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Il Risorgimento Italiano
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Cosa significa “Risorgimento”?
Il verbo “risorgere” significa “sollevarsi”, “rinascere”; in senso transitivo (ormai in disuso) significa “rianimare”, “risvegliare”. Il primo ad utilizzare questa espressione è Saverio Bettinelli nel 1775 ne Il Risorgimento dell’Italia dopo il Mille. E’ però Vittorio Alfieri (scrittore e tragediografo) ad utilizzare la parola Risorgimento nel senso di “rinascimento nazionale” e con l’idea della liberazione del suolo italiano dalla presenza straniera. “Risorgimento” è il nome di un giornale diretto a Torino da Cavour e Cesare Balbo ed uscito la prima volta nel I due direttori intendono riferirsi con questo titolo sia alla rivolta degli Stati Italiani contro la dominazione straniera sia allo sviluppo economico e sociale nella direzione del progresso.
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Cosa si intende per Risorgimento?
Il dibattito sulla durata del periodo detto “Risorgimento” e sulle sue caratteristiche è ancora aperto. Noi possiamo riassumere tre punti di vista: Chi considera il periodo dalla Restaurazione (1815) alla proclamazione del Regno d’Italia (1861). Chi preferisce riferirsi agli eventi (bellici e politici) che hanno portato all’Unità. Si considera allora Risorgimento il periodo che va dal 1848 (I Guerra d’Indipendenza) fino al 1870 (presa di Roma). Chi fa partire il movimento risorgimentale all’età rivoluzionaria (1796 circa per l’Italia) e lo fa terminare alla fine della I Guerra Mondiale con la conquista delle terre “irredente”. Si parla in questo caso di “Lungo Risorgimento”.
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L’Italia della Restaurazione
Vengono reimposti sui troni dei vari Stati Italiani quei sovrani che erano dovuti fuggire per l’arrivo delle truppe napoleoniche. Per molti di coloro che avevano partecipato alle istituzioni pubbliche create dai francesi la scelta è tra l’affrontare un processo e partire per l’esilio. In generale si può dire che quasi tutte le riforme dell’età napoleonica (codice civile e penale, organi rappresentativi) vengono abrogate.
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L’Italia della Restaurazione (2)
Contrariamente a quello che i sovrani europei hanno pensato al Congresso di Vienna non è possibile un ritorno alla situazione precedente l’ondata rivoluzionaria. Molte istituzioni e molte riforme dell’età napoleonica sono ormai divenute indispensabili: si pensi soltanto che i censimenti fatti fare da Napoleone durante la dominazione francese in Italia sono, per molte città, i primi effettuati da secoli.
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Un nuovo forte elemento simbolico: la bandiera
L’elemento forse più importante dal punto di vista simbolico che esce dal periodo napoleonico in Italia è l’uso del Tricolore come stendardo politico. Utilizzato con questo scopo a partire dal gennaio del a Reggio Emilia percorrerà tutta l’epopea risorgimentale assumendo valore via via più notevole. L’importanza di questo elemento è facilmente verificabile anche “in negativo”: a partire dagli anni della Restaurazione sarà più volte proibito dai vari stati italiani possedere o esibire il tricolore.
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I moti del 1821 Nell’estate 1821 scoppia una rivolta a Napoli che trova l’appoggio anche di parte dell’esercito borbonico. Di lì a poco la protesta si diffonde anche a Palermo dove viene fomentata dal separatismo siciliano. Anche a Torino i patrioti si organizzano, potendo contare sull’appoggio dell’erede al trono: Carlo Alberto. L’intenzione è quella di convincere il re Vittorio Emanuele I a concedere una Costituzione e muovere guerra contro l’Austria per liberare il Lombardo-Veneto. All’ultimo momento Carlo Alberto fa mancare il proprio appoggio ai ribelli che vengono sconfitti dai reparti fedeli al nuovo re Carlo Felice. A Napoli i Borboni, grazie all’aiuto militare dell’Austria, riescono a portare l’ordine.
