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PubblicatoAlice Mauro Modificato 9 anni fa
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Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche Indicatori di Welfare Lucio Morettini (lucio.morettini@ircres.cnr.it)lucio.morettini@ircres.cnr.it Andrea Filippetti (andrea.filippetti@cnr.it)andrea.filippetti@cnr.it a.a. 2014 - 2015
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Politiche del lavoro Definizione: insieme composito di interventi pubblici volti al raggiungimento e al mantenimento di un elevato e stabile livello di occupazione e ad una protezione del lavoratore negli aspetti materiali ed immateriali.
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Politiche del lavoro Tipologie di intervento: Regolazione dei rapporti di lavoro; Sostegno o mantenimento del reddito Politiche di incentivazione all’ingresso e alla permanenza nel mondo del lavoro (o politiche proattive);
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Politiche del lavoro Regolazione dei rapporti di lavoro: Tipologie di forme contrattuali; Vincoli di assunzione ed estinzione dei rapporti;
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Confronto tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato. Viene confrontata l’andamento percentuale dei due gruppi di lavoratori per il complesso dei lavoratori (figura A), lavoratori di età compresa tra i 14 e i 25 anni (figura B), donne (figura C). Prima della riforma Treu i contratti a termine non erano regolati nell’ordinamento italiano, a meno di un ristretto numero di professioni per cui erano previsti dei contratti di scopo. Fino al 1997, anno della riforma, i lavoratori a tempo determinato erano sconosciuti al sistema del lavoro italiano, dove erano presenti solo disoccupati o lavoratori a tempo indeterminato. Con la legge 196/1997 è stato ampliato lo spettro dei contratti, creando nuove categorie di lavoratori con una «data di scadenza» e introducendo nuove figure quali para subordinati. La situazione è stata ulteriormente «aggravata» dalla legge 30 del 2003, la legge Biagi, che ha introdotto nuove forme di lavoro a tempo determinato, anche a cortissimo termine, ma che di fatto ha solo creato un numero più alto di contratti e aggiunto nuove e improbabili figure professionali. Sebbene il peso complessivo dei lavoratori a tempo determinato risulti limitato nel quadro generale, a partire dalla loro introduzione a fine anni ‘90 fino ad oggi hanno avuto una crescita sostenuta, arrivando a rappresentare il 13% della forza lavoro complessiva (figura A, dati OCSE). L’introduzione dei contratti a tempo determinato rappresenta sicuramente un indebolimento della posizione dei lavoratori sul mercato. Questo indebolimento è andato ad incidere principalmente sui giovani lavoratori, una delle fasce più deboli sul mercato del lavoro, per i quali la percentuale di lavoratori a tempo determinato ha registrato una crescita tumultuosa nel corso degli ultimi 15 anni fino a rappresentare la maggioranza a partire dal 2011. Questo aumento non è tuttavia da intendere necessariamente in chiave negativa. Dato l’aumento delle iscrizioni alle università, soprattutto nel periodo tra il 2005 e il 2010, l’aumento di lavoratori a tempo determinato può essere anche frutto di una precisa scelta di da parte di soggetti che hanno in programma di cambiare lavoro una volta finito il corso di studi, per cui una forma di lavoro a tempo determinato rappresenta un modo per non sentirsi legati ad una posizione lavorativa che potrebbero ritenere inadeguata una volta terminati gli studi. Per quanto riguarda l’altro gruppo tradizionalmente svantaggiato sul mercato del lavoro, le donne, l’introduzione dei contratti a tempo determinato non sembra avere avuto effetti univoci. Dopo una rapida ascesa nei primi anni 2000 c’è stata una inversione di tendenza. Tuttavia le percentuali di lavoratori a tempo determinato rimangono sempre più elevate rispetto al dato complessivo, segno che sul mercato del lavoro globale le donne sono svantaggiate indipendentemente dall’età.
