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LA COMMEDIA LATINA
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I CARATTERI DEL GENERE LE IPOTESI PIU’ PROBABILI SULLE ORIGINI DELLA COMMEDIA SONO EVIDENTI NELL’ETIMOLOGIA DEL TERMINE KOMODIA DA KOMOS ODE CANTO PER IL CORTEO DI DIONISO. QUESTO CI INDICA CHE LE SUE ORIGINI RISALGONO A FESTE AGRESTI E RITI DIONISIACI SULLA FERTILITA’. TRACCE DI QUESTE ORIGINI SONO: LO STILE COLLOQUIALE, ESTRAZIONE SOCIALE BASSA DEI PROTAGONISTI
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La struttura formale della tragedia greca
Le tragedie che ci sono arrivate sono costruite secondo una alternanza di parti recitate dagli attori e canti del coro. Queste parti sono descritte da Aristotele nella Poetica. Lo schema essenziale è il seguente: Prologo, lett. “discorso che viene prima (dell’ingresso del coro”). Il prologo è una parte recitata da uno o più attori prima che entri in scena il gruppo corale. Può essere composto da una o due scene, che in Eschilo e Sofocle, e nel primo Euripide, sono parte integrante dell’azione. Nelle tragedie più tarde di Euripide, il prologo tende invece ad esporre gli antefatti del dramma. Il prologo può anche mancare: ne sono prive due tragedie di Eschilo, i Persiani e Supplici di Eschilo. Parodo (“canto di ingresso”). È il canto corale che accompagna l’ingresso del coro, che va posizionarsi nell’orchestra. Di regola contiene indicazioni sulla composizione del coro e sulla ragione della sua presenza. Episodi (il termine epeisodion significava in origine “ingresso”, con riferimento all’arrivo di nuovi personaggi dopo il canto del Coro). Gli episodi, recitati dagli attori, sono individuati da un canto corale che li precede e d uno che li segue. Nel caso del primo episodio, il canto precedente è la parodo, e il seguente il primo stasimo, per gli altri, si tratta di due stasimi. La recitazione degli episodi poteva prevedere lunghi discorsi (rheseis), o serrati confronti dialogici molto formalizzati come le sticomitie, in cui ciascun personaggio pronunciava un verso a turno). Nel dialogo racitato poteva intervenire anche il capocoro, detto Corifeo, che in questi casi recitava. Gli episodi potevano prevedere parti cantate dagli attori (monodie) Stasimi (“canti del Coro in posizione”) Gli stasimi erano parti cantate e danzate dal Coro, che di regola restava solo in scena (con qualche eccezione). Essi dividevano un episodio dal successivo. Sono almeno tre, ma in Sofocle ed Euripide se ne hanno talora quattro o anche cinque. Esodo (“uscita) Aristotele definisce esodo tutta la parte recitata o cantata dagli attori che seguiva l’ultimo stasimo. Il dramma si concludeva con l’uscita finale di tutti i personaggi.
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Il Teatro greco di Siracusa
Questo bellissimo monumento antico ha ancor oggi una funzione importante, in quanto è sede dal 1914 delle rappresentazioni di teatro classico curate dall’I.N.D.A., che si alternano a convegni di studiosi del teatro antico.Siracusa ebbe un teatro fin da epoca molto antica: al tempo di Eschilo il tiranno Ierone invitò il drammaturgo ateniese e gli fece rappresentare i Persiani a Siracusa. L’edificio teatrale fu ricostruito completamente nel III secolo a. C. da Ierone II, e successivamente trasformato in modo radicale per dargli la forma del teatro romano (I-II secolo d.C.), con grandi edifici scenici addossati alla cavea.
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LA COMMEDIA ANTICA NATA IN ATTICA NEL VI SEC.ERA STRUTTURATA IN : MASSIMO ESPONENTE E’ ARISTOFANE DI CUI CI RESTANO 11 COMMEDIE COMPLETE DA CUI EMERGE L’ATTACCO AL REGIME POLITICO. PROLOGO: PRESENTAZIONE DEL SOGGETTO PARODO : INGRESSO E CANTO DEL CORO AGONE : CONTRASTO TRA GLI ATTORI
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Parabasi. È questa certamente la forma più caratteristica della commedia arcaica. Ad un certo punto della commedia, gli attori lasciano la scena, i coreuti si tolgono i mantelli e si rivolono agli spettatori, abbandonando la propria identità drammatica e avviando una conversazione diretta fra autore e pubblico, su argomenti vari di politica attualità e polemica teatrale. In Aristofane la parabasi è collocata di solito al centro del dramma. Essa presenta sette parti: Alla parabasi seguono di regola una serie di scene comiche molto libere, senza una struttura precisa e senza che l’azione drammatica proceda significativamente, con l’arrivo in sequuenza di numerosi personaggi che si confrontano con il protagonista trionfante e ne vengono di Solito sbeffeggiati. Esodo: è la parte finale della commedia, caratterizzata in genere da festeggiamenti, banchetti e altra forme di baldoria cui i personaggi si avviano nell’uscire, in una atmosfera festosa. Alcune commedie si concludono con una processione festante che lascia l’orchestra.