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1822: la polizia estense scopre una congiura carbonara ed emette molte condanne a morte. Gran parte degli imputati sono condannati in contumacia. Don Andreoli viene decapitato presso il forte di Rubiera il 17 ottobre 1822.
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I moti del 1831 A capo dei moti sono Enrico Misley e Ciro Menotti che operano nel Ducato di Modena e Reggio. Hanno l’appoggio del duca Francesco IV che spera, nel caso di un esito positivo dei moti, di guidare uno Stato italiano del Nord. Pochi giorni prima della congiura il Duca cambia idea e fa arrestare quasi tutti i congiurati, compreso Ciro Menotti. La rivolta però ormai è iniziata e si diffonde anche alle Legazioni. Si creano Governi Provvisori che formano anche delle compagnie di volontari. Dopo poche settimane l’Austria, verificato che la Francia non ha nessuna intenzione di intervenire a favore degli insorti, mette fine alla rivolta con la battaglia di Rimini (fine marzo). Alla fine dei moti segue la solita raffica di condanne (anche a morte) e di esili.
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Ciro Menotti e Francesco IV
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Emancipazione e progresso
Gli intellettuali italiani dopo la Restaurazione sentono fortemente il legame tra il progresso politico-sociale ed economico e il processo d’indipendenza italiana. Questo legame è ambivalente: l’Italia non può progredire se non si libera dalla dominazione straniera; allo stesso tempo senza riforme negli Stati che vorranno guidare questa liberazione l’Unità italiana non sarà possibile.
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Vincenzo Gioberti Nato nel 1801 a Torino e morto in esilio a Parigi nel 1852. Sacerdote dal 1825 è un aperto sostenitore di Pio IX quando questi sale sul soglio pontificio. Diventa Ministro dell'Istruzione per qualche mese nel 1848. Pubblica in Belgio nel 1843 “Del primato civile e morale degli italiani”.
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Del primato civile e morale degli italiani
Il primato italiano si basa sul fatto che l’Italia è la sede della Chiesa cattolica. La sua idea è che si debba creare un rapporto nuovo tra politica e religione, il progresso per Gioberti è efficace solo se guidato dalla religione. L’Italia deve essere il faro per le altre nazioni europee e il Papa deve guidare una confederazione italiana e assumere quel ruolo di pacificatore europeo che porterà l’Italia a essere la prima nazione del continente.
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Giuseppe Ferrari Nato a Milano nel 1811 si avvicina al circolo del filosofo Romagnosi e abbandona gli studi giuridici. Nel 1838 si stabilisce a Parigi dove insegna filosofia. Il suo punto di vista è molto interessante: egli parte ponendo l’accento sull’importanza e la diversità dei dialetti italiani. Partendo dall’importanza delle diverse peculiarità italiane egli propone un federalismo di piccolissime regioni. Potremmo definirlo un federalismo delle Cento Città. In quest’ottica contesta tutte le proposte politiche che si stanno affacciando in Italia, comprese quelle di Balbo e di Gioberti.
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L’idea di Mazzini Mazzini ( ) rappresenta il lato dimenticato del tentativo di unificazione nazionale. La sua opera e le sue idee hanno avuto molta influenza sugli avvenimenti dell’ottocento italiano, tuttavia egli è rimasto politicamente a latere del processo di unificazione. Lo stesso Garibaldi era cresciuto politicamente aderendo alla Giovane Italia ma se ne era distaccato poi negli anni Cinquanta per aderire alla Società Nazionale.
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L’idea di Mazzini Egli per prima cosa punta sui giovani fondando la “Giovane Italia” (1831): si oppone alle insurrezione di tipo settario. Punta sempre sull’insurrezione popolare, propugna una propaganda in grado di dare a tutto il popolo l’opportunità di partecipare al movimento di liberazione. Ha un forte senso religioso (non cattolico): secondo lui di volta in volta i popoli erano investiti da Dio di compiti particolari per il progresso dell’umanità. Il popolo italiano doveva quindi realizzare il proprio Risorgimento politico come forma di autorinnovamento morale.
