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PubblicatoCornelia Gentili Modificato 9 anni fa
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L’attività professionale quotidiana e il Codice Deontologico Ravenna 24 ottobre 2015
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L’ARTICOLO 3 DEL CODICE DEONTOLOGICO 2014 E UNA POSSIBILE DEFINIZIONE DI ATTO MEDICO Dott. Maurizio Grossi Omceo Rimini
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ART. 3 CODICE DEONTOLOGIA MEDICA Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. Al fine di tutelare la salute individuale e collettiva, il medico esercita attività basate sulle competenze, specifiche ed esclusive, previste negli obiettivi formativi degli Ordinamenti didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria, integrate e ampliate dallo sviluppo delle conoscenze in medicina, delle abilità tecniche e non tecniche connesse alla pratica professionale, delle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, dell’insegnamento e della ricerca. La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità. Tali attività, legittimate dall’abilitazione dello Stato e dall’iscrizione agli Ordini professionali nei rispettivi Albi, sono altresì definite dal Codice.
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La prima impressione che si ricava è che il Codice Deontologico ponga delle norme (deontologiche e non giuridiche) là dove mancano norme definitorie dell’attività medica. Il codice sembra voler supplire a carenze legislative
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Nell’ottobre 2005 il congresso della UEMS (Unione Europea Medici Specialisti) ha prodotto un documento che contiene la definizione di atto medico. Meeting in Munich on 21 e 22 october 2005, UEMS council
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DEFINIZIONE DI ATTO MEDICO UEMS «L’atto medico ricomprende tutte le attività professionali ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti dei pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L’atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione».
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La necessità di definire l’attività medica (atto medico) trova la sua prima indicazione nella legge del 26 febbraio 1999, n. 42 «Disposizioni in materia di professioni sanitarie».
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Come noto l’art. 1, comma 2 recita tra l’altro «…il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie …è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali».
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Limite delle professioni sanitarie sono «…le competenze previste per le professioni mediche». Ma nel diritto, manca a tutt’oggi l’elenco delle competenze mediche.
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Ulteriore elemento da tenere presente nel definire l’atto medico, è l’art 348 C.P. «chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello stato, è punito con la reclusione o con la multa».
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La norma tutela non interessi corporativi della professione, ma quelli superiori della collettività, con la chiara conseguenza che per la configurabilità del reato è sufficiente anche il compimento di uno o più atti riservati in modo esclusivo alla attività professionale.
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Pertanto sotto il profilo penale sono rilevanti soprattutto gli «atti tipici» della professione. Ecco allora che sono i giudici a cercare di definire o delimitare l’atto medico.
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Abbiamo allora alcune sentenze della cassazione penale quali la n. 30590/03, n. 27329/05 e n. 16626/05 che definiscono alcuni atti medici tipici come la prescrizione di farmaci (anche da banco), individuazione e diagnosi di malattie, prescrizione di cure e somministrazione di rimedi.
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Non vogliamo lasciare ai giudici la definizione di atto medico.
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Altra questione cruciale è l’insieme delle relazioni tra professione medica e professioni sanitarie in generale e la definizione di atto medico, da tenere distinto dall’atto sanitario, proprio di queste professioni.
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Parlare di atto medico, oggi vuol dire in molti casi, riconoscere la presenza al capezzale del paziente di molte figure professionali sanitarie e della pubblica amministrazione.
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Sino a pochi decenni fa, l’atto medico era solo delimitato dalla scienza e coscienza. Oggi nei contenuti dell’agire medico si intersecano anche gli obiettivi gestionali e le strategie aziendali.
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Penso che a tutti sia chiaro che l’agire medico (atto medico) si deve confrontare con le esigenze economico- scientifiche introducendo concetti come: Rapporto costo/beneficio Indicatori Verifica di qualità Budget L’agire medico contaminato o semplicemente minato dall’economia e dagli economisti. La sanità scritta non dal Ministero della Sanità ma dal Ministero delle Finanze.