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L’introduzione di nuove tipologie di contratto di lavoro ha creato nuove figure ibride, in cui componenti di lavoro autonomo si fondono con quelle dei lavoratori subordinati creando i c.d. parasubordinati. L’idea alla base di questi contratti (lavoratori a progetto, collaboratori coordinati e continuativi ecc.) era quello di creare una classe di contratti di lavoro in cui al datore di lavoro era chiesto di fissare lo scopo del rapporto di lavoro e la tempistica massima, mentre modalità e tempistica intermedia erano rimessi alle decisioni autonome del lavoratore. La degenerazione nell’uso di tali contratti è stata quella di creare un lavoratore con gli oneri, soprattutto in termini di orario di lavoro e presenza sul posto di lavoro, paragonabili a quelli di un lavoratore dipendente senza averne le tutele. Il grafico riporta i dati ISFOL sulla distribuzione dei lavoratori autonomi tra parasubordinati (indicati come collaboratori) e i lavoratori autonomi veri e propri (indicati come professionisti) che hanno piena possibilità di determinare le modalità di lavoro. Come è possibile notare il numero di professionisti è grossomodo stabile nel corso del tempo, mentre i collaboratori hanno avuto uno scatto in avanti nei primi anni 2000 per poi avere una frenata negli ultimi anni di crisi. Questo dato ci suggerisce che la pratica di utilizzare lavoratori parasubordinati ha iniziato a prendere piede nei primi anni 2000, anche in seguito all’approvazione della c.d. legge Biagi (legge 30 del 2003) che ha introdotto nuove forme di contratti a tempo determinato, mentre con la crisi i parasubordinati sono stati una delle categorie maggiormente toccata.
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Anche se può non sembrare, la crisi non ha bloccato la creazione di nuovi posti di lavoro ma è un dato di fatto che i contratti a tempo indeterminato sono strettamente minoritari. Il grafico precedente, ottenuto utilizzando dati ISFOL, rappresenta l’andamento del numero di nuovi contratti attivati negli ultimi 9 semestri registrati, divisi per tipologia di contratto. Il numero di contratti a tempo determinato sono grossomodo costanti nel corso del tempo, segno che la variazione del numero di nuovi lavoratori contrattualizzati è dovuta alle altre tipologie di contratti. Tra questi i maggiori sbalzi si registrano tra i contratti di collaborazione, conferma ulteriore all’ipotesi che la crisi colpisca in primo luogo e con un effetto maggiore i lavoratori più flessibili (per usare un eufemismo caro alla stampa) quali i parasubordinati.
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La fragilità dei parasubordinati sul mercato del lavoro è mostrata anche dalla durata media dei contratti cessati nello stesso periodo. Intanto dal grafico precedente, che riporta dati ISFOL, è possibile notare come la maggior parte dei contratti venga chiusa nel secondo semestre, in corrispondenza del periodi di riapertura delle aziende dopo il periodo estivo o in chiusura di bilanci, mostrando come i licenziamenti seguano i cicli di attività delle imprese grandi o piccole che siano. Inoltre tra i contratti che terminano solo una piccola parte è durata più di un anno, segno che i rapporti di lavoro che terminano sono in grande maggioranza quelli di lavoratori precari. Tra questi contratti circa la metà ha una durata inferiore ai 4 mesi e poiché la realizzazione di contratti di lavoro dipendente comporta degli oneri amministrativi non indifferenti, non è difficile pensare che i contratti che terminano sono di soggetti inquadrati con contratti di collaborazione.
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L’eccessiva proliferazione di contratti a tempo determinato a seguito delle riforme del 1997 e del 2003 e delle posizioni lavorative nate dalla combinazione di forme contrattuali introdotte da tali leggi ha avuto come risultato l’introduzione della figura del parasubordinato sul mercato del lavoro italiano e la progressiva riduzione della durata media dei contratti a tempo determinato. La conseguenza intuibile è che sul mercato del lavoro italiano si è assistito ad una riduzione delle tutele dei lavoratori. Il grafico mostra l’indicatore sintetico di tutela del lavoro (che prende in considerazione elementi legali e sociali) per i maggiori Paesi europei tra per il 2008 e il 2013. Sebbene questo indice sia stato criticato nella sua natura globale, costituisce comunque un utile indice di confronto tra Paesi e momenti differenti. È possibile vedere come in Italia sia tuttora ben tutelato, con livelli di protezioni paragonabili a quelli di Germania e Svezia. Tuttavia l’Italia, insieme con la Spagna, è il Paese che più di tutti ha ridotto le tutele per i lavoratori a seguito della crisi.