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L’idea di Mazzini Nonostante la grande diffusione delle sue idee soprattutto nell’Italia settentrionale, le iniziative pratiche del mazzinianesimo si risolvono spesso in insuccessi. Dopo il 1834, all’indomani dell’ennesimo fallimento Mazzini fonda la “Giovane Europa” che ha lo scopo di mettere insieme coloro che mirano alla liberazione dei vari popoli europei. Il momento forse migliore della sua parabola politica è rappresentato dall’esperienza della Repubblica Romana del quando insieme con alcuni grandi esponenti della stagione risorgimentale partecipa al primo esperimento di democrazia repubblicana e di avanzate riforme politiche.
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Verso il 1848 A partire dagli anni ’45-’46 Carlo Alberto, il sovrano del Piemonte divenuto Re nel 1831, attua alcune riforme in senso liberale: concede la nascita di un quotidiano, riforma l’università, l’ordinamento giudiziario e sanitario e, finalmente, istituisce il Ministero dell’Istruzione Pubblica. In Toscana Leopoldo II attua riforme simili a quelle piemontesi. A Roma è eletto papa Giovanni Mastai Ferretti che prende il nome di Pio IX. Il nuovo Papa ha fama di liberale e i suoi primi provvedimenti fanno nascere la speranza che egli possa guidare in futuro una federazione di Stati Italiani.
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Francesco V Nel 1846 muore Francesco IV, il nuovo duca è suo figlio, Francesco V. Il nuovo duca è meno sanguinario del padre: è però sospettoso, poco incline alla benevolenza anche di fronte alle tragedie famigliari che talvolta colpiscono i patrioti. E', come i suoi predecessori, legato strettamente alle fortune militari dell'Austria.
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L'esordio di Cavour Il 1° maggio 1846 esce sulla “Revue Nouvelle” un importantissimo intervento di Cavour sulle ferrovie. L'articolo esalta i Chemins de fer come strumento di progresso concreto, sul piano civile ed economico. A questo progresso deve essere affidato il futuro dell'Italia piuttosto che alle congiure. Per la prima volta Cavour parla di indipendenza nazionale che verrebbe quindi di conseguenza al progresso economico-sociale.
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Il Risorgimento Non è una rivista ma un giornale quotidiano, vuole raggiungere un pubblico più vasto. Il primo numero esce il 15 dicembre 1847. Viene fondata da Cavour (direttore) e Cesare Balbo, esponente del partito moderato. Diventa l'organo del Partito moderato, un partito d'opinione non di membership (come era invece il Partito d'azione di Mazzini). Il Partito Moderato si trova tra i reazionari (codini) e i democratici e si allea alternativamente con questi o con quelli.
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Il 1848 Le prime rivolte si hanno in Sicilia contro i Borboni. L’11 febbraio il re Ferdinando II è costretto a concedere una Costituzione. L’esempio napoletano prende piede in tutti gli altri Stati italiani e anche Leopoldo II, Pio IX e Carlo Alberto finiscono col cedere e promulgare una Costituzione. La Costituzione piemontese (meglio nota come “Statuto Albertino”), pubblicata il 4 marzo diventerà poi la Carta Costituzionale dell’Italia Unita fino al 1946.
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Il ’48 si diffonde Le rivolte scoppiano in tutta l’Europa contro l’Impero austriaco definito “prigione dei popoli”. Il grande uomo di governo e diplomatico Metternich è costretto ad abbandonare il potere. Immediatamente si ribellano Venezia, i ducati emiliani legati all’Austria e Milano. Ovunque nascono governi provvisori che cominciano riforme e preparano l’annessione in un unico Stato del Nord Italia. A Milano si hanno le famose “Cinque giornate” ( marzo) quando la popolazione mette in fuga l’esercito austriaco.
