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PubblicatoVeronica Marchese Modificato 9 anni fa
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L’Avvento è il tempo dell’attesa di Dio che viene nel nostro mondo, nella nostra vita. È proprio dell’essere umano attendere: si attende che qualcosa accada, ma soprattutto si attende qualcuno. E questa attesa non è semplice orientamento a un futuro qualsiasi, ma è speranza che qualcuno venga a noi, presti attenzione alle nostre condizioni, si prenda cura di noi. L’atteggiamento è dunque quello della fiducia in Dio: qui “avvento” significa attesa che Dio entri nella nostra storia. Da qui scaturisce anche l’esortazione a vegliare.
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Questo oracolo di Geremia si inserisce nel capitolo 33 del libro. Qui il profeta colloca, accanto all’evidenza del castigo presente, una parola di speranza per il futuro del suo popolo.
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“Casa di Israele e casa di Giuda”. I nomi dei due regni compaiono in questo oracolo uno accanto all’altro. Come a dire: Così come hanno subito la stessa sorte (la distruzione e la deportazione a opera degli Assiri)… Ora il Signore tiene unite nella sua volontà di bene le due nazioni sorelle, a garanzia di una futuro di salvezza per entrambe.
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A dare fondamento a questa promessa però non è il ricordo dell’alleanza del Sinai, ma un tema proprio di Giuda e del regno del sud: L’alleanza davidica. Questo oracolo è la ripresa letterale di Geremia 23,5-6, nel quale viene a illustrare la venuta del “pastore messianico”, colui che condurrà il suo popolo secondo il cuore di Dio. Non come i “cattivi pastori”, incapaci di affrontare con coraggio e lungimiranza la realtà presente.
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Nel nuovo contesto le stesse parole appaiono ancor più gravide di significato: Ormai si è consumata la tragedia della infedeltà di Sedecia, re di Giuda, e della sua corte, incapaci fino alla fine di comprendere i segni dei tempi. Di fronte alla superiorità politica e militare dell’Assiria, Dio propone la via dell’abbassamento umile. L’esilio è dunque la strada per purificare il popolo dagli idoli falsi e vuoti del successo e del potere. Per purificare il cuore dalla pretesa di bastare a se stessi!
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“Un germoglio fiorirà” Il tema dell’elezione davidica, promessa di stabilità per “la tua casa e il tuo trono” (2 Samuele 7,16), è qui sviluppato attraverso due motivi tradizionali: Un germoglio fiorirà E l’esercizio del potere regale secondo il diritto e la giustizia. Entrambi questi motivi si ritrovano in 2 Samuele 23, 1-5, in cui l’immagine del germoglio evoca quella di una terra benedetta da Dio, dove il sole e la pioggia in giusta misura fanno fiorire ciò che nutre e dà vita. Così anche la giustizia nel governare e l’osservanza dell’alleanza faranno fiorire la casa di Davide.
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“In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra”. Rispetto ad altri testi profetici (Isaia), è il soggetto della frase a risultare decisivo. Qui è Dio stesso che si premura di far germogliare il virgulto di giustizia. Per dire: È il Signore Dio a tenere salde le redini della storia. Egli solo conosce i tempi e i modi per ogni cosa.
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Nel brano del vangelo, possiamo sentire echeggiare le domande e le attese della comunità cristiana a cui l’evangelista Luca si rivolge. Luca scrive il suo vangelo probabilmente verso la fine degli anni 80 del I secolo d. C. I cristiani della sua comunità sono quasi prevalentemente di lingua e cultura greca. Sono soprattutto credenti della seconda generazione. Credenti che vivono un momento difficile, di ostilità e persecuzione, di isolamento. Cristiani che si pongono delle domande: Il Cristo risorto tornerà come aveva promesso? Come tornerà? E quando?
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Solo l’apocalittica sembra offrire qualche spunto e soprattutto mette a disposizione un linguaggio appropriato. Linguaggio sintetico, ma carico di allusioni e denso, perché impregnato di simboli forgiati lungo la tradizione giudaica a partire dal ritorno dall’esilio. Simboli tuttavia riletti ora alla luce della comprensione nuova del Primo Testamento. Simboli riletti soprattutto sotto la luce sfolgorante degli eventi pasquali. In questa prospettiva va letta e decodificata l’immagine della…
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La nube sta ad indicare che non è dato conoscere e capire il mistero del ritorno (parusia) del Cristo risorto. Così come, fin dall’inizio della vicenda di Gesù, non è dato conoscere e capire tutto ciò che riguarda la sua origine e venuta sulla terra. La nube è anche allusione al Sinai e all’alleanza. È manifestazione della vicinanza e trascendenza di un Dio che si rivela e si nasconde. In questa nube entrano sia Maria sia i discepoli. In questa nube saremo avvolti anche noi, se sapremo sollevare lo sguardo, libero dal peso della vita fisica.
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Stando nel tempio Gesù indica che non qui, non in questa costruzione, memoriale e speranza per Giuda e Israele, abita la gloria dell’Altissimo, non più… Come nei giorni dell’esilio, nei quali la gloria aveva lasciato la dimora per seguire il popolo dei deportati… Così ora bisogna alzare lo sguardo fuori dal recinto del tempio, per contemplare il Signore in tutta la sua gloria. Alzare lo sguardo fin dove non sembra possibile vedere alcuna gloria per l’uomo, dove abita il paradosso di un Dio umiliato e crocifisso.
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Solo qui, solo ora, poiché “non resterà pietra su pietra”, è possibile comprendere che la gloria è uscita dal tempio e sta per salire una croce, in cima al “luogo del cranio”. Passando da lì, il Cristo l’ha vinta ed è tornato al Padre e riapparirà, alla fine dei tempi, nel giorno del Signore che viene.
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Ai discepoli, questo Gesù che dal tempio guarda verso il Golgota, rivolge l’invito a puntare lo sguardo più lontano e li invita a vegliare e pregare. In ogni momento… Perché possiamo anche noi “fuggire a tutto ciò che deve accadere”. Soprattutto per avere la forza di “stare”, essere stabili, stare fermamente saldi nell’attesa e nella speranza del suo ritorno. Saldi nella sua Parola.
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