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Indicatori sintetici come quello dell’OCSE sono un’invenzione recente, frutto del raffinamento degli studi in economia del lavoro. Una confronto storico di lungo corso e possibile considerando altri elementi quale ad esempio le ore complessive di sciopero. Il grafico riporta le ore complessive di sciopero per anno, ottenute dalla somma di ore di astensione dal lavoro per ogni lavoratore per ogni anno, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. I dati sono tratti dall’archivio delle serie storiche dell’ISTAT. È facile vedere come il picco si sia avuto alla fine degli anni ’60, in corrispondenza della lotte per l’approvazione della legge 300 del 1970, detta «Statuto dei lavoratori». Tale legge, oggi conosciuta principalmente per l’articolo 18, contiene una serie di norme sulla tutela del lavoratore e della sua dignità che adesso sono date per scontate quali la libertà di sciopero, il diritto di non essere spiato dal datore di lavoro, il diritto alla riservatezza e la tutela della maternità. Dopo il picco degli anni ‘60 si sono avuti altri aumenti importanti in corrispondenza di crisi economiche (come ad esempio tra il 1973 e il 1977) e in corrispondenza di importanti riassetti del sistema industriale italiano (durante tutti gli anni ‘80).
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Politiche del lavoro Sostegno del reddito: Pilastro assicurativo; Pilastro assistenziale dedicato; Pilastro assistenziale generale; Generosità; Finanziamento; Requisiti d’accesso;
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Politiche del lavoro Ammortizzatori sociali: Garantiti Semi garantiti Non garantiti
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La Cassa Integrazione Guadagni è il più noto mezzo di tutela del lavoro esistente in Italia. Il suo funzionamento prevede la creazione di un fondo tramite i versamenti di contributi di contributi a carico di aziende e lavoratori. A questo fondo si accede dopo una specifica richiesta al ministero per le politiche sociali e solo dopo che il ministero abbia verificato la situazione di necessità dell’azienda. Tramite la cassa integrazione l’azienda viene liberata in tutto o in toto (CIG a zero ore) dell’onere della retribuzione dei lavoratori. Qualora il fondo non si sufficiente a coprire le richieste da parte delle aziende, la differenza è coperta dallo stato tramite trasferimenti dalla fiscalità generale. I grafici mostrano l’andamento della CIG negli ultimi anni. Per quanto sia fisiologico che una certa quota delle imprese siano in crisi nel corso del tempo, l’aumento del numero di lavoratori che sono stati coinvolti nella CIG e la consistenza delle erogazioni sono uno degli indicatori più realistici delle situazioni di difficoltà di un sistema economico. Nel corso del tempo la CIG è arrivata ad assorbire il 4% del PIL mentre ad essere interessato è il 5% della forza lavoro. Questo vuol dire che ad essere coinvolto è un lavoratore su 20, compresi autonomi, e disoccupati. I dati dei grafici sono stati tratti dalla banca dati dell’INPS.
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Politiche del lavoro Politiche proattive: insieme di azioni volte all’inclusione nel mondo del lavoro del maggior numero di soggetti possibili con particolare riguardo per le categorie maggiormente svantaggiate dalle dinamiche del mercato del lavoro. Principali azioni: Decentramento delle politiche per l’impiego; Apertura ai privati; Sorveglianza dei beneficiari;
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Indici di base per la descrizione del mercato del lavoro: Tasso di disoccupazione: si ottiene dal rapporto tra le persone in cerca di lavoro e la forza lavoro, cioè la somma delle persone in cerca di lavoro e le persone occupate. Sono escluse dal denominatore le persone che effettivamente non cercano lavoro quali studenti, casalinghe e pensionati. Tasso di occupazione: si ottiene dal rapporto tra le persone occupate e tutte le persone in teoria occupabili cioè tutta la popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Tasso di attività: si ottiene dal rapporto tra la forza lavoro, cioè la somma di occupati e persone in cerca di occupazione, e le persone occupabili, cioè tutta la popolazione di età compresa tra i 16 e i 64 anni. NEET: si intendono tutti i soggetti di età compresa tra i 15 e i 64 anni che non sono occupati, non sono in cerca di occupazione, non sono impegnati nello studio ne tantomeno in formazione lavorativa. Rappresentano una quota di popolazione che volontariamente si astiene da qualsiasi forma di partecipazione al mercato del lavoro senza sostituirla con la formazione personale.