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Metternich
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Il '48 a Reggio 1848, 21 marzo: anche nei ducati estensi, come in tutta Europa, si scatenano rivolte antiaustriache. In città sventola il Tricolore mentre, fuggito il duca, il panorama politico è diviso ormai tra due partiti ben delineati: i mazziniani, propensi alla guerra di popolo e indirizzati verso la repubblica (Grillenzoni, Giuditta Bellerio Sidoli, Giuseppe Lamberti) e i liberali ormai orientati verso un’alleanza strategica col Piemonte (Nicomede Bianchi, Prospero Viani, Luigi Chiesi). Molti volontari reggiani partono per partecipare alla guerra del Piemonte contro l’Austria mentre la città è retta da un Governo Provvisorio che chiede a Carlo Alberto l’annessione al Piemonte.
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La I Guerra d’Indipendenza
L’Austria è in difficoltà e i liberali piemontesi spingono Carlo Alberto a dichiararle guerra (25 marzo). Accorrono volontari da tutta l’Italia e anche corpi di spedizione dalla Toscana e dallo Stato della Chiesa. All’inizio le operazioni militari sorridono ai piemontesi che vincono a Goito e a Pastrengo. In giugno però gli austriaci recuperano terreno e sconfiggono i piemontesi a Custoza il luglio. Il 9 agosto viene firmato un armistizio.
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La I Guerra d’Indipendenza (2)
La situazione di stallo favorisce l’Austria che si riorganizza. Intanto nei ducati emiliani rientrano i sovrani. A Venezia viene proclamata una Repubblica che mira a recuperare la tradizione della Serenissima. A Napoli Ferdinando II toglie ogni potere democratico elargito con la Costituzione e si prepara a risolvere nel sangue la questione siciliana. A Roma viene cacciato il Papa e si forma la Repubblica Romana: è il luogo dove per prime si sperimentano forme avanzate di parlamentarismo. Qui confluiscono alcuni dei personaggi più importanti del Risorgimento: Garibaldi, Mazzini, Saffi, Mameli.
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La sconfitta italiana Nel febbraio 1849 si riaprono le ostilità.
Gli austriaci si sono però riorganizzati e sconfiggono i piemontesi prima a Mortara poi a Novara. Carlo Alberto abdica in favore di Vittorio Emanuele II per salvare almeno la dinastia sabauda sul trono piemontese. E’ la fine delle speranze per i patrioti italiani. La Repubblica Romana, dopo aver resistito per mesi alle truppe francesi grazie all’abile guida di Garibaldi, cade il 12 luglio. Qualche mese dopo si arrende anche la Repubblica di Venezia.
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Il decennio di preparazione
La sconfitta lascia un’eredità pesante nel movimento unitario: è mancata la coordinazione tra esercito regolare e volontari, i governi provvisori erano spesso divisi tra liberali e mazziniani, gli errori tattici dei generali hanno permesso il ricostituirsi dell’esercito austriaco. A ciò si aggiunge l’ondata di esili e condanne che colpisce coloro che hanno partecipato ai moti: molti di questi riparano in Piemonte che è l’unico Stato italiano a non ritirare la Costituzione concessa nel
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Cavour al Governo A partire dal 1851 Cavour diventa Ministro delle Finanze (oltre che dell'Agricoltura e del Commercio). Il bilancio è in pesante passivo: tramite i Rothschild il Piemonte ha emesso dei titoli del Tesoro. Istituisce una imposta sui “corpi morali” (associazioni) laiche e ecclesiastiche nonché sulle successioni. Cerca di collocare i titoli di Stato direttamente sul mercato inglese.
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Parallelamente si sviluppano le infrastrutture: il porto di Genova viene favorito dalla scelta di portare la base navale militare a La Spezia. Molti rami ferroviari vengono messi in opera tramite accordi con imprese britanniche. Cavour pensa che lo sviluppo di infrastrutture farà crescere l'economia favorendo il bilancio statale. C'è abbondanza di capitali sul mercato (per esempio per la scoperta dell'oro in California) e vengono così finanziate grandi compagnie come l'Ansaldo.
