismo è tipico della personalità fobica in cui il soggetto sposta la propria angoscia da qualche area a un oggetto specifico che simbolizza il fenomeno temuto. Ad esempio: Nella racnofobia il soggetto sposta il terrore sui ragni che inconsciamente significano soffocamento materno, oppure il terrore per i coltelli rimanda ad una paura inconscia di penetrazione fallica.
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11) FORMAZIONE REATTIVA Consiste nel trasformare un pensiero o un sentimento nel suo polo opposto al fine di renderlo meno minaccioso e più tollerabile (ad es. odio in amore). Attraverso l’esagerazione della tendenza opposta il soggetto riesce così dominare un impulso inaccettabile. Ad esempio: Un soggetto può reagire con estrema gentilezza e cordialità verso le richieste di qualcuno che in realtà odia, celando così i suoi reali sentimenti aggressivi.
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Nessuna disposizione è assolutamente pura, vale a dire che si può odiare una persona che si ama o provare risentimento nei confronti di qualcuno cui siamo grati. In tal ottica la formazione reattiva ci permette di negare l’ambivalenza. Il soggetto che in realtà prova due sentimenti contrastanti per lo stesso oggetto, attraverso tale meccanismo si persuade di provare una sola polarità di una risposta emotiva complessa.
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Essa può avere una funzione positiva, per esempio durante l’infanzia in cui non è ancora presente la necessaria maturazione psichica che permette di operare discriminazioni tra sentimenti ed azioni o in situazioni competitive in cui sono presenti componenti omicide e di ammirazione insieme. Ad esempio: Un bambino che si sente soppiantato dal nuovo nato, attraverso la formazione reattiva evita di provare sentimenti ostili e sperimenta solo quelli positivi per il fratellino.
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Tuttavia un suo utilizzo pervasivo durante l’età adulta appare negativo e limitante poiché impedisce al soggetto di riconoscere tutti gli aspetti delle proprie reazioni emotive. Le formazioni reattive possono essere localizzate in specifici tratti ossessivi o generalizzate fino a interessare l’intera personalità. In tali casi il carattere permanente del controinvestimento difensivo assume valore sintomatico modificando l’organizzazione di personalità del soggetto caricandola di aspetti di rigidità e coazione.
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Essa è tipico di quelle psicopatologie in cui predominano sentimenti ostili e impulsi aggressivi di cui la persona teme di perdere il controllo: Personalità paranoica: il soggetto riferisce di provare solo odio e sospetto senza riconoscere il suo inconscio desiderio e bisogno; Personalità ossessivo-compulsiva: il soggetto non riconosce i sentimenti ostili e il risentimento soffocandoli con virtù morali sospinte all’estremo.
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12) CAPOVOLGIMENTO Il capovolgimento o conversione nell’opposto è un processo che opera un cambiamento di stato: dalla passività all’attività o viceversa. In questo modo l’individuo passa da soggetto a oggetto (o viceversa) al fine di fronteggiare sentimenti che costituiscono una minaccia psicologica per il Sé. Ad esempio: Un soggetto che è a disagio con il proprio bisogno di dipendenza può soddisfarlo in modo vicario prendendosi cura egli stesso in prima persona degli altri ed identificandosi con essi (es. psicologo).
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Il capovolgimento permette di spostare le dimensioni di potere all’interno di una relazione in modo da trovarsi nel ruolo di chi prende l’iniziativa invece di chi la subisce. Implica dunque una trasformazione nel contrario della meta pulsionale: la meta da attiva (ad es. sadismo) viene trasformata in passiva (ad es. masochismo). Ciò che lo contraddistingue dalla formazione reattiva è che in essa ciò che viene trasformato nel contrario è il contenuto e non la meta della pulsione, risultando quindi un meccanismo meno evoluto.
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Tale meccanismo essendo maggiormente evoluto e maturo non è riconducibile ad un particolare tipo di personalità, ma rappresenta una delle modalità difensive di ordine superiore a cui le persone più sane ricorrono per gestire l’ansia.
