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Le opere di misericordia
PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Le opere di misericordia INSEGNARE AGLI IGNORANTI
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In ascolto della Parola
«Capisci quello che stai leggendo?» (At 8,30), chiede Filippo al funzionario etiope che sta leggendo un passo del profeta Isaia. E quegli risponde: «E come potrei capire se nessuno mi guida?» (At 8,3 1).
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Questo dialogo mostra la necessità di un’istruzione per entrare nella conoscenza della Scrittura. Più in generale, tutta la vita di fede necessita di un insegnamento, di una trasmissione in cui il più esperto guida e istruisce il meno esperto.
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Poiché questo insegnamento ha una dimensione religiosa fondamentale, non stupisce che nell’Antico Testamento Dio stesso sia detto “maestro” («Chi è maestro come lui?»: Gb 36,22) e che a lui forante si rivolga per chiedere istruzioni sulla via da percorrere (cfr. Sal 27,11; 86,11; 119,33) e sui suoi voleri (cfr. Sal 119,26.68), insomma per essere illuminato e reso sapiente.
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Anche il semplice, l’inesperto, l’ignorante, è reso sapiente dalla conoscenza della volontà del Signore: «La testimonianza del Signore ... rende saggio il semplice» (Sal 19,8).
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Prerogativa dei sacerdoti è l’insegnamento della volontà del Signore: essi istruiscono il popolo su questioni cultuali e rituali, sull’esecuzione di sacrifici e sull’osservanza di feste in onore del Signore (cfr. Lv 6,2-7,21), su problematiche inerenti il puro e l’impuro (cfr. Lv 10,10-l1; 14,57).
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Tale insegnamento è dato oralmente e si concretizza, secondo Aggeo 2,11-12, in forma di domanda e risposta.
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Ma se è «dalla bocca del sacerdote che si ricerca l’insegnamento» (Ml 2,7), il sacerdote può venire meno a questo suo compito divenendo ostacolo e motivo di inciampo per molti (Cfr. Ml 2,8; Ez 22,26).
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I profeti si levano contro le manipolazioni della volontà del Signore da parte dei detentori del sapere religioso, i sacerdoti, e, a loro modo, si fanno educatori del popolo trasmettendo, in modo vitalmente coinvolto ed empatico, la volontà di Dio nelle differenti situazioni storiche.
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E con i profeti, soprattutto con Osea, che la Torà (termine spesso tradotto con “Legge”, ma che significa “istruzione”, “insegnamento”) del Signore non indica più, come nell’istruzione sacerdotale, singole prescrizioni, ma l’insieme unitario della volontà di Dio.
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Questo insieme diventerà la Torà scritta, l’insieme dei libri che contengono ed esprimono la volontà del Signore, dunque innanzitutto il Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia).
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Un primo, antico e importantissimo ambito di educazione e istruzione è la famiglia: il padre, il capofamiglia, in quanto responsabile dell’iniziazione alla vita del figlio, si rivolge a lui con istruzioni di vario tipo (“figlio mio”: Pr 1, ; 2,1; 3,1.21; Sir 2,1; 3,17; 4,1).
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Sta scritto in Proverbi 4,1-4:
Ascoltate, o figli, l’istruzione di un padre ... Anch’io sono stato un figlio per mio padre, tenero e caro agli occhi di mia madre. Egli mi istruiva e mi diceva: “Il tuo cuore ritenga le mie parole”.
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Un esempio di trasmissione di sapienza all’interno della famiglia è fornito dalle istruzioni di Tobi al figlio Tobia: esse riguardano la sepoltura paterna, l’onore dovuto alla madre, la pietà e l’elemosina, la rettitudine e la giustizia, la scelta della moglie, l’amore per i fratelli, la religiosità e la pietà, la messa in guardia nei confronti dell’orgoglio, della pigrizia e dell’ubriachezza (cfr. Tb 4, 1-2 1).
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Tuttavia, anche la madre svolgeva un ruolo attivo nell’istruzione del figlio, come appare dal frequente binomio “padre-madre” (Pr 1,8; 6,20; 10,1;15,20; 19,26; 23,22.25; 30,17).
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Nel II secolo a.C., in Israele è attestata anche l’esistenza di un altro ambiente educativo deputato alla trasmissione del sapere: la scuola. Sta scritto in Siracide 51,23: “Avvicinatevi a me, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola” (lett.: “casa dello studio”, bet midrash).
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Di Qohelet si dice che, «oltre a essere sapiente, insegnò al popolo la scienza» (Qo 12,9): il sapiente era anche un insegnante.
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Lo stile didattico del libro dei Proverbi e il fatto che il sapiente sia chiamato “maestro” o “insegnante” (cfr. Pr 5,13; Sal 119,99) depongono a favore dell’esistenza di scuole in cui dei sapienti di professione trasmettevano il loro sapere ad allievi più o meno giovani.
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Se è difficile affermare se esistessero scuole anche nell’antico Israele, di certo, nel periodo postesilico, il sapiente si configura sempre più come uno studioso della rivelazione scritta, un esegeta dedito alla meditazione e all’insegnamento della Torà (cfr. Esd 7,10; Sir 32,15; 39,1).
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La dimensione storica della fede biblica e il carattere relazionale del Dio biblico, Dio che si lega in alleanza con il popolo di Israele, plasmano una trasmissione della fede che avviene secondo una modalità narrativa e dialogica, non impersonale né dottrinale, astrattamente teologica o dogmatica.
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Modalità che coinvolge il narratore e il destinatario della narrazione, entrambi “presi dentro” la narrazione e resi partecipi della storia narrata.
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Lettura pubblica della Torà e insegnamento dei suoi contenuti a viva voce, nei santuari e in famiglia, sono i mezzi didattici di questo insegnamento che è anche trasmissione di fede e inserzione in una storia familiare e di popolo.
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In bocca a Mosè è posto il comando rivolto a sacerdoti e anziani di radunare il popolo, «uomini, donne, bambini e il forestiero ..., perché ascoltino ... e si preoccupino di mettere in pratica tutte le parole di questa Legge. I loro figli, che ancora non la conoscono, la ascolteranno e impareranno a temere il Signore» (Dt 31,12-13).
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Tradizione orale, insegnamento a viva voce, lettura pubblica, narrazione: questi modi di trasmissione della volontà del Signore raggiungono tutti, anche gli analfabeti, anche chi non sa o non può leggere.
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