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Politiche del lavoro Politiche di incentivazione: Regolarizzazione del sommerso; Contratti di apprendistato; Incentivi all’assunzione; Incentivi alla creazione di nuovi posti di lavoro;
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Le politiche proattive hanno avuto sempre un peso ridotto rispetto alle politiche di tutela del lavoro. Il grafico, basato su dati OCSE, mette a confronto la spesa per il sostegno al reddito (la cassa integrazione guadagni) e le politiche proattive, volte a creare nuovi posti di lavoro. Risulta chiaro come queste ultime abbiano goduto di minore copertura finanziari rispetto al sostegno al reddito anche in periodi pre crisi (dal 2005 al 2008), ma con l’aggravarsi della situazione economica globale si è registrato un netto avanzamento della spesa a finanziamento della CIG e una progressiva riduzione della spesa per politiche proattive. Questo dato suggerisce una chiara linea di politica economica. Al fine di evitare ripercussioni peggiori sull’intero sistema economica, il governo ha preferito tamponare la perdita di reddito da parte dei soggetti già presenti all’interno del sistema produttivo, rimandando azioni di ampliamento della forza lavoro retribuita a momenti meno concitati.
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Uno dei principali obiettivi delle politiche proattive è quello di ridurre lo spazio di lavoro illegale. Per quanto esistano tecniche indirette di stima del numero di lavoratori irregolari, così come presentato nel grafico, basato su dati ISTAT, questo numero è sempre frutto di una approssimazione. Questo dato suggerisce che è possibile individuare l’ampiezza del problema ma non le sue effettive dinamiche. Inoltre poiché l’area del lavoro dipendente illegale non sembra subire particolari ridimensionamenti nel corso del tempo, il grafico ci suggerisce che l’area di illegalità per quanto intuibile è difficilmente affrontabile in maniera diretta rendendo, in media, poco incisive le politiche che mirano a contrastarla.
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Tra le principali politiche proattive rientrano i contratti di apprendistato, gli incentivi alle assunzioni, i contratti di solidarietà e le politiche di creazione di nuovi posti di lavoro. I contratti di apprendistato sono una forma di avviamento al lavoro che cercano di conciliare necessità di insegnamento e inserimento nel mondo del lavoro. Tramite tale contratti i giovani lavoratori sono introdotti nel mercato del lavoro con un orario ridotto e con responsabilità limitate ma agendo in prima persona. Dal canto loro i datori di lavoro hanno la possibilità di formare dei lavoratori secondo le proprie esigenza senza dover pagare il costo pieno di un lavoratore alla prima esperienza. La naturale evoluzione di tale forma di contratto è l’assunzione dell’apprendista alla fine del periodo di formazione, tuttavia tale possibilità raramente si è realizzata nel corso del tempo. Nella categoria dei contratti di solidarietà rientrano accordi tra gruppi di lavoratori di una stessa unità produttiva che prevedono una riduzione collettiva della retribuzione e del monte ore lavorato al fine di evitare il licenziamento di lavoratori a seguito di riduzioni della produzione. In pratica i lavoratori solidarizzano con chi potrebbe essere licenziato dandogli parte del proprio stipendio. Il contributo statale si vede nella copertura dei contributi spettanti ai lavoratori che rischiano il licenziamento. Con le ultime due categorie, incentivi alle assunzioni ed incentivi alla creazione di nuovi posti di lavoro, si intendono una serie di trasferimenti alle imprese al fine di invogliarle ad assumere lavoratori che sono in una situazione precaria o lavoratori che appartengono a categorie da tutelare o infine per l’incentivazione all’ampliamento di attività che richiedono nuove forze di lavoro.