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13) IDENTIFICAZIONE Corrisponde al processo con cui un soggetto assimila in Sé uno o più tratti posseduti da un altro individuo modellandosi su di esso. Gli analisti usano la parola identificazione per connotare l’operazione matura, anche se ancora parzialmente inconscia, di diventare come un’altra persona.
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La capacità di identificarsi negli altri è presente sin dalla primissima infanzia, essa si modifica ed evolve lungo tutto il ciclo di vita. Durante l’infanzia, in cui il bambino non è ancora in grado di distinguere tra Sé e non-Sé, si hanno forme più arcaiche di identificazione che corrispondono ad una sorta di introiezione dell’altro nella sua interezza al fine di fagocitarlo e fondersi simbioticamente con esso per assumerne le qualità (i. primaria). Col passare del tempo il potenziale identificatorio evolve in modi sempre più selettivi e maturi. Durante l’età adulta il soggetto assume selettivamente solo determinate caratteristiche ammirate possedute dall’altro al fine di arricchire il proprio Sé o di proteggersi difensivamente (i. secondaria).
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Possiamo quindi individuare 2 tipi di identificazione:
Come gli altri processi difensivi maturi, l’identificazione è un aspetto normale dello sviluppo psicologico che diventa problematico solo in certe circostanze. Possiamo quindi individuare 2 tipi di identificazione: Identificazione anaclitica: non difensiva, motivata dal desiderio immediato di essere simili a una persona di cui si ammirano le qualità (es. voglio essere generosa come mamma). Identificazione con l’aggressore: motivata dal desiderio di difendersi poiché ci si sente minacciati dal potere di un altro (es. ho paura che mamma mi punisca se divento lei il suo potere sarà dentro di me non fuori).
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In questo modo il soggetto lenisce la sofferenza emotiva esperita.
L’identificazione difensivamente orientata è tipico in situazioni di tensioni emotiva, consente di ridurre la distanza tra Sé e l’oggetto esterno, reale o fantasticato, e di assumerlo dentro di Sé. Ad esempio: Nel lutto si assiste ad un’identificazione con l’oggetto d’amore perduto che fa sì che esso continui a vivere nel proprio Io. In questo modo il soggetto lenisce la sofferenza emotiva esperita.
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Nell’identificazione con l’aggressore il soggetto assume la stessa funzione aggressiva dell’oggetto, ne imita i tratti e ne adotta le espressioni di potenza che lo caratterizzano. In tal modo la minaccia originariamente proveniente dal mondo esterno viene interiorizzata e ricondotta al proprio mondo interno poiché più facilmente tollerabile e controllabile. L’utilizzo pervasivo dell’identificazione è tipico di confusione circa la propria identità (es. adolescenti).
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14) ACTING OUT Descrive un comportamento indotto da bisogni inconsci di padroneggiare l’angoscia associata a sentimenti, desideri interiormente proibiti e a paure, fantasie o ricordi intensamente disturbanti. Il soggetto, incapace di contenere o elaborare l’intensità tali sentimenti o desideri, mette in atto comportamenti tesi a ridurre l’angoscia esperita.
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Il termine acting out dunque esprime l’azione di comportamenti ritenuti espressione di atteggiamenti che il soggetto cerca di “scaricare” attraverso l’agito, con il proposito inconscio di dominare le paure che vi sono associate. Il soggetto ha paura di affrontare i suoi conflitti inconsci cercando soluzioni sul piano di realtà, in questo modo converte la passività in attività trasformando un senso di impotenza e vulnerabilità in un’esperienza di azione e potere. Esso è particolarmente frequente all’interno del trattamento analitico: il soggetto agisce comportamenti (es. rompere oggetti) che rimandano a sentimenti ostili inconsci diretti verso l’analista.