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I governi Cavour Caduto il primo ministro D'Azeglio, Cavour prende il suo posto anche se non è particolarmente amato dalla monarchia. Tuttavia ha stabilito un accordo con il Centro- Sinistra di Urbano Rattazzi che gli permette di avere una solida base parlamentare con cui portare avanti molte riforme.
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Grandi Riforme Incremento delle ferrovie (nel 1861 il Piemonte ne ha 850 Km, il 34% dell'intera rete nazionale). Incremento del commercio estero (indice 0,36 per gli anni , indice 10,31 per gli anni ). Creazione di grandi vie d'acqua (canale Cavour).
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Avvio del traforo del Frejus.
Incremento del potere della Banca Nazionale. Istituzione della scuola laica (elementare). Revisione di tutto l'impianto giuridico piemontese. Razionalizzazione amministrativa.
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La guerra in Crimea Il Piemonte prende parte ad una guerra (iniziata nel 1853) che vede Francia, Inghilterra ed Austria schierate contro la Russia che vuole espandersi sul mar Nero. In questa occasione Cavour invia 15 mila uomini che ben si comportano sconfiggendo i russi sul fiume Cernaia il 16 agosto 1855. Perchè il Piemonte entra in una guerra dalla quale non ha niente da guadagnare?
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L’Italia e l’Europa Cavour è consapevole che non è possibile costruire l’Italia senza trovare un accordo con le potenze europee. La più interessata ad aiutare l’Italia è la Francia di Napoleone III, desideroso di mettere in mostra il suo ruolo sul continente a scapito dell’Austria. Il Piemonte, per acquisire visibilità, manda un corpo di spedizione in Crimea come alleato di Francia ed Inghilterra che si trovano in guerra contro la Russia.
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La Società Nazionale Nasce nel 1857 è mette insieme personaggi di provenienza politica molto diversa come i repubblicani Manin e Garibaldi e vari esponenti monarchici e liberali piemontesi. L’obiettivo comune è quello di scacciare gli austriaci, per far questo tutti si dicono disponibili a rimettersi agli ordini del Piemonte e ad accettare il ruolo guida della monarchia sabauda.
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Massimo D’Azeglio
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I patti con la Francia In un famoso incontro a Plombières (maggio 1858), Napoleone III e Cavour si accordano sulla creazione di uno Regno del Nord sotto guida sabauda, un Regno del Centro con un sovrano di fiducia, un Regno del sud da lasciare ai Borboni o a un discendente di Murat. Roma sarebbe rimasta al Papa. Napoleone III in cambio pretende per la Francia Nizza e la Savoia.
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La II Guerra d’Indipendenza
Le ostilità si aprono nella primavera del ’59 I franco-piemontesi sconfiggono vicino a Milano gli austriaci mentre Garibaldi con i suoi volontari ottiene varie vittorie. 8 giugno: Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrano a Milano. 24 giugno: vittorie a Solferino e San Martino. 8 luglio: armistizio.
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La battaglia di Solferino
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La II Guerra d’Indipendenza
La Francia si ritira dalla guerra prima di quanto pattuito e per questo motivo il Piemonte non si sente legato a quanto stabilito in precedenza. Intanto sia nei Ducati emiliani che in Toscana sono nati dei governi provvisori che hanno cacciato i vecchi governanti e che preparano l’annessione al Piemonte. Si crea una situazione di stallo che dura fino alla primavera successiva. L’Austria comunque è costretta a riconoscere al Piemonte le conquiste lombarde e le eventuali annessioni emiliane e toscane. Alla Francia vanno come pattuito la Savoia e Nizza.
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Il prebiscito a Reggio 1860, marzo: si svolge il plebiscito per la formale annessione al Regno d’Italia. Nella provincia di Reggio i voti favorevoli all’annessione sono , quelli per la creazione di un regno separato solo 77.