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Politiche del lavoro Come detto in precedenza, le politiche proattive hanno un ruolo limitato in Italia rispetto ad altre politiche del lavoro. I due grafici precedenti mostrano come tra queste politiche hanno una qualche rilevanza solo i contratti di apprendistato e gli incentivi alle assunzioni, sia in termini economici (rappresentano oltre l’80 della spesa dedicata, spesa che rimane sempre stabilmente al di sotto dell’1% del PIL) sia in termini di lavoratori coinvolti (in questo caso le prime due tipologie arrivano a coprire il 90% del totale dei lavoratori interessati). I grafici inoltre confermano qualcosa già mostrato in precedenza: con l’aggravarsi della crisi economica le politiche proattive hanno subito un vigoroso ridimensionamento, tale da far pensare che per superare la crisi si punto principalmente sul consolidamento del sistema economico prima che sulla sua espansione.
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Politiche del lavoro Evoluzione della situazione contrattuale per lavoratori a tempo determinato 20002005
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Politiche del lavoro Il grafico precedente mostra l’evoluzione della situazione contrattuale per lavoratori entrati nel mondo del lavoro in due momenti distinti (2000, 2005) con contratti di lavoro dipendente a tempo determinato. L’evoluzione è registrata dopo un anno di lavoro (rispettivamente 2001 e 2006) e nell’ultimo anno di osservazione disponibile nei dati ISFOL – INPS (il 2012). La distribuzione tra tipologie di contratto nel 2012 non è molto differente per chi ha iniziato a lavorare nel 2000 e nel 2005, oltre il 70% dei lavoratori a tempo determinato è diventata a tempo indeterminato. Nella rilevazione ad un anno invece c’è una sensibile riduzione dell’inquadramento a tempo indeterminato per chi ha iniziato a lavorare nel 2005 rispetto a chi ha iniziato a lavorare nel 2000, a tutto vantaggio di altre forme di contratti di lavoro dipendente (ad esempio reiterazione dei contratti a tempo determinato) e di contratti di lavoro parasubordinato. In entrambi i casi invece, i lavoratori non sembrano essere particolarmente interessati dal rischio di disoccupazione.
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Politiche del lavoro Evoluzione della situazione contrattuale per lavoratori parasubordinati 20002005
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Politiche del lavoro Lo stesso grafico viene riproposto per i lavoratori che iniziano le loro carriere lavorative nel 2000 e nel 2005 come parasubordinati. Rispetto ai dipendenti a tempo determinato va sottolineato che nella categoria di arrivo «lavoratori dipendenti» non è possibile operare una distinzione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma da altre fonti (ISFOL) sappiamo che il rapporto tra queste due categorie è circa di uno a tre (per ogni parasubordinato che diventa lavoratore dipendente a tempo determinato ce ne sono tre che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato). Nel confronto rispetto alla situazione precedente ci sono alcune indicazioni degne di nota. Ad esempio rispetto ai lavoratori a tempo determinato, per i parasubordinati c’è una maggiore perpetrazione della stessa tipologia di contratto sia nel breve periodo (i soggetti che rimangono parasubordinati sono circa il 60% nel 2001 e il 50% nel 2006) che nel lungo periodo (tra il 12 e il 15%). Le stesse cifre per i lavoratori a tempo determinato erano pari al 22-25% nel primo anno e il 3-5% nel 2012. Questi dati suggeriscono che i parasubordinati sono meno propensi alla stabilizzazione soprattutto nel brevissimo periodo. Infine è degna di nota la quota di lavoratori che iniziando a lavorare come parasubordinati nel 2000, risulta essere pensionato nel 2012. in questa categoria rientrano professionisti che a seguito della rarefazione del mercato del lavoro hanno dovuto accettare posizioni lavorative da parasubordinati nella fase finale della loro vita lavorativa, a dimostrazione che anche chi una carriera apparentemente consolidata non è immune da cambiamenti imposti da riforme legislative.
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