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I bisogni, desideri, impulsi che sottendono all’agito sono di natura inconscia e spaventosa: il soggetto non ne è consapevole, essi conducono la persona all’azione in modo automatico e compulsivo. In quest’ottica comportamenti come esibizionismo, voyerismo, masochismo etc. possono essere considerati forme di acting out poiché presuppongono paure sottostanti o altri sentimenti negativi ripudiati.
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Il ricorso a tale meccanismo è presente in diversi quadri clinici:
Personalità impulsiva: caratterizzata da un deficit della capacità elaborativa, il soggetto impulsivo non è in grado di mettere in parole quanto esperito, l’aspetto cognitivo viene “bypassato” in favore di quello comportamentale. Personalità isteriche: il soggetto agisce scenari sessuali inconsci. Personalità compulsiva: il soggetto cede alla pressione interna di agire le sue particolari compulsioni. Dipendenze: il soggetto mette in atto continuamente il proprio rapporto con la sostanza.
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15) SESSUALIZZAZIONE Possiamo considerare tale meccanismo una particolare forma di acting out in quanto questa operazione prende generalmente la forma di un’azione. Le fantasie sessuali vengono usate difensivamente per: padroneggiare l’angoscia, per recuperare l’autostima, per controbbatere la vergogna, per sottrarsi a una sensazione di morte interiore.
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Il soggetto sessualizza un’esperienza con l’intento inconscio di convertire il terrore, la sofferenza o qualsiasi altri tipo di vissuto sovverchiante in eccitazione. L’eccitazione sessuale gli permette di sentirsi vivo e di padroneggiare la paura infantile di morire, a causa di abbandono, violenza o altre terribili calamità, trasformando una situazione traumatica in un’opportunità di affermazione vitale. Il ricorso a tale difesa è riconducibile ad un trauma infantile che ha sopraffatto le capacità elaborative del bambino, successivamente il soggetto in età adulta opera attive sessualizzazioni del trauma subito e inelaborato.
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Ad esempio: Un soggetto può provare eccitazione quando gli si tocca i capelli, tuttavia essa può essere una sessualizzazione difensiva in risposta ad una madre violenta che gli tirava i capelli. La sessualizzazione può essere usata difensivamente per rendere più gradevoli aspetti problematici della nostra vita. Le donne: sono più inclini a sessualizzare la dipendenza, Gli uomini: generalmente sessualizano l’aggressività.
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16) SUBLIMAZIONE Rappresenta lo spostamento di una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta socialmente valorizzata (es. arte, ricerca scientifica etc.). Attraverso essa viene trovata una soluzione creativa, sana, socialmente accettabile o positiva dei conflitti interiori tra pulsioni primitive e censure inibitorie. Gli impulsi istintuali non vengono né agiti né inibiti, ma trovano comunque un’espressione in forme socialmente valide o in attività utili.
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Tale difesa è considerata la più sana per 2 ragioni:
Ad esempio: Un dentista può sublimare il desiderio inaccettabile e moralmente deplorevole di provocare dolore agli altri, così come un artista può sublimare il suo eccessivo esibizionismo socialmente non condivisibile. Tali impulsi istintuali derivano dalle particolari circostanze di vita esperite durante l’infanzia. Tale difesa è considerata la più sana per 2 ragioni: Favorisce un comportamento positivo per la specie; consente la scarica pulsionale, e quindi il mantenimento dell’omeostasi, invece di spendere una notevole quantità di energia psichica per trasformare l’istinto in qualcos’altro (formazione reattiva) o per inibirlo (diniego, rimozione).
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Essa inoltre rappresenta un meccanismo alquanto evoluto in quanto impiega energia neutralizzata:
attraverso un processo di desessualizzazione o di deaggressivizzazione (neutralizzazione) l’energia perde il suo connotato e viene spostata da un’iniziale meta sessuale o aggressiva ad una psichicamente affine (spostamento). Per tali ragioni secondo Freud essa apparterrebbe maggiormente alla sfera della normalità piuttosto che a quella della nevrosi.
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