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I Mille di Garibaldi e la conquista del sud
Mentre in Emilia e Toscana si svolgono i plebisciti per l’annessione dei nuovi territori al Piemonte, Garibaldi organizza, con la tacita collaborazione di Cavour, una spedizione in Sicilia. Partiti il 5 maggio 1860 da Quarto, vicino a Genova, i Mille sbarcano a Marsala l’11 e attaccano l’esercito dei Borbone a Calatafimi riscuotendo anche l’appoggio della popolazione. In due mesi conquistano l’intera Sicilia e sbarcano sul continente risalendolo fino a Napoli dove Garibaldi entra il 7 settembre. Intanto le truppe piemontesi sono entrate dalle Marche nel territorio pontificio dove hanno sconfitto le truppe papali a Castelfidardo. Il 26 ottobre ha luogo il famoso incontro di Teano dove Garibaldi consegna a Vittorio Emanuele II le terre conquistate.
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Il Regno d’Italia Il 17 marzo 1861 viene proclamato il Regno d’Italia con a capo re Vittorio Emanuele II. In mano agli austriaci rimangono solo il Veneto e il Trentino. La capitale è Torino anche se molti dei patrioti vorrebbero la conquista del Lazio e di Roma considerata la capitale naturale della penisola. Roma è però protetta dalle truppe francesi di Napoleone III che per ragioni di politica interna non può inimicarsi i cattolici del suo paese.
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La III Guerra d’Indipendenza (1866)
Nel 1866 scoppia una guerra tra la Prussia di Bismarck (interessata all’egemonia degli stati tedeschi nell’orbita austriaca) e l’Austria. L’Italia si allea con i prussiani e nonostante le clamorose sconfitte nelle battaglie di Custoza e di Lissa (al largo della Dalmazia) ottiene il Veneto. Solo Garibaldi ottiene delle vittorie ma viene fermato quando si trova ormai sulla strada per Trento.
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L' " OBBEDISCO " DI GARIBALDI
La Marmora il 9 mattina telegrafa da Padova a Garibaldi: "Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell'armistizio, per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo. D'ordine del re, ella disporrà quindi in modo che per le ore 4 antimeridiane di posdomani, 11 agosto, le truppe da lei dipendenti abbiano ripassato la frontiera del Tirolo". Garibaldi quel giorno stesso risponde da Bezzecca: "Ho ricevuto dispaccio Obbedisco".
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La presa di Roma Nel 1870 la politica espansionista di Bismarck si scontra con la Francia di Napoleone III. La guerra franco-prussiana, che si conclude con una schiacciante vittoria dei tedeschi, ha come conseguenza il richiamo in patria delle truppe francesi schierate a difesa di Roma. Il 20 settembre 1870 un reparto di fanteria e uno di bersaglieri piemontesi aprono una breccia nelle mura della città eterna presso Porta Pia. Roma è conquistata. Il plebiscito che segue nel Lazio e nella città ha un esito schiacciante a favore dell’annessione al Regno. Il 23 novembre Roma è nominata capitale e dal luglio 1871 il Governo e il Parlamento spostano effettivamente la loro sede nella nuova capitale.
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Nicomede Bianchi
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Nasce il 19 settembre 1818 a Reggio Emilia, il padre è un modesto farmacista.
Si iscrive a Medicina a Parma nel 1841, la polizia gli impedisce di seguire i corsi per le sue amicizie liberali. Riesce a laurearsi nel luglio 1844, si reca poi a Vienna a perfezionare i suoi studi. Nel 1848 entra a far parte del Governo provvisorio nato in seguito alla fuga di Francesco IV.
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Fa parte della delegazione che si reca a Voghera presso Carlo Alberto a chiedere l'appoggio per le province liberate. A seguito dell'armistizio Salasco rientra a Reggio il Duca e Bianchi se ne va in esilio a Torino insieme alla moglie che ha sposato il 29 aprile In Piemonte ottiene la cattedra di Storia e Geografia al collegio nazionale di Nizza.
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Diventa lo storico di riferimento per quanto riguarda la corrente filocavouriana.