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La commedia nuova A partire dalla fine del V secolo, in corrispondenza di importanti cambiamenti nella società ateniese, la commedia va incontro a profondi cambiamenti sia sul piano della forma sia su quello dei contenuti. Per noi è molto difficile seguire questa evoluzione, perché quasi tutto è andato perduto della produzione teatrale comica ateniese fra il 388 (anno dell’ultima commedia di Aristofane e il 320 a. C. (inizio della carriera di Menandro). Questa fase viene definita già da epoca antica “Commedia di Mezzo”. Di essa conosciamo molti nomi (tra questi i più importanti sono Alessi, Anassandrida, Antifane, Eubulo), ma leggiamo solo frammenti delle opere. Per noi la commedia ridiventa leggibile con la Commedia cosiddetta Nuova (seconda metà del IV secolo a. C.), e in particolare con Menandro, che ci mostra alcuni mutamenti essenziali ormai avvenuti. Tra questi i principali sono: La commedia ha perso completamente la struttura libera della commedia aristofanea, e si sviluppa secondo uno schema più rigido, che vede un prologo d’apertura, di solito recitato da un dio o da un personaggio onnisciente che informa gli spettatori non solo dell’antefatto ma anche della storia che vedranno rappresentata, seguito da una regolare sequenza di cinque atti, che resterà stabile nella tradizione teatrale romana e passerà all’epoca moderna. Non siamo in grado di dire quando esattamente la divisione in atti si introduce nella commedia, ma Menandro la pratica regolarmente La componente corale è regredita definitivamente, al punto che il coro non ha più altro ruolo che quello di eseguire gli intermezzi che dividono un atto dall’altro. Queste parti sono però ormai avvertite come estranee al dramma, al punto che nei manoscritti non ne vengono neppure più trascritte le parole. Di fatto, dunque, Menandro ci presenta una commedia tutta recitata dagli attori, in cui la componente musicale della commedia antica è quasi del tutto scomparsa. Sappiamo che nella cosiddetta Commedia di Mezzo, nella prima metà del IV secolo a. C., il Coro c’era ancora, anche se certo. c) I personaggi della commedia subiscono un processo di standardizzazione, e si definiscono in una serie tipi ripetitivi: il vecchio avaro o severo, il giovane innamorato e pronto a spendere i denari paterni, lo schiavo astuto che aiuta il padroncino ai danni del padrone vecchio, la giovane povera ma onesta, magari creduta schiava e che alla fine si rivela libera e cittadina ateniese, la donna di facili costumi con la quale si dilapidano i soldi, la vecchia ubriacona. A questa tipologia corrisponde una standardizzazione delle trame, centrate di regola su storie di amore contrastato e sulle astuzie con cui i giovani riescono a gabbare i padri ottenendo denaro per i loro amori. Un ruolo considervole è svolto dagli equivoci causati da storie di bambini abbandonati o rapiti che alla fine vengono riconosciuti dai genitori o dai parenti.
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IL TEATRO A ROMA Nel descrivere le forme che il dramma di derivazione greca assunse a Roma, bisogna sottolineare un elemento di differenza importante rispetto ai modelli. Là dove la tragedia e la commedia greca avevano sostanzialmente diviso i ruoli fra parti recitate, di competenza degli attori, e parti cantate di competenza del Coro (con poche eccezioni rappresentate dalle monodie di attori e dai dialoghi lirici cui partecipavano coro e attori), il teatro latino introduce la tendenza a trasformare quelli che negli originali greci sono monologhi e dialoghi recitati da attori in parti cantate, i cosiddetti cantica, che si alternano alle parti recitate, dette deverbia. Di conseguenza, la componente musicale finisce per avere un ruolo più ampio che nei modelli greci, anche se il ruolo del coro è molto diminuito e - nella commedia - del tutto assente. Inoltre, l’alternanza di canto e recitazione è più varia e meno regolare di quanto accade nel dramma greco. Per la commedia, in particolare, oggi si tende a distinguere ancora più in dettaglio fra i cantica lirici veri e propri, caratterizzati da grande estensione e da polimetria, e i cosiddetti cantica mutatis modis, che sono qualcosa di affine al recitativo della nostra opera lirica, e cioè versi lunghi di natura venivano recitati con accompagnamento musicale.
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LA COMMEDIA A ROMA Fabula palliata
Nella commedia nuova greca gli attori vestivano una tunica, il chitone, e sopra di esso un mantello, himation in greco, pallium in latino. Da questo indumento deriva il nome delle commedie latine di argomento e ambientazione greca, dette fabulae palliatae, o più semplicemente palliate. Tutte le commedie romane che sono sopravvissute integre (21 di Plauto, 6 di Terenzio) appartengono a questo genere teatrale. La struttura della palliata riproduce quella della commedia nuova greca, ma spesso nel rimaneggiamento dell’originale le distinzioni originarie fra gli atti venivano obliterate. Di fatto l’unità fondamentale della commedia latina è la singola scena. Le divisioni in atti che si sono tramandate nei manoscritti non sono originali, e spesso non corrispondono ad effettive articolazioni dell’opera drammatica. Fabula togata Nelle commedie ambientate a Roma o in territorio romano, invece, i personaggi sopra la tunica indossavano il caratteristico indumento romano, la toga: queste fabulae dunque erano dette togatae. La togata ebbe numerosi cultori a Roma, ma quasi nulla ne è sopravvissuto
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