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L’atto medico, che ancora non abbiamo definito, che ancora prima di essere battezzato è già succube della organizzazione. La sua essenza ridotta a procedure, linee guida, ebm, audit.
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In tale contesto l’atto medico, momento centrale della cura lascia spazio alla centralità della organizzazione a scapito della relazione medico/paziente.
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In questo scenario è possibile definire l’atto medico? ?
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Poi si dovranno definire tutti gli atti medici o solo quelli complessi?
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Il Consiglio Nazionale Fnomceo, tenuto a Roma il 29 maggio 2015, ha redatto un documento, approvato alla unanimità dei presenti in cui si rilevano tante cose, tra le quali «molte delle 22 professioni sanitarie lamentano e praticano diffusamente fenomeni di reciproca erosione di competenze. Sicuramente questo non è il percorso giusto per affermare un corretto ed equilibrato multiprofessionalismo in sanità».
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Impegna il Comitato Centrale della Fnomceo a «Favorire ogni atto legislativo e normativo in coerenza con il suo ruolo istituzionale, per perseguire il rafforzamento di quanto previsto dal comma 2 e 3 dell’art. 3 del CDM del 2014 in merito alla attività medica».
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La domanda se definire tutti gli atti medici o solo quelli complessi deriva dal famoso comma 566 della legge di stabilità. «Ferme restando le competenze dei laureati in medicina in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia… sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, tecniche della riabilitazione e prevenzione anche attraverso percorsi formativi complementari».
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Tale comma, causa di uno scontro tra la componente medica e le altre professioni sanitarie, dà per scontato che le competenze mediche siano chiare a tutti, e qui nasce ulteriormente la necessità di una norma legislativa.
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Ad oggi le competenze mediche Non sono contemplate come tali da alcuna legge dello Stato Sono insufficientemente descritte nell’ordinamento didattico universitario
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Il comma 566 apre la strada in sanità a un progressivo demansionamento a catena nel processo di cura, attraverso la sostituzione di alcune competenze professionali (medici infermieri OSS)
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Per creare ulteriore confusione circola la proposta di legge D’Incecco dove nell’art 1 si legge: 1.L’atto medico comprende tutte le attività professionali di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica svolte al fine di promuovere la salute, di prevenire le malattie, di effettuare diagnosi e di prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, in conformità alle norme etiche e deontologiche. 2. l’atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione o prescrizione.
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Poi c’è la proposta di legge su disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario. Legge peraltro interessante perché cerca di delimitare i profili penali della colpa medica (punibilità solo per colpa grave o dolo) e i profili della responsabilità civile.
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In questa proposta di legge si va a definire non più l’atto medico ma l’atto sanitario. «Per atto sanitario si intendono tutte le attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del paziente, sia svolte autonomamente dalle singole professioni sanitarie, che in modo coordinato o di equipe» (Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario, bozza proposta di testo unificato, art. 1, comma 3)
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Con questa proposta di legge sembra di essere tornati alla definizione UEMS, con la differenza che la definizione riguarda tutte le professioni sanitarie e non solo quella medica.
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Penso che sia necessario definire l’atto medico per poter gestire senza equivoci il rapporto di relazioni tra professione medica e professioni sanitarie in generale e con ciò attribuire i compiti propri dei rispettivi ruoli.
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Il medico deve mantenere il ruolo di leader nel processo di gestione della salute.
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Però oggi il medico deve interpretare il proprio ruolo condividendo obiettivi comuni in una dinamica di gruppo dove tutti si sentono coartefici dei risultati ottenuti.
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Si devono evitare conflitti di competenze perché questi ricadrebbero sul cittadino/paziente, suo malgrado coinvolto in una conflittualità in grado di destabilizzare l’intero sistema sanitario.
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Ecco allora che l’atto medico potrebbe diventare atto medico integrato nel senso che in esso intervengono diverse componenti del mondo sanitario e costituisce il punto di convergenza e il campo di applicazione di conoscenze non solo strettamente mediche ma anche di carattere psicologico, etico e filosofico.
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