Scrive “Storia della politica europea in Italia dal al 1861” e “Storia della Monarchia piemontese dal 1773 al 1861”. Dopo l'Unità ricopre molti incarichi ministeriali nel campo dell'Istruzione pubblica: diventa segretario generale del ministero nel 1864. Nel 1870 è nominato direttore dell'Archivio di Stato di Torino.
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Negli anni Settanta diventa assessore all'istruzione del Comune di Torino.
Viene nominato Senatore del Regno nel 1881. Muore il 6 febbraio 1886, viene sepolto a Reggio.
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Luigi Chiesi
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Nasce nel 1811, i suoi genitori hanno il caffè in palazzo Ancini (attuale via Farini).
Studia nel collegio dei Gesuiti. Si sposa già nel 1830 con Rosalinda Fratti che gli darà cinque figli. Si laurea nel 1831 e comincia una promettente carriera di avvocato. E' un esperto di diritto civile in particolare di questioni testamentarie.
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Comincia a pubblicare opere giuridiche.
Nel 1847 inneggia con altri reggiani a Gioberti e alla creazione di una lega doganale. Nel 1848 è uno dei firmatari del documento di costituzione del Governo Provvisorio di Reggio. Dopo l'armistizio Salasco si rifugia in Piemonte dove forma un comitato di esuli emiliani che lanciano proclami ed esortazioni ai concittadini ritornati sotto il governo ducale.
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Chiesi non rimane in Piemonte ma prende a muoversi soprattutto in Toscana dove si sposta tra Firenze, Pisa e Siena seguendo le necessità degli studi del figlio maggiore. Continua a scrivere opere giuridiche e cerca di ottenere dal duca il permesso a rientrare a Reggio dove ha lasciato la numerosa famiglia. A curare i suoi interessi è l'amico Prospero Cugini, preside del liceo cittadino. Ci rimane una corrispondenza molto interessante tra i due.
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A partire dal 1856 è a Parma mentre si diffonde la stima nei suoi confronti negli ambienti giuridici italiani. Da Parma, eludendo la sorveglianza ducale, riesce a passare di notte e a rientrare brevemente a Reggio. Nel 1859 è a Torino e nel giugno può finalmente rientrare a Reggio accolto da una folla festante.
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Suo figlio maggiore combatte nella II Guerra d'Indipendenza e viene decorato.
Ricomincia la carriera politica, diventa ministro della Giustizia nel Governo Provvisorio di Farini. E' nominato Senatore del Regno già nel 1860. E' protagonista nei dibattiti sulla riforma dei Codici civili, spesso è segretario del Senato.
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Questa fase di grande attività è funestata dalla morte del figlio ventenne, Ciro, nella battaglia di Lissa. Viene più volte eletto presidente del Consiglio provinciale di Reggio. Promuove la creazione in città di un Istituto Tecnico. Muore a Roma nel 1884, viene sepolto a Reggio.
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Giuditta Bellerio Sidoli
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Figlia di una nobile e famosa famiglia milanese.
Sposa giovanissima il patriota carbonaro Giovanni Sidoli che viene condannato a morte nel 1820 a seguito dell'ondata di processi che colpisce le associazioni segrete. Fuggono all'estero prima in Svizzera poi in Francia dove Giovanni muore nel 1828. Dopo aver preso parte ai moti del 1831 fugge all'estero e si avvicina agli ambienti mazziniani. Conosce Giuseppe Mazzini di cui diventa la fedele compagna.
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Nell'agosto 1832 partorisce un figlio avuto da Mazzini chiamato Joseph Demostene Adolphe Aristide, non riconosciuto. Il bambino morirà nel 1835. Queste vicissitudini li faranno allontanare. Lei torna in Italia dai figli avuto dal primo marito. Prende parte attiva alla rivolta del 1848.
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Dopo il fallimento della I Guerra d'Indipendenza torna in Italia.
Dal 1852 si stabilisce a Milano dove